N. 212 SENTENZA 17 maggio - 1 giugno 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Alimenti  e  bevande  - Norme della Regione Umbria - Disciplina della
  raccolta,  coltivazione,  conservazione  e  commercio dei tartufi -
  Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri - Denunciata
  omessa  indicazione  della  materia  su  cui  la  Regione ha inteso
  intervenire,  con conseguente incostituzionalita' dell'intera legge
  regionale - Reiezione.
- Legge Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8.
Alimenti  e  bevande  - Norme della Regione Umbria - Disciplina della
  raccolta,  coltivazione,  conservazione  e  commercio dei tartufi -
  Individuazione  degli  ambiti  territoriali  in  cui la raccolta e'
  libera  -  Ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri -
  Superamento  dei  limiti fissati dalla norma di principio statale -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua.
- Legge Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8, art. 2, lettere b) e c).
- Costituzione,   art. 117,  terzo  comma;  legge  16 dicembre  1985,
  n. 752, art. 3.
Alimenti  e  bevande  - Norme della Regione Umbria - Disciplina della
  raccolta,  coltivazione,  conservazione  e  commercio dei tartufi -
  Individuazione,  fra  le  zone  in cui la raccolta e' libera, delle
  sponde   e   degli  argini  dei  corsi  d'acqua  -  Definizione  ed
  identificazione   delle   tartufaie   controllate   -  Ricorso  del
  Presidente del Consiglio dei ministri - Denunciata violazione della
  competenza   statale   in   materia   di   tutela  dell'ambiente  e
  dell'ecosistema e in materia di ordinamento civile - Non fondatezza
  delle questioni.
- Legge  Regione  Umbria  26 maggio 2004, n. 8, art. 2, lettera a), e
  art.4.
- Costituzione,  art. 117,  secondo  comma, lettere l) ed s), e terzo
  comma; legge 16 dicembre 1985, n. 752, art. 3.
(GU n.23 del 7-6-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Annibale MARINI;
  Giudici: Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo
DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI,
Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli articoli 2 e 4
della  legge  della  Regione  Umbria  26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori
modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994,
n. 6  -  Disciplina  della  raccolta,  coltivazione,  conservazione e
commercio  dei  tartufi),  promosso  con  ricorso  del Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  notificato il 4 agosto 2004, depositato in
cancelleria  il  7 agosto  2004  ed  iscritto  al  n. 81 del registro
ricorsi 2004.
    Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria;
    Udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 2006 il giudice relatore
Annibale Marini;
    Uditi  l'avvocato  dello Stato Massimo Massella Ducci Teri per il
Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Fabrizio Figorilli
per la Regione Umbria.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri, con ricorso
ritualmente  notificato  e  depositato,  ha impugnato gli artt. 2 e 4
della  legge  della  Regione  Umbria  26 maggio 2004, n. 8 (Ulteriori
modificazioni ed integrazioni della legge regionale 28 febbraio 1994,
n. 6  -  Disciplina  della  raccolta,  coltivazione,  conservazione e
commercio  dei tartufi), per contrasto con l'art. 117, commi secondo,
lettere l) e s), e terzo, della Costituzione.
    Premette  la  parte  ricorrente che la legge impugnata non indica
quale  sia la materia sulla quale la Regione ha inteso intervenire ed
assume  che  tale  omissione  di  per  se'  costituisca  un  vizio di
legittimita' costituzionale dell'intera legge.
    Con  specifico  riferimento  alle singole norme impugnate, rileva
quindi  l'Avvocatura  che  l'art. 2  della  legge,  che individua gli
ambiti  territoriali in cui la raccolta dei tartufi e' libera, incide
-  come  si desume anche dalla giurisprudenza di questa Corte - sulla
materia  della  tutela  dell'ambiente e dell'ecosistema, di esclusiva
competenza   statale,   ai   sensi   dell'art. 117,   secondo  comma,
lettera s), della Costituzione.
    Ma  se  anche  -  prosegue l'Avvocatura - la raccolta dei tartufi
potesse   essere  ricondotta  ad  una  delle  materie  di  competenza
concorrente  di  cui  all'art. 117,  terzo comma, della Costituzione,
comunque  la  legge  regionale  avrebbe  dovuto rispettare i principi
fondamentali  fissati  dalla  legge  statale.  E  se  e'  vero che la
liberta'  di  raccolta  costituisce un principio fondamentale fissato
dalla  legge 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro in materia di
raccolta,  coltivazione  e commercio dei tartufi freschi o conservati
destinati  al  consumo),  detto  principio  non  puo'  che  ritenersi
comprensivo  anche dei limiti che a tale liberta' vengono posti dalla
stessa legge statale.
    Sarebbero  proprio  tali  limiti  ad  essere invece modificati in
maniera  significativa  dalla norma impugnata, che consente la libera
raccolta non solo - come gia' dispone la legge statale - nei boschi e
nei  campi  non  coltivati,  ma anche nei parchi (che trovano la loro
disciplina  nella  legge  statale  6 dicembre  1991,  n. 394,  ed  in
particolare nell'art. 11), nelle aree naturali protette (disciplinate
dagli  artt. 22 e seguenti della stessa legge n. 394 del 1991), nelle
aziende  faunistico-venatorie  e  nelle  aree demaniali, senza alcuna
distinzione  tra demanio statale e demanio regionale o sub-regionale,
con conseguente violazione della richiamata norma costituzionale.
    Ancora  piu' evidente sarebbe poi l'illegittimita' costituzionale
della  norma  impugnata se si ritenesse che essa intende disciplinare
la  liberta'  di  raccolta  anche  nei  confronti dei proprietari dei
fondi,  in  quanto,  in tal caso, ne risulterebbe investito il regime
della    proprieta'   privata   e,   di   conseguenza,   la   materia
dell'ordinamento  civile,  di  esclusiva  competenza statale ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
    Da  analoghi  vizi  sarebbe  affetto  anche  l'art. 4 della legge
regionale, che da un lato incide sulla individuazione delle tartufaie
controllate,  attraverso  la  definizione  del  concetto  di presenza
diffusa,  e  dall'altro fissa un limite massimo alla loro estensione,
in  tal  modo  derogando  ai principi fissati dall'art. 3 della legge
statale n. 752 del 1985.
    Inoltre,  poiche'  ai sensi del medesimo art. 3 la proprieta' dei
tartufi   prodotti   nelle   tartufaie   controllate  non  spetta  ai
proprietari  dei  terreni  ma a coloro che le conducono, anche questa
norma  - secondo l'Avvocatura - verrebbe in definitiva ad interferire
nella materia dell'ordinamento civile, riservata allo Stato.
    2.  - Si e' costituita in giudizio la Regione Umbria, concludendo
per il rigetto del ricorso.
    Osserva,  preliminarmente,  la  Regione,  quanto  alla  lamentata
difficolta' di individuazione della materia cui le norme censurate si
riferiscono,  che  la  legge  n. 8  del  2004  contiene  disposizioni
integrative   della   disciplina   dettata   dalla  precedente  legge
28 febbraio  1994,  n. 6  (Disciplina  della  raccolta, coltivazione,
conservazione e commercio dei tartufi), «il cui titolo contiene tutti
i  riferimenti utili ad una precisa ed inequivocabile identificazione
della materia in cui si e' voluto intervenire».
    Per  quanto  riguarda poi le censure specificamente riferite agli
artt. 2  e  4  della legge, deduce, preliminarmente, la resistente la
contraddittorieta'   ed   incoerenza   del   ricorso,  in  quanto  le
disposizioni  impugnate sono meramente attuative del principio recato
dall'art. 1  della  legge,  non  impugnato,  secondo  cui «la Regione
tutela  e valorizza il patrimonio tartuficolo naturale e ne favorisce
la  ricerca  libera  ai  sensi  dell'articolo 2», e appaiono altresi'
coerenti  con  l'art. 6,  primo  comma,  della  legge-quadro statale,
secondo  cui  «le  regioni  provvedono  a disciplinare la tutela e la
valorizzazione del patrimonio tartufigeno pubblico».
    Nel  merito, la Regione, in primo luogo, assume che la materia in
considerazione  deve  ricondursi  alla competenza esclusiva residuale
delle    Regioni,    sia   perche'   non   espressamente   ricompresa
nell'elencazione  di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 117 della
Costituzione,  sia  perche'  strettamente  connessa  con  materie  di
esclusiva  competenza  regionale,  quali  la  tutela  del  patrimonio
agricolo   e  l'utilizzazione  del  territorio  agro-silvo-pastorale,
ovvero concorrente, quale l'alimentazione.
    Seppure si volesse accedere alla tesi dell'Avvocatura, secondo la
quale  la  materia  sarebbe  quella della tutela ambientale, dovrebbe
comunque tenersi conto della peculiarita' di tale materia, piu' volte
sottolineata  dalla stessa Corte costituzionale, in quanto l'ambiente
e' un valore costituzionalmente protetto che, in quanto tale, delinea
una   materia  trasversale,  in  ordine  alla  quale  si  manifestano
competenze  diverse,  anche  regionali,  spettando allo Stato il solo
compito  di  fissare  uno  standard  di  tutela  uniforme sull'intero
territorio nazionale.
    Il  legislatore  umbro  - secondo la Regione - nell'estendere gli
ambiti  di  raccolta  libera,  tenuto  conto  della  specificita' del
territorio  regionale,  ha  tenuto fermo il riferimento alle aree non
coltivate,  da  considerarsi,  in  ipotesi,  come  standard minimo di
tutela  della  risorsa  ambientale,  e  cio' varrebbe ad escludere la
violazione  dei  principi  fondamentali  posti dalla legge-quadro del
1985,   peraltro   anteriore   alla   riforma   del  Titolo  V  della
Costituzione.
    La   Regione  Umbria,  del  resto,  anche  prima  della  modifica
costituzionale  aveva esteso, con l'art. 2 della legge n. 6 del 1994,
l'ambito  dei  luoghi  in  cui praticare la ricerca libera, senza che
l'autorita'   statale   sollevasse   al   riguardo  alcun  dubbio  di
costituzionalita'.
    Del  tutto infondata - ad avviso ancora della Regione - e' invece
la   tesi   secondo   cui  costituirebbe  principio  fondamentale  la
limitazione  della raccolta libera alle sole aree non coltivate ed ai
boschi.  Se  cosi'  fosse,  la  potesta'  normativa concorrente delle
Regioni  resterebbe  irrilevante, null'altro essendo loro consentito,
sul punto, se non riprodurre la norma statale.
    Per  quanto  specificamente  concerne  la  lettera b) dell'art. 2
impugnato,  la Regione osserva che la norma va interpretata nel senso
che l'estensione della ricerca libera deve essere riferita - per cio'
che  riguarda  parchi,  oasi  e  aree  demaniali  -  ai  soli  ambiti
territoriali  di competenza regionale, mentre l'inclusione delle zone
di  ripopolamento  e  cattura e addestramento cani e' legittimata dal
fatto  che  la  disciplina  di  tali  aree  ricade  nella  competenza
concorrente, se non addirittura residuale, delle Regioni.
    Non  vi  sarebbe  lesione alcuna dei principi dettati dalla legge
statale  n. 394  del  1991  in  materia  di  aree protette, in quanto
l'art. 11,  comma 3,  della  legge  prevede  unicamente  divieti  nei
confronti di attivita' che possono compromettere paesaggi ed ambienti
tutelati «con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e
ai rispettivi habitat», mentre e' evidente che il tartufo non rientra
in  tali  categorie,  e l'art. 22 della stessa legge, pure richiamato
dall'Avvocatura,   si   riferisce  esclusivamente  alla  materia  dei
prelievi venatori.
    La legge regionale 3 marzo 1995, n. 9, attuativa della richiamata
legge  statale,  all'art. 15,  lettera c), stabilisce, del resto, che
«le   attivita'  agro-silvo-pastorali  e  la  raccolta  delle  specie
vegetali, quali tartufi, funghi ed asparagi, sono consentite in tutte
le zone dell'Area naturale protetta».
    Quanto   alla   lettera c)  del  richiamato  art. 2,  osserva  la
resistente  che,  con  sentenza  n. 328  del  1990,  questa  Corte ha
dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale di
una  norma  (l'art. 6  della  legge  Regione  Umbria 3 novembre 1987,
n. 47)  del  tutto  sovrapponibile  a quella ora impugnata, in quanto
interpretata  nel  senso di escludere ogni possibile sconfinamento in
materie,  quali  l'ordinamento  civile, esclusivamente riservate allo
Stato.
    Destituite  di  qualsiasi fondamento sarebbero infine, secondo la
Regione,  anche  le  censure riferite all'art. 4 della legge n. 8 del
2004,  considerato  che  il  legislatore  statale  non  ha indicato i
presupposti  quantitativi, uniformi su tutto il territorio nazionale,
per   l'individuazione   delle   tartufaie,   cosicche'  la  relativa
competenza non puo' che spettare all'autorita' regionale.
    3.  -  Nell'imminenza  dell'udienza pubblica la Regione Umbria ha
depositato  una  memoria  illustrativa,  nella  quale  ribadisce  gli
argomenti svolti nell'atto di costituzione a sostegno della richiesta
di rigetto del ricorso.

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli
artt. 2  e  4  della  legge della Regione Umbria 26 maggio 2004, n. 8
(Ulteriori   modificazioni  ed  integrazioni  della  legge  regionale
28 febbraio  1994,  n. 6  -  Disciplina della raccolta, coltivazione,
conservazione e commercio dei tartufi), per contrasto con l'art. 117,
commi secondo, lettere l) e s), e terzo, della Costituzione.
    Secondo  l'Avvocatura  la  legge regionale sarebbe, innanzitutto,
illegittima  nella  sua interezza per la mancata individuazione della
materia   in   cui  la  Regione  ha  inteso  esercitare  la  potesta'
legislativa.
    L'art. 2  della  legge,  ampliando  -  rispetto a quanto previsto
dalla legge-quadro statale 16 dicembre 1985, n. 752 (Normativa quadro
in  materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi
o  conservati  destinati al consumo) - gli ambiti territoriali in cui
la  raccolta  e'  libera,  inciderebbe  nella  materia  della  tutela
dell'ambiente, di esclusiva competenza statale, e comunque - se anche
si volesse ricondurre la disciplina regionale ad una delle materie di
competenza  concorrente  - violerebbe i principi fondamentali dettati
dalla richiamata legge-quadro.
    L'art. 4   della  medesima  legge,  indicando  limiti  minimi  di
presenza  del  tartufo  per  ettaro,  ai  fini  della sussistenza del
requisito  della  presenza  diffusa,  e  limiti massimi di estensione
delle  tartufaie  controllate, derogherebbe, a sua volta, ai principi
fondamentali  fissati  dall'art. 3 della legge statale ed inciderebbe
nella   materia  dell'ordinamento  civile,  di  esclusiva  competenza
statale,   venendo   indirettamente   ad  alterare  il  regime  della
proprieta'  dei  tartufi,  che  - per quanto riguarda quelli prodotti
nelle tartufaie coltivate o controllate - non segue la proprieta' del
fondo ma spetta a coloro che le conducono.
    2.  - Va, in primo luogo, disatteso l'assunto, del tutto privo di
motivazione,  dell'Avvocatura  dello  Stato  secondo  cui  la mancata
indicazione  nella legge regionale della materia nella quale e' stata
esercitata       la      potesta'      legislativa      comporterebbe
l'incostituzionalita' dell'intera legge.
    L'indicazione  richiesta  dalla difesa erariale non solo risulta,
infatti,  priva  di  qualsiasi  base  normativa, ma, provenendo dallo
stesso  legislatore  regionale,  si  risolverebbe  in  una  sorta  di
autoqualificazione carente in quanto tale di giuridica rilevanza.
    3.  -  La  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 2
della legge regionale n. 8 del 2004 e' fondata, nei limiti di seguito
indicati.
    Va,  innanzitutto,  precisato  che  la  materia  nella  quale  si
inserisce  la  normativa  regionale impugnata in tema di raccolta dei
tartufi  e'  quella  della  valorizzazione  dei  beni  ambientali, di
competenza concorrente.
    Il  patrimonio  tartuficolo  costituisce,  infatti,  una  risorsa
ambientale  della Regione, suscettibile di razionale sfruttamento, la
cui  valorizzazione  compete  percio' alla Regione medesima, ai sensi
dell'art. 117,  terzo  comma,  della  Costituzione,  nel rispetto dei
principi fondamentali dettati dal legislatore statale.
    Tali  principi  fondamentali  sono  allo  stato enucleabili dalla
legge  16 dicembre  1985,  n. 752, e in particolare - per cio' che in
questa  sede  rileva - dall'art. 3, primo comma, secondo il quale «la
raccolta  dei  tartufi  e'  libera  nei  boschi  e  nei  terreni  non
coltivati».
    La  tesi  della  Regione  - secondo cui il principio fondamentale
desumibile  da  tale norma sarebbe solamente quello della liberta' di
raccolta  -  non puo' essere condivisa, essendo evidente che, secondo
il   legislatore   statale,  coessenziale  all'affermazione  di  tale
liberta'  e'  la  sua  limitazione  al  solo  ambito dei boschi e dei
terreni  non  coltivati,  nell'ottica di un ragionevole bilanciamento
tra  le esigenze «di quella parte della popolazione che nella ricerca
e  raccolta  dei  tartufi  trova un motivo di distensione ed anche di
integrazione  del  proprio  reddito»  (sentenza n. 328 del 1990) e la
necessita' di difendere il patrimonio ambientale dal rischio di danni
irreparabili  e  di  tutelare  altresi' i diritti dei proprietari dei
fondi.
    La  norma impugnata non viola siffatto principio fondamentale per
quanto  riguarda la lettera a), in quanto «le sponde e gli argini dei
corsi d'acqua classificati pubblici dalla vigente normativa», lungo i
quali  viene  espressamente  consentita  la  libera raccolta, possono
essere  senz'altro  ricondotti  al concetto di terreni non coltivati,
per  i  quali  il  principio  di  libera  raccolta deriva dalla norma
statale.
    4.  -  A  diverse  conclusioni deve invece pervenirsi quanto alle
lettere b) e c) del medesimo art. 2.
    L'art. 2,  lettera b),  consente  infatti la libera raccolta «nei
parchi e nelle oasi, con esclusione delle zone di «riserva integrale»
come definite dalla legge regionale 3 marzo 1995, n. 9, nonche' nelle
aree   demaniali,   nelle  zone  di  ripopolamento  e  cattura,  zone
addestramento  cani»,  mentre  l'art. 2, lettera c), la prevede anche
«nelle     Aziende     faunistico-venatorie     e    nelle    Aziende
agro-turistico-venatorie  nei  giorni  di  silenzio  venatorio  e nei
periodi  di  caccia  chiusa,  con modalita' di accesso definite dalla
Giunta  regionale sentite le associazioni ed il legale rappresentante
dell'ente gestore o dell'azienda proprietaria».
    Si  tratta,  in  entrambi  i casi, di un evidente ampliamento dei
limiti  fissati  dalla  norma di principio statale, in quanto parchi,
oasi,   zone   di   ripopolamento   e   addestramento  cani,  aziende
faunistico-venatorie    e    agro-turistico-venatorie   costituiscono
ambienti  territoriali  del  tutto  diversi  dai boschi e terreni non
coltivati  cui  fa  riferimento  l'art. 3,  primo  comma, della legge
n. 752 del 1985.
    Ne  deriva,  percio',  la  violazione dell'art. 117, terzo comma,
della  Costituzione  e  la  conseguente illegittimita' costituzionale
della norma regionale, in parte qua.
    5.   -   E'   invece   infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 4  della legge regionale n. 8 del 2004, che
definisce   il  requisito  della  «presenza  diffusa»,  ai  fini  del
riconoscimento  delle  tartufaie  controllate, delle quali stabilisce
altresi' limiti massimi di superficie.
    La  legge-quadro  n. 752  del  1985, all'art. 3, quinto comma, si
limita  a  definire le tartufaie controllate come «tartufaie naturali
migliorate  e incrementate con la messa a dimora di un congruo numero
di piante tartufigene».
    Stante  l'evidente  genericita'  di  tale definizione, di per se'
insuscettibile  di  pratica  applicazione, non puo' che spettare alle
Regioni,  in  base  alle  regole  di  riparto  della competenza nelle
materie  di  legislazione  concorrente,  la  normativa  di  dettaglio
diretta   alla   concreta   individuazione   dei   requisiti  per  il
riconoscimento di tartufaia controllata.
    Allo  stesso  modo,  in  mancanza  di  qualsiasi  enunciazione di
principio,  nella  legge  statale,  riguardo  alla  estensione  delle
suddette   tartufaie   controllate,  non  puo'  certamente  ritenersi
precluso   alle  medesime  Regioni  di  fissare  limiti  massimi,  in
relazione  alle  specifiche caratteristiche del territorio regionale,
onde  evitare  una  eccessiva compressione del principio fondamentale
della libera raccolta nei boschi e nei terreni non coltivati.
    E'  appena  il caso di osservare, infine, che la norma impugnata,
specificando   esclusivamente  requisiti  e  limiti  delle  tartufaie
controllate,  non  incide di per se' sulla spettanza della proprieta'
dei tartufi, che resta, invece, disciplinata dalle norme di principio
dettate  dalla  legislazione  statale  ed  in particolare dall'art. 3
della  legge  16 dicembre 1985, n. 752. Cio' che vale ad escludere la
violazione, nella specie, del limite dell'ordinamento civile posto al
legislatore    regionale    dall'art. 117,   secondo   comma,   della
Costituzione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, lettere b)
e   c),  della  legge  della  Regione  Umbria  26 maggio  2004,  n. 8
(Ulteriori   modificazioni  ed  integrazioni  della  legge  regionale
28 febbraio  1994,  n. 6  -  Disciplina della raccolta, coltivazione,
conservazione e commercio dei tartufi);
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
degli  artt. 2,  lettera  a), e 4 della medesima legge, sollevate dal
Presidente  del  Consiglio dei ministri, in riferimento all'art. 117,
commi  secondo,  lettere l) e s), e terzo, della Costituzione, con il
ricorso in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 maggio 2006.
                  Il presidente e redattore: Marini
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 1° giugno 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
06C0471