N. 327 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2006

Ordinanza  emessa  il 17 marzo 2006 dalla Corte di appello militare -
Sezione  distaccata  di  Napoli  nel  procedimento penale a carico di
Miccolis Luigi

Processo  penale - Appello - Modifiche normative - Limiti all'appello
  - Possibilita' per il pubblico ministero di proporre appello contro
  le  sentenze  di  proscioglimento,  al  di  fuori  dei  casi di cui
  all'art. 593,  comma 2,  cod.  proc.  pen.  -  Mancata previsione -
  Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore
  della  novella  -  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza -
  Ingiustificata   disparita'  di  trattamento,  con  riferimento  ai
  processi nei quali il pubblico ministero abbia chiesto l'ammissione
  di  nuove  prove  decisive  - Violazione dei principi della parita'
  delle  parti  nel  contraddittorio  e  della ragionevole durata del
  processo  - Lesione del principio della obbligatorieta' dell'azione
  penale.
- Codice  di  procedura penale, art. 443, come modificato dall'art. 2
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46,
  art. 10, commi 1 e 2.
- Costituzione, artt. 3, 111 e 112.
(GU n.38 del 20-9-2006 )
                    LA CORTE MILITARE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  in camera di consiglio la seguente ordinanza nel
procedimento  penale  a  carico di: Miccolis Luigi, nato a Conversano
(Bari) il 1° ottobre 1981, residente in Conversano (Bari), via Crispi
n. 17  -  Distretto  militare  di  Bari,  c.le scelto V.F.A. - difeso
dall'avv. Gioacchino Ghiro, del Foro di Bari, con studio in Bari, via
Putignani presso studio legale M. Russo Frattasi n. 257, difensore di
fiducia.

                     F a t t o  e  d i r i t t o

    Con   sentenza   n. 16   in  data  2  febbraio  2005  il  giudice
dell'udienza  preliminare  presso  il  Tribunale  militare  di  Bari,
all'esito  di giudizio abbreviato, assolveva Miccolis Luigi in ordine
al reato di lesione personale e lesione personale grave continuato in
concorso  (artt. 81  cpv.  e  110  c.p.,  47 n. 2 e n. 4, 223 comma 1
c.p.m.p.) perche' il fatto non costituisce reato.
    Avverso  la  predetta  decisione  proponeva  appello  il pubblico
ministero.
    Ai  sensi del disposto dall'art. 10 della legge 20 febbraio 2006,
n. 46    l'appello    dovrebbe   essere   dichiarato   immediatamente
inammissibile.   La  Corte,  tuttavia,  ritiene  di  dover  sollevare
d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 593
c.p.p.,  come  sostituito  dall'art. 1,  della legge 20 febbraio 2006
n. 46,  nella parte in cui non prevede per il p.m. la possibilita' di
appellare  le sentenze di proscioglimento al di fuori dei casi di cui
al comma 2 dello stesso art. 593 c.p.p., nonche' dell'art. 10, comnai
1  e  2, della legge suindicata, per contrasto con gli artt. 3, 111 e
112 della Costituzione.
    Preliminarmente  va  osservato  che  nella  specie  si  deve fare
applicazione   del   disposto  del  menzionato  art. 10  della  legge
n. 46/2006,  il quale, definendo il regime transitorio, stabilisce al
comma  2 che si debba pronunciare ordinanza di inammissibilita' delle
impugnazioni  proposte  prima  dell'entrata  in  vigore  della  nuova
normativa avverso sentenze di proscioglimento.
    In  ragione di cio' la questione circa la costituzionalita' della
nuova   disposizione  appare  certamente  rilevante,  dovendo  questo
giudice   fare   concreta  applicazione  della  stessa  nel  presente
processo,  in  presenza  di  una impugnazione che, alla stregua della
precedente normativa, sarebbe stata pacificamente ammissibile.
    A  tal  riguardo  va  sottolineato che la proposizione ex officio
della  questione  trova  la sua origine anche nelle vicende che hanno
connotato  l'iter di approvazione della legge medesima, che ha visto,
come e' noto, il rinvio del testo alle Camere da parte del Presidente
della  Repubblica  motivato  dalla  rilevazione di plurimi profili di
manifesto  contrasto  con la Carta costituzionale. Successivamente il
testo  ha  subito  delle  modifiche  che,  ad avviso della Corte, non
appaiono   tali   da  far  ritenere  del  tutto  fugati  i  dubbi  di
costituzionalita' gia' prospettati.
    Ad  avviso  della  Corte la nuova norma sui limiti oggettivi alla
impugnabilita'  delle  sentenze di proscioglimento appare m contrasto
con piu' disposizioni della Carta costituzionale.
    In  primo  luogo  i  rilievi  si  incontrano sulla violazione del
principio  di cui al comma 1 dell'art. 3 della Costituzione, relativo
al principio di eguaglianza, che costituisce parametro di riferimento
indubbiamente essenziale ai fini della valutazione della legittimita'
costituzionale  del  suddetto art. 593 c.p.p., sotto il profilo della
ragionevolezza,     che,     secondo    consolidata    giurisprudenza
costituzionale,  costituisce uno dei limiti alla discrezionalita' del
legislatore.
    Nel caso di specie tale ragionevolezza risulta compromessa per la
determinante   ragione  che  si  impedisce  al  rappresentante  della
pubblica  accusa  di  dare,  nell'ambito  della sequenza processuale,
concreta  attuazione  al  principio  dell'obbligatorieta' dell'azione
penale,  in  tal  modo  non consentendogli di fornire il suo doveroso
contributo all'accertamento dei reati.
    In  proposito non si puo' fare a meno di notare, peraltro, che il
sistema  processuale  risuItante  dalla  novella  dote la paradossale
situazione  per  la  quale  da un lato si impone al p.m. di ricercate
prove  anche  a  favore dell'imputato, dall'altro gli si impedisce di
concretizzare  la  pretesa  punitiva statuale attraverso l'appello di
merito  su  pronunce  assolutorie.  Ne',  ad  avviso  della Corte, il
permanere  della  possibilita' di appellare tali tipi di pronunce, in
presenza  di  nuova prova decisiva, fuga i dubbi di costituzionalita'
sotto   il  profilo  che  ci  occupa,  sia  in  considerazione  della
residualita'  dell'ipotesi, sia, soprattutto, perche' non consente un
ulteriore  vaglio nel merito del compendio probatorio gia' acquisito,
ove  ritenga non adeguatamente valutato dal primo giudice. Invero, se
scopo essenziale del processo e' l'accertamento della verita', non e'
assolutamente ragionevole che cio' sia perseguito soltanto su istanza
e nella prospettiva di una delle parti.
    Infine,  il  nuovo  sistema  appare ulteriormente irragionevole e
sbilanciato  in  quanto,  pur  doverosamente conservando per la parte
civile   la   possibilita'   di   appello   avverso  le  sentenze  di
proscioglimento,   nel  contempo  la  priva  della  possibilita'  del
sostegno   della   parte   pubblica   nell'accertamento  dei  profili
civilistici  di  responsabilita' che, comunque, originano da condotte
penalmente rilevaliti.
    Ulteriore aspetto e' quello afferente al contrasto con il comma 2
dell'art. 111  (introdotto  ex  art. 1  della legge cost. 23 novembre
1999,  n. 2), che stabilisce il principio della necessaria condizione
di  parita'  delle  parti  nel  contraddittorio  processuale  e della
ragionevole durata del processo.
    Sotto  il  primo  profilo la garanzia della parita' di condizioni
non  puo' non riguardare anche gli strumenti di impulso funzionali al
raggiungimento  degli  scopi che un sistema processuale adeguatamente
informato  ai  principi  costituzionali  deve  garantire, che, per la
parte  pubblica,  sono  quelli dell'attuazione della pretesa punitiva
dello  Stato  a  tutela  dei  primari  interessi della collettivita'.
Invero,  il  p.m.  ha  ora  a  disposizione soltanto lo strumento del
ricorso  per cassazione, che, per sua natura e nonostante i marginali
correttivi  introdotti  con la modifica dell'art. 606 c.p.p, comma 1,
lett. e),  non appare comunque idoneo a garantire il completo riesame
nel  merito delle risultanze processuali. Cio' in quanto gli consente
soltanto  di dedurre vizi del provvedimento circoscritti e tassativi,
impedendo  il vaglio della totalita' delle ragioni che sono alla base
della sentenza di proscioglimento.
    Occorre considerare, poi, i negativi effetti del nuovo regime sui
tempi   di  definizione  dei  processi,  che  palesano  un  manifesto
contrasto  con  il  dettato  dell'art. 111  Cost.  in  relazione alla
ragionevolezza  della  loro durata. Infatti, la natura esclusivamente
rescindente   del   giudizio  di  cassazione  comporta,  in  caso  di
accoglimento del ricorso, la inevitabile regressione di fase al primo
giudice,  con  un evidente e significativo allungamento dei tempi del
processo. rispetto al previgente sistema che consentiva una immediata
decisione nel merito all'esito del proposto gravame.
    Ne   deriva,   di   conseguenza,   il  ragionevole  dubbio  sulla
costituzionalita'  della  nuova  disciplina,  dato che, come posto in
rilievo  dalla Corte costituzionale, compromettono il principio della
ragionevole  durata  del  processo  «...  le  norme  procedurali  che
comportino  una  dilatazione  dei  tempi del processo non sorrette da
alcuna  logica  esistenza,  non  essendo  in altro modo definibile la
durata   ragionevole   del   processo   se   non  in  funzione  della
ragionevolezza  degli  adempimenti  che  ne scandiscono il corso e ne
determinano i tempi» (sentenza n. 148 del 4 - 12 aprile 2005).
    Infine,    ritiene    la    Corte   che   sussistano   dubbi   di
costituzionalita'   della   normativa   di  cui  trattasi  anche  con
riferimento  al  principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale di
cui all'art. 112 della Costituzione.
    Non puo' negarsi, infatti, che il potere di impugnazione del p.m.
costituisca una delle espressioni di tale principio, sicche' non puo'
ammettersi  che  la  normativa  ordinaria  vanifichi  il  complessivo
assolvimento   delle   funzioni   di  accusa  (Sentenze  Corte  cost.
nn. 177/1971 e 98/1994).
    Da  ultimo va evidenziata una inagionevolezza interna della nuova
disciplina,  con  riferimento  al regime transitorio. Infatti, non si
puo'    non    sottolineare    che    l'immediata   declaratoria   di
inammissibilita'  dell'impugnazione  anche  nei giudizi di appello in
corso   imposta   dall'art. 10   della   legge  n. 46/2006  determina
un'ingiustificata   disparita'  di  trattamento  con  riferimento  ai
procesi  nei  quali  il  p.m.  abbia chiesto (e, magari gia' ottenuto
durante  il  giudizio  di appello non concluso) l'ammissione di nuove
prove  decisive,  circostanza  che nel nuovo assetto consentirebbe di
coltivare    l'impugnazione    di    merito   avverso   sentenze   di
proscioglimento.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost., 1 legge cost. 9 febbraio 1948 n. 1, 23
e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 443  c.p.p.,  come  modifiato
dall'art. 2  della  legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui
non prevede per il pubblico ministero la possibilita' di appellare le
sentenze  di  proscioglimento  al di fuori dei casi di cui al comma 2
dello  stesso  art. 593  c.p.p.,  nonche'  dell'art. 10, commi 1 e 2,
della  legge  suindicata,  per  contrasto  con gli artt. 3, 111 e 112
della Costituzione;
    Dispone  la  sospensione  del  presente  processo  e  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  altresi'  che  la presente ordinanza sia notificata alle
parti  ed  al  Presidente  del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Napoli, addi' 16 marzo 2006
                  Il Presidente estensore: Molinari
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