N. 353 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 giugno 2006

Ordinanza  emessa  il  13 giugno 2006 dalla Corte dei conti - Sezione
giurisdizionale  d'appello  per  la  Regione Siciliana - sull'appello
proposto  dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale
per la Regione Siciliana contro Leonardi Alfio ed altri.

Corte  dei  conti  - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata  -  Possibilita'  di  chiedere,  in  sede  di appello, la
  definizione  del  giudizio  mediante  il pagamento di una somma non
  inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno
  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado  - Irrazionalita' -
  Violazione   del   principio   di  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione  -  Interferenza  sulla  funzione giurisdizionale -
  Violazione  del principio di separazione del potere legislativo dal
  potere giudiziario.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231.
- Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103.
Corte  dei  conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata  -  Giudizio di impugnazione - Possibilita' della sezione
  di  appello  della  Corte  dei conti, in caso di accoglimento della
  richiesta di riduzione del danno, di determinare la riduzione della
  somma  dovuta  in  misura  non  superiore al 30 per cento del danno
  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado  - Irrazionalita' -
  Violazione   del   principio   di  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 232.
- Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103.
Corte  dei  conti  - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati
  per  fatti  commessi  prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge
  censurata - Fase di appello - Previsione che il giudizio si intende
  definito  a  decorrere  dalla  data  di  deposito della ricevuta di
  versamento  presso  la  segreteria  della  sezione di appello della
  somma  dovuta  dal  condannato  -  Irrazionalita'  - Violazione del
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Interferenza sulla funzione giurisdizionale.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 233.
- Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103.
(GU n.40 del 4-10-2006 )
                         LA CORTE DEI CONTI

    Ha  emesso  la seguente ordinanza n. 37/A/2006/ORD., nel giudizio
in materia di responsabilita' iscritto al n. 1725/A/RESP del registro
di  segreteria e promosso dalla procura regionale avverso la sentenza
n. 1258/2005 della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana.
    Visti gli atti e i documenti di causa;
    Uditi,  nella Camera di consiglio del 21 marzo 2006, il relatore,
consigliere  Salvatore  Cilia, il Vice Procuratore Generale Salvatore
Marcinno'  e  l'avv.  Giacomo  Ferrari  per  delega  dell'avv. Andrea
Scuderi  nell'interesse dei sig. ri Alfio Leonardi, Leonardo La Rosa,
Angelo Russo e Giuseppe Coco.

                                Fatto

    Con atto di citazione depositato in segreteria il 5 gennaio 2005,
la  procura  regionale  ha  convenuto  in  giudizio  i  sig. ri Alfio
Leonardi, Leonardo La Rosa, Angelo Russo, Salvatore Rosano e Giuseppe
Coco  (il  primo,  sindaco,  e  gli  altri,  assessori, della G.M. di
Zafferana  Etnea  all'epoca  dei fatti) a risarcire in favore di tale
comune il danno patrimoniale di Euro 47.638,18 (di cui Euro 15.638,18
a  carico  del Leonardi e di Euro 8.000,00 a carico di ciascuno degli
altri  quattro  convenuti)  per  l'aggravio  di  spese sopportato dal
comune  stesso  in  conseguenza  del  pagamento  di  un  debito fuori
bilancio  per la maggior somma di Euro 71.276,18, compresi accessori,
dovuta  a  titolo  corrispettivo  ai liberi professionisti Sebastiano
Ascenzio  e  Antonio  Musumeci  per  la  progettazione  dei lavori di
«razionalizzazione  del  sistema di illuminazione pubblica comunale»,
determinata  -  dopo  una sentenza civile favorevole ai progettisti -
con atto di transazione.
    Assume il p.m. che, poiche' la delibera n. 494/1988 della G.M. di
conferimento  dell'incarico  di  progettazione  disponeva  che per il
pagamento delle competenze tecniche di progettazione si sarebbe fatto
fronte  «con  le  somme  all'uopo  previste  nel progetto» e che tale
previsione  costituiva,  in definitiva, una sostanziale carenza nella
indicazione  dei  mezzi di finanziamento, il meccanismo utilizzato ha
costituito  uno  dei  motivi  del mancato pagamento degli onorari (in
aggiunta  al  fatto  che, in concreto, il progetto non ha ottenuto il
necessario  finanziamento e all'ulteriore fatto che, successivamente,
l'opera  e'  stata  eliminata  dal  programma  triennale  delle opere
pubbliche).
    Con  la  sentenza n. 1258/2005, la sezione giurisdizionale - dopo
avere  rigettato  l'eccezione di prescrizione in quanto, essendosi in
presenza   di  un  danno  indiretto,  il  dies  a  quo  coincide  con
l'esecutivita'  dell'atto  di  transazione  -  riconosce che ci siano
tutti  i  presupposti  della  responsabilita'  dei  convenuti  (danno
patrimoniale,  colpa  grave,  nesso di causalita), con la conseguenza
della  loro,  peraltro  al 50% della somma quantificata dalla procura
regionale  in  relazione ai vantaggi comunque conseguibili dal comune
in quanto il progetto e' stato effettivamente aquisito dallo stesso.
    Con  atto  di appello, depositato in segreteria il 5 luglio 2005,
la procura regionale eccepisce violazione dell'art. 1-bis della legge
n. 20/1994  nel senso che tale norma non evoca «vantaggi» eventuali e
potenziali  ma  concreti e operativi («vantaggi comunque conseguiti»:
verbo  al  participio  passato),  e che in ogni caso, il progetto era
inutile   fin   dall'inizio   in  quanto  sprovvisto  del  necessario
nulla-osta  paesaggistico,  tenendo  conto  -  oltre  tutto  - che di
evenuali  «vantaggi»  non  hanno  mai parlato i convenuti mentre tale
meccanismo   normativo   non   potrebbe  essere  rilevato  d'ufficio.
Conclusivamente,   la   procura   chiede   la  condanna  nei  termini
quantitativi  indicati  nell'atto  introduttivo,  escludendo comunque
qualsiasi riferimento agli ipotetici «vantaggi».
    Con appello incidentale, depositato in segreteria il 1° settembre
2005,  l'avv.  Andrea  Scuderi,  agendo  nell'interesse  di  tutti  i
convenuti,   in   primo   luogo   eccepisce  l'avvenuta  prescrizione
quinquennale  in  quanto il «fatto dannoso» si e' verificato nel 1988
o,  comunque, nel 1989, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 1,
comma  2-ter della legge n. 20/l994, «la prescrizione si compie entro
il 31 dicembre 1998, ovvero nel piu' breve termine dato dal compiersi
del  decennio»  (in  caso  contrario, si violerebbe l'art. 111 Cost.,
nella  nuova  formulazione,  e  la  Convenzione  europea  dei diritti
dell'uomo);  mentre  nel  merito, l'avv. Scuderi afferma che l'azione
sarebbe infondata per la carenza dell'elemento soggettivo in quanto i
convenuti  hanno  agito  secondo  gli  usi  e  le prassi del tempo e,
comunque,  che  l'istanza di finanziamento dell'opera presupponeva la
redazione    e    l'approvazione   del   progetto,   stante   che   -
conseguentemente - mancherebbe, in ogni caso, la colpa grave.
    Il  difensore ritiene che - semmai - il danno e' da ascrivere sia
allo  stralcio (successivo alla decadenza dalla carica dei convenuti)
dell'opera  dal  piano  triennale  delle  opere  pubbliche,  sia alla
delibera  n. 61/2003  del  consiglio  comunale  che ha autorizzato la
transazione  in presenza di un contratto (il disciplinare d'incarico)
nullo  perche' non indicava i mezzi di finanziamento (e viene citata,
giurisprudenza  della  Cassazione,  con  la  conseguenza  che, ove la
sentenza    del    Tribunale    di    Mascalucia    -   di   condanna
dell'Amministrazione   -   fosse  stata  appellata,  sicuramente,  in
appello, ci sarebbe stato un opposto esito).
    In aggiunta, l'avv. Scuderi mette in evidenza, da una parte, che,
nel  caso di specie non era necessario il parere della Soprintendenza
ai  beni  culturali  e  ambientali  in  quanto era stato acquisito il
parere  del  CTAR  (art. 19, comma 5, legge regionale n. 21/1985), e,
dall'altra,  che  il Sindaco Leonardi aveva inoltrato tempestivamente
alla Cassa per il Mezzogiorno istanza di finanziamento, che peraltro,
dopo   una   reiterazione  da  parte  del  Commissario  straordinario
subentrato  nel 1991, fu rigettata. Con riferimento, poi, all'appello
principale, il difensore eccepisce, per un verso, che l'utilitas puo'
essere rilevata d'ufficio (viene citata giurisprudenza), e, per altro
verso,  che  la  legge  chiaramente  si  riferisce  anche ai vantaggi
conseguibili.
    Successivamente,  la  procura  generale  ha  depositato  un  atto
conclusionale  (9 gennaio 2006) di contrasto dell'appello incidenale,
mentre  l'avv. Scuderi deposita due atti difensivi: uno, l'11 gennaio
2006, col quale si produce la deliberazione 29 settembre 2005, n. 57,
del consiglio comunale, contenente il nuovo inserimento nel programma
triennale  dei  lavori per cui e' causa; un altro il 17 gennaio 2006,
di conferma del proprio appello incidentale.
    Inoltre  in  data  1°  marzo  2006,  quattro dei cinque convenuti
(Leonardi,  La  Rosa,  Russo e Coco) hanno presentato una «istanza di
condono  ex  art. 1,  comma  231,  legge  n. 266/2005» con la quale -
«fermo  restando  che  la  presente  istanza  non costituisce affatto
riconoscimento   di  responsabilita'  in  merito  al  presunto  danno
derivante  dai  fatti oggetto di causa» - chiedono la definizione del
processo  col  pagamento  del  10%  della  somma  quantificata  nella
sentenza di condanna.
    Infine,  con  atto  depositato in segreteria il 16 marzo 2006, il
V.P.G.  ha  espresso  il  proprio parere ai sensi dei commi 231 e 232
dell'art. 1  della  legge  n. 266/2005,  chiedendo  -  ove la sezione
accolga  l'istanza  di  condono  presentata  dall'avv.  Scuderi - che
l'addebito  da  porre  a  carico  degli istanti sia determinato nella
misura  del  30%  del  danno  quantificato  in  Euro  23.819,09 nella
sentenza di primo grado.
    Nella  Camera  di  consiglio,  sia  il  V.P.G. che l'avv. Ferrari
confermano le richieste formulate con i rispettivi atti scritti.

                               Diritto

    L'art. 1  della  legge  23 dicembre 2005, n. 266, pone - ai commi
231,  232  e  233  -  i  seguenti  (nuovi)  meccanismi  sostanziali e
processuali  applicabili  nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla
Corte  dei  conti  per i fatti commessi antecedentemente alla data di
entrata  in  vigore  della  legge  stessa:  1)  - «i soggetti nei cui
confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere
alla  competente  sezione di appello, in sede di impugnazione, che il
procedimento  venga  definito  mediante il pagamento di una somma non
inferiore  al  10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno
quantificato  nella  sentenza»;  2)  -  «la  sezione  di appello, con
decreto  in  Camera  di consiglio, sentito il procuratore competente,
delibera  in  merito  alla  richiesta  e,  in  caso  di accoglimento,
determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del
danno  quantificato  nella  sentenza  di  primo  grado, stabilendo il
termine  per  il versamento»; 3) - «il giudizio di appello si intende
definito  a  decorrere  dalla  data  di  deposito  della  ricevuta di
versamento presso la segreteria della sezione di appello».
    Tali  disposizioni,  in  sostanza,  introducono,  nella  fase  di
appello,   un   procedimento   camerale   diretto   alla  definizione
«agevolata»  del  giudizio  di  responsabilita'  innanzi la Corte dei
conti;  ma  la  sezione  dubita della legittimita' costituzionale del
complesso di tali disposizioni, per violazione degli artt. 3, 24, 97,
101, 103 e 111 della Costituzione.
    Il   ragionamento   della  sezione  prende  le  mosse  da  quella
gurisprudenza  costituzionale  (fra  le  altre,  sentenze n. 68/1971,
n. 63/1973  e  n. 1032/1988)  in base alla quale la concreta garanzia
dei  principi  costituzionali di eguaglianza, di buon andamento e del
controllo   contabile   sia   sostanzialmente   affidata  alla  legge
ordinaria,   nel   senso   che   sono   riservate   al  discrezionale
apprezzamento  del  legislatore  non  solo  la  determinazione  e  la
graduazione  dei  tipi  e  dei  limiti  di  responsabilita'  che - in
relazione   alle  varie  categorie  di  dipendenti  pubblici  o  alle
particolari  situazioni regolate - appaiono come le forme piu' idonee
a   garantire   l'attuazione  dei  predetti  principi  costituzionali
(sentenza   n. 411/1988   e  ordinanza  n. 549/1988,  nonche'  -  con
riferimento  all'art. 28  Cost. - le sentenze n. 2/1968, n. 123/1972,
n. 164/1982  e  n. 26/1987), ma anche la possibilita' di stabilire un
limite  patrimoniale  della  responsabilita' amministrativa (sentenza
n. 340/2001).
    Cio'  sta  a  significare,  in definitiva, da una parte, che, per
quanto  non  sia  possibile trarre da taluni parametri costituzionali
(in  particolare,  artt. 97  e  103,  comma  2 Cost.) un principio di
inderogabilita'  delle  comuni regole, della responsabilita', si puo'
tuttavia  ricavare  dagli stessi parametri la regola secondo la quale
la  discrezionalita' del legislatore, per essere considerata corretta
nel suo esercizio, deve determinare e graduare, caso per caso, i tipi
e   i  limiti  della  responsabilita'  in  riferimento  alle  diverse
categorie  di dipendenti pubblici e alle diverse situazioni concrete,
fissando,  per  ciascuna  di esse, le forme piu' idonee a garantire i
principi  del  buon  andamento  e  del  controllo contabile (sentenza
n. 371/1998); e, dall'altra, che, in sede di giudizio di legittimita'
costituzionale,   le   leggi  disciplinanti  la  responsabilita'  dei
pubblici  dipendenti  sono  sindacabili,  in riferimento ai parametri
invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina
adottata   e   delle   diversita'  introdotte  (cioe',  in  relazione
all'art. 3 Cost.).
    Conseguentemente,   pur   non   potendosi  negare,  in  linea  di
principio,  la  possibilita' di un intervento legislativo del tipo di
quello  esaminato  in  questa sede, e' tuttavia pur sempre necessario
che   l'intervento   stesso   sia  strettamente  (e  ragionevolmente)
collegato  alle  specifiche  peculiarita'  del  caso  in modo tale da
escludere  qualsiasi  ipotesi  di arbitrio nella fase di sostituzione
della  disciplina  generale  con  una (successiva) eccezionale (Corte
cost.,  sentenza  n. 14/1999, e altre precedenti ivi citate) sotto il
profilo tanto del rispetto del principio di eguaglianza, quanto della
tutela  del  buon  andamento  e  della  salvaguardia  della  funzione
giurisdizionale   da   indebite  interferenze  da  parte  del  potere
legislativo.  Senonche', rispetto alle norme di cui si sta trattando,
appare  alquanto  problematica  l'individuazione  della  ratio che le
sorregge,  che  non  sia  quella  - puramente e semplicemente - della
limitazione  del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in
primo  grado,  circostanza  che,  proprio  per  questo,  caratterizza
l'innovazione    normativa    per   la   sua   irrazionalita'   e   -
conseguentemente - per la sua arbitrarieta'.
    In  merito,  potrebbe  essere utile richiamare due esempi, tratti
dalla  normativa che - pur eventualmente «criticabili» sul piano lato
sensu  «politico» - presentano una ratio che consente di superare sul
piano  giuridico,  i  dubbi  di  irrazionalita' e arbitrarieta': uno,
concerne  il c.d. «condono fiscale» che, pur attivabile «dinanzi alle
commissioni  tributarie  od  al  giudice  ordinario in ogni grado del
giudizio  e  anche  a  seguito di rinvio (da ultimo, art. 16 legge 27
dicembre 2002, n. 289), e' chiaramente finalizzato all'incremento - e
in  termini  brevi  -  delle entrate fiscali oltre a deflazionare, in
qualche  misura,  il contenzioso tributario; un altro, concernente la
«applicazione  della  pena  su richiesta delle parti» (ai sensi degli
artt.  444  e  segg. cod. proc. pen.), che, potendo essere richiesta,
nel  giudizio ordinario, fino alla presentazione delle conclusioni di
cui,  agli  artt. 421, comma 3, e 422 comma 3 (e, in caso di giudizio
direttissimo,  fino alla dichiarazione di apertura di dibattimento di
primo  grado), e' chiaramente finalizzata a deflazionare il carico di
lavoro del giudice penale per i reati meno rilevanti e, al contempo a
limitare  drasticamente  le  pene  detentive  e  quindi  limitare gli
accessi alle carceri, notoriamente superaffollate.
    Conseguentemente,  raffrontando  le citate situazioni con il caso
che  interessa  in  questa  sede,  a  giudizio della sezione appaiono
violati     gli     artt. 97    (principio    di    buon    andamento
dell'amministrazione  pubblica)  e  103,  comma  2,  Cost. (controllo
contabile) stante che le norme sottoposte a scrutinio costituzionale,
da   una   parte,  non  incidono  minimamente  (in  senso  riduttivo)
sull'entita'  del  contenzioso  contabile  (considerato  che le norme
stesse  operano  esclusivamente in sede di appello, nel cui ambito il
sostituire  una  pubblica  udienza  con una camera di consiglio e una
sentenza  con  un  decreto  e'  sicuramente  di  piccolo momento), e,
dall'altra,  che  producono  (quasi  sicuramente,  facendo astrazione
ovviamente dall'ipotesi di condanna in sede di appello ordinario) una
minore  entrata  (fra  il  90  per  cento e il 70 per cento del danno
quantificato  nella sentenza di primo grado), per cui rimane soltanto
l'irrazionale  e  incongruo  «effetto  premiale»  (nei  confronti del
convenuto  condannato),  che,  in  quanto tale, si appalesa del tutto
ingiustificato.
    D'altra   parte,   la   sezione   ritiene   che   tali  parametri
costituzionali  siano violati anche sotto un altro profilo. Infatti -
premesso che nel sistema vigente l'attenuazione della responsabilita'
amministrativo-contabile  e'  rimessa,  nei  singoli  casi, al potere
riduttivo   del   giudice,   che,  a  tal  fine,  puo'  tenere  conto
(fondamentalmente)    del    comportamento    e    del   livello   di
responsabilita',  ma  anche  delle  capacita' economiche del soggetto
responsabile  -,  appare  assolutamente  irragionevole  (e, in questo
senso,   viene   implicato   anche   l'art. 3  Cost.)  una  riduzione
predeterminata  e pressoche' automatica della responsabilita' e della
misura  del risarcimento, lasciando al giudice una valutazione minima
in   ordine   al   comportamento   complessivo   dell'agente   (Corte
costituzionale,  sentenza  n. 340/2001); con la ulteriore conseguenza
che  il complesso normativo esaminato potrebbe incidere (limitandolo)
sul  principio del «libero convincimento del giudice», violando cosi'
l'art. 101  Cost.,  limitandolo anche nel senso che l'inciso «in caso
di  accoglimento» della richiesta del soggtto condannato (comma 232),
non  contenendo  alcun  criterio  di  orientamento  per  il  giudice,
comporta  -  in  conclusione  e  in sostanza - l'assenza di qualsiasi
«discrezionalita»  nell'an  (per  cui  il procedimento, in certo qual
modo, diventa «obbligatorio»).
    A  sua  volta,  il  principio di eguaglianza appare ulteriormente
violato nella considerazione che la normativa e' applicabile soltanto
ai  «soggetti  nei  cui  confronti  sia stata pronunciata sentenza di
condanna»,  con  la  conseguenza  che la situazione concreta potrebbe
rilevarsi  negativa  nei confronti dei soggetti che risultino assolti
in  primo  grado  nel  senso che la relativa sentenza potrebbe essere
appellata  dal  pubblico  ministero  e  che  la  sentenza  di appello
potrebbe  essere di condanna, senza che il convenuto possa fruire dei
vantaggi nella norma «di condono».
    E'  ben  vero  che,  nella  specie, si e' in presenza di soggetti
condannati  in  primo  grado, con la consguenza che la prospettazione
che  precede  potrebbe  apparire  non  rilevante,  ma,  nell'economia
complessiva   della   normativa,   appare  comunque  irrazionale  una
previsione  legislativa che esclude dai benefici quei soggetti la cui
posizione - dopo la sentenza di primo grado - appare chiaramente meno
«pesante»  di  quella  dei convenuti condannati; mentre difficilmente
potrebbe  pervenirsi  ad  una interpretazione «adeguatrice», non solo
perche',   in  tale  caso,  dovrebbe  superarsi  la  «lettera»  della
«condanna»  in  primo grado, ma anche perche' si dovrebbe «creare» il
criterio  al  quale  correlare le percentuali del 10, del 20 o del 30
previste dalla legge.
    Appare violato anche l'art. 24 Cost. (in particolare, il comma 2:
«La  difesa  e'  diritto  inviolabile  in  ogni  stato  e  grado  del
procedimento»)  nella  parte  in  cui il pubblico ministero presso la
Corte  dei  conti viene evocato nel solo comma 232 e solo per «essere
sentito»  in  Camera  di  consiglio quando la sezione di appello deve
deliberare  «in  merito  alla  richiesta»; infatti, per tale funzione
limitata  e  marginale  (che  si  sostanzia  nell'espressione  di  un
«parere»), del pubblico ministero, il procedimento regolato dai commi
231-233    dell'art. 1    della   legge   n. 266/2005   non   assume,
sostanzialmente  carattere bilaterale, per cui la funzione di «parte»
del  pubblico  ministero  contabile  (nell'ottica - anche del «giusto
processo»   -   dell'art. 111   Cost.)  viene,  nella  specie,  quasi
pretermessa  (con  la  conseguenza  - fra l'altro - che, in tal modo,
vengono  pesantemente  compressi  i  diritti  e  gli  interessi della
pubblica   amministrazione,   dei  quali  il  pubblico  ministero  e'
chiaramente     portatore,     in    uno    all'interesse    generale
dell'Ordinamento).
    Le  questioni  di  legittimita' costituzionale che precedono, non
superabili  in  via interpretativa, sono non manifestamente infondate
per i motivi che precedono e rilevanti in quanto le norme denunciate,
ove  venissero  dichiarate  incostituzionali,  non  potrebbero essere
applicabili  nel presente giudizio, che proseguirebbe secondo il rito
ordinario.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, commi 231, 232 e 233 della
legge  23  dicembre  2005, n. 266, in relazione agli artt. 3, 24, 97,
101, 103 e 111 della Costituzione.
    Ordina   l'immediata   trasmissione  degli  atti,  a  cura  della
segreteria,  alla  Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente
il    processo   fino   all'esito   del   giudizio   incidentale   di
costituzionalita'.
    Dispone  che,  a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e
sia  comunicata  ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato
della Repubblica.
    Cosi'  provveduto  in  Palermo,  nella Camera di consiglio del 21
marzo 2006.
                   Il presidente estensore: Cilia
06C0806