N. 74 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 giugno 2006

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 16 giugno 2006 (della Regione Liguria)

Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Difesa  del  suolo  -  Competenze del Ministro
  dell'ambiente   -   Funzioni  di  programmazione,  finanziamento  e
  controllo  di tutti gli interventi in materia di difesa del suolo -
  Ricorso della Regione Liguria - Denunciato accentramento allo Stato
  di   compiti   gia'  attribuiti  alle  Regioni  (o  svolti  con  la
  partecipazione  regionale)  in base al d.lgs. 112/1998 - Eccesso di
  delega   -  Mancato  coinvolgimento  regionale  nelle  funzioni  di
  programmazione  e finanziamento - Violazione del principio di leale
  collaborazione  -  Difetto  di esigenze di esercizio unitario della
  funzione di controllo
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 58  (comma  3,
  lett. a).
- Costituzione,  artt. 76,  (117)  e  118;  legge  15 dicembre  2004,
  n. 308,  art. 1,  commi 1  e  8; decreto legislativo 31 marzo 1998,
  n. 112,  artt. 86, comma 3, 88, commi 1 e 2, 89, commi 1, lett. h),
  e 5.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Difesa  del  suolo  -  Competenze del Ministro
  dell'ambiente  -  Previsione,  prevenzione  e  difesa  del suolo da
  frane,  alluvioni  e  altri fenomeni di dissesto idrogeologico, nel
  medio  e  nel  lungo  termine  -  Ricorso  della  Regione Liguria -
  Denunciato  accentramento  allo Stato di funzioni amministrative in
  assenza   di  esigenze  di  esercizio  unitario  e  comunque  senza
  previsione  dell'intesa con la Regione interessata - Violazione del
  principio  di leale collaborazione - Eccesso di delega - Lesione di
  competenze  regionali  (in materia di difesa del suolo, governo del
  territorio e protezione civile).
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 58  (comma  3,
  lett. b).
- Costituzione,  artt. 76, 117 (comma secondo, lett. s), e 118, primo
  comma;   decreto   legislativo  31 marzo  1998,  n. 112,  art. 108,
  comma 1,   lett.   a);   direttiva  del  Presidente  del  Consiglio
  27 febbraio 2004, modificata dalla direttiva 25 febbraio 2005.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Difesa del suolo - Competenze della Conferenza
  Stato-Regioni  -  Formulazione  di  pareri, proposte e osservazioni
  anche   ai  fini  dell'esercizio  delle  funzioni  di  indirizzo  e
  coordinamento   -   Ricorso  della  Regione  Liguria  -  Denunciato
  depotenziamento   delle   funzioni  della  Conferenza,  ridotta  ad
  organismo  meramente  consultivo - Contrasto con criterio direttivo
  della delega.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 59.
- Legge 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 9, lett. c).
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Difesa  del  suolo  -  Accorpamento dei bacini
  idrografici   in   otto  macrodistretti  ed  istituzione  di  nuove
  Autorita' di bacino distrettuale in sostituzione di quelle previste
  dalla  legge  183/1989 - Ricorso della Regione Liguria - Denunciata
  lesione  della  competenza  regionale  concorrente  in  materia  di
  governo del territorio - Violazione del principio di sussidiarieta'
  -   Irrazionale   delimitazione   dei  nuovi  Distretti  e  mancato
  coinvolgimento   delle   Regioni   nella   relativa   decisione   -
  Insufficienza   della   partecipazione  (minoritaria)  regionale  a
  garantire  codecisioni  paritarie  in  seno agli organi delle nuove
  Autorita'   (Conferenza   istituzionale   permanente  e  Conferenza
  operativa)  -  Violazione  del  principio di leale collaborazione -
  Eccesso  di  delega  per esorbitanza dall'oggetto e inosservanza di
  principi e criteri direttivi.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, artt. 63 e 64.
- Costituzione,  artt. 76, 117, comma terzo, e 118; legge 15 dicembre
  2004, n. 308, art. 1, commi 1, 8 e 9, lett. c).
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Difesa  del suolo - Soppressione dal 30 aprile
  2006  delle  Autorita'  di  bacino  previste dalla legge 183/1989 -
  Attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri del potere di
  definire, «sentita» la Conferenza permanente Stato-Regioni, criteri
  e  modalita' per il trasferimento di personale e risorse alle nuove
  Autorita'   di  distretto,  di  disciplinare  il  trasferimento  di
  funzioni  e di regolamentare il periodo transitorio - Ricorso della
  Regione  Liguria  -  Denunciata specifica illegittimita' del potere
  normativo  del  Presidente  del  Consiglio  per  mancata previsione
  dell'intesa   con   la   Conferenza   Stato-Regioni   -   Specifica
  illegittimita'  della  data di soppressione delle vecchie Autorita'
  di  bacino  per  impossibilita'  che la normativa transitoria venga
  emanata entro lo stesso termine - Lesione di competenze regionali.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 63, commi 2 e 3.
- Costituzione, artt. 117 e 118.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Difesa  del  suolo  e  tutela  delle  acque  -
  Disciplina del piano di bacino distrettuale, dei piani stralcio per
  la  tutela  dal  rischio idrogeologico, delle misure di prevenzione
  per  le  aree  a  rischio,  dei  programmi di misure e dei piani di
  gestione  -  Ricorso  della  Regione  Liguria - Denunciata parziale
  sovrapposizione  dei  diversi  piani  di  tutela, in violazione dei
  criteri  direttivi  della  delega  -  Incompleta  attuazione  della
  normativa comunitaria.
- Decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152, artt. 65, 67, 69, 116 e
  117.
- Costituzione,  art. 76;  legge  15 dicembre  2004,  n. 308, art. 1,
  commi 8,   lett. g),  e  9,  lett.  c);  direttiva  2000/60/CE  del
  23 ottobre 2000, art. 14.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega   308/2004   -   Tutela   delle  acque  dall'inquinamento  -
  Definizione  di  «scarico»  -  Mancato riferimento alla «immissione
  diretta  tramite  condotta»  su  cui  era  imperniata  la normativa
  precedente - Ricorso della Regione Liguria - Denunciata sostanziale
  assimilazione   dei  rifiuti  liquidi  agli  scarichi  idrici,  con
  esenzione   dalla   normativa  sui  rifiuti  -  Irragionevolezza  -
  Contrasto  con  la  legge delega (per il carattere innovativo della
  disposizione  e  per  inosservanza  di  criteri  direttivi) Lesione
  dell'autonomia  amministrativa  e finanziaria della Regione e degli
  enti locali - Incidenza sulle prerogative regionali.
- Decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, comma 1, lett.
  ff).
- Costituzione, artt. 3 e 76; legge 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1,
  comma 8,  lett. a),  b),  f);  decreto  legislativo 11 maggio 1999,
  n. 152,  art. 2, comma 1, lett. bb); decreto legislativo 5 febbraio
  1997, n. 22, art. 8.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega   308/2004   -   Tutela   delle  acque  dall'inquinamento  -
  Definizione di «acque reflue industriali» - Riferimento al criterio
  «qualitativo»  in  sostituzione  di  quello  della  «provenienza» -
  Ricorso   della   Regione   Liguria   -  Denunciato  regresso,  con
  difficolta'  applicative,  rispetto  alla  normativa  previgente  -
  Discordanza   dalla   normativa  comunitaria  -  Contrasto  con  il
  principio di ragionevolezza e con la legge delega - Incidenza sulle
  prerogative regionali.
- Decreto   legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 74,  comma 1,
  lett. h).
- Costituzione,  artt. 76  e  117, primo comma; direttiva 91/271/CEE,
  art. 2;   decreto   legislativo  11 maggio  1999,  n. 152,  art. 2,
  comma 1, lett. h).
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega   308/2004   -   Tutela   delle  acque  dall'inquinamento  -
  Definizione   di   «agglomerato»   -   Riferimento  alle  attivita'
  produttive    (invece    che    alle   attivita'   economiche)   ed
  all'imprecisato  concetto  di  «fognatura dinamica» - Ricorso della
  Regione  Liguria  -  Denunciate difficolta' applicative - Contrasto
  con la normativa comunitaria - Lesione delle prerogative regionali.
- Decreto   legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 74,  comma 1,
  lett. n).
- Costituzione, artt. 3, 76 e 117, commi primo e terzo.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega   308/2004   -   Tutela   delle  acque  dall'inquinamento  -
  Definizione  di  «valore  limite  di emissione» - Difformita' dalla
  definizione  (conforme  a  quella comunitaria) di «valori limite di
  emissione»  - Ricorso della Regione Liguria - Denunciate incertezze
  e  difficolta'  applicative  -  Irragionevolezza - Contrasto con la
  normativa comunitaria e con la legge delega - Lesione di competenze
  regionali.
- Decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, comma 1, lett.
  oo), in raffronto al comma 2, lett. qq).
- Costituzione, artt. 3, 76 e 117, primo comma; direttiva 2000/60/CE,
  art. 2, n. 40.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega   308/2004   -   Tutela   delle  acque  dall'inquinamento  -
  Definizione  di  «sostanze  pericolose»  -  Ricorso  della  Regione
  Liguria - Denunciata genericita' e inutilita' sul piano applicativo
  -  Contrasto  con  la  legge  delega  - Pregiudizio per l'attivita'
  regionale in materia ambientale.
- Decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 74, comma 2, lett.
  ee).
- Costituzione, artt. 3 e 76; direttiva 2000/60/CE, art. 2, n. 29.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Tutela  delle  acque  dall'inquinamento - Aree
  sensibili   -   Qualificazione   come   tali  delle  aree  costiere
  dell'Adriatico  Nord-Occidentale  dalla  foce dell'Adige al confine
  meridionale  del  Comune  di  Pesaro  e  dei  corsi d'acqua ad esse
  afferenti  per  un  tratto  di 10 chilometri dalla linea di costa -
  Ricorso  della  Regione  Liguria  -  Denunciato  contrasto  con  la
  normativa comunitaria - Sottrazione di parte dei corsi d'acqua alla
  categoria  delle  aree  sensibili  - Incertezza normativa - Lesione
  della posizione regionale.
- Decreto   legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 91,  comma 1,
  lett. d).
- Costituzione,  art. 117, primo comma; direttiva 91/271/CE, allegato
  2,  lett.  a);  legge  15 dicembre  2004,  n. 308, art. 1, comma 8,
  lett. a), b), f).
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Tutela  delle  acque  dall'inquinamento - Aree
  sensibili   -   Potere   del  Ministro  dell'ambiente,  sentita  la
  Conferenza Stato-Regioni, di individuare ulteriori aree sensibili -
  Ricorso  della  Regione  Liguria  -  Denunciata riappropriazione di
  funzioni  gia'  decentrate  alle  Regioni  - Difetto di esigenze di
  esercizio  unitario  -  Violazione  del  principio  autonomistico -
  Contrasto  con  criterio  direttivo  della  delega  - In subordine:
  mancata   previsione   dell'intesa,   in  luogo  del  parere  della
  Conferenza.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 91, comma 2.
- Costituzione,  artt. 5,  76,  118,  primo  comma; legge 15 dicembre
  2004,  n. 308,  art. 1, comma 8; decreto legislativo 31 marzo 1998,
  n. 112, art. 80.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega   308/2004   -   Tutela   delle  acque  dall'inquinamento  -
  Procedimento  per il rilascio delle concessioni di acqua pubblica -
  Riserva   alle  Autorita'  di  bacino  distrettuale  (a  prevalente
  composizione  statale)  del  parere  vincolante  sulle  domande  di
  piccole  e  grandi derivazioni, in ordine alla compatibilita' della
  utilizzazione con le previsioni del Piano di tutela approvato dalla
  Regione   -   Esclusione  del  silenzio  assenso  e  nomina  di  un
  commissario  ad  acta in mancanza di parere nei termini stabiliti -
  Ricorso  della  Regione  Liguria  -  Denunciata  menomazione  delle
  competenze regionali mediante disciplina di dettaglio - Alterazione
  del   riparto   di   competenze   fissato  dal  d.lgs.  112/1998  -
  Inosservanza  di  criterio  direttivo della delega - Violazione del
  principio di sussidiarieta'.
- Decreto   legislativo   3 aprile  2006,  n. 152,  art. 96,  comma 1
  (modificativo  dell'art. 7 del testo unico delle disposizioni sulle
  acque e impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre
  1933,  n. 1775,  come sostituito dall'art. 23, comma 1, del decreto
  legislativo 11 maggio 1999, n. 152).
- Costituzione,  artt. 76,  117,  commi  terzo e quarto, e 118, primo
  comma;  legge  15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 9, lett. b);
  decreto  legislativo  31 marzo 1998, n. 112, artt. 86, 87, 88 e 89,
  comma 1, lett. i).
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega   308/2004   -   Tutela   delle  acque  dall'inquinamento  -
  Procedimento  per il rilascio delle concessioni di acqua pubblica -
  Disciplina dettagliata ed analitica - Ricorso della Regione Liguria
  -  Denunciata  menomazione  delle competenze regionali - Violazione
  del  principio  di  sussidiarieta',  nonche' del divieto di atti di
  indirizzo  e  del  principio  di  leale collaborazione - Eccesso di
  delega  per  esorbitanza  dall'oggetto  ed inosservanza di principi
  direttivi   -   Richiamo   alla  sentenza  n. 31/2006  della  Corte
  costituzionale.
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 96  nella  sua
  interezza.
- Costituzione, artt. 76, 117 e 118.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Tutela  delle  acque dall'inquinamento - Acque
  meteoriche  di dilavamento e acque di prima pioggia - Compito delle
  Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente, di disciplinare
  e  attuare  forme  di controllo degli scarichi provenienti da fogne
  separate  nonche'  i  casi  in cui per le immissioni possono essere
  richieste  particolari prescrizioni - Ricorso della Regione Liguria
  -  Denunciata  subordinazione  dell'autonomia  normativa  regionale
  all'ingerenza   (non   meramente   tecnica)   di   organo   statale
  politico-amministrativo  -  Contrasto  con l'assetto costituzionale
  delle competenze e con i limiti posti dalla legge delega.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 113, comma 1.
- Costituzione, artt. 117 e 118.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Tutela delle acque dall'inquinamento - Dighe -
  Compito  delle  Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente,
  di  adottare  apposita  disciplina in materia di restituzione delle
  acque  utilizzate  per  la produzione idroelettrica - Ricorso della
  Regione   Liguria   -   Denunciata   subordinazione  dell'autonomia
  normativa     regionale    all'ingerenza    di    organo    statale
  politico-amministrativo  -  Contrasto  con l'assetto costituzionale
  delle competenze e con i limiti posti dalla legge delega.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 114, comma 1.
- Costituzione, artt. 117 e 118.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  - Tutela delle acque dall'inquinamento - Piani di
  tutela  delle  acque  -  Sottoposizione  del  piano  adottato dalla
  Regione  a  verifica  del  Ministero  dell'ambiente - Ricorso della
  Regione    Liguria   -   Denunciata   lesione   delle   prerogative
  costituzionali  regionali  -  Esorbitanza dai limiti della delega -
  Contrasto  con  il  divieto di riduzione delle competenze assegnate
  alle Regioni prima della riforma costituzionale del titolo V.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 121 (comma 2).
- Costituzione,  artt. 117 e 118; decreto legislativo 11 maggio 1999,
  n. 152, art. 44.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004 - Tutela delle acque dall'inquinamento - Procedura
  di  autorizzazione  agli  scarichi  - Disciplina statale cedevole -
  Ricorso  della  Regione  Liguria  -  Denunciata insussistenza delle
  condizioni  per l'adozione di norme cedevoli da parte dello Stato -
  Violazione della competenza legislativa regionale.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 124, comma 7.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Servizio idrico integrato - Possibilita' per i
  Comuni  con  meno  di  mille  abitanti inclusi nel territorio delle
  Comunita'  montane  di  non  partecipare  alla  gestione  unica del
  servizio  -  Ricorso della Regione Liguria - Denunciata esorbitanza
  dalle  clausole di competenza «trasversale» (ambiente, concorrenza,
  determinazione  dei  livelli essenziali delle prestazioni, funzioni
  fondamentali  di  Comuni,  Province e Citta' metropolitane) evocate
  dal  legislatore  statale - Compressione delle potesta' legislativa
  regionale in materia di servizi pubblici locali - Eccesso di delega
  per il carattere innovativo della disposizione.
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006, n. 152, art. 148, comma 5 (in
  connessione con il comma 4).
- Costituzione,  artt.  (76  e) 117, commi secondo, lett. e), s), m),
  p), e quarto; legge 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 1.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Servizio  idrico  integrato - Piano d'ambito -
  Potere  dell'Autorita'  di  vigilanza  sulle  risorse idriche e sui
  rifiuti   (a   prevalente   composizione   statale)  di  notificare
  all'Autorita'   d'ambito   rilievi  e  osservazioni  e  di  dettare
  prescrizioni  in relazione ai livelli minimi di servizio e al piano
  finanziario   -   Ricorso   della   Regione  Liguria  -  Denunciata
  esorbitanza  dai  titoli  di  competenza  «trasversale» evocati dal
  legislatore   statale   -   Attrazione   allo   Stato  di  funzioni
  amministrative  in  assenza  di  esigenze  di  esercizio unitario -
  Lesione delle potesta' di controllo regionale - Eccesso di delega -
  Contrasto con il d.lgs. 112/1998.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 149, comma 6.
- Costituzione,  artt. 76,  117, commi secondo e quarto, e 118, primo
  comma;  legge  15 dicembre  2004,  n. 308, art. 1, comma 8; decreto
  legislativo 31 marzo 1998, n. 112, art. 88.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Servizio  idrico  integrato  -  Tariffa per il
  servizio   idrico   -  Istituzione,  fissazione  dei  parametri  di
  determinazione   ed   attribuzione   di   competenze  normative  di
  attuazione  ai  Ministri  dell'ambiente  e  dell'economia - Ricorso
  della  Regione  Umbria  -  Denunciata  violazione  della competenza
  regionale residuale in materia di servizi pubblici locali - Lesione
  dell'autonomia  finanziaria e tributaria delle Regioni - Eccesso di
  delega   per  inosservanza  di  criteri  direttivi  ed  esorbitanza
  dall'oggetto.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 154.
- Costituzione,  artt. 76,  117,  comma  quarto, e 119, commi primo e
  secondo;  legge  15 dicembre  2004,  n. 308, art. 1, comma 8 [primo
  periodo] e comma 8, lett. d).
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Recupero  dei  rifiuti  -  Metodi  di recupero
  destinati  ad  ottenere  materie  prime  secondarie, combustibili o
  prodotti - Possibilita' di definizione mediante appositi accordi di
  programma  stipulati tra i soggetti economici (o le associazioni di
  categoria)  e il Ministro dell'ambiente - Disciplina delle relative
  modalita'  procedurali - Ricorso della Regione Liguria - Denunciata
  introduzione di definizioni di smaltimento, recupero, sottoprodotto
  e materia prima secondaria (MPS) non conformi o non coerenti con la
  normativa   e   la   giurisprudenza   comunitarie   -   Sostanziale
  deregolamentazione  della  disciplina  del  recupero  dei  rifiuti,
  sostituita  da  procedure  «contrattate» e «privatizzate» - Lesione
  dei  principi  di  certezza del diritto, uguaglianza, generalita' e
  astrattezza  delle  norme  -  Eccesso di delega per inosservanza di
  principi  e criteri direttivi - Diretta violazione delle competenze
  regionali in materia di ambiente, tutela della salute e governo del
  territorio.
- Decreto  legislativo  3 aprile 2006, n. 152, artt. 181, commi 7, 8,
  9,  10  e  11, e 183, comma 1, in particolare lett. g), h), m), n),
  q), u).
- Costituzione,  artt. 11,  76,  117,  commi primo, terzo e quinto, e
  118;  direttiva 75/442/CEE del 15 luglio 1975, artt. 1, lett. e) ed
  f), 10 e 11, n. 1; direttiva 91/156/CEE del 18 marzo 1991; sentenze
  della  Corte  di  giustizia  europea  C-418/97 e C-419/97 - «Arco»,
  C-9/00   -  «Palin  Granit»,  C-114/01  -  «AvestaPolarit  Chrome»,
  C-457/02  -  «Niselli»;  legge  15 dicembre  2004,  n. 308, art. 1,
  comma 8, lett. e) ed f); decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
  art. 85; decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega 308/2004 - Terre e rocce da scavo - Esclusione dall'ambito e
  dal regime dei rifiuti - Ricorso della Regione Liguria - Denunciato
  contrasto  con  la  normativa  comunitaria  - Diretta violazione di
  competenze regionali.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 186.
- [Costituzione,  artt. 11,  76,  117, commi primo, terzo e quinto, e
  118;  direttiva 75/442/CEE del 15 luglio 1975, artt. 1, lett. e) ed
  f), 10 e 11, n. 1; direttiva 91/156/CEE del 18 marzo 1991; sentenze
  della  Corte  di  giustizia  europea  C-418/97 e C-419/97 - «Arco»,
  C-9/00   -  «Palin  Granit»,  C-114/01  -  «AvestaPolarit  Chrome»,
  C-457/02  -  «Niselli»z;  legge  15 dicembre  2004, n. 308, art. 1,
  comma 8, lett. e) ed f); decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
  art. 85; decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22].
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Catasto  dei  rifiuti  - Obbligo di comunicare
  annualmente   alle   Camere   di   commercio   le  quantita'  e  le
  caratteristiche  qualitative  dei  rifiuti  oggetto di attivita' di
  raccolta,  trasporto, recupero e smaltimento (c.d. MUD) - Esenzione
  per  le  imprese  e gli enti che producono rifiuti non pericolosi -
  Ricorso  della Regione Liguria - Denunciata perdita di informazioni
  per le strutture chiamate a svolgere i controlli ambientali.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 189, comma 3.
- [Costituzione,  artt. 11,  76,  117, commi primo, terzo e quinto, e
  118;  direttiva 75/442/CEE del 15 luglio 1975, artt. 1, lett. e) ed
  f), 10 e 11, n. 1; direttiva 91/156/CEE del 18 marzo 1991; sentenze
  della  Corte  di  giustizia  europea  C-418/97 e C-419/97 - «Arco»,
  C-9/00   -  «Palin  Granit»,  C-114/01  -  «AvestaPolarit  Chrome»,
  C-457/02  -  «Niselli»;  legge  15 dicembre  2004,  n. 308, art. 1,
  comma 8, lett. e) ed f); decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112,
  art. 85; decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22].
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega 308/2004 - Gestione dei rifiuti - Misure per incrementare la
  raccolta  differenziata  -  Computabilita'  della frazione organica
  umida separata fisicamente dopo la raccolta - Ricorso della Regione
  Liguria - Denunciata previsione di norma di dettaglio in materia di
  competenza   regionale   -   Difficolta'   nell'applicazione  della
  disciplina fiscale.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 205, comma 2.
- Costituzione, art. 117, comma quarto.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica dei siti contaminati - Definizione di
  «concentrazioni   soglia   di   contaminazione  (CSC)»  -  Prevista
  coincidenza  della  soglia di contaminazione con il valore di fondo
  per  tutti  i  siti  ubicati  in  aree  interessate  da fenomeni di
  inquinamento  di  origine  umana  - Ricorso della Regione Liguria -
  Denunciata    irragionevolezza   e   carattere   innovativo   della
  disposizione  - Riduzione della tutela dell'ambiente e della salute
  -  Eccesso di delega - Lesione della potesta' regionale concorrente
  in materia di governo del territorio e tutela della salute.
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 240,  comma 1,
  lett. b).
- Costituzione, artt. 3, 76 e 117, commi primo e secondo, lett. s), e
  terzo.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica dei siti contaminati - Definizione di
  «concentrazioni soglia di rischio (CSR)» - Riferimento a livelli di
  contaminazione  da  determinare  caso per caso, senza previsione di
  parametri  certi  -  Ricorso  della  Regione  Liguria  - Denunciata
  incertezza  normativa  -  Irragionevole  pregiudizio  per la tutela
  dell'ambiente e della salute.
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 240,  comma 1,
  lett. c).
- Costituzione, artt. 3 e 76.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica dei siti contaminati - Definizione di
  «sito con attivita' in esercizio» - Inclusione delle aree adibite a
  mantenimento  e  tutela  del  patrimonio  ai  fini della successiva
  ripresa   delle   attivita'  -  Ricorso  della  Regione  Liguria  -
  Denunciata  irragionevole  ed arbitraria estensione del concetto di
  attivita' in esercizio - Incidenza sulla protezione dell'ambiente e
  della  salute  -  Eccesso  di  delega  per  inosservanza di criteri
  direttivi - Lesione di competenze regionali.
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006,  n. 152,  art. 240,  comma 1,
  lett. g).
- Costituzione, artt. 3 e 76; legge 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1,
  comma 9, lett. a).
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica  dei  siti  contaminati  -  Procedure
  operative   e   amministrative   -   Disciplina   dettagliata,  con
  assegnazione  alle  Regioni di funzioni amministrative suscettibili
  di  svolgimento  a livello locale - Ricorso della Regione Liguria -
  Denunciato   contrasto   con   il  principio  di  sussidiarieta'  -
  Esorbitanza   dalle  materie  di  competenza  statale  esclusiva  -
  Incidenza  sulla  potesta'  di  allocare funzioni amministrative in
  materie di spettanza regionale.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 242 (in particolare
  commi 3, 6 e 7).
- Costituzione, artt. 117, comma terzo, e 118, commi primo e secondo;
  decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, art. 17, comma 4.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica dei siti contaminati - Acque di falda
  emunte nel corso di una bonifica - Possibilita' di scarico in acque
  superficiali  nel  rispetto dei valori limite di emissione previsti
  per  i  reflui  industriali  -  Ricorso  della  Regione  Liguria  -
  Denunciato   mancato  riferimento  ai  parametri  piu'  restrittivi
  previsti  dall'allegato 1 del d.m. 471/1999 - Riduzione del livello
  di  protezione  dell'ambiente  e  della salute - Irragionevolezza -
  Eccesso di delega - Lesione di competenze regionali.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 243, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 76.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  - Bonifica dei siti contaminati - Reimmissione di
  acque  di  falda nell'unita' geologica da cui sono state estratte -
  Possibilita'  ai  soli  fini  di  bonifica  dell'acquifero e previo
  trattamento  -  Ricorso della Regione Liguria - Denunciata mancanza
  di  precisi  parametri  da  rispettare (non valendo quelli previsti
  dall'abrogato   allegato   1,  tabella  3,  del  d.m.  471/1999)  -
  Irragionevolezza  -  Eccesso  di  delega  -  Lesione  di competenze
  regionali.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 243, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 76.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega 308/2004 - Bonifica dei siti contaminati - Attribuzione alle
  Province  del  potere  di  emettere  ordinanze di diffida - Ricorso
  della   Regione   Liguria  -  Denunciata  allocazione  di  funzione
  amministrativa in materia di competenza regionale.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 244, comma 2.
- Costituzione, art. 118, comma secondo.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica  dei  siti  contaminati  - Accordi di
  programma  -  Possibile  stipulazione  fra  gli  interessati  e  le
  Amministrazioni  competenti per la definizione di modalita' e tempi
  di  esecuzione  degli  interventi - Ricorso della Regione Liguria -
  Denunciata  introduzione  di  disciplina  dettagliata in materia di
  spettanza  regionale - Lesione della potesta' legislativa regionale
  - Stravolgimento della ratio degli accordi.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 246 (commi 1 e 2).
- Costituzione,  art. 117, comma terzo; decreto legislativo 18 agosto
  2000, n. 267, art. 34.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica  dei  siti  contaminati  - Accordi di
  programma   relativi  a  siti  di  interesse  nazionale  -  Mancata
  previsione  dell'intesa  con le Regioni interessate - Ricorso della
  Regione    Liguria    -    Denunciata   violazione   dell'autonomia
  amministrativa regionale e del principio di leale collaborazione.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 246, comma 3.
- Costituzione, art. 118, comma primo.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  -  Bonifica  dei  siti contaminati - Procedura ed
  interventi di bonifica dei siti di interesse nazionale - Competenza
  del Ministero dell'ambiente - Mancata previsione dell'intesa con la
  Regione  interessata  -  Ricorso della Regione Liguria - Denunciata
  violazione   [dell'autonomia   amministrativa   regionale   e]  del
  principio  di  leale collaborazione - Eccesso di delega con lesione
  delle prerogative regionali.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 252, commi 4 e 5.
- Costituzione,  artt. 76 e 118, comma primo; legge 15 dicembre 2004,
  n. 308,  art. 1,  commi 1 e 8; decreto legislativo 5 febbraio 1997,
  n. 22, art. 17, comma 14.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004  - Bonifica dei siti contaminati - Sanzioni per il
  responsabile  dell'inquinamento  che  non  provveda alla bonifica -
  Arresto  da  sei  mesi  a  un  anno  o ammenda da duemilaseicento a
  ventiseimila  euro  -  Ricorso  della  Regione Liguria - Denunciata
  innovazione  irragionevole  rispetto  alla  legislazione previgente
  (che   cumulava  arresto  e  ammenda)  -  Eccesso  di  delega,  con
  pregiudizio  per  la  tutela dell'ambiente e della salute - Lesione
  dell'autonomia  amministrativa  e finanziaria delle Regioni e degli
  enti locali.
- Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, art. 257, comma 1.
- Costituzione, artt. 3 e 76; legge 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1,
  comma 8,  lett.  i);  decreto  legislativo  5 febbraio 1997, n. 22,
  art. 51-bis, comma 1.
Ambiente  -  Codice  dell'ambiente  emanato in attuazione della legge
  delega  308/2004 - Disposizioni in tema di difesa del suolo, tutela
  delle  acque dall'inquinamento, servizio idrico integrato, recupero
  dei  rifiuti,  gestione dei rifiuti, catasto dei rifiuti e bonifica
  dei  siti  inquinati  -  Ricorso della Regione Liguria - Denunciata
  sussistenza   di   vizi  procedurali  inficianti  l'intero  decreto
  legislativo  -  Mancato  rispetto  della garanzia di partecipazione
  della Conferenza unificata Stato-Regioni-autonomie locali (di fatto
  impossibilitata  a  disporre  di  un termine adeguato per esprimere
  formalmente  il proprio parere ) - Violazione della legge di delega
  e   del   principio  di  leale  collaborazione  -  Incidenza  sulle
  competenze e prerogative costituzionali delle Regioni.
- Decreto  legislativo  3 aprile  2006, n. 152, artt. 58, 59, 63, 64,
  65, 67, 69, 74, 91, comma 1, lett. d), 96, 113, 114, 116, 117, 121,
  124, comma 7, 148, commi 4 e 5, 149, comma 6, 154, 181, commi 7, 8,
  9,  10  e  11,  183, comma 1, 186, 189, comma 3, 205, comma 2, 240,
  comma 1, lett. b), c), g), 242, 243, 244, 246, 252 e 257.
- Costituzione, artt. 76, 117, 118 e 119.
(GU n.32 del 9-8-2006 )
    Ricorso  della  Regione  Liguria, in persona del Presidente della
giunta  regionale  pro  tempore,  autorizzato con deliberazione della
giunta  regionale  n. 541 del 30 maggio 2006 (doc. 1) rappresentata e
difesa  -  come  da  procura  a margine del presente atto - dall'avv.
prof.  Giandomenico  Falcon  di  Padova  e  dall'avv.  Barbara Baroli
dell'Avvocatura  regionale,  con  domicilio  eletto  presso lo studio
dell'avv. Luigi Manzi, in Roma, via Confalonieri, n. 5;

    Contro   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  per  la
dichiarazione    di   illegittimita'   costituzionale   del   decreto
legislativo   3  aprile  2006,  n. 152,  recante  «Norme  in  materia
ambientale», pubblicato sul Suppl. ord. n. 96 alla Gazzetta Ufficiale
n. 88 del 14 aprile 2006, in relazione ai seguenti articoli:
        58,  59;  63;  64; 65; 67; 69; 74; 91, comma 1, lett. d); 96;
113;  114;  116;  117; 121; 124, comma 7; 148, commi 4 e 5; 154; 149,
comma  6, 181, commi da 7 a 11; 183, comma 1; 186; 189, comma 3; 205,
comma  2;  240,  comma 1, lett. b), c) e g); 242; 243; 244; 246; 252;
253;  257; per violazione degli artt. 76, 117, 118 della Costituzione
e del principio costituzionale di leale collaborazione, del principio
di  ragionevolezza  nonche'  dei  principi  e delle norme del diritto
comunitario, nei modi e per i profili di seguito indicati.

                              F a t t o

    Il  decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante: «norme in
materia  ambientale», costituisce attuazione della delega legislativa
contenuta  nella  legge  15  dicembre  2004, n. 308, pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  n. 302  del  27  dicembre  2004  -  Supplemento
ordinario  n. 187.  Questa autorizzava il Governo ad emanare entro 18
mesi  -  quindi  entro  l'11  luglio  2006  -  uno o piu' decreti «di
riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni legislative
nei  seguenti settori e materie, anche mediante la redazione di testi
unici».
    A  norma  dell'art. 1, comma 4 della legge, i decreti legislativi
avrebbero  dovuto essere adottati «sentito il parere della Conferenza
unificata  di  cui all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281».
    Il  comma  8 dello stesso art. richiede ai decreti legislativi il
«rispetto  dei  principi e delle norme comunitarie e delle competenze
per materia delle amministrazioni statali, nonche' delle attribuzioni
delle  regioni  e  degli enti locali come definite ai sensi dell'art.
117  della  Costituzione,  della  legge  15  marzo 1997, n. 59, e del
decreto  legislativo  31  marzo  1998, n. 112, ... e del principio di
sussidiarieta».
    Lo  schema  di  decreto  e'  stato  approvato  nella  seduta  del
Consiglio  dei  ministri del 18 novembre 2005. Nel corso della seduta
della  Conferenza  unificata  del  24 novembre 2005, i rappresentanti
delle  regioni  e  degli  enti  locali chiedevano di essere informati
sullo stato di attuazione della delega legislativa: ed in risposta il
Ministro La Loggia comunicava che, data la lunghezza, la Relazione al
decreto  non  sarebbe  stata  illustrata oralmente ma depositata agli
atti,  «in  modo  che  possa essere visionata e vi sia tutto il tempo
necessario a fare eventuali osservazioni».
    Il  testo del decreto legislativo e' stato trasmesso alle regioni
con  nota  della  Presidenza  del  Consiglio  dei ministri in data 29
novembre  2005,  cui  ha  fatto  seguito  una  nota  del successivo 7
dicembre  che avvertiva che gli allegati tecnici, «a causa della loro
voluminosita»,  venivano  resi disponibili soltanto in rete (ed anche
cio' su personale richiesta al Ministro da parte del Presidente della
Conferenza dei Presidenti delle regioni).
    Nonostante  la  mole  del  testo  e degli allegati, il parere sul
decreto  legislativo  e'  stato iscritto nell'ordine del giorno della
seduta  della  Conferenza  unificata del 15 dicembre 2005: ma gia' in
vista  della  riunione  in  sede tecnica del 12 dicembre dello stesso
anno  il  Presidente  della  Conferenza  delle regioni ne chiedeva la
sospensione,  in  ragione  dell'estrema  complessita' della materia e
dell'esiguita'  del  tempo  concesso per l'esame, chiedendo il rinvio
del termine per l'espressione del parere.
    Con  telegramma del 13 dicembre il Ministro dell'ambiente e della
tutela   del  territorio  comunicava  che  «il  Governo  non  intende
concedere  deroghe  al  termine fissato dalla legge per l'esame delle
commissioni  competenti,  considerata  la durata dei termini previsti
dalla  legge 308 del 2004 e valutato altresi' il periodo di attivita'
residua del Parlamento».
    Nella  seduta  della Conferenza Unificata del 15 dicembre 2005 il
rinvio  del  punto  all'ordine  del  giorno e' oggetto di un «appello
accorato»   del  Presidente  Errani,  a  nome  della  Conferenza  dei
Presidenti  delle  regioni,  al  quale  si associano i rappresentanti
degli   altri   enti   locali:  l'appello  e'  motivato  dall'estrema
complessita'  della  materia,  «che  non  attiene solo alle questioni
ambientali,  ma  anche alla difesa del suolo, ed altro» e che «tratta
di  una serie di politiche fondamentali che incrociano in modo forte,
tutta  l'articolazione  legislativa  delle  regioni  e  le  politiche
amministrative  degli  Enti locali» (punto 25 del verbale 13/05: doc.
3).
    Ma  il  viceministro  Nucara  e' rigido nel rifiuto della proroga
argomentando, da un lato, che la «tutela dell'ambiente» e' materia di
competenza  esclusiva  dello  Stato, dall'altro che la delega sarebbe
scaduta  -  come  dichiara  esplicitamente  - il giorno stesso, il 15
dicembre   2005,  «desumendo  cio'  da  quanto  di  sua  conoscenza»:
dimostrando,  in  tal modo, che non solo le regioni e gli enti locali
ma  lui  stesso  non aveva fatto in tempo ad informarsi correttamente
del punto all'ordine del giorno.
    Da  un  lato  il  viceministro  ignora  -  come  gli  viene fatto
osservare  -  quanto  la  giurisprudenza  costituzionale  aveva  gia'
ampiamente  osservato attorno alla natura «trasversale» della materia
e  all'intreccio di competenze che su di essa si accentra; dall'altro
ignora i termini stessi della delega, la cui scadenza era fissata nel
giorno  11  luglio  2006, come del resto emergeva della stessa scheda
elaborata  dalla  Presidenza del Consiglio, come gli faceva notare il
Presidente Errani.
    Ma  il  viceministro  ribatte  a  questo  punto  che l'urgenza di
adottare  definitivamente  il  decreto  non  cambia, in ragione delle
elezioni  politiche  previste  per  il  9 aprile 2006. Il Ministro La
Loggia,  che presiede la riunione, propone di rimandare il punto alla
successiva  seduta della Conferenza, prevista per il 20 gennaio 2006;
ma  il  viceministro si oppone. Il Presidente Errani fa presente che,
sulla  base  di quanto affermato quel giorno stesso dalla Commissione
parlamentare,   senza   il   parere  della  Conferenza  unificata  il
procedimento   di  emanazione  non  puo'  essere  proseguito,  ma  il
viceministro  Nucara ribatte che la Conferenza era stata «sentita», e
che  non  si  trattava di un parere vincolante. Il Ministro La Loggia
conclude  «prendendo  atto  del  mancato parere» e annunciando che il
viceministro   «fara'  le  opportune  valutazioni  e  continuera'  la
discussione  con  le  regioni  e  le  autonomie  locali»: «laddove si
verificasse l'indispensabilita' di questo passaggio, sara' nuovamente
iscritto  il punto in argomento all'o.d.g. della prossima Conferenza»
(tutto cio' emerge vividamente dal citato verbale: v. sempre doc. 3).
    Nella  divergenza  delle  posizioni,  il  varere non pote' essere
espresso. Ciononostante il Consiglio dei ministri, il 19 gennaio 2006
(n.   40),  approvava  «in  via  definitiva»  il  testo  del  decreto
legislativo, dopo che le Commissioni parlamentari avevano espresso il
proprio parere (in data 12 gennaio 2006).
    Nella  successiva  riunione  della  Conferenza  Unificata  del 26
gennaio  2006,  i presidenti delle regioni e delle province autonome,
dell'ANCI,  dell'UPI  e  dell'UNCEM presentavano un ordine del giorno
recante  il  parere  negativo  sullo  schema  di  decreto  (doc.  4),
motivandolo  sia  nel  merito  che  nel  metodo,  parere del quale il
rappresentante  del  Governo  si  limitava  a dichiarare di «prendere
atto».  Dopo  che  le  Commissioni  parlamentari  avevano espresso un
secondo parere (in data 31 gennaio 2006), il 10 febbraio il Consiglio
dei  ministri  riapprovava  di  nuovo  «in via definitiva» il decreto
legislativo (Consiglio dei ministri n. 43): evidentemente senza alcun
riesame   di   merito  alla  luce  del  parere  negativo  degli  enti
territoriali, stante l'asserita (ma inesistente) urgenza.
    Il  15  marzo  2006  il  Presidente  della Repubblica chiedeva al
Governo  alcuni chiarimenti nel merito e in relazione al procedimento
di  formazione  del decreto legislativo, sospendendo l'emanazione del
provvedimento;  a  seguito  di  questa  richiesta  di chiarimenti, il
decreto  legislativo  e'  stato  ulteriormente riapprovato con alcune
modifiche  dal  Consiglio dei ministri il 29 marzo 2006 (anche se non
se ne fa menzione nell'ordine del giorno della seduta n. 51 di quella
data,  ne'  nel  comunicato pubblicato nel sito del Governo a seguito
della  riunione).  E'  stato dunque approvato in un testo formalmente
(sia  pure parzialmente) diverso da quello sottoposto all'esame delle
Commissioni  parlamentari e della Conferenza Unificata. Esso e' stato
poi emanato il 3 aprile e pubblicato il 14 aprile.
    Con   il   presente   ricorso  la  regione  Liguria  contesta  la
legittimita'  costituzionale delle disposizioni impugnate per ragioni
che  attengono  da  un lato al decreto legislativo nel suo complesso,
dall'altro alle singole norme.
    Nel  suo  complesso il decreto appare viziato da gravi difetti di
procedimento,   attinenti   in   particolare  alla  violazione  della
procedura di «leale collaborazione». Come meglio si dira', il Governo
non ha rispettato i contenuti minimi della garanzia di partecipazione
della  Conferenza  unificata, rendendo consapevolmente impossibile un
informato  esame  del  nuovo testo normativo. La Conferenza unificata
non ha avuto modo di esprimere formalmente il proprio parere, e sulle
posizioni da essa assunte in merito al decreto legislativo il Governo
non  ha  aperto  alcuna  discussione,  violando quanto disposto dalla
legge di delega e ribadito dalla Commissione parlamentare.
    Inoltre  -  benche'  questo profilo non incida direttamente nelle
attribuzioni regionali non puo' essere sottaciuto - anche formalmente
il  procedimento  appare gravemente carente, essendo il testo emanato
diverso  da  quello  precedentemente  adottato  sulla base del parere
della Commissione parlamentare.
    Nel  merito,  il  decreto  legislativo  n. 152 del 2006 appare in
molte  parti  eccedere la delega legislativa e porsi in contrasto con
la  disciplina  comunitaria,  con  grave  ricaduta sulle attribuzioni
costituzionali  delle  regioni;  inoltre e' direttamente lesivo delle
competenze regionali in molte sue disposizioni.
    Come  e'  stato osservato nell'ordine del giorno presentato dalle
regioni  in  sede  di Conferenza unificata, il decreto «contrasta con
diverse  direttive  comunitarie,  viola,  per  eccesso  di delega, la
stessa legge delega n. 308/2004, stravolge l'assetto delle competenze
definite  dall'art.  117  e  118  della  Costituzione  e  dal decreto
legislativo  n. 112/1998 consolidate da numerose pronunce della Corte
costituzionale» (v. sempre doc. 4).
    L'opposizione  che le regioni hanno manifestato nei confronti del
decreto  e'  quindi motivata da ragioni assai gravi, sia in ordine al
rispetto  della  normativa comunitaria, sia in ordine al mantenimento
degli  attuali  presidi  legislativi, anche regionali, posti a tutela
dell'ambiente.  Le  disposizioni  del  decreto producono infatti - ad
avviso  delle  regioni  -  il  risultato  «di indebolire le politiche
ambientali  nel  nostro  Paese  e  la  loro coerenza con le direttive
dell'Unione europea, nonche' quelle di determinare l'abbassamento dei
livelli  di  tutela  dell'ambiente  e della salute a danno di tutti i
cittadini   senza,   peraltro,   che  a  questo  possa  corrispondere
l'auspicata  semplificazione delle procedure e dei processi attuativi
per  gli  operatori e le imprese». Inoltre le nuove norme determinano
«la  totale paralisi dell'azione delle regioni e degli enti locali in
campo   ambientale  data  l'incompatibilita'  delle  norme  regionali
vigenti con quelle dello schema di decreto».
    Per  fare  un esempio degli effetti del decreto, si puo' rilevare
che  l'art.  63 sopprime «a far data dal 30 aprile 2006» le Autorita'
di   bacino  istituite  dalla  legge  n. 183/1989,  trasferendone  le
funzioni  alle  istituende  Autorita'  di  bacino distrettuale, senza
precisare  quale  sia  il  regime  transitorio,  rinviato  ad un atto
amministrativo  del Governo che ha un solo giorno per essere emanato,
come poi si dira'. Come si vede, la frettolosita' di preparazione del
testo  normativo  e  la  volonta'  di  ottenerne comunque l'immediata
entrata  in  vigore comportano conseguenze paradossali in ordine alla
possibilita'  di  dare,  in  sole 24 ore, un'attuazione ragionevole e
congrua  al  decreto in presenza della notevolissima complessita' dei
temi trattati.
      In  altri  casi  -  in  particolare  in materia di rifiuti - il
decreto  legislativo  introduce  una  disciplina  innovativa  che  ha
l'effetto  immediato  di  smantellare l'attuale normativa ambientale,
rendendo meno rigorosa la normativa vigente e favorendo comportamenti
che attualmente, anche per precisa richiesta delle norme comunitarie,
costituirebbero un illecito amministrativo o penale.

                            D i r i t t o

    1) Illegittimita' degli artt. 58 e 59.
    L'art.  58 definisce le competenze del Ministero dell'ambiente in
materia  di  difesa del suolo. Il comma 3 stabilisce che, «ai fini di
cui  al  comma  2,  il  Ministero  dell'ambiente  e  della tutela del
territorio   svolge   le   seguenti   funzioni:   a)  programmazione,
finanziamento  e  controllo degli interventi in materia di difesa del
suolo».
    La  lett. a) accentra in capo al Ministero dell'ambiente funzioni
che  erano  attribuite alle regioni o alle autorita' di bacino o che,
comunque,   erano   svolte   con   la  partecipazione  regionale.  In
particolare,  la  lett.  a)  viene  ad escludere l'operativita' degli
schemi  revisionali  e  programmatici,  che  finora  erano  stati  lo
strumento,  a partecipazione regionale, di finanziamento della difesa
del  suolo  e  delle autorita' di bacino. Si puo' anche ricordare che
l'art.  86,  comma  3,  d.lgs.  n. 112/1998 prevedeva l'intesa con la
Conferenza  Stato-regioni  per  la  programmazione  dei finanziamenti
statali in materia di difesa del suolo.
    Inoltre,  l'art. 88, comma 1, d.lgs. n. 112/1998 dichiara compiti
di  rilievo  nazionale  la  programmazione  ed il finanziamento degli
interventi  di  difesa  del  suolo,  ma il comma 2 richiede il parere
della  Conferenza  unificata.  Ancora,  l'art.  89, comma 1, lett. h)
conferisce  in  via  esclusiva  alle  regioni  e  agli enti locali la
programmazione  e  pianificazione  degli  interventi  di difesa della
costa   e  degli  abitati  costieri.  Infine,  l'art.  89,  comma  5,
stabilisce  che  «per le opere di rilevante importanza e suscettibili
di  interessare  il territorio di piu' regioni, lo Stato e le regioni
interessate  stipulano accordi di programma con i quali sono definite
le appropriate modalita', anche organizzative, di gestione».
    L'art. 58, comma 3, lett. a), in relazione alla programmazione ed
al  finanziamento  degli  interventi di difesa del suolo, comprime la
posizione  delle  regioni,  violando  in  questo modo l'art. 76 della
Costituzione, sia per il carattere innovativo delle norme sia perche'
si  peggiora  la  posizione  regionale (v. art. 1, comma 1 e comma 8,
legge  n. 308/2004,  che  richiede  specificamente  il rispetto delle
attribuzioni  conferite  alle  regioni  dal  d.lgs.  n. 112/1998). La
regione  e'  legittimata  a  far  valere vizi di costituzionalita' di
leggi  che,  in  materie  regionali,  implicano una menomazione della
posizione  regionale  (v.,  ad  es., le sentt. n. 503/2000, 206/2001,
110/2001,  303/2003  - in relazione al d.lgs. n. 198/2002, 280/2004).
Poiche'  tale lesione si produce proprio attraverso la violazione del
76  della  Costituzione,  l'illegittimita'  denunciata  si traduce in
lesione  di  competenza  regionale, che le regioni sono legittimate a
denunciare.
    Peraltro, la lett. a) viola anche direttamente, in relazione alla
programmazione  ed al finanziamento, l'art. 118 della Costituzione ed
il  principio  di  leale  collaborazione, perche' accentra allo Stato
funzioni    amministrative   in   materie   regionali   senza   alcun
coinvolgimento  delle  regioni,  violando cosi' i principi fissati da
codesta Corte a partire dalla sent. n. 303/2003.
    In  relazione  alla funzione di controllo, poi, la lett. a) oltre
ad  essere  illegittima  per  tutte le ragioni appena indicate, lo e'
anche  perche'  accentra  una  funzione  allo  Stato  in  mancanza di
esigenze   di   esercizio  unitario,  dato  che  il  controllo  sugli
interventi  di  difesa  del  suolo puo' essere adeguatamente svolta a
livello  locale  (anzi, il controllo su un intervento viene svolto in
modo  senz'altro  piu' adeguato a livello locale e da parte dell'ente
che conosce meglio le particolarita' del territorio).
    L'art.   58,   comma   3,   lett.  b)  attribuisce  al  Ministero
dell'ambiente  la  «previsione,  prevenzione  e  difesa  del suolo da
frane,  alluvioni  e  altri  fenomeni  di dissesto idrogeologico, nel
medio  e nel lungo termine al fine di garantire condizioni ambientali
permanenti ed omogenee, ferme restando le competenze del Dipartimento
della protezione civile in merito agli interventi di somma urgenza».
    Anche   questa   norma  viola  l'art.  118,  primo  comma,  della
Costituzione,  ed  il  principio  di  leale  collaborazione in quanto
accentra  allo  Stato  una  funzione  amministrativa  in  assenza  di
esigenze  di esercizio unitario e, comunque, senza prevedere l'intesa
della  regione  interessata.  La  lett.  b)  innova nell'ordinamento,
alterando  il  riparto  di  funzioni previsto in relazione al rischio
idrogeologico (v. l'art. 108, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 112/1998 e
la   direttiva   del  Presidente  del  Consiglio  27  febbraio  2004,
modificata  dalla  direttiva  25  febbraio  2005)  e  peggiorando  la
posizione  regionale.  Dunque,  la  lett.  b)  viola  l'art. 76 della
Costituzione  e la sfera di competenza regionale in materia di difesa
del  suolo,  per  le  ragioni  esposte in relazione alla lett. a). La
competenza  regionale  nella  materia  de  qua e' pacifica e discende
dalla  competenza in materia di governo del territorio, di protezione
civile  e  dal  modo  in cui la giurisprudenza costituzionale intende
l'art. 117, secondo comma, lett. s).
    L'art.    59    disciplina   le   Competenze   della   conferenza
Stato-regioni.
    Secondo   tale   disposizione,  la  Conferenza  formula  «pareri,
proposte ed osservazioni, anche ai fini dell'esercizio delle funzioni
di  indirizzo  e  coordinamento  di  cui  all'art. 57, in ordine alle
attivita'  ed  alle  finalita'  di cui alla presente sezione, ed ogni
qualvolta  ne  e' richiesta dal Ministro dell'ambiente e della tutela
del territorio».
    Le  successive  lettere  da  a)  ad  e) dettagliano tale funzione
generale  in relazione a singoli ambiti, senza mutare la qualita' del
ruolo cosi' individuato. E' di tutta evidenza che nell'intero art. la
parola  intesa,  che  dovrebbe  identificare il centro delle funzioni
della  Conferenza,  non  figura neppure una volta. Al contrario, essa
appare  formulare «proposte» (lett. a e b), «osservazioni» (lett. c),
sui  piani di bacino, ai fini della loro conformita' ad indirizzi e i
criteri  che  non  hanno  condiviso!), esprimere «pareri» (lett. d) e
lett. e).
    E'  chiaro  che  la  Conferenza,  ben  al  contrario  che  essere
valorizzata, subisce un netto depotenziamento delle proprie funzioni,
e  viene persino caratterizzata in termini generali come un organismo
meramente consultivo.
    Risulta  paradossale,  e costituzionalmente illegittimo, che dopo
la  riforma  del  Titolo  V  operata  nel 2001 il legislatore statale
pretenda  di  ridurre  la  Conferenza  Stato-regioni ad un mero ruolo
consultivo.  Tra  l'altro,  questa  riduzione viola in modo palese la
lettera  e  lo  spirito  della legge di delega, che, accanto ad altri
criteri di garanzia per le regioni gia' ricordati, tra l'altro poneva
il  vincolo  della  valorizzazione del ruolo e delle competenze degli
organismi  a  composizione  mista statale e regionale (lettera c) del
comma 9 dell'art. 1 della legge delega n. 308 del 2004).
    2) Illegittimita' degli artt. 63 e 64.
    A) Illegittimita' costituzionale dell'accorpamento delle funzioni
in  macrodistretti e della sostituzione delle Autorita' di bacino con
le nuove Autorita' di distretto.
    L'art.  63,  comma  3,  dispone: «Le autorita' di bacino previste
dalla  legge 18 maggio 1989, n. 183, sono soppresse a far data dal 30
aprile 2006 e le relative funzioni sono esercitate dalle Autorita' di
Bacino Distrettuale di cui alla parte terza del presente decreto». Il
riferimento  generico  alla  «(terza parte» (alla quale in realta' la
disposizione appartiene) e' in effetti curioso, dato che le autorita'
distrettuali  sono  istituite  dal  comma 1 dello stesso articolo, in
corrispondenza  degli  otto  distretti  idrografici  individuati  nel
successivo art. 64.
    Tale  norma  riaccorpa in otto distretti i numerosi bacini che la
legge  n. 183/1989  istituiva,  suddividendoli  in  bacini nazionali,
interregionali  e  regionali.  Tra  gli  otto  distretti  figurano il
distretto  della  Sardegna,  quello  della  Sicilia,  ed il distretto
idrografico pilota del Serchio, di ridottissime dimensioni.
    L'intero territorio nazionale e' dunque suddiviso grossolanamente
nei  rimanenti  cinque  distretti,  vagamente  corrispondenti a delle
macro-regioni. Questa suddivisione e' decisa «dall'alto» senza alcuna
partecipazione alla decisione da parte delle regioni. La suddivisione
e'  artificiale  e  priva  di senso: ad es., la divisione dell'Italia
appenninica in tre fasce (nord, centro e sud) imporra' addirittura di
valutare  congiuntamente  problematiche  inerenti  a versanti diversi
(tirrenico e adriatico).
    Gli  organi  dei  nuovi  distretti sono individuati dall'art. 63,
comma  2,  nella  Conferenza istituzionale permanente, nel segretario
generale,  nella  segreteria  tecnico-operativa  e  nella  Conferenza
operativa  di  servizi.  La stessa disposizione rinvia la definizione
dei  criteri  e delle modalita' per l'attribuzione o il trasferimento
del  personale  e  delle  risorse  patrimoniali  e  finanziarie ad un
decreto  del  Presidente  del  Consiglio dei Ministri, da emanarsi su
proposta  del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di
concerto  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle finanze e con il
Ministro  per  la funzione pubblica «sentita la Conferenza Permanente
Stato - regioni», entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore
del  decreto. Ancora, lo stesso d.P.C.m. «disciplina il trasferimento
di funzioni e regolamenta il periodo transitorio».
    Le  disposizioni  impugnate appaiono da un lato gravemente lesive
delle attribuzioni regionali, dall'altro - e proprio percio' - lesive
dell'oggetto e dei principi e criteri direttivi della delega.
    Sotto il primo profilo va osservato che la sezione in cui trovano
collocazione  le  disposizioni  impugnate evoca con chiarezza sin dal
titolo  -  «Norme  in  materia  di  difesa  del  suolo  e  lotta alla
desertificazione»  che  la disciplina contenuta insiste sulla materia
«governo   del  territorio»,  che  l'art.  117,  terzo  comma,  della
Costituzione, assegna alla competenza concorrente.
    Come  codesta  ecc.ma  Corte  ha  ripetutamente  affermato, nelle
materie  concorrenti  lo  Stato  puo'  intervenire esclusivamente con
norme  legislative  di  principio,  e non puo' riservare a se' e alle
proprie  strutture  decentrate  funzioni amministrative che non siano
giustificate  dalla «chiamata in sussidiarieta»; e che, anche qualora
l'attrazione   al   centro   di   funzioni  «unitarie»  possa  essere
giustificato  in  nome  del  principio di sussidiarieta' o qualora il
particolare  intreccio  di  competenze (coinvolgente anche competenze
esclusive   dello   Stato,   ex   art.   117,  secondo  comma,  della
Costituzione)   consentisse  allo  Stato  di  esercitare  determinate
funzioni amministrative incidenti in materie di competenza regionale,
tuttavia  cio'  non  puo'  avvenire che nel rispetto del principio di
leale  collaborazione,  inteso  in senso «forte» (e quindi attraverso
procedure  di codecisione, non semplicemente «sentendo» la Conferenza
Stato-regioni), e del principio di proporzionalita'.
    Commisurate   a  tali  parametri,  le  norme  che  sopprimono  le
Autorita' di bacino e istituiscono le nuove Autorita' distrettuali si
rivelano  affette  da  illegittimita'  costituzionale  sotto  diversi
profili.
    In primo luogo, l'unificazione sotto un'unica autorita' di bacini
che   non   hanno   in   realta'   alcuna  correlazione  realizza  un
accentramento  privo  di  qualunque  giustificazione  ed espropria le
regioni  delle  proprie  naturali competenze, in violazione sia della
competenza legislativa di cui all'art. 117 della Costituzione che del
principio di sussidiarieta'.
    In  secondo  luogo, i distretti stessi sono configurati come enti
amministrativi    sovraregionali,    distorcendo   completamente   la
fisionomia  delle  Autorita'  di  bacino,  cosi' come impostate dalla
legge  183/1989.  Queste  infatti  erano  modellate con riferimento a
dimensioni  idrogeografiche  «naturali»,  che  ne  giustificavano  la
competenza   pianificatoria   e   decisionale,  mentre  la  Autorita'
distrettuali  istituite  dalle  disposizioni  impugnate rappresentano
delle    semplici   articolazioni   burocratico-amministrative,   che
costituiscono  in  realta'  una  sorta  di amministrazione decentrata
dello  Stato  in  cui  la  centralizzazione  amministrativa e' appena
temperata da elementi di partecipazione minoritaria delle regioni.
    Si  consideri  che,  ai sensi della legge n. 183/1989, le regioni
erano  contitolari del governo dei bacini nazionali (configurati come
organismi  a partecipazione mista Stato-regioni) e titolari esclusive
delle  funzioni  relative ai bacini regionali e interregionali. Oggi,
all'opposto,  rappresentanti  delle  regioni  sono  presenti in netta
minoranza   nel   fondamentale   organo  decisionale,  la  Conferenza
istituzionale  permanente  (che nomina anche il Segretario generale),
nonche'  nella  Conferenza operativa, le cui competenze sono peraltro
piuttosto oscure.
    La regola secondo la quale si decide a maggioranza, espressamente
enunciata al comma 4, data la composizione sperequata dell'organo (in
cui  il numero dei rappresentanti dello Stato e' sempre sette, mentre
quello  dei  rappresentanti  delle  regioni dipende da quante regioni
sono  concretamente  coinvolte, ma queste non sono mai pari a sette),
appare  espropriare  le regioni da qualsiasi garanzia giuridica delle
loro prerogative.
    Infine,  se  pure  fosse  giustificata  secondo  il  principio di
sussidiarieta'  la  suddivisione del territorio in distretti privi di
corrispondenza  con precisi bacini fluviali interconnessi, le regioni
non   sono   state   chiamate   ad   esercitare   alcun  ruolo  nella
determinazione  dell'ambito  dei distretti. Va considerato che, sotto
questo profilo, il decreto legislativo non contiene norme generali ed
astratte, ma opera come legge provvedimento, in materia di competenza
regionale.   Secondo  la  stessa  giurisprudenza  di  codesta  Corte,
l'assunzione  in  legge  di decisioni concrete non puo' privare delle
garanzie  previste  dalla  Costituzione: il che vale ugualmente, ed a
maggiore  ragione,  per le competenze delle regioni, alle quali viene
cosi' sottratta ogni possibilita' di codecisione.
    B)  Specifica  illegittimita'  del potere normativo attribuito al
decreto del Presidente del Consiglio dall'art. 63, commi 2 e 3.
    Si  deve  poi  specificamente evidenziare che, come detto, che al
d.P.C.m.  e' attribuita anche una funzione regolamentare (v. art. 63,
commi 2 e 3).
    Innanzitutto,    si    tratta    di    un'attribuzione   connessa
all'accorpamento  dei  distretti,  illegittima  per le stesse ragioni
sopra esposte.
    Se  essa  potesse  essere  giustificata  in nome del principio di
sussidiarieta', il corrispondente potere andrebbe comunque esercitato
d'intesa   con   la  Conferenza  Stato-regioni,  la  quale  non  puo'
semplicemente essere «sentita».
    C) Specifica illegittimita' della soppressione delle Autorita' di
bacino  a  partire  dal 30 aprile, in relazione all'impossibilita' di
dettare entro tale termine la disciplina transitoria.
    Inoltre,  tale  potere  normativo risulta dover essere esercitato
... in un solo giorno: non prima del 29 aprile 2006, perche' la norma
autorizzativa  del  decreto legislativo non sarebbe ancora in vigore,
ma   neppure   dopo  il  30  aprile,  perche'  le  norme  transitorie
interverrebbero  ... ad Autorita' di bacino gia' venute meno ai sensi
del  comma  3.  Dietro tale assurdita', tuttavia, si cela la ben piu'
sostanziale  illegittimita'  della  norma che prevede la soppressione
delle  Autorita' di bacino a partire dal 30 aprile, prima che possano
essere  definite  le  fasi  di  transizione, se pure il nuovo sistema
fosse legittimo.
    La soppressione delle Autorita' di bacino decorre dallo stesso 30
aprile,  per  cui  e'  evidente  che  l'emanazione  di  una normativa
transitoria diviene pressoche' impossibile, dato che l'emanazione del
d.P.C.m.  e' soggetta ad una procedura complessa, descritta dall'art.
63,  comma 2, nel corso della quale deve essere sentita la Conferenza
Permanente Stato-regioni.
    A  prescindere  dalla  gia'  lamentata insufficienza di una forma
cosi'  tenue di «cooperazione», vi e' il rischio, ma si dovrebbe dire
la  certezza  -  che  la  soppressione  immediata  delle Autorita' di
bacino,  in  assenza di una regolazione transitoria - apra un periodo
di  incertezza  sulle  competenze ad emanare gli atti e a svolgere le
funzioni di gestione, vigilanza e controllo che le Autorita' svolgono
da  tempo a tutela degli interessi pubblici fondamentali che hanno in
cura.
    D)  Illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 63 e 64 sotto il
profilo della violazione della legge di delega.
    Va  altresi'  evidenziata  l'eccesso  di  delega in relazione sia
all'oggetto di essa che ai principi e criteri direttivi fissati dalla
legge di delega.
    Infatti,  quanto  all'oggetto,  va  sottolineato  che  la dizione
«riordino,    coordinamento   e   integrazione   delle   disposizioni
legislative ..., anche mediante la redazione di testi unici» (art. 1,
comma  1, legge n. 308/2004) fa riferimento alle classifiche funzioni
di coordinamento normativo, preordinate ad una mera razionalizzazione
della   legislazione   vigente.   Come   codesta   ecc.ma   Corte  ha
sistematicamente ripetuto (cfr. da ultimo le sent. 303/2005, 66/2005,
280/2004), «la revisione e il riordino, ove comportino l'introduzione
di   norme  aventi  contenuto  innovativo  rispetto  alla  disciplina
previgente,  necessitano  della  indicazione di principi e di criteri
direttivi  idonei  a  circoscrivere  le  diverse scelte discrezionali
dell'esecutivo,  mentre tale specifica indicazione puo' anche mancare
allorche'  le  nuove  disposizioni  abbiano  carattere di sostanziale
conferma  delle  precedenti»  (sent.  66/2005, che cita il precedente
della  sent.  354/1998).  Nel  presente  caso  l'oggetto della delega
prevede  solo  il  «riordino»,  neppure  la  «revisione»,  per cui la
massima espressa dalla giurisprudenza costituzionale va applicata con
ancora maggiore rigore.
    Accanto  a  cio',  nel definire i contorni del potere legislativo
delegato,  la  legge  n. 308 (art. 1, comma 8) indica innanzi ad ogni
altro  criterio  «il  rispetto..., delle competenze per materia delle
amministrazioni  statali,  nonche' delle attribuzioni delle regioni e
degli  enti  locali,  come  definite  ai  sensi  dell'art.  117 della
Costituzione,  della  legge  15  marzo  1997,  n. 59,  e  del decreto
legislativo  31  marzo  1998,  n. 112»:  e'  percio'  evidente che il
legislatore  delegato  era  tenuto  a  non modificare il quadro delle
attribuzioni regionali - quadro che invece, come si e' visto, risulta
gravemente  compromesso  dalle  scelte  compiute  dalle  disposizioni
censurate.
    D'altro  canto,  nessuno  dei  «principi e criteri direttivi» poi
elencati dall'art. 1, comma 8, autorizza un'innovazione legislativa e
amministrativa  come  quella  apportata dalla sovversione del sistema
delle  Autorita'  di  bacino.  Tra i principi e criteri direttivi pii
specifici dettati dal comma 9 si trova invece questa indicazione:
        c)rimuovere    i   problemi   di   carattere   organizzativo,
procedurale e finanziario che ostacolino il conseguimento della piena
operativita'  degli  organi  amministrativi  e  tecnici preposti alla
tutela  e  al  risanamento  del  suolo e del sottosuolo, superando la
sovrapposizione  tra i diversi piani settoriali di rilievo ambientale
e  coordinandoli  con  i piani urbanistici; valorizzare il ruolo e le
competenze  svolti  dagli  organismi  a  composizione mista statale e
regionale;   adeguare   la   disciplina   sostanziale  e  procedurale
dell'attivita'  di  pianificazione,  programmazione  e  attuazione di
interventi  di risanamento idrogeologico del territorio e della messa
in   sicurezza  delle  situazioni  a  rischio;  prevedere  meccanismi
premiali  a  favore  dei proprietari delle zone agricole e dei boschi
che  investono  per prevenire fenomeni di dissesto idrogeologico, nel
rispetto  delle  linee  direttrici  del  piano di bacino; adeguare la
disciplina   sostanziale   e  procedurale  della  normativa  e  delle
iniziative   finalizzate  a  combattere  la  desertificazione,  anche
mediante  l'individuazione  di  programmi  utili a garantire maggiore
disponibilita'   della  risorsa  idrica  e  il  riuso  della  stessa,
semplificare   il  procedimento  di  adozione  e  approvazione  degli
strumenti  di  pianificazione con la garanzia della partecipazione di
tutti  i  soggetti istituzionali coinvolti e la certezza dei tempi di
conclusione dell'iter procedimentale».
    Come  si  vede,  la  legge  di  delega  presuppone  piuttosto  il
mantenimento  ed il miglioramento della funzionalita' degli organismi
esistenti,   fondati   sull'unita'   dei  bacini  idrografici,  senza
prevederne  o  consentirne  affatto la soppressione e la sostituzione
con  un sistema radicalmente diverso, ispirato a principi divergenti,
che avrebbero dovuto in ogni caso essere enunciati.
    La  legge  di  delega,  dunque,  non  consente  una  legislazione
delegata  che  sovverte l'ordinamento amministrativo introdotto dalla
legge  n. 189/1989  e  lo sostituisce con un sistema centralistico di
gestione  delle politiche di tutela idrogeologica del territorio, per
lo   piu'   causando  un  periodo  di  grave  incertezza  nella  fase
transitoria  e  esautorando  le regioni, sostituendo il sistema della
Autorita'  di  bacino con una «zonizzazione» del territorio nazionale
dominata da un sistema di gestione affidato ad un complesso di organi
collegiali inediti e sperequanti.
    Si   consideri  che  la  violazione  della  legge  di  delega  si
identifica in questo caso con la lesione delle prerogative regionali,
e che il motivo e' dunque perfettamente ammissibile.
    3) Illegittimita' degli artt. 65, 67, 69, 116 e 117.
    L'art.  65  prevede e disciplina il piano di bacino distrettuale.
L'art.  67  prevede  e  disciplina i piani stralcio per la tutela del
rischio  idrogeologico  e  le  misure  di  prevenzione  per le aree a
rischio. L'art. 116 prevede e disciplina i programmi di misure, che a
loro  volta  integrano  i piani di tutela di cui all'art. 121. L'art.
117  prevede  e disciplina i piani di gestione, che rappresentano una
«sottoarticolazione interna del Piano di bacino distrettuale».
    I   diversi   piani  di  tutela  risultano  cosi'  intrecciati  e
parzialmente  sovrapposti,  in  violazione della lett. g) del comma 8
dell'art.  1  della legge n. 308 del 2004, che enuncia quale criterio
direttivo  quello di prevedere misure che assicurino la tempestivita'
e  l'efficacia  dei  piani  e  dei  programmi  di  tutela ambientale.
Inoltre,  risulta  cosi'  non  rispettata  la  lettera c) del comma 9
dell'art.  1 della stessa legge, che pone il criterio del superamento
della  sovrapposizione  tra  i  diversi  piani  settoriali di rilievo
ambientale.
    Quanto  ai  piano  di  gestione  dei bacini idrografici va infine
lamentata,   in   relazione  all'art.  116,  l'incompleta  attuazione
dell'art.   14  della  direttiva  2000/60/CE  del  23  ottobre  2000,
concernente  l'obbligatoria  fase  di  informazione  e  consultazione
pubblica. L'art. 116, infatti, si limita a richiamare le procedure di
cui all'art. 66, ed a disporre, in termini del tutto generici, che le
Autorita'  di  bacino debbano «garantire la partecipazione di tutti i
soggetti istituzionali competenti nello specifico settore»: mentre la
direttiva  doveva  essere  attuata  mediante  la previsione normativa
delle specifiche regole volte ad assicurare che per ciascun distretto
idrografico  «siano  pubblicati  e  resi  disponibili  per  eventuali
osservazioni del pubblico, inclusi gli utenti» (non solo dunque per i
soggetti istituzionali competeneti) i documenti previsti dallo stesso
art.  14  della  direttiva  (calendario  e programma di lavoro per la
presentazione del piano, valutazione globale provvisoria dei problemi
di  gestione  delle acque importanti, copie del progetto del piano di
gestione   del   bacino   idrografico,   con   tutte   le   ulteriori
specificazioni  previste  dalla  direttiva). Risulta cosi' violato il
principio  di  delega  relativo alla piena attuazione delle direttive
comunitarie.
    Le  disposizioni impugnate sono dunque illegittime per violazione
dell'art. 76 della Costituzione e della normativa comunitaria.
    4) Illegittimita' dell'art. 74.
    La  sezione  Il  della  parte  III riguarda la Tutela delle acque
dall'inquinamento.  L'art.  74  reca  le  Definizioni rilevanti nella
materia.
    Il  comma 1, lett. ff), definisce «scarico» «qualsiasi immissione
di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in
rete  fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche
sottoposte  a preventivo trattamento di depurazione». In questo modo,
viene modificato il concetto di scarico quale risultante dall'art. 2,
comma 1, lett. bb), d.lgs. n. 152/1999, perche' l'immissione non deve
piu'  essere  «diretta tramite condotta». Tale innovazione incide sul
concetto-cardine  dell'intera  disciplina,  sulla  base  del quale si
erano   formate   una   copiosa  dottrina  e  una  ormai  consolidata
giurisprudenza,  che  avevano  risolto  il  difficile  problema della
distinzione  delle  acque di scarico dai rifiuti, al fine di definire
l'appropriato  trattamento  dei  rifiuti  liquidi. Infatti, il d.lgs.
n. 22/1997  esclude  dal  proprio  ambito di applicazione le acque di
scarico  (v. l'art. 8) ed il criterio per distinguere i rifiuti dalle
acque  di  scarico  era  dato proprio dall'art. 2, comma 1, lett. bb)
d.lgs. n. 152/1999. Il riferimento, contenuto in questa disposizione,
all'«immissione diretta tramite condotta» implicava una «conduzione»,
una   convogliabilita'   del   refluo,   sia  tramite  canalizzazioni
strutturali  sia  tramite  canalizzazioni  di  fatto.  La  nozione di
scarico  introdotta dal d.lgs. n. 152/1999 costituiva il parametro di
riferimento per stabilire l'ambito di operativita' delle normative in
tema  di  tutela  delle  acque e dei rifiuti, nel senso che i rifiuti
allo stato liquido, costituiti da acque reflue di cui il detentore si
disfi  senza versamento diretto nei corpi ricettori, avviandole cioe'
allo  smaltimento,  trattamento  o  depurazione  a mezzo di trasporto
comunque non canalizzato, rientravano nella disciplina dei rifiuti ed
il loro smaltimento era disciplinato dal d.lgs. n. 22/1997.
    L'art.  74, comma 1, lett. ff), dunque, rimette in discussione il
difficile rapporto tra normativa sulle acque e normativa sui rifiuti,
limitando   in  sostanza  l'applicazione  di  questa  e  riducendo  i
controlli sui casi di introduzione di sostanze nei corpi ricettori in
assenza di condotta.
    Tale  innovazione,  oltre ad essere irragionevole (con violazione
dell'art.  3  della Costituzione), contrasta con la legge delega, sia
per  il  fatto stesso di essere un'innovazione (il Governo aveva meri
compiti di «riordino, coordinamento e integrazione delle disposizioni
legislative nei seguenti settori e materie» sia perche' diminuisce la
tutela dell'ambiente e della salute (mentre l'art. 1, comma8, lett a)
pone  come  principio direttivo la garanzia della salvaguardia, della
tutela  e  del  miglioramento  della  qualita'  dell'ambiente,  della
protezione della salute umana»; v. anche le lett. b) e f).
    La  regione e' legittimata a far valere vizi di costituzionalita'
di  leggi  che, in materie regionali, implicano una menomazione della
posizione  regionale  (v.,  ad  es., le sentt. n. 503/2000, 206/2001,
110/2001,  303/2003  in  relazione  al d.lgs. n. 198/2002, 280/2004).
Questa  e'  menomata sotto tre diversi aspetti. In primo luogo, e' il
territorio stesso della regione che viene danneggiato dal fatto che i
rifiuti   liquidi   sono  sottratti  alla  normativa  sui  rifiuti  e
assimilati  agli  scarichi  idrici,  con  conseguente  lesione  della
posizione  regionale di rappresentante generale degli interessi della
popolazione  stanziata su quel territorio (art. 5 della Costituzione:
v.  sentt.  n. 51/1991  e n. 276/1991). In secondo luogo, l'attivita'
legislativa  ed amministrativa che la regione svolge nella materia in
questione (di pacifica competenza regionale: v., gia' prima del 2001,
l'art. 101 d.P.R. n. 616/1977, l'art. 81, d.lgs. n. 112/1998 e l'art.
1,  comma  3,  d.lgs.  n. 152/1999) risente dell'illegittimita' delle
norme  statali  di  base,  perche'  quell'attivita'  e'  costretta  a
svolgersi  in  un  quadro  illegittimo,  con  conseguente  rischio di
illegittimita'   derivata:  di  qui  l'evidente  pregiudizio  per  le
competenze  regionali,  sotto  il profilo della stabilita' degli atti
regionali  e  della certezza del diritto. Infine, la diminuita tutela
dell'ambiente  aggrava  i  compiti  che  la regione e gli enti locali
devono  svolgere per far fronte ai possibili danni: dunque, la palese
violazione  dell'art.  76  (e  dell'art.  3)  si  traduce  in lesione
dell'autonomia  amministrativa  e  finanziaria  della regione e degli
enti locali (e la giurisprudenza costituzionale ha ormai chiarito che
esiste  un collegamento fra la finanza locale e la finanza regionale,
per  cui  le  regioni possono agire anche a tutela della prima: v. le
sentt. n. 417/2005 e n. 533/2002).
    La norma impugnata, dunque, da un lato viola norme costituzionali
e,   dall'altro,   lede   (sotto   piu'   profili)   le   prerogative
costituzionali   della   poiche'  tale  lesione  si  produce  proprio
attraverso  la  violazione  degli  artt.  3  e  76,  l'illegittimita'
denunciata  si  traduce  in  lesione  di competenza regionale, che le
regioni   sono   legittimate   a   far  valere  (come  risulta  dalla
giurisprudenza costituzionale sopra citata).
    L'art.  74,  comma  1,  lett.  h), introduce nelle definizioni di
acque reflue industriali il criterio «qualitativo» in sostituzione di
quello  della  «provenienza»  [v.  art.  2,  comma 1, lett. h) d.lgs.
n. 152/1999].  Cio'  costituisce  un  oggettivo  passo indietro nella
tutela   delle   acque   dall'inquinamento   e   determinera'  grosse
complicazioni  applicative.  Inoltre,  la  nuova norma non rispecchia
neppure   la   definizione   prevista  dall'art.  2  della  direttiva
91/271/CEE  sul  trattamento  delle  acque  reflue urbane. L'art. 74,
comma  1,  lett.  h),  dunque  viola  l'art.  117, primo comma, della
Costituzione, il principio di ragionevolezza e, per le stesse ragioni
esposte in relazione all'art. 74, comma 1, lett. ff), l'art. 76 della
Costituzione.   Attraverso   tali   violazioni,   la  norma  lede  le
prerogative  regionali,  per le ragioni esposte in relazione all'art.
74, comma 1, lett. ff).
    L'art. 74, comma 1, lett. n) innova la definizione di agglomerato
di  cui  all'art.  2,  comma  1, lett. m) d.lgs. n. 152/1999, facendo
riferimento  alle  attivita'  produttive  (invece  che alle attivita'
economiche) e all'imprecisato concetto di «fognatura dinamica». Anche
tale   norme  risulta  di  difficile  applicazione,  con  conseguente
pregiudizio  per  la  tutela dell'ambiente, e inoltre e' in contrasto
con  la  definizione  di  agglomerato  stabilita  dall'art.  2  della
direttiva  91/271/CEE.  Essa, dunque, viola (per le ragioni viste nel
punto  precedente)  gli  artt.  3,  76,  e  117,  primo  comma, della
Costituzione, arrecando lesione alle prerogative regionali in materia
di competenza regionale.
    L'art. 74, comma 1, lett. oo) e comma 2, lett. qq) forniscono due
definizioni di «valore limite di emissione»; la seconda e' conforme a
quella fornita dall'art. 2, n. 40, direttiva 2000/60, mentre la lett.
oo)  aggiunge,  irragionevolmente, una seconda e diversa definizione,
che  determina incertezza del diritto e difficolta' interpretative ed
applicative:  tale  norma, dunque, risulta in contrasto con gli artt.
117,  primo  comma, 3 e, in quanto la difficolta' applicativa si puo'
tradurre  in  una  diminuita  tutela  dell'ambiente,  con la legge di
delega  e  con  l'art. 76 della Costituzione [v. quanto esposto sulla
lett.  ff).  Tali  violazioni  pregiudicano  la tutela del territorio
regionale  e l'efficienza dell'azione regionale di tutela ambientale,
per  cui,  per  le ragioni sopra viste, si traducono in lesione della
competenza regionale.
    L'at.  74,  comma 2, lett. ee) definisce «sostanze pericolose» le
«sostanze    o   gruppi   di   sostanze   tossiche,   persistenti   e
bio-accumulabili  e  altre  sostanze  o  gruppi di sostanze che danno
adito  a preoccupazioni analoghe». Come e' evidente, la norma da' una
definizione  di  sostanze  pericolose  cosi'  generica  da  risultare
fuorviante  e  di  nessuna  utilita' sotto il profilo applicativo. E'
vero  che  tale  definizione  corrisponde a quella di cui all'art. 2,
n. 29,  della  direttiva  2000/60  CE,  ma  compito  del  legislatore
nazionale  e'  appunto quello di integrare le norme delle direttive e
renderle  applicabili.  Cio'  non  e'  avvenuto  per  il  concetto di
«sostanze   pericolose»,  e  le  difficolta'  applicative  su  questo
importante  punto  pregiudicano,  come  e'  facilmente  intuibile, la
migliore  tutela  dell'ambiente;  ne' tale pregiudizio e' interamente
superabile  in  virtu'  degli  elenchi di sostanze nocive che, a vari
fini,  sono  previsti  da  singoli  atti normativi statali perche' la
tutela  dell'ambiente  necessita di una precisa definizione generale,
al  fine,  ad  esempio, di far fronte alle nuove sostanze pericolose.
Anche  in  questo  caso,  dunque,  sono violati l'art. 3 e, in virtu'
della  diminuita  tutela dell'ambiente, l'art. 76 della Costituzione,
con  pregiudizio  sull'attivita' regionale in materia [v., sia per la
violazione  della  delega sia per la legittimazione regionale, quanto
esposto in relazione alla lett. ff)].
    5) Illegittimita' dell'art. 91, comma 1, lett. d), e comma 2.
    L'art.  91,  comma 1, lett. d) dichiara «aree sensibili» «le aree
costiere  dell'Adriatico-Nord  occidentale  dalla  foce dell'Adige al
confine  meridionale  del  comune di Pesaro e i corsi d'acqua ad essi
afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa».
    Tale  norma  contrasta con la direttiva comunitaria 91/271/CE [v.
l'allegato  2,  lett.  a)],  che  non prevede il limite dei 10 km. In
relazione  a  tale  violazione,  gia'  operata dal d.lgs. n. 152/1999
l'art. 18, comma 2, lett. d), e' stata anche avviata una procedura di
infrazione  comunitaria  (n.  2002/2124),  che  si e' conclusa con un
provvedimento  sanzionatorio.  La  norma,  dunque,  viola l'art. 117,
primo  comma, della Costituzione e, in quanto sottrae parte dei corsi
d'acqua alla categoria delle «aree sensibili l'art. 1, comma 8, lett.
a),  b)  e  f),  legge  n. 308/2004.  Tali violazioni si traducono in
lesione  della  posizione  della  regione,  sia per quanto esposto in
relazione  all'art.  74, comma 1, lett. ff), sia per la situazione di
incertezza  del diritto in cui deve continuare ad operare la regione,
di fronte al contrasto tra legge italiana e direttiva comunitaria.
    L'art.  91,  comma 2, stabilisce che «il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-regioni, ...
individua  con  proprio decreto ulteriori aree sensibili identificate
secondo i criteri di cui all'Allegato 6 alla parte terza del presente
decreto».   Tale   norma   viola   l'art.  118,  primo  comma,  della
Costituzione perche' non sussistono ragioni di esercizio unitario che
giustifichino  la  competenza  statale.  L'applicazione  dei  criteri
fissati  dal decreto puo' e deve avvenire a livello regionale, e cio'
e'  confermato  dal  fatto che l'art. 18, comma 4, d.lgs. n. 152/1999
attribuiva  alle  regioni,  previo  parere  dell'autorita' di bacino,
l'individuazione  di ulteriori aree sensibili. Dunque, con l'art. 91,
comma  2,  lo  Stato  si  riappropria di funzioni amministrative gia'
decentrate a livello regionale e si conferma l'impianto centralistico
dell'intero   decreto  legislativo.  Questa  «marcia  indietro»,  nel
processo  autonomistico  implica  anche  violazione dell'art. 5 della
Costituzione  (che  impone  di  «promuovere»  le  autonomie locali) e
dell'art.  76  della  Costituzione, dato che l'art. 1, comma 8, legge
n. 308/2004,   come  gia'  ricordato,  richiede  il  rispetto  «delle
attribuzioni  delle  regioni  e  degli  enti locali, come definite ai
sensi  dell'art.  117  della  Costituzione della legge 15 marzo 1997,
n. 59  e  del decreto lealslativo 31 marzo 1998. n. 112»: pare chiaro
che il Governo doveva rispettare anche le attribuzioni conferite alla
regione   dal   d.lgs.   n. 152/1999,  ma,  comunque,  il  potere  di
individuazione  delle aree sensibili era attribuito alle regioni gia'
dal  d.lgs.  n. 112/1998,  dato che l'art. 80 non lo menzionava fra i
«compiti di rilievo nazionale».
    In  subordine,  qualora  si ritengano insussistenti le violazioni
sopra  illustrate,  l'art.  91,  comma  2,  dovrebbe  comunque essere
dichiarato  illegittimo  nella  parte  in cui prevede il parere della
Conferenza invece dell'intesa, necessaria in base ai principi fissati
dalla   Corte  costituzionale  in  relazione  ai  casi  «chiamata  in
sussidiarieta» contraddice.
    6) Illegittimita' dell'art. 96.
    Il  comma  1  dell'art.  96  riscrive  l'art.  7  del  T.U. delle
disposizioni  sulle  acque  e  impianti  elettrici, apportando alcune
modificazioni al testo introdotto dal d.lgs. 152/1999 (art. 23, comma
1),  che  incidono sul procedimento per il rilascio delle concessioni
di acqua pubblica. Il nuovo testo dispone che le domande relative sia
alle  grandi  sia  alle  piccole  derivazioni  siano  trasmesse  alle
Autorita' di bacino territorialmente competenti che, entro il termine
rispettivamente  di  novanta  e  di  quaranta  giorni  «comunicano il
proprio  parere vincolante al competente Ufficio Istruttore in ordine
alla  compatibilita'  della utilizzazione con le previsioni del Piano
di  tutela, ai fini del controllo sull'equilibrio del bilancio idrico
o  idrologico,  anche in attesa di approvazione del Piano anzidetto».
La norma dispone ancora che «decorsi i predetti termini senza che sia
intervenuta  alcuna  pronuncia,  il  Ministro  dell'ambiente  e della
tutela  del  territorio  nomina  un  Commissario ad acta che provvede
entro i medesimi termini decorrenti dalla data della nomina».
    Si  deve sottolineare - oltre alla singolarita' del fatto che sia
l'Autorita'  di  bacino  a dare il parere vincolante sul rispetto del
Piano  di  tutela  approvato  dalla  regione  -  il  carattere  assai
dettagliato  della  disciplina  dettata  dallo  Stato  in  materia di
competenza regionale, con violazione delle competenze di cui all'art.
117,  commi  3  e 4, della Costituzione, riconosciute anche dall'art.
89, comma 1, lett. i), d.lgs. n. 112/1998.
    Inoltre,  la  previsione  che  le  nuove Autorita' di Bacino, ora
connotate da una composizione a predominanza statale, esprimano sulle
grandi  derivazioni  il parere in un termine che passa da 40 giorni a
90  giorni  e  che  esso  sia  vincolante,  e  che in caso di mancata
espressione  del  parere  non  operi  piu' il silenzio assenso, ma si
proceda  alla nomina di un commissario ad acta che ha altri 90 giorni
per  esprimersi, da un lato sottrae alle regioni competenze gia' loro
spettanti,  dall'altro  comporta una enorme dilatazione dei tempi, in
aperto contrasto quindi con gli obiettivi di semplificazione indicati
dalla legge di delega (art. 1, comma 9, lett. b).
    Nonostante  la  materia  della  gestione di tali procedimenti sia
gia'   stata   delegata   alle   regioni  (art.  86,  89  del  d.lgs.
n. 112/1998),  le  competenze  regionali  sono completamente ignorate
dalla  disciplina  impugnata, sicche' anche sotto questo profilo essa
appare  lesiva della stessa legge di delega che impone al legislatore
delegato  il  rispetto  del riparto di competenze fissato dal decreto
n. 112/1998.
    L'art.  96, comma 1, dunque, viola l'art. 117, commi 3 e 4, della
Costituzione,  l'art. 118, primo comma, (perche' prevede una funzione
amministrativa statale in violazione del principio di sussidiarieta),
e  l'art.  76  della  Costituzione,  perche' viola la legge di delega
menomando la posizione regionale.
    Quanto  osservato  in  relazione  al  comma  1 vale ugualmente in
relazione  agli  altri  commi  dell'art.  96,  i quali contengono una
disciplina  analitica e dettagliata, quasi si trattasse di riscrivere
il testo unico del 1933 con la logica di allora: si vedano, ad es., i
criteri puntuali di cui al comma 2 ed al comma 9.
    Ma,  come ha osservato codesta ecc. Corte nella sent. n. 3l/2006,
a  proposito  della gestione del demanio idrico, «alla luce del nuovo
testo  dell'art. 118 della Costituzione, dopo la riforma del Titolo V
della Parte II, l'attribuzione alle regioni ed agli enti locali delle
funzioni  amministrative  in  materia  e'  sorretta  dal principio di
sussidiarieta».  Non  appare  percio' legittimo che lo Stato emani in
materia  norme  legislative che entrano analiticamente nel dettaglio,
sono   autoapplicative   sino   al  punto  di  svuotare  l'ambito  di
discrezionalita'   della   regione,  sottopongono  l'uso  dei  poteri
normativi  che  residuano alla regione a direttive delle quali non si
indicano  neppure l'autorita' competente e le modalita' di emanazione
(a  tacere  dell'obbligo  di  rispettare  nella formazione di esse il
principio  di leale cooperazione: cfr. comma 11, che viola il divieto
di atti di indirizzo dopo la legge cost. n. 3/2001 ed il principio di
leale collaborazione).
    Inoltre,   la   disciplina   delle  derivazioni  d'acqua  non  e'
contemplata  nell'oggetto  della delega, e l'attenuazione del livello
di   protezione   ambientale   (si  veda  la  sanatoria  degli  abusi
contemplata   dal   nuovo   art.  17,  comma  6,  r.d.  n. 1775/1933)
contraddice uno dei principi direttivi della delega stessa.
    Per  queste  ragioni, e salvi i piu' specifici rilievi mossi alle
sue  singole disposizioni, l'art. 96 risulta dunque illegittimo nella
sua  interezza  per  violazione  degli  artt.  117,  118  e  76 della
Costituzione.
    7) Illegittimita' degli artt. 113 e 114.
    Le  disposizioni  degli artt. 113 e 114 riguardano diverse misure
di  tutela  delle  acque.  Esse sono pero' accomunate da una identica
illegittima  impostazione  dei  rapporti  tra autonomia legislativa e
amministrativa  regionale  e  «direzione»  statale,  come  di seguito
specificato.
    L'art.  113  (Acque  meteoriche  di  dilavamento e acque di prima
pioggia) al comma 1, assegna alle regioni i compiti di «disciplinare»
e  di  «attuare»  a)  le  forme  di controllo degli scarichi di acque
meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate, e b)
i  casi  in  cui  puo' essere richiesto che le immissioni delle acque
meteoriche   di   dilavamento,   effettuate  tramite  altre  condotte
separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni.
    Tuttavia,  l'esercizio delle funzioni regionali viene subordinato
al  «previo  parere  del  Ministero  dell'ambiente  della  tutela del
territorio».  Si  realizza  cosi' un'inconsueta quanto illegittimita'
sottoposizione della regione, anche nell'esercizio delle sue funzioni
normative,  ad  ingerenze  esercitate  dall'autorita'  amministrativa
statale: il che e' palesemente contrario all'assetto delle competenze
posto  dagli  artt.  117 e 118, nonche' agli stessi limiti prescritti
dalla legge di delega. Ne' si puo' salvare la disposizione attraverso
un'interpretazione  adeguatrice che riporti il «previo parere» ad una
funzione  di  ausilio  meramente  tecnico: se anche non mancano nella
legislazione  esempi  di  funzioni amministrative il cui esercizio da
parte  delle  regioni e' sottoposto al parere di organismi tecnici, e
cio'  a  protezione degli specifici interessi che essi hanno in cura,
nel  presente  caso cio' non e' in alcun modo sostenibile. Il «previo
parere» e' espresso dal Ministero, senza alcuna ulteriore indicazione
soggettiva  o  oggettiva  che  possa ridurre l'ingerenza di un organo
caratteristicamente  dotato  di funzioni politico-amministrative alla
dimensione della mera discrezionalita' tecnica o tecnico-scientifica.
    Di  qui l'illegittimita' costituzionale di tale vincolo posto dal
comma 1.
    L'art.   114  (Dighe)  Si  occupa  nel  primo  comma,  a  cui  e'
circoscritta   la   presente   impugnazione,   esclusivamente   della
restituzione  delle acque utilizzate per la produzione idroelettrica:
anche  in questo caso l'autonomia normativa regionale e' riconosciuta
ma  sottoposta  al  «previo parere» del ministero. Valgono percio' le
stesse censure mosse all'articolo precedente.
    8) Illegittimita' dell'art. 121.
    L'art.  121  disciplina i piani di tutela delle acque. Il comma 2
dispone  che «le Autorita' di bacino, nel contesto delle attivita' di
pianificazione o mediante appositi atti di indirizzo e coordinamento,
sentite   le  province  e  le  Autorita'  d'ambito,  definiscono  gli
obiettivi  su  scala  di  distretto  cui  devono attenersi i piani di
tutela  delle  acque, nonche' le priorita' degli interventi». Dispone
inoltre  che «le regioni, sentite le province e previa adozione delle
eventuali  misure  di salvaguardia, adottano il Piano di tutela delle
acquee  lo  trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio  nonche'  alle  competenti  Autorita'  di  bacino,  per le
verifiche di competenza».
    In  questi  termini,  il  piano  adottato  dalla  regione risulta
sottoposto  alla  «supervisione»  del  Ministero,  a  cui il Piano va
trasmesso  per  le  «per le verifiche di competenza». La norma appare
palesemente  lesiva  delle  prerogative  costituzionali delle regioni
come stabilite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione.
    Inoltre,  la previsione eccede i limiti della delega legislativa,
essendo   in  chiara  contraddizione  con  l'assetto  delle  funzioni
amministrative  che  vigeva  prima  della  riforma costituzionale del
Titolo  V,  e  precisamente con l'art. 44 del d.lgs. n. 152/1999, ora
abrogato,  dato  che il Piano deliberato dalle regioni non soggiaceva
ad alcun controllo ministeriale.
    Non  appare  consentito  allo  Stato  modificare  in  senso  meno
favorevole  alle  regioni  il  quadro  delle competenze legislative e
amministrative  vigente  prima  della  riforma  costituzionale,  come
codesta  ecc. Corte ha avuto gia' modo di affermare esplicitamente in
relazione  ai  rapporti  finanziari  (sent.  n. 320/2004):  e cio' in
particolare  modo  quando - come nel presente caso e' la stessa legge
di  delega  che  impone  di  valorizzare, e non restringere, il ruolo
delle regioni.
    9) Illegittimita' dell'art. 124, comma 7.
    L'art.  124  disciplina  i criteri generali per le autorizzazioni
agli scarichi.
    Il  comma  7  detta  una  disciplina  dettagliata  cedevole sulla
procedura  di autorizzazione. Le norme statali cedevoli nelle materie
regionali non sono piu' ammesse dopo la legge cost. n. 3/2001, a meno
che  siano  necessarie  per rendere operative funzioni amministrative
«attratte   in  sussidiarieta»  (sent.  n. 303/2003)  o  per  attuare
direttive   comunitarie.  Poiche'  la  competenza  amministrativa  e'
attribuita  all'autorita' d'ambito o alla provincia, il comma 7 viola
la competenza legislativa regionale.
    10) Illegittimita'  dell'art.  148,  comma  4 e 5, dell'art. 149,
comma 6, e dell'art. 154.
    Nell'ambito   della   Parte   Terza   del  decreto  impugnato  il
legislatore  statale  disciplina,  alla  Sezione  Terza, la «Gestione
delle  risorse  idriche»,  ivi  compreso,  al Titolo II, il «Servizio
idrico integrato».
    La  disciplina  di  tale  servizio, come e' noto e come meglio si
dira',  spetta  alle regioni, secondo il riparto di competenze di cui
all'art.  117  della  Costituzione.  Ed  infatti,  nel  tentativo  di
individuare  il  fondamento costituzionale della potesta' legislativa
cosi' esercitata il legislatore statale precisa subito che la propria
disciplina   e'   limitata  ai  «profili  che  concernono  la  tutela
dell'ambiente  e  della  concorrenza  e la determinazione dei livelli
essenziali  delle  prestazioni  del servizio idrico integrato e delle
relative   funzioni   fondamentali   di  comuni,  province  e  citta'
metropolitane» (art. 141, comma 1, d.lgs. n. 152/2006).
    Sennonche',  se  dall'astratta enunciazione dell'art. 141 cit. si
passano  ad  esaminare in concreto le successive disposizioni dettate
dal  legislatore  statale,  ci  si  avvede  immediatamente  che  esse
travalicano di gran lunga i legittimi ambiti di intervento statale.
    Appare  infatti  del  tutto  evidente come la normativa statale -
quando non risulta ictu oculi del tutto estranea rispetto agli ambiti
indicate  all'art.  141,  comma  1 - sia stata comunque emanata senza
tenere  nel  dovuto  conto  il riparto costituzionale, come precisato
dalla  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma Corte costituzionale: cio'
tanto  -  in  via  generale  -  con riguardo alla ricostruzione delle
«materie»  di  cui  all'art.  117,  secondo comma, della Costituzione
(evocate   all'art.  141,  comma  1,  d.lgs.  n. 152/2006:  ambiente,
concorrenza,  livelli  essenziali  della  prestazioni)  operata dalla
giurisprudenza costituzionale nel corso di questi ultimi anni, quanto
- a livello particolare - con riferimento specifico all'inquadramento
costituzionale  del  servizio idrico integrato, del quale la Corte ha
avuto recentemente occasione di occuparsi.
    Con   riferimento   al   primo   dei  due  profili  indicati  (la
ricostruzione  delle materie), va infatti innanzitutto osservato come
i  titoli  di  competenza invocati dal legislatore statale consistano
non  gia'  in  «normali  materie» di cui all'art. 117, secondo comma,
della  Costituzione (le quali legittimerebbero una competenza statale
legislativa esclusiva) ma piuttosto in «materie trasversali» le quali
-  come ben noto - se da un lato consentono un intervento statale con
riferimento  a  qualunque  materia,  ivi comprese quelle riservate ex
art.   117,   quarto  comma,  alla  competenza  esclusiva  regionale,
dall'altro,  proprio  per  tale  ragione,  impongono che l'intervento
statale  sia  limitato  tassativamente  alla  disciplina di quanto e'
strettamente  necessario  al  conseguimento  della  finalita'  cui la
clausola   trasversale   medesima   e'  preordinata:  pena,  in  caso
contrario,   il   fin  troppo  evidente  sostanziale  svuotamento  di
qualunque prerogativa costituzionale delle regioni.
    Tali  principi  sono gia' stati bene e chiaramente evidenziati da
parte di codesta Corte.
    Cosi',  innanzitutto,  con  riferimento alla materia della tutela
«dell'ambiente»   art.   117,   secondo   comma,   lett.   s),  della
Costituzione,  la  Corte  ha  chiarito inequivocabilmente come sia da
escludere  che  essa  si  configuri  come  «"materia" senso tecnico»,
riconducibile  ad  una  «sfera  di  competenza  statale rigorosamente
circoscritta  e delimitata, giacche', al contrario, essa investe e si
intreccia   inestricabilmente  con  altri  interessi  e  competenze».
Secondo   la   Corte,   «e'   agevole   ricavare  una  configurazione
dell'ambiente  come  "valore"  costituzionalmente  protetto,  che, in
quanto  tale,  delinea  una sorta di materia "trasversale", in ordine
alla  quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere
regionali,  spettando  allo Stato le determinazioni che rispondono ad
esigenze  meritevoli  di  disciplina  uniforme sull'intero territorio
nazionale»  (Corte  cost.  n. 407-2002,  punto  3.2 in diritto). Tale
conclusione,  del  resto,  emerge  anche dai lavori preparatori della
legge  cost. n. 3/2001, i quali inducono «a considerare che l'intento
del  legislatore sia stato quello di riservare comunque allo Stato il
potere di fissare standards di tutela uniformi sull'intero territorio
nazionale,  senza  peraltro escludere in questo settore la competenza
regionale  alla cura di interessi funzionalmente collegati con quelli
propriamente  ambientali»,  di  modo che «si puo' quindi ritenere che
riguardo  alla  protezione  dell'ambiente  non si sia sostanzialmente
inteso   eliminare   la   preesistente   pluralita'   di   titoli  di
legittimazione   per   interventi   regionali  diretti  a  soddisfare
contestualmente,  nell'ambito  delle  proprie  competenze,  ulteriori
esigenze  rispetto  a  quelle  di  carattere  unitario definite dallo
Stato» (ancora Corte cost. n. 407-2002, cit., punto 3.2 in diritto).
    Considerazioni  analoghe  valgono  anche  per  quanto riguarda la
«tutela  della  concorrenza»  (art.  117,  secondo  comma,  lett. e),
Cost.), la quale e' stata parimenti qualificata da codesta Corte come
una    «materia-funzione»   caratterizzata   da   un'estensione   non
rigorosamente circoscritta e determinata, ma piuttosto «trasversale»,
dal momento che «si intreccia inestricabilmente con una pluralita' di
altri  interessi  -  alcuni  dei  quali  rientranti  nella  sfera  di
competenza  concorrente  o residuale delle regioni»: dal che consegue
la necessita' «di basarsi sul criterio di proporzionalita-adeguatezza
al  fine  di  valutare,  nelle  diverse  ipotesi,  se la tutela della
concorrenza legittimi o meno determinati interventi legislativi dello
Stato» (Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
    Quanto   alla   «determinazione   dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma,
lett.  m), Cost.) essa appare del tutto estranea rispetto all'oggetto
delle  disposizioni  statali relative al servizio idrico: e del resto
codesta  Corte  ha  gia'  pacificamente escluso che essa possa essere
invocata  per  giustificare  una  competenza  statale  in  materia di
servizi  pubblici  locali,  quale e' appunto il servizio idrico (cfr.
Corte  cost.  n. 272/2004).  Le  motivazioni  di  tale  esclusione si
adattano  perfettamente  al  caso  presente:  anche la disciplina dei
servizi idrici recata dalle disposizioni qui impugnate infatti - come
gia'  quella  di  cui all'art. 113, comma 7, secondo e terzo periodo,
d.lgs.  n. 267/2000  -  «riguarda  precipuamente servizi di rilevanza
economica  e  comunque  non  attiene  alla  determinazione di livelli
essenziali» (Corte cost. n. 272/2004, punto 3 in diritto).
    A conclusioni corrispondenti si deve giungere per quanto riguarda
la materia relativa alle «funzioni fondamentali di comuni, province e
citta'  metronolitane»  di cui all'art. 117, secondo comma, lett. p),
della   Costituzione,   pure   invocata   dal   decreto  legislativo:
considerato  che  la  gestione  dei servizi pubblici locali «non puo'
certo   considerarsi   esplicazione   di   una  funzione  propria  ed
indefettibile  dell'ente  locale»  (ancora  Corte  cost. n. 272/2004,
punto 3 in diritto).
    Quanto  allo  specifico  profilo  relativo  all'inquadramento del
servizio  idrico,  va  osservato  come - nel corso dello scrutinio di
costituzionalita' di una legge regionale avente ad oggetto proprio il
servizio  idrico  integrato  - la Corte abbia avuto recentissimamente
modo  di  stabilire in modo assolutamente chiaro come «la materia dei
servizi  pubblici  locali  ...  appartiene  alla competenza residuale
delle regioni» (Corte cost., n. 29/2006, punto 7 in diritto).
    Risulta  pertanto  inesatta nel decreto legislativo qui impugnato
anche  la collocazione della competenza regionale - nei limiti in cui
essa  e'  riconosciuta - nel solo ambito del «governo del territorio»
(cfr.  art.  142,  comma  2).  Tale  disposizione,  se pure mostra la
consapevolezza  dell'impossibilita'  di  ricondurre l'intero fenomeno
del servizio idrico integrato alla sola competenza esclusiva statale,
risulta  anch'essa - come e' evidente dal confronto con quanto appena
i1lustrato - estremamente riduttiva della competenza regionale.
    In  tale  contesto,  risulta  dunque ampiamente confermato quanto
sopra  indicato:  cioe'  che  e' innegabile la presenza di competenze
legislative  regionali  costituzionalmente riconosciute in materia di
servizio  idrico integrato (per di piu', competenze di tipo esclusivo
di  cui  all'art.  117,  quarto comma, Cost.), con la conseguenza che
l'operativita'    delle    richiamate   «clausole   trasversali»   (o
«materie-funzione»)  di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., se da
un  lato  e'  ben  in grado di fondare una concorrente legittimazione
normativa  statale,  deve tuttavia tenere necessariamente conto delle
intrecciate competenze regionali, e deve dunque essere esercitata nel
rispetto dei principi di proporzionalita' e adeguatezza, dunque nella
misura  strettamente  necessaria  ad assicurare la finalita' indicate
dalle citate «clausole trasversali».
    Ad  avviso  della  ricorrente  regione,  i limiti dell'intervento
statale  sono  stati  superati  in  particolare nelle disposizioni di
seguito indicate.
    I)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  148,  comma  5 (in
connessione con il comma 4).
    L'art.  148,  comma  5,  prevede la possibilita' che i comuni con
meno di 1.000 abitanti inclusi nel territorio della Comunita' montane
possano  -  a  determinate  condizioni - scegliere di non partecipare
alla gestione unica del servizio idrico integrato.
    Tale  previsione  non trova manifestamente alcun fondamento nelle
clausole  trasversali  pure  evocate dal legislatore statale all'art.
141,  comma 1, per fondare la competenza legislativa statale, essendo
al  contrario  a  prima  vista evidente la sua irriconducibilita' sia
alla   materia   della  tutela  dell'ambiente,  sia  a  quella  della
concorrenza,  sia  a  quella relativa alla determinazioni dei livelli
essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali,
sia  infine  a  quella relativa alle funzioni fondamentali di comuni,
province e citta' metropolitane.
    Ne   consegue   che   essa  disposizione  finisce  per  rivelarsi
unicamente   un'indebita   compressione  della  potesta'  legislativa
regionale  in  materia  di  servizi pubblici locali, come definita da
codesta Corte con la citata sentenza n. 29/2006.
    Sotto   altro   profilo,   la  disposizione  in  parola  e'  pure
incostituzionale  per  eccesso  di  delega,  poiche'  introduce in un
decreto  delegato  di  mero  «riordino, coordinamento e integrazione»
della   materia  (cfr.  art.  1,  comma  1,  legge  n. 308/2004)  una
previsione  del  tutto  nuova,  che  innova  radicalmente rispetto al
sistema  della  legge  Galli  (legge  n. 36/l994) senza che nel testo
della  delega  sia  possibile  rinvenire  un  reale fondamento a tale
potere.
    II) Illegittimita' costituzionale dell'art. 149, comma 6.
    L'art. 149, comma 6, prevede un potere di controllo nei confronti
della   «Autorita'  d'ambito  territoriale  ottimale»  affidato  alla
«Autorita'  di  vigilanza  sulle  risorse  idriche  e  sui  rifiuti»,
organismo   i  cui  componenti,  ex  art.  159  dello  stesso  d.lgs.
n. l52/2006  sono  largamente  espressione  statale.  Tale  potere si
concretizza  non  solo  nella  possibilita' di formulare «rilievi» ed
«osservazioni»,   ma   altresi'   in  quella  di  dettare  specifiche
«prescrizioni»   concernenti  «il  programma  degli  interventi,  con
particolare    riferimento    all'adeguatezza    degli   investimenti
programmati  in  relazione  ai livelli minimi di servizio individuati
quali obiettivi della gestione; il piano finanziario, con particolare
riferimento  alla  capacita'  dell'evoluzione tariffaria di garantire
l'equilibrio economico finanziario della gestione, anche in relazione
agli  investimenti  programmati».  Un  analogo  potere  non e' invece
previsto in capo alle regioni.
    Anche in questo caso si tratta di ambiti certamente estranei alle
materie  di  cui  all'art. 141, comma 1, d.lgs. n. 52/2006 (oltre che
ovviamente  alle  altre  materie  di cui all'art. 117, secondo comma,
della Costituzione: con conseguente violazione dell'art. 117, secondo
e quarto comma.
    In  secondo  luogo,  l'attribuzione all'Autorita' di vigilanza di
funzioni  di amministrative di controllo e prescrittive in assenza di
reali  motivi  che  ne  giustifichino un'attrazione a livello statale
costituisce  al contempo violazione dell'art. 118, primo comma, della
Costituzione, oltre a risultare al lesiva delle potesta' di controllo
regionali.
    E'  al  contrario  evidente  che  una  realta'  quale  quella del
servizio   idrico  integrato  si  riferisce  ad  una  dimensione  che
trascende  l'ambito  puramente  locale,  ma e' pienamente compresa in
quello  regionale,  e  non  richiede affatto un esercizio unitario di
funzioni   amministrative   a   livello   statale.   In   ogni  caso,
un'attrazione  di  tali potesta' ad opera della Stato potrebbe essere
consentita  - ricorrendone i presupposti sostanziali (cosa che non e'
nel  presente  caso  -  previo  reale  coinvolgimento  delle  regioni
nell'esercizio  del  potere,  in ossequio al principi indicati con la
nota sentenza n. 303/2003 della Corte cost.
    In  mancanza di cio', e' chiaro che il potere non puo' che essere
legittimamente attribuito alla regione, alla quale dunque deve essere
riconosciuto  pure  il  potere  di  inviare  all'Autorita' d'ambito i
proprio rilievi ed osservazioni.
    Anche  a non considerare quanto finora osservato, la disposizione
in  questione  risulta in ogni caso ulteriormente incostituzionale in
quanto  emanata  in  violazione  dell'art.  76 della Costituzione per
contrasto  con la legge di delega. Cio' non soltanto per il carattere
innovativo  della disposizione rispetto alla legge Galli (nei termini
gia'  indicati con riferimento all'articolo precedente), ma in questo
caso  anche  sotto  un diverso profilo. L'attribuzione delle funzioni
amministrative  all'Autorita' di vigilanza, infatti, risulta anche in
contrasto  con  i  disposti  di  cui  al d.lgs. n. 112/1998, ai quali
invece  avrebbe  dovuto  necessariamente  conformarsi  giusta  quanto
disposto  dal  comma  8 dell'art. 1 della legge di delega. Dall'esame
dell'art.  88  del  d.lgs.  n. 112/1998,  infatti,  non  si  ricavano
elementi  in grado di includere le funzioni affidate all'Autorita' di
vigilanza  fra i «compiti di rilievo nazionale», di cui l'articolo si
occupa:  di  modo  che  non  resta  che  riconoscere che si tratta di
funzione da esercitare necessariamente a livello regionale.
    Anche  sotto  tale  profilo, dunque, la disposizione impugnata si
palesa incostituzionale.
    III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 154.
    L'art.  154 istituisce la «Tariffa per il servizio idrico», quale
«corrispettivo  del  servizio  idrico integrato», e fissa i parametri
con  cui essa deve essere determinata, prescrivendo che debba tenersi
conto  «della  qualita'  della risorsa idrica e del servizio fornito,
delle  opere e degli adeguamenti necessari, dell'entita' dei costi di
gestione   delle  opere,  dell'adeguatezza  della  remunerazione  del
capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia
nonche'  di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorita'
d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi
di  investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei
costi e secondo il principio «chi inquina paga».
    Di  seguito  la  disposizione  determina le competenze attuative,
attribuendo: al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio,
su  proposta  dell'Autorita' di vigilanza sulle risorse idriche e sui
rifiuti,  il  compito di definire con decreto «le componenti di costo
per  la determinazione della tariffa relativa ai servizi idrici per i
vari  settori  di  impiego  dell'acqua»;  al Ministro dell'economia e
delle  finanze,  di  concerto  con  il Ministro dell'ambiente e della
tutela  del territorio, «al fine di assicurare un'omogenea disciplina
sul  territorio nazionale», il compito di stabilire «criteri generali
per  la  determinazione,  da  parte  delle  regioni,  dei  canoni  di
concessione  per  l'utenza di acqua pubblica, tenendo conto dei costi
ambientali  e dei costi della risorsa e prevedendo altresi' riduzioni
del canone nell'ipotesi in cui il concessionario attui un riuso delle
acque   reimpiegando   le  acque  risultanti  a  valle  del  processo
produttivo  o  di  una  parte  dello stesso o, ancora, restituisca le
acque  di  scarico  con  le  medesime  caratteristiche qualitative di
quelle prelevate».
    Vengono  cosi'  previsti  diversi  poteri  normativi ministeriali
sovraordinati  a quello delle regioni, in violazione della competenza
legislativa  propria  spettante alle regioni a termini dell'art. 117,
quarto comma, della Costituzione.
    Sorprende  che  il  legislatore delegato abbia ignorato i rilievi
della  Commissione  della  Camera, che avvertiva dell'esigenza di non
ignorare il potere normativo regionale.
    A   conferma   della  competenza  legislativa  regionale  va  qui
richiamata  la sentenza di codesta ecc.ma Corte costituzionale n. 335
del  2005,  occasionata  da  un  ricorso governativo avverso la legge
della regione Emilia-Romana n. 7/2004. In tale sentenza codesta Corte
- pur affermando che il tributo speciale per il deposito in discarica
dei  rifiuti  solidi,  benche'  devoluto  alle  regioni, ricada nella
legislazione  esclusiva  in materia di sistema tributario e contabile
dello Stato, in quanto istituito con legge dello Stato - ha pero', in
base  alla costante giurisprudenza costituzionale in merito al regime
transitorio  dei  tributi  (in  attesa della attuazione dell'art. 119
Cost.)  dichiarato inammissibile il ricorso governativo contro l'art.
47  della  suddetta  legge regionale, che istituiva e disciplinava la
tariffa  relativa al servizio integrato ed alla gestione dei rifiuti,
non  essendo  emersa  alcuna  base  idonea a suffragare la competenza
statale.
    Dunque  la  disposizione  impugnata illegittimamente si ingerisce
nella  materia  dei  servizi pubblici locali, riservata alla potesta'
residuale delle regioni (cfr. sentt. n. 272/2004 e n. 29/2006 citt.),
delineando  una  normativa  che per di piu' si profila nel merito non
affatto  coerente con l'evoluzione della stessa legislazione statale:
e'  incomprensibile,  ad esempio, l'omissione tra i criteri di quanto
gia'  contenuto  nell'art.  13 della legge n. 36/l994, concernente la
necessita'  di  tener  conto  «degli obiettivi di miglioramento della
produttivita».
    Una   tale  carenza  -  rinunciando  all'utilizzo  di  uno  degli
strumenti piu' efficaci per favorire il miglioramento dell'efficienza
delle  gestioni, ovvero della leva tariffaria - configura una tariffa
priva  del  controllo  sui  costi  di  gestione  e  puo' implicare il
riconoscimento  a  pie'  di  lista  dei  costi operativi del gestore,
eliminando  il  miglioramento  progressivo  in  termini di efficienza
previsto dalla normativa precedente.
    Tali  norme  violano  il  riparto  della potesta' legislativa tra
Stato  e  regioni,  fissato  dall'art.  117  (e,  in  particolare, la
competenza residuale ex art. 117, quarto comma, materia di disciplina
dei  servizi pubblici locali), e l'autonomia finanziaria e tributaria
delle   regioni,   garantita  dall'art.  1l9,  commi  1  e  2,  della
Costituzione,  in  quanto  incidono  su  un'entrata la cui disciplina
ricade nella competenza regionale.
    Inoltre,  le  norme  impugnate  contrastano  anche con gli stessi
criteri  della  delega  legislativa,  almeno la' dove essa vincola il
legislatore  delegato:  a)  al  rispetto  «delle  attribuzioni  delle
regioni  e  degli  enti  locali, come definite ai sensi dell'art. 117
della  Costituzione,  della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto
legislativo  31  marzo  1998,  n. 112»  (art.  1,  comma  8); b) allo
«sviluppo e coordinamento, con l'invarianza del gettito, delle misure
e degli interventi che prevedono incentivi e disincentivi, finanziari
o   fiscali,   volti   a  sostenere,  ai  fini  della  compatibilita'
ambientale,  l'introduzione  e  l'adozione  delle migliori tecnologie
disponibili,  come definite dalla direttiva 96/61/CE del 24 settembre
1996 del Consiglio, nonche' il risparmio e l'efficienza energetica, e
a  rendere  piu'  efficienti  le  azioni di tutela dell'ambiente e di
sostenibilita'  dello sviluppo, anche attraverso strumenti economici,
finanziari  e fiscali» [art. 1, comma 8, lett. d)]; mentre, per altro
verso,  essa non appare neppure rientrare negli oggetti della delega,
non  essendo previsto tra essi l'introduzione ex novo dell'imposta in
questione.
    11) Illegittimita' dell'art. 181, comma da 7 a 11, dell'art. 183,
comma 1, dell'art. 186 e dell'art. 189, comma 3.
    A)  L'art.  181,  comma settimo, prevede che «soggetti economici»
non  meglio  identificati  (ma potenzialmente comprensivi di chiunque
gestisca   attivita'   d'impresa)  o  le  associazioni  di  categoria
rappresentative  dei  settori  interessati,  anche con riferimento ad
interi  settori  economici  e  produttivi,  possano «stipulare con il
Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela del territorio ... appositi
accordi  di  programma  ...  per  definire  i  metodi di recupero dei
rifiuti  destinati  all'ottenimento  di  materie prime secondarie, di
combustibili  o  di  prodotti».  Secondo  la stessa disposizione tali
accordi «fissano le modalita' e gli adempimenti amministrativi per la
raccolta,  per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per
la loro commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, con
particolare riferimento a quello del recupero realizzato dalle Camere
di  commercio,  e  per i controlli delle caratteristiche e i relativi
metodi  di  prova»;  gli accordi «fissano altresi' le caratteristiche
delle  materie  prime  secondarie,  dei  combustibili  o dei prodotti
ottenuti,  nonche'  le  modalita' per assicurare in ogni caso la loro
tracciabilita' fino all'ingresso nell'impianto di effettivo impiego».
I   commi   successivi,  dall'8  all'11,  disciplinano  le  modalita'
procedurali per la stipulazione, l'approvazione e la pubblicazione di
tali accordi di programma.
    Le parole utilizzate dalla disposizione ora richiamata trovano il
loro  significato  nelle  definizioni  dettate  dall'art.  183, comma
primo.  In  particolare, vengono in considerazione le definizioni dei
termini:  g  «smaltimento»;  h «recupero»; m «deposito temporaneo»; n
«sottoprodotto»;   q   «materia   prima   secondaria»,  definita  con
riferimento alle caratteristiche stabilite al sensi dell'art. 181»; u
«materia    prima    secondaria    per   attivita'   siderurgiche   e
metallurgiche»,  al cui proposito la disciplina sara' integrata da un
decreto ministeriale «senza valore regolamentare».
    Tali  disposizioni,  considerate nella loro sostanza, operano una
deregolamentazione  «mascherata»  del settore, in pieno contrasto con
le normative europee, piu' volte ribadite dalle decisioni della Corte
di giustizia.
    In  particolare,  si  introducono  definizioni  di  smaltimento e
recupero   non  completamente  conformi  con  quanto  indicato  nella
direttiva  75/442/CEE [art. 1, lett. e) e f)], nonche' definizioni di
sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS) non coerenti con le
indicazioni  fornite  dalle sentenze della Corte di giustizia europea
(sentenze  C-418/97  e  C-419/97,  «Arco»;  C-9/00,  «Palin  Granit»;
C-114/01,   «AvestaPolarit   Chrome»;   e  in  particolare  C-457/02,
«Niselli»).
    Viene  infatti riproposto ancora una volta l'«approccio normativo
italiano»,  consistente  nella  sottrazione dei sottoprodotti e delle
cosiddette materie prime secondarie alla disciplina dei rifiuti. Tale
«approccio» e' gia' stato oggetto di una prima sentenza di condanna a
seguito  di  procedura d'infrazione che ha colpito il d.m. 5 febbraio
1998,  che  invece  l'art.  181,  comma  6,  del  decreto legislativo
impugnato  mantiene transitoriamente ma illegittimamente in vigore in
attesa  di un nuovo decreto ministeriale che fissi le caratteristiche
dei materiali ottenuti come materie secondarie: la sentenza 7 ottobre
2004 (C-103/02) ha espressamente sancito che «la Repubblica Italiana,
non avendo stabilito nel decreto 5 febbraio 1998, sull'individuazione
dei  rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di
recupero  al  sensi  degli  artt.  31  e 33 del decreto legislativo 5
febbraio  1997,  n. 22,  quantita'  massime  di  rifiuti, per tipo di
rifiuti, che possano essere oggetto di recupero in regime di dispensa
dall'autorizzazione,  e'  venuta  meno  agli  obblighi  che  ad  essa
incombono  in  forza  degli  artt. 10 e 11, n. 1, della direttiva del
Consiglio  15  luglio  1975,  75/442/CEE,  relativa  ai rifiuti, come
modifica  dalla  direttiva  del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE».
Ulteriore  sentenza  negativa  e'  stata  poi pronunciata, in sede di
rinvio  pregiudiziale,  dalla  Corte  di  giustizia,  con particolare
riferimento all'art. 14 della legge n. 178/2002 (C457/02).
    La violazione del diritto comunitario e' confermata dal fatto che
i  sottoprodotti  e le MPS vengono si inclusi nella «definizione» dei
rifiuti,  ma  in  realta'  la norma che cosi' li classifica restringe
fortemente  l'ambito di applicazione della disciplina (stabilendo che
«non  sono  soggetti  alle  disposizioni di cui alla parte quarta del
presente  decreto  i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi, non
sia  obbligata  a  disfarsi  e  non  abbia  deciso  di disfarsi ed in
particolare...»),   al   punto   di  costituire  una  vasta  area  di
sottoprodotti  esentati  dalla disciplina, pur senza includerli tra i
materiali per i quali valgono specifiche esclusioni dall'applicazione
del  decreto,  ai  sensi  del  successivo  art.  185.  E' un evidente
artifizio  formale  teso  ad evitare che appaia evidente il conflitto
con le norme europee.
    In   realta',   attraverso  la  previsione  di  appositi  decreti
ministeriali  e  degli  accordi  di  programma  di  cui all'art. 181,
vengono   sottratti   al   regime   dei   rifiuti,  e  alle  relative
autorizzazioni,  adempimenti  e controlli, molte sostanze o materiali
che nella legislazione vigente invece vi sono assoggettati.
    Anche  la  Corte  di cassazione, con sentenza n. 47269/2005 e con
ordinanza  n. 1414/2006,  ha appena ora sancito invece che la nozione
di  rifiuto  in  coerenza  con la normativa comunitaria - deve essere
intesa  in  senso  estensivo  (e  non  restrittivo  quale  e'  invece
l'approccio della pregressa normativa italiana, ripreso in modo ancor
piu'  evidente  dal  decreto  delegato),  riportandola  percio'  alla
disciplina dei sottoprodotti e materie prime secondarie dettata dalle
disposizioni    comunitarie,    cosi'    come    interpretate   dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia.
    Con  il pretesto della semplificazione amministrativa non vengono
in  realta'  limitati gli oneri amministrativi, bensi' ridotta l'area
di   applicazione   della  disciplina  dei  rifiuti  ed  eliminati  i
controlli,  quale  risultato vuoi di una ridefinizione delle sostanze
soggette    a    regolamentazione    restrittiva,    vuoi    di   una
«deregolamentazione»  della  disciplina  dei  metodi  di recupero dei
rifiuti, sostituita da procedure «contrattate».
    Il  ricorso  allo  strumento  di accordi e contratti di programma
previsti  dall'art.  181  eccede  i  limiti  propri dell'istituto, in
quanto   si  sostituisce  una  «fonte»  contrattata  alla  disciplina
normativa,   alterando   la   gerarchia   delle  fonti  del  diritto.
Sostituendo  alla  disciplina  generale  una  serie  indeterminata di
accordi  applicabili  soltanto agli aderenti, si ledono i principi di
certezza  del  diritto,  uguaglianza, generalita' e astrattezza delle
norme.
    Davvero  paradossale e' poi che l'impugnato art. 181, al comma 7,
richiami  (rinviando  al  precedente  comma 5) la comunicazione della
Commissione  al  Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato delle
regioni,  Com  (2002) 412, del 17 luglio 2002, quale «modello» cui si
devono ispirare gli accordi di programma previsti: si tratta infatti,
come  si  legge  nella  comunicazione,  di  accordi  «in cui le parti
interessate  si  impegnano  ad  ottenere una riduzione dei livelli di
inquinamento,  come  sancito  dal  diritto ambientale, o obiettivi di
carattere  ambientale,  di  cui  all'art. 174 del trattato», quali ad
esempio   gli   accordi  comunitari  in  materia  ambientale  con  le
associazioni  di  produttori  di  automobili  europea,  giapponese  e
coreana  sulla  riduzione progressiva delle emissioni di CO2 prodotte
dalle autovetture.
    Gli  accordi  previsti  dalle  disposizioni  censurate, diretti a
«deregolamentare»  e  «privatizzare»  la  disciplina dei rifiuti, non
corrispondono   affatto  a  quanto  ipotizzato  ed  auspicato)  nella
comunicazione  della  Commissione,  ossia  alla  possibilita'  che  -
tramite  moduli  convenzionali  e  non  «imposti»  -  si  raggiungano
obiettivi  ambientali  ulteriori rispetto a quelli gia' fissati dalle
regole comunitarie.
    Il   contrasto  con  le  direttive  75/442/CEE  e  91/156/CEE  si
manifesta  anche nel fatto che le norme europee non consentono che le
attivita' di recupero possano essere completamente escluse dal regime
autorizzatorio.  Infatti l'art. 11 della direttiva 75/442/CEE prevede
che la dispensa dall'autorizzazione sia possibile solo fissando norme
generali  che  fissano i tipi e le quantita' di rifiuti (va ricordato
che  proprio  per  tale  motivo  lo  Stato italiano e' incorso in una
procedura  di  infrazione  comunitaria  per il citato d.m. 5 febbraio
1998).
    Il  decreto  legislativo  impugnato fa al contrario venir meno il
quadro   normativo   generale   richiesto  dalle  direttive  europee,
sostituendolo  con  una  vasta contrattualizzazione della disciplina;
mentre,   per   altro  verso,  la  normativa  europea  richiede,  per
«escludere»  un  rifiuto  dal  campo  di applicazione della direttiva
75/442,  che  (eccezion  fatta  per  gli effluenti gassosi immessi in
atmosfera  per  cui  vale  l'esenzione  diretta)  le  esenzioni siano
ammissibili  soltanto  se  disciplinate  da specifica norma speciale,
cio'  che  non avviene con la disciplina generale di esenzione che le
norme impugnate prevedono per MPS e sottoprodotti.
    L'art.  186  introduce  inoltre una ipotesi generale di esenzione
per  le  terre  e rocce da scavo ed i residui della lavorazione della
pietra  destinati  all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti,
ecc.,  i  quali,  secondo  la citata disposizione, «non costituiscono
rifiuti  e  sono,  percio', esclusi dall'ambito di applicazione della
parte  quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando
contaminati,  durante  il  ciclo  produttivo,  da sostanze inquinanti
derivanti  dalle attivita' di escavazione, perforazione e costruzione
siano   utilizzati,  senza  trasformazioni  preliminari,  secondo  le
modalita'  previste  nel progetto sottoposto a valutazione di impatto
ambientale   ovvero,   qualora  il  progetto  non  sia  sottoposto  a
valutazione  di impatto ambientale, secondo le modalita' previste nel
progetto approvato dall'autorita' amministrativa competente, ove cio'
sia  espressamente  previsto, previo parere delle Agenzie regionali e
delle  province  autonome per la protezione dell'ambiente, sempreche'
la   composizione   media   dell'intera   massa   non   presenti  una
concentrazione  di  inquinanti  superiore  al limiti massimi previsti
dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3».
    Anche in questo caso il contrasto con la normativa comunitaria e'
evidente, trattandosi di un'esclusione disposta in via generale al di
fuori del quadro normativo europeo. Basta ricordare che una specifica
procedura d'infrazione e' stata avviata contro la Repubblica italiana
a causa di una disposizione analoga contenuta nella legge n. 443/2001
(art. 1, comma 15).
    Le  norme impugnate non contrastano dunque solo con le richiamate
norme  comunitarie,  e,  per  cio' stesso, con l'art. 11 e con l'art.
117,  primo  comma  Cost.;  esse  contrastano inoltre con la legge di
delega  - e quindi indirettamente con l'art. 76 Cost. - che fissa tra
i criteri direttivi (art. 1, comma 8) la «piena e coerente attuazione
delle  direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di
tutela   dell'ambiente   e   di   contribuire   in   tale  modo  alla
competitivita'  dei  sistemi  territoriali  e delle imprese, evitando
fenomeni    di    distorsione   della   concorrenza   (lett. e)»,   e
l'«affermazione   dei   principi   comunitari   di   prevenzione,  di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali  e  del "chi inquina paga" (lett. f)». Tali illegittimita'
si   ripercuotono,   ovviamente,  in  modo  lesivo  sulle  competenze
costituzionali  della  regione  in  materia  di tutela dell'ambiente,
tutela  della  salute  e  governo  del  territorio,  pregiudicando il
corretto svolgimento delle funzioni regionali in quelle materie, come
si illustra piu' ampiamente nel punto seguente.
    B)  Illegittimita'  costituzionale delle stesse norme per diretta
violazione delle competenze regionali.
    Le  stesse  norme  censurate  al  punto  precedente costituiscono
altresi' diretta violazione delle attribuzioni regionali.
    La   materia   «rifiuti»  si  colloca  in  una  zona  in  cui  si
sovrappongono  gli  interessi  ambientali  con  quelli  di tutela del
territorio,  nonche'  della  tutela igienico-sanitaria e di sicurezza
della  popolazione.  Ma  anche  a  ritenere  che, in applicazione del
«criterio  di  prevalenza»  elaborato  dalla giurisprudenza di questa
ecc.ma Corte, debba riconoscersi allo Stato il titolo a legiferare in
base  alla  competenza  riconosciutagli dall'art. 117, secondo comma,
lett. s),  cio'  non significa che la legge statale possa intervenire
senza precisi limiti.
    La  legislazione  vigente  -  a partire dal c.d. «decreto Ronchi»
(d.lgs.  n. 22/1997)  e  dall'art.  85  del  d.lgs.  n. 112/1998, che
espressamente  lo  richiama  -  ha riconosciuto il ruolo fondamentale
delle   regioni   nell'attuazione  del  quadro  normativo  nazionale,
finalmente  riportato  ad  una  disciplina  organica  e  unitaria, in
considerazione  della «vocazione» regionale - in base al principio di
sussidiarieta'  -  sia  nella  politica di tutela del territorio, sia
nell'applicazione in loco della disciplina generale, organizzando gli
apparati  e le procedure amministrative necessarie e «incrociando» la
disciplina  di  settore  con  il  complesso  fascio  delle competenze
regionali, spettanti a pieno titolo o quali potesta' concorrenti, che
incidono   sull'ambiente   (come  e'  pacifico  nella  giurisprudenza
costituzionale sin dalla sent. n. 407/2002).
    Va  da  se'  che  rimane  allo  Stato  il  potere  legislativo di
disciplinare  in  via  generale  la «materia» e i suoi settori, cosi'
come pure di introdurre quegli snellimenti amministrativi che fissino
un  nuovo  equilibrio  tra gli interessi costituzionali di protezione
dell'ambiente,  da  un  lato,  e  la  liberta' d'iniziativa economica
dall'altro  (sentt.  116/2006,  331/2003,  307/2003). Tuttavia, se la
riforma  legislativa  operata  dal  legislatore  statale  - incidendo
profondamente  nelle funzioni gia' attribuite alla regione e che essa
ha  gia'  esercitato  disciplinandole  con  legge  e con strumenti di
pianificazione  generale  e  particolare  (cfr. la l.r. n. 27/1994, e
successive   modifiche,   nonche'   il  Piano  di  Azione  ambientale
2004-2006)  -  risulta  viziata  sia per violazione della delega (che
vincola    il   legislatore   delegato   al   rispetto   dell'assetto
amministrativo e al riparto di competenze vigente), che per contrasto
con il diritto comunitario, essa deve poter essere contrastata con il
ricorso  per  illegittimita' costituzionale: infatti, se essa dovesse
essere   applicata,   ne  risulterebbe  sconvolto  l'attento  assetto
normativo  e  amministrativo  disegnato dalla legislazione regionale,
che  verrebbe  in  molte  parti  abrogata  dall'atto  legislativo  in
questione, creando uno stato di grave precarieta' normativa.
    Va  infatti  sottolineato che la regione, a tenore dell'art. 117,
quinto  comma,  Cost.,  ha il compito di dare attuazione diretta alle
norme   comunitarie:   per   principio   fondamentale   del   diritto
comunitario,  confortato  dalla  sent.  170/1984 di codesta Corte, la
supremazia   del  diritto  comunitario  va  assicurata  dai  soggetti
dell'applicazione  del diritto anche attraverso la «non applicazione»
delle norme legislative interne contrastanti con le norme comunitarie
self  executing.  La conseguenza di queste premesse e' che la regione
Liguria  sara' tenuta - per un preciso obbligo giuridico, dunque, ora
rafforzato  dall'art.  117,  primo comma, Cost. - a non applicare nel
proprio  territorio  le  norme del decreto impugnato che risultino in
contrasto  con  le  norme  «ad  effetto  diretto»  poste  dal diritto
comunitario derivato e dalle sentenze della Corte di giustizia che di
esso  forniscono  l'interpretazione  (cfr.  sent. 389/1989 di codesta
ecc.ma   Corte).   Il   risultato,   quindi,  non  sara'  affatto  la
«semplificazione»  promessa  dalle  disposizioni  impugnate,  ma  uno
stato,  di gravissima incertezza normativa, non privo di preoccupanti
riflessi  sulla  repressione  penale dei reati ambientali legati alla
disciplina  dei  rifiuti,  con  conseguente  contenzioso  destinato a
coinvolgere  nuovamente - come gia' capitato nel «caso Niselli» - sia
la Corte di giustizia che codesta Corte costituzionale.
    Tutto  cio' avra', ancora una volta, gravissime conseguenze sugli
interessi  pubblici  alla  tutela dell'ambiente, della salute e della
sicurezza  pubblica, anche perche', eluse le norme generali in vigore
e  aggirate  le  definizioni  e  le procedure fissate dalla normativa
comunitaria,  diventera'  difficile  e  talvolta  impossibile  per le
strutture  regionali  rintracciare  le  sostanze  «derubricate» dalle
disposizioni   impugnate.   Con   l'entrata  in  vigore  del  decreto
legislativo   si  produrra'  infatti  una  derubricazione  di  talune
categorie  di  rifiuti,  i quali non saranno piu' considerati tali ma
verranno qualificati come sottoprodotti o combustibili o MPS, venendo
in  tal  modo  sottratti  al regime vincolistico e garantistico della
normativa sui rifiuti.
    C) Illegittimita' costituzionale dell'art. 189, comma 3.
    Considerazioni  in tutto analoghe a quelle svolte subito sopra ai
punti  1)  e  2)  valgono  per l'art. 189, comma terzo: esso riguarda
l'obbligo  di  comunicare  annualmente  alle  Camere  di commercio le
quantita'  e  le  caratteristiche  qualitative dei rifiuti oggetto di
attivita'  di  raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti
(c.d.  MUD, ossia il «modello unico» introdotto dalla legge 70/1994).
L'ambito  di  applicazione  di  tale  obbligo  viene  ora  delimitato
restrittivamente,  esentandone  le  imprese  e gli enti che producono
rifiuti  non pericolosi. Si produrra' di conseguenza una preoccupante
perdita  di  informazioni per quanto riguarda molteplici categorie di
rifiuti  che  potranno  circolare  liberamente, senza consentire alle
strutture  chiamate  a svolgere i controlli ambientali di conoscere i
dati relativi alla produzione che sono base di conoscenza per seguire
il percorso dei rifiuti.
    12) Illegittimita' dell'art. 205, comma 2.
    L'art.  205  regola  205  le  Misure per incrementare la raccolta
differenziata.  Il comma 2 stabilisce che «la frazione organica umida
separata  fisicamente  dopo  la  raccolta  e  finalizzata al recupero
complessivo    tra    materia   ed   energia,   secondo   i   criteri
dell'economicita',    dell'efficacia,    dell'efficienza    e   della
trasparenza   del   sistema,  contribuisce  al  raggiungimento  degli
obiettivi  di  cui  al  comma  1».  In  questo  modo si introduce nel
concetto   di  raccolta  differenziata  la  frazione  organica  umida
separata  fisicamente  dopo la raccolta, con la conseguenza immediata
di stravolgere i sistemi di contabilita' della raccolta differenziata
attualmente  in  uso  e  di determinare difficolta' nell'applicazione
della  disciplina fiscale. Il comma 2 detta una norma di dettaglio in
materia  di competenza regionale, con violazione dell'art. 117, comma
4, Cost.
    13) Illegittimita' dell'art. 240, comma 1, lett. b), c) e g).
    L'art.  240  rientra  nel  titolo relativa alla bonifica dei siti
contaminati.  Esso  detta  le definizioni rilevanti nella materia. Il
comma  1, lett. b) definisce «concentrazioni soglia di contaminazione
(CSC)»  «i  livelli  di  contaminazione  delle matrici ambientali che
costituiscono   valori  al  di  sopra  dei  quali  e'  necessaria  la
caratterizzazione  del  sito  e l'analisi di rischio sito specifica»,
aggiungendo  che, «nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato
sia  ubicato  in un'area interessata da fenomeni antropici o naturali
che  abbiano  determinato il superamento di una o piu' concentrazioni
soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di
fondo  esistente  per tutti i parametri superati». Il valore di fondo
consiste   nel  livello  di  concentrazione  dei  parametri  presenti
nell'area  circostante  al sito. La lett. b) introduce un'innovazione
irragionevole,  perche',  far  coincidere la soglia di contaminazione
con  il  valore  di  fondo  puo'  essere  comprensibile per eventuali
fenomeni  naturali  ma  non  certo per fenomeni antropici, in quanto,
cosi'  facendo,  si  gettano  le basi per una deroga generalizzata ai
limiti  fissati  e  si rende piu' difficile la bonifica proprio nelle
aree  interessate dalle forme di inquinamento piu' gravi e pervasive.
L'irragionevolezza  e'  ancora piu' evidente se si pensa che la lett.
b)  applica  «il  beneficio  del  valore di fondo indifferentemente a
tutti  i siti ubicati in aree interessate da fenomeni di inquinamento
di  origine  umana, senza curarsi di escludere quei siti dove vengono
svolte   le   medesime   attivita'   antropiche   da  cui  si  genera
l'inquinamento che si propaga per tutta l'area circostante» (cosi' A.
Amoroso,  La  bonifica dei siti contaminati nel d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152 in materia ambientale, in www.lexambiente.com).
    La  norma,  dunque,  viola  l'art.  3  e  (per  il  suo carattere
innovativo  e  per  il fatto che diminuisce la tutela dell'ambiente e
della  salute  umana)  l'art. 76 Cost., con conseguente lesione delle
competenze regionali (v., sia sulla violazione della delega sia sulla
legittimazione  regionale,  quanto  esposto in relazione all'art. 74,
comma 1, lett. ff). La competenza regionale in materia di bonifica e'
risalente  e pacifica, dato che le regioni hanno potesta' concorrente
in materia di governo del territorio e tutela della salute (art. 117,
comma  3,  Cost.)  e  dato  il  modo  in  cui la Corte costituzionale
interpreta l'art. 117, secondo comma, lett. s).
    La lett. c) definisce le «concentrazioni soglia di rischio (CSR)»
«i livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare
caso  per  caso  con  l'applicazione  della  procedura  di analisi di
rischio  sito specifica secondo i principi illustrati nell'Allegato 1
alla parte quarta del presente decreto e sulla base dei risultati del
piano  di  caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in
sicurezza   e   la   bonifica».   Tale   norma,   stabilendo  che  la
determinazione  dei  livelli di contaminazione avviene caso per caso,
senza  il  riferimento  a  parametri  certi,  introduce  elementi  di
incertezza   laddove  la  legislazione  previdente  prevedeva  limiti
tabellari   certi   e  non  derogabili.  Anche  tale  norma,  dunque,
pregiudica irragionevolmente la tutela dell'ambiente e della salute e
viola  gli  artt.  3  e  76 Cost., per le medesime ragioni esposte in
relazione  alla  lett. b), costringendo anche gli enti territoriali a
svolgere  la  propria  funzione  di tutela dell'ambiente in quadro di
incertezza normativa.
    La  lett. g) definisce «sito con attivita' in esercizio» «un sito
nel quale risultano in esercizio attivita' produttive sia industriali
che  commerciali  nonche'  le  aree pertinenziali e quelle adibite ad
attivita'   accessorie  economiche,  ivi  comprese  le  attivita'  di
mantenimento e tutela del patrimonio ai fini della successiva ripresa
delle attivita».
    La  norma comprende irragionevolmente fra i siti con attivita' in
esercizio  i  siti ove non ci sono attivita' in esercizio. Poiche' la
successiva  lett.  n)  definisce  la  «messa  in sicurezza operativa»
«l'insieme  degli  interventi  eseguiti  in  un sito con attivita' in
esercizio  atti  a  garantire un adeguato livello di sicurezza per le
persone  e per l'ambiente, in attesa di ulteriori interventi di messa
in  sicurezza  permanente  o  bonifica da realizzarsi alla cessazione
dell'attivita»,  (e  aggiunge  che  «essi  comprendono  altresi'  gli
interventi di contenimento della contaminazione da mettere in atto in
via  transitoria  fino all'esecuzione della bonifica o della messa in
sicurezza   permanente,  al  fine  di  evitare  la  diffusione  della
contaminazione   all'interno  della  stessa  matrice  o  tra  matrici
differenti»),  appare chiaro che l'arbitraria estensione del concetto
di  attivita'  in  esercizio  consente  di  procrastinare sine die la
bonifica  dell'area  e incide gravemente sulle esigenze di protezione
ambientale e della salute umana.
    Dunque, la lett. g) viola gli artt. 3 e 76 Cost., con conseguente
lesione  delle  competenze regionali, per le medesime ragioni esposte
in relazione alla lett. b); essa viola anche l'art. 1, comma 9, lett.
a)   legge   n. 308/2004,  che  imponeva  di  «introdurre  differenti
previsioni  a  seconda  che  le  contaminazioni  riguardino  siti con
attivita'  produttive  in  esercizio  ovvero  siti  dismessi,  il che
rappresenta un'ulteriore violazione dell'art. 76 Cost.
    14) Illegittimita' degli artt. 242, 243, comma 2, 246, 252, commi
4 e 5, comma 1.
    L'art.  242 disciplina le Procedure operative ed amministrative e
si  caratterizza  per  un  contenuto assai dettagliato, che non tiene
affatto  conto  del  principio  di sussidiarieta'. Il comma 3 prevede
che, qualora si accerti l'avvenuto superamento delle CSC anche per un
solo  parametro, il responsabile dell'inquinamento presenta a comune,
provincia  e  alla  regione  territorialmente  competente il piano di
caratterizzazione,  e  che  «entro  i  trenta  giorni  successivi  la
regione,  convocata  la  conferenza di servizi, autorizza il piano di
caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative». Il comma 6
dispone  che  «la  regione, sentita la provincia, approva il piano di
monitoraggio entro trenta giorni dal ricevimento dello stesso», e che
«l'anzidetto  termine  puo'  essere  sospeso  una sola volta, qualora
l'autorita'  competente ravvisi la necessita' di richiedere, mediante
atto    adeguatamente    motivato,    integrazioni    documentali   o
approfondimenti  del  progetto,  assegnando  un  congruo  termine per
l'adempimento».  Il  comma  7 statuisce che, «qualora gli esiti della
procedura  dell'analisi  di  rischio dimostrino che la concentrazione
dei  contaminanti  presenti  nel  sito  e'  superiore  ai  valori  di
concentrazione  soglia  di  rischio  (CSR),  il soggetto responsabile
sottopone alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del
documento   di  analisi  di  rischio,  il  progetto  operativo  degli
interventi   di  bonifica  o  di  messa  in  sicurezza,  operativa  o
permanente»,  e  che  «la  regione,  acquisito il parere del comune e
della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e
sentito  il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali
prescrizioni   ed   integrazioni   entro   sessanta  giorni  dal  suo
ricevimento».
    L'art. 242 reca una disciplina procedimentale che non puo' essere
ascritta  a  materie  di  competenza  esclusiva  statale, non essendo
definiti  standard  uniformi  di  tutela.  Tale  disciplina  e' assai
dettagliata,  in  quanto sono minuziosamente regolati tutti i singoli
passi  e  termini del procedimento. L'art. 242, dunque, viola nel suo
complesso  l'art.  117,  terzo  comma.  I passi sopra citati violano,
inoltre,  l'art.  118,  primo comma, Cost. perche' alla regione viene
imposto   di   svolgere   diverse  funzioni  amministrative  che  non
richiedono  un  unitario  esercizio  regionale  ma  che  potrebbero e
dovrebbero  essere  svolte  a  livello  locale; si tenga presente che
l'art.  17,  comma 4, d.lgs. n. 22/1997 attribuiva la competenza alla
regione  solo  «se  l'intervento  di bonifica e di messa in sicurezza
riguarda un'area compresa nel territorio di piu' comuni». Le medesime
norme  sopra  citate  violano  anche l'art. 118, secondo comma Cost.,
perche'  in  materie  di  competenza  regionale  spetta  alla regione
l'allocazione delle funzioni amministrative.
    L'art.  243,  comma  1,  stabilisce che «le acque di falda emunte
dalle  falde sotterranee, nell'ambito degli interventi di bonifica di
un  sito,  possono essere scaricate, direttamente o dopo essere state
utilizzate  in  cicli  produttivi  in  esercizio nel sito stesso, nel
rispetto dei limiti di emissione di acque reflue industriali in acque
superficiali   di  cui  al  presente  decreto».  Anche  questa  norma
diminuisce   la   tutela   dell'ambiente,  rispetto  alla  disciplina
previgente,  perche'  sancisce  che  le acque emunte nel corso di una
bonifica  possono essere scaricate in acque superficiali nel rispetto
dei  valori limite di emissione previsti per i reflui industriali (v.
gia'  l'allegato  5  del  d.lgs.  n. 152/1999) e non nel rispetto dei
parametri maggiormente restrittivi (gia) previsti dall'allegato 1 del
d.m.  n. 471/1999.  L'art. 243,  comma  1,  porta ad un peggioramento
della qualita' delle acque di falda, rispetto a quanto previsto dalla
disciplina  precedente,  con conseguente peggioramento dell'acquifero
nel quale vengono scaricate.
    Il comma 2, poi, stabilisce che, «in deroga a quanto previsto dal
comma 1 dell'art. 104, ai soli fini della bonifica dell'acquifero, e'
ammessa  la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee
nella  stessa  unita' geologica da cui le stesse sono state estratte,
indicando   la   tipologia   di   trattamento,   le   caratteristiche
quali-quantitative   delle   acque   reimmesse,   le   modalita'   di
reimmissione  e  le  misure  di  messa in sicurezza della porzione di
acquifero  interessato dal sistema di estrazione/reimmissione», e che
«le  acque reimmesse devono essere state sottoposte ad un trattamento
finalizzato alla bonifica dell'acquifero e non devono contenere altre
acque  di scarico o altre sostanze pericolose diverse, per qualita' e
quantita', da quelle presenti' nelle acque prelevate».
    L'art.  104,  comma  1,  sancisce  il divieto di «scarico diretto
nelle  acque  sotterranee  e  nel  sottosuolo».  L'art. 243, comma 2,
prevede  che le acque sotterranee debbano essere trattate prima della
reimmissione  ma  non  fissa  parametri  precisi  da  rispettare, ne'
possono   valere  quelli  gia'  previsti  per  le  acque  sotterranee
nell'allegato  1,  tabella  3,  del  d.m.  n. 471/1999,  che e' stato
abrogato  dal  d.lgs. n. 152/2006. Dunque, anche il comma 2 introduce
una  novita'  normativa  nettamente  volta  a diminuire la protezione
dell'ambiente.
    Entrambi i commi violano il principio di ragionevolezza e, per il
loro  carattere  innovativo e per il fatto che diminuiscono la tutela
dell'ambiente  e della salute umana, l'art. 76 Cost., con conseguente
lesione  delle  competenze  regionali (v., sia sulla violazione della
delega   sia   sulla  legittimazione  regionale,  quanto  esposto  in
relazione all'art. 74, comma 1, lett. ff).
    L'art.  244  stabilisce  che  «le  pubbliche  amministrazioni che
nell'esercizio  delle  proprie  funzioni  individuano  siti nei quali
accertino che i livelli di contaminazione sono superiori ai valori di
concentrazione  soglia di contaminazione, ne danno comunicazione alla
regione,  alla  provincia e al comune competenti» (comma1), e che «la
provincia,  ricevuta  la  comunicazione  di cui al comma 1, dopo aver
svolto  le  opportune  indagini volte ad identificare il responsabile
dell'evento di superamento e sentito il comune, diffida con ordinanza
motivata il responsabile della potenziale contaminazione a provvedere
ai sensi del presente titolo» (comma 2).
    Quest'ultima  disposizione  trasferisce alla provincia il compito
di  emettere  le ordinanze di diffida, con scarsa congruenza rispetto
alla  divisione  di  competenze operata dato che l'ente competente ad
effettuare  gli  interventi  in  danno  rimane il comune (al quale il
potere   di  diffida  era  attribuito  dall'art.  8,  comma  2,  d.m.
n. 471/1999).  La  norma  viola  l'art.  118, secondo comma, Cost. in
quanto  assegna  una funzione amministrativa in materia di competenza
regionale.
    L'art.  246  dispone che «i soggetti obbligati agli interventi di
cui  al  presente  titolo  ed i soggetti altrimenti interessati hanno
diritto  di definire modalita' e tempi di esecuzione degli interventi
mediante  appositi  accordi  di  programma  stipulati, entro sei mesi
dall'approvazione del documento di analisi di rischio di cui all'art.
242, con le amministrazioni competenti ai sensi delle disposizioni di
cui  al  presente  titolo»; il comma 2 detta una norma analoga per la
«bonifica  di una pluralita' di siti che interessano il territorio di
piu'  regioni»  ed  il comma 3 prevede che, «nel caso in cui vi siano
soggetti  che  intendano o siano tenuti a provvedere alla contestuale
bonifica  di  una pluralita' di siti dislocati su tutto il territorio
nazionale  o  vi  siano piu' soggetti interessati alla bonifica di un
medesimo  sito  di  interesse  nazionale,  i  tempi e le modalita' di
intervento  possono  essere  definiti  con  accordo  di  programma da
stipularsi,  entro  diciotto  mesi dall'approvazione del documento di
analisi di rischio di cui all'art. 242, con il Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio di concerto con i Ministri della salute
e  delle  attivita'  produttive,  d'intesa  con  la  Conferenza Stato
regioni».
    Tale  disposizione viola, innanzi tutto, l'art. 117, terzo comma,
sia   perche'  detta  disciplina  dettagliata  in  materia  regionale
(fissando  addirittura  il  termine  di  stipulazione dell'accordo di
programma)   sia   perche',  riconoscendo  il  «diritto  di  definire
modalita'  e  tempi  di  esecuzine degli interventi mediante appositi
accordi  di  programma»,  lede la podesta' legislativa regionale, nel
cui  ambito  rientra naturaliter proprio la disciplina di modalita' e
tempi degli interventi di bonifica. L'art. 246, in realta', stravolge
la   ratio   dell'accordo   di   programma   che,   da  strumento  di
semplificazione  dei  rapporti  fra amministrazini (v. art. 34 d.lgs.
n. 267/2000),  diventa  strumento con cui il privato puo' interferire
nell'esercizio dell'attivita' normativa.
    Quanto  al  comma  3,  esso  risulta  illegittimo  in quanto, per
l'accordo  di  programma relativo ai siti di interesse nazionale, non
prevede  l'intesa con regioni interessate, violando cosi' l'autonomia
amministrativa   delle   regioni   (art. 118,   primo   comma   della
Costituzione) ed il principio di leale collaborazione, secondo quanto
risulta  dalla  giurisprudenza  costituzionale (v., ad es., le sentt.
n. 303/2003 e n. 6/2004).
    L'art.   252   disciplina  la  bonifica  dei  siti  di  interesse
nazionale. Al comma 4 si dispone che «la procedura di bonifica di cui
all'art.  242  dei  siti  di  interesse  nazionale e' attribuita alla
competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio,
sentito  il  Ministero  delle  attivita' produttive», e al comma 5 si
aggiunge  che «nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia
individuabile   oppure   non   provveda   il  proprietario  del  sito
contaminato  ne'  altro  soggetto  interessato,  gli  interventi sono
predisposti  dal  Ministero  dell'ambiente e della tutela territorio,
avvalendosi  dell'Agenzia  per  la  protezione  dell'ambiente e per i
servizi   tecnici   (APAT),  dell'Istituto  superiore  di  sanita'  e
dell'E.N.E.A.  nonche'  di  altri  soggetti  qualificati  pubblici  o
privati».
    Tali  disposizioni  sono  illegittime  nella  parte  in  cui  non
provedono  l'intesa  con  la  regione  interessata  (o con le regioni
interessate)  per  l'adozione dell'atto, per violazione dell'art. 118
della  Costituzione  e del principio di leale collaborazione, secondo
quanto  risulta  dalla  giurisprudenza costituzionale (v., ad es., le
sentt.  n. 303/2003  e  n. 6/2004).  Inoltre,  esse  violano la legge
delega  (art.  1,  comma  1  e comma 8, legge n. 308/2004) e, quindi,
l'art. 76   della  Costituzione  in  quanto  innovano  la  precedente
disciplina  e  indeboliscono  la  posizione  delle  regioni: infatti,
l'art.  17,  comma  14,  d.lgs. n. 22/1997 richiedeva l'intesa con la
regione  competente  per l'approvazione dei progetti di interventi di
bonifica di interesse nazionale. Poiche' la lesione delle prerogative
regionali  si  determina  attraverso  l'eccesso  di  delega, anche la
violazione  dell'art.  76 della Costituzione puo' essere fatta valere
dalla  regione  (ferma  restando  la  violazione  dell'art. 118 e del
principio di leale collaborazione di cui sopra).
    L'art.   257,   comma   1,   stabilisce   che  «chiunque  cagiona
l'inquinamento  del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o
delle  acque  sottorranee  con  il  superamento  delle concentrazioni
soglia di rischio e' punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un
anno  o con l'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro, se
non  provvede  alla  bonifica  in  conformita'  al progetto approvato
dall'autorita'  competente  nell'ambito  del procedimento di cui agli
artt. 242 e seguenti».
    tale  disposizione  innova la disciplina previgente (art. 51-bis,
comma  1,  d.lgs.  n. 22/1997),  che  prevedeva  il cumulo delle pene
dell'arresto  e  dell'ammenda e non la loro alternativita'. In virtu'
dell'art. 257, comma 1, chi inquina e non bonifica puo' essere punito
solo con l'ammenda di duemilaseicento euro.
    La  norma, oltre a essere palesemente irragionevole, viola l'art.
76  della  Costituzione  perche'  l'art.  1, comma 8, lett. i), legge
n. 308/2004  prescriveva  la «garanzia di una piu' efficace tutela in
materia  ambientale  anche mediante il coordinamento e l'integrazione
della  disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale,
fermi   restando   i  limiti  di  pena  e  l'entita'  delle  sanzioni
amministrative gia' stabiliti dalla legge»: dunque, il Governo poteva
solo  integrare  e  non  modificare il sistema sanzionatorio e doveva
tener  fermi  i limiti di pena (anche quelli minimi). Tale eccesso di
delega  si  traduce in un grave, potenziale pregiudizio per la tutela
dell'ambiente  e  della salute, con conseguente lesione del ruolo che
la  regione  riveste  in  queste  materie. La forte diminuzione della
tutela  penale  aumenta i rischi di danni all'ambiente e alla salute,
aggravando i compiti che al regione e gli enti locali devono svolgere
per  far  fronte a tali danni: dunque, la palese violazione dell'art.
76   (e   dall'art.   3)   si   traduce   in  lesione  dell'autonomia
amministrativa  e  finanziaria dell regione e degli enti locali (e la
giurisprudenza   costituzionale  ha  ormai  chiarito  che  esiste  un
collegamento fra la finanza locale e la finanza regionale, per cui le
regioni  possono  agire  anche  a  tutela  della  prima: v. le sentt.
n. 417/2005 e n. 533/2002).
    Quanto  alla  legittimazione regionale ad impugnare norme penali,
si veda il precedente rappresentato dalla sent. n. 412/2001.
    Nel  complesso,  sia  consentito  aggiungere  che  - come risulta
chiaramente  dalle  norme  di  cui  sopra  le  novita' introdotte dal
Governo  in  materia  di  bonifica  si  caratterizzano  per  un forte
diminuzione   della   tutela   dell'ambiente   e   per   un'eccessiva
«protezione»  data  a  chi  inquina.  Il  bilanciamento fra il valore
dell'ambiente    e   l'interesse   all'attivita'   produttiva   viene
irragionevolmente  squilibrato  a  vantaggio  di  quest'ultimo,  come
emerge  soprattutto  nel  caso dell'art. 240, comma 1, lett. b) e g),
dell'art. 246 e dell'art. 257.
    15) Illegittimita'  delle  norme  impugnate per vizi procedurali:
violazione  del  principio  di  leale collaborazione e della legge di
delega.
    Nel  suo  complesso il decreto appare viziato da gravi difetti di
procedimenti,   attinenti   in   particolare  alla  violazione  della
procedura di «leale collaborazione». Come emerge da quanto esposto in
narrativa,  infatti,  il Governo non ha rispettato i contenuti minimi
della  garanzia di partecipazione della Conferenza unificata. Esso ha
richiesto  il  parere  della  Conferenza in termini temporali tali da
renderne  impossibile  l'espressione,  ed  ha  rifiutato la legittima
richiesta  di  disporre  del  tempo  necessario  allegando ragioni di
urgenza  inesistenti - dato che la delega veniva a scadenza oltre sei
mesi  piu'  tardi  -  e persino inducendo in errore (non si vuole qui
dire  volontariamente)  la  Conferenza  circa  gli  effettivi termini
temporali della delega.
    Si   noti   che  l'ordine  del  giorno  negativo  successivamente
approvato dalla Conferenza non puo' essere considerato un equivalente
di un parere effettivamente articolato e reso nel merito a seguito di
un  corretto  procedimento:  ma  del  resto  neppure  esso  e'  stato
effettivamente preso in considerazione.
    La   Conferenza   unificata   non  ha  avuto  modo  di  esprimere
formalmente  il  proprio parere, e sulle posizioni da essa assunte in
merito  al  decreto  legislativo  il  Governo  non  ha  aperto alcuna
discussione,  violando  quanto  disposto  dalla  legge  di  delega  e
ribadito dalla Commissione parlamentare. Come dispone l'art. 2, comma
3,  del  d.lgs.  n. 281/1997,  quando  la Conferenza Stato-regioni e'
obbligatoriamente  sentita «in ordine agli schemi di disegni di legge
e  di  decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie
di  competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di
Bolzano»  essa  «si  pronunzia entro venti giorni». Per l'espressione
del  parere  della  Conferenza  unificata  non e' indicato un termine
preciso,  ma  certo  non  si  puo' ritenere che per essa - che ha una
struttura  ancora piu' complessa della «Stato-regioni» - possa valere
un termine ancora piu' breve.
    Se  la  legge di delega prevede l'obbligo del Governo delegato di
acquisire  il parere della Conferenza, la Conferenza deve disporre di
un termine adeguato.
    Ma  tutto  il comportamento tenuto dai rappresentanti del Governo
in  questa  vicenda - in una vicenda cosi' complessa sotto il profilo
tecnico-normativo  e  tanto delicata per i molteplici riflessi che il
«Codice  dell'ambiente»  esercita  non  solo  sulle  attribuzioni «in
astratto» delle regioni, ma sulla legislazione, a sua volta complessa
e  articolata, che esse hanno prodotto - e' improntato ad uno spirito
autoritario  e  ostruzionistico  che  e' in palese con i canoni della
leale collaborazione.
    «Quando  si  abbia  a  che  fare con competenze necessariamente e
inestricabilmente  connesse  -  ha  osservato  codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale - il principio di «leale collaborazione» - che proprio
in  materia  di  protezione  di  beni  ambientali  e  di  assetto del
territorio trova un suo campo privilegiato di applicazione - richiede
la  messa  in  opera  di  procedimenti  nei  quali  tutte  le istanze
costituzionalmente rilevanti possano trovare rappresentazione» (sent.
n. 422/2002).
    E' vero che tale principio e' «suscettibile di essere organizzato
in  modi  diversi,  per  forme  e  intensita'  della  pur  necessaria
collaborazione»  (sent.  n. 308/2003),  ma e' anche vero che esso non
puo'  essere  ridotto  ad una ritualita' meramente formale: una delle
«sedi  piu'  qualificate  per  l'elaborazione  di regole destinate ad
integrare  il  parametro della leale collaborazione e' attualmente il
sistema  delle  Conferenze  Stato-regioni e autonomie locali», al cui
interno   «si   sviluppa  il  confronto  tra  i  due  grandi  sistemi
ordinamentali  della  Repubblica,  in  esito  al quale si individuano
soluzioni  concordate di questini controverse» (sent. n. 31/2006). Ma
di  «confronto»  deve  trattarsi,  appunto,  basato  su comportamenti
corretti  e  «leali» delle parti, non dell'impostazione unilaterale e
della chiusura totale a qualsiasi possibilita' di dialogo.
    Tale  violazione  della  legge  di  delega (e dunque dell'art. 76
della  Costituzione)  e  del  principio  di  leale  collaborazione si
traducono  direttamente  in  lesione  delle  competenze e prerogative
costituzionali  delle regioni, e costituiscono percio' illegittimita'
costituzionali che le regioni sono legittimate a far valere.
                              P. Q. M.
    Chiede  voglia  codesta  ecc.ma  Corte  costituzionale dichiarare
costituzionalmente  illegittimo il decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 «Norme in materia ambientale», in relazione agli articoli:
        58,  59,  63,  64, 65,67, 69, 116, 117, 121; 74, 91, comma 1,
lettera  d),  96, 113, 114, 121, 124, comma 7; 148, comma 4 e 5, 149,
comma  6,  154; 181, commi da 7 a11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3,
205, comma 2; 240, comma 1, lett. b), c), g), 242, 243,244, 246, 252,
257,   per   violazione   degli  artt.  76,  117,  118  e  119  della
Costituzione, del principio di leale collaborazione, del principio di
ragionevolezza,  per  le  parti  e  sotto  i  profili  illustrati nel
ricorso.
        Padova-Genova, addi' 12 giugno 2006
        Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Barbara Baroli
06C0568