N. 353 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 giugno 2006
Ordinanza emessa il 13 giugno 2006 dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana - sull'appello proposto dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana contro Leonardi Alfio ed altri. Corte dei conti - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Possibilita' di chiedere, in sede di appello, la definizione del giudizio mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale - Violazione del principio di separazione del potere legislativo dal potere giudiziario. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 231. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103. Corte dei conti - Giudizio di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Giudizio di impugnazione - Possibilita' della sezione di appello della Corte dei conti, in caso di accoglimento della richiesta di riduzione del danno, di determinare la riduzione della somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 232. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103. Corte dei conti - Giudizi di responsabilita' - Soggetti condannati per fatti commessi prima dell'entrata in vigore della legge censurata - Fase di appello - Previsione che il giudizio si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello della somma dovuta dal condannato - Irrazionalita' - Violazione del principio di buon andamento della pubblica amministrazione - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 233. - Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103.(GU n.40 del 4-10-2006 )
LA CORTE DEI CONTI Ha emesso la seguente ordinanza n. 37/A/2006/ORD., nel giudizio in materia di responsabilita' iscritto al n. 1725/A/RESP del registro di segreteria e promosso dalla procura regionale avverso la sentenza n. 1258/2005 della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana. Visti gli atti e i documenti di causa; Uditi, nella Camera di consiglio del 21 marzo 2006, il relatore, consigliere Salvatore Cilia, il Vice Procuratore Generale Salvatore Marcinno' e l'avv. Giacomo Ferrari per delega dell'avv. Andrea Scuderi nell'interesse dei sig. ri Alfio Leonardi, Leonardo La Rosa, Angelo Russo e Giuseppe Coco. Fatto Con atto di citazione depositato in segreteria il 5 gennaio 2005, la procura regionale ha convenuto in giudizio i sig. ri Alfio Leonardi, Leonardo La Rosa, Angelo Russo, Salvatore Rosano e Giuseppe Coco (il primo, sindaco, e gli altri, assessori, della G.M. di Zafferana Etnea all'epoca dei fatti) a risarcire in favore di tale comune il danno patrimoniale di Euro 47.638,18 (di cui Euro 15.638,18 a carico del Leonardi e di Euro 8.000,00 a carico di ciascuno degli altri quattro convenuti) per l'aggravio di spese sopportato dal comune stesso in conseguenza del pagamento di un debito fuori bilancio per la maggior somma di Euro 71.276,18, compresi accessori, dovuta a titolo corrispettivo ai liberi professionisti Sebastiano Ascenzio e Antonio Musumeci per la progettazione dei lavori di «razionalizzazione del sistema di illuminazione pubblica comunale», determinata - dopo una sentenza civile favorevole ai progettisti - con atto di transazione. Assume il p.m. che, poiche' la delibera n. 494/1988 della G.M. di conferimento dell'incarico di progettazione disponeva che per il pagamento delle competenze tecniche di progettazione si sarebbe fatto fronte «con le somme all'uopo previste nel progetto» e che tale previsione costituiva, in definitiva, una sostanziale carenza nella indicazione dei mezzi di finanziamento, il meccanismo utilizzato ha costituito uno dei motivi del mancato pagamento degli onorari (in aggiunta al fatto che, in concreto, il progetto non ha ottenuto il necessario finanziamento e all'ulteriore fatto che, successivamente, l'opera e' stata eliminata dal programma triennale delle opere pubbliche). Con la sentenza n. 1258/2005, la sezione giurisdizionale - dopo avere rigettato l'eccezione di prescrizione in quanto, essendosi in presenza di un danno indiretto, il dies a quo coincide con l'esecutivita' dell'atto di transazione - riconosce che ci siano tutti i presupposti della responsabilita' dei convenuti (danno patrimoniale, colpa grave, nesso di causalita), con la conseguenza della loro, peraltro al 50% della somma quantificata dalla procura regionale in relazione ai vantaggi comunque conseguibili dal comune in quanto il progetto e' stato effettivamente aquisito dallo stesso. Con atto di appello, depositato in segreteria il 5 luglio 2005, la procura regionale eccepisce violazione dell'art. 1-bis della legge n. 20/1994 nel senso che tale norma non evoca «vantaggi» eventuali e potenziali ma concreti e operativi («vantaggi comunque conseguiti»: verbo al participio passato), e che in ogni caso, il progetto era inutile fin dall'inizio in quanto sprovvisto del necessario nulla-osta paesaggistico, tenendo conto - oltre tutto - che di evenuali «vantaggi» non hanno mai parlato i convenuti mentre tale meccanismo normativo non potrebbe essere rilevato d'ufficio. Conclusivamente, la procura chiede la condanna nei termini quantitativi indicati nell'atto introduttivo, escludendo comunque qualsiasi riferimento agli ipotetici «vantaggi». Con appello incidentale, depositato in segreteria il 1° settembre 2005, l'avv. Andrea Scuderi, agendo nell'interesse di tutti i convenuti, in primo luogo eccepisce l'avvenuta prescrizione quinquennale in quanto il «fatto dannoso» si e' verificato nel 1988 o, comunque, nel 1989, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 1, comma 2-ter della legge n. 20/l994, «la prescrizione si compie entro il 31 dicembre 1998, ovvero nel piu' breve termine dato dal compiersi del decennio» (in caso contrario, si violerebbe l'art. 111 Cost., nella nuova formulazione, e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo); mentre nel merito, l'avv. Scuderi afferma che l'azione sarebbe infondata per la carenza dell'elemento soggettivo in quanto i convenuti hanno agito secondo gli usi e le prassi del tempo e, comunque, che l'istanza di finanziamento dell'opera presupponeva la redazione e l'approvazione del progetto, stante che - conseguentemente - mancherebbe, in ogni caso, la colpa grave. Il difensore ritiene che - semmai - il danno e' da ascrivere sia allo stralcio (successivo alla decadenza dalla carica dei convenuti) dell'opera dal piano triennale delle opere pubbliche, sia alla delibera n. 61/2003 del consiglio comunale che ha autorizzato la transazione in presenza di un contratto (il disciplinare d'incarico) nullo perche' non indicava i mezzi di finanziamento (e viene citata, giurisprudenza della Cassazione, con la conseguenza che, ove la sentenza del Tribunale di Mascalucia - di condanna dell'Amministrazione - fosse stata appellata, sicuramente, in appello, ci sarebbe stato un opposto esito). In aggiunta, l'avv. Scuderi mette in evidenza, da una parte, che, nel caso di specie non era necessario il parere della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali in quanto era stato acquisito il parere del CTAR (art. 19, comma 5, legge regionale n. 21/1985), e, dall'altra, che il Sindaco Leonardi aveva inoltrato tempestivamente alla Cassa per il Mezzogiorno istanza di finanziamento, che peraltro, dopo una reiterazione da parte del Commissario straordinario subentrato nel 1991, fu rigettata. Con riferimento, poi, all'appello principale, il difensore eccepisce, per un verso, che l'utilitas puo' essere rilevata d'ufficio (viene citata giurisprudenza), e, per altro verso, che la legge chiaramente si riferisce anche ai vantaggi conseguibili. Successivamente, la procura generale ha depositato un atto conclusionale (9 gennaio 2006) di contrasto dell'appello incidenale, mentre l'avv. Scuderi deposita due atti difensivi: uno, l'11 gennaio 2006, col quale si produce la deliberazione 29 settembre 2005, n. 57, del consiglio comunale, contenente il nuovo inserimento nel programma triennale dei lavori per cui e' causa; un altro il 17 gennaio 2006, di conferma del proprio appello incidentale. Inoltre in data 1° marzo 2006, quattro dei cinque convenuti (Leonardi, La Rosa, Russo e Coco) hanno presentato una «istanza di condono ex art. 1, comma 231, legge n. 266/2005» con la quale - «fermo restando che la presente istanza non costituisce affatto riconoscimento di responsabilita' in merito al presunto danno derivante dai fatti oggetto di causa» - chiedono la definizione del processo col pagamento del 10% della somma quantificata nella sentenza di condanna. Infine, con atto depositato in segreteria il 16 marzo 2006, il V.P.G. ha espresso il proprio parere ai sensi dei commi 231 e 232 dell'art. 1 della legge n. 266/2005, chiedendo - ove la sezione accolga l'istanza di condono presentata dall'avv. Scuderi - che l'addebito da porre a carico degli istanti sia determinato nella misura del 30% del danno quantificato in Euro 23.819,09 nella sentenza di primo grado. Nella Camera di consiglio, sia il V.P.G. che l'avv. Ferrari confermano le richieste formulate con i rispettivi atti scritti. Diritto L'art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, pone - ai commi 231, 232 e 233 - i seguenti (nuovi) meccanismi sostanziali e processuali applicabili nei giudizi di responsabilita' dinanzi alla Corte dei conti per i fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge stessa: 1) - «i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza»; 2) - «la sezione di appello, con decreto in Camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento»; 3) - «il giudizio di appello si intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello». Tali disposizioni, in sostanza, introducono, nella fase di appello, un procedimento camerale diretto alla definizione «agevolata» del giudizio di responsabilita' innanzi la Corte dei conti; ma la sezione dubita della legittimita' costituzionale del complesso di tali disposizioni, per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111 della Costituzione. Il ragionamento della sezione prende le mosse da quella gurisprudenza costituzionale (fra le altre, sentenze n. 68/1971, n. 63/1973 e n. 1032/1988) in base alla quale la concreta garanzia dei principi costituzionali di eguaglianza, di buon andamento e del controllo contabile sia sostanzialmente affidata alla legge ordinaria, nel senso che sono riservate al discrezionale apprezzamento del legislatore non solo la determinazione e la graduazione dei tipi e dei limiti di responsabilita' che - in relazione alle varie categorie di dipendenti pubblici o alle particolari situazioni regolate - appaiono come le forme piu' idonee a garantire l'attuazione dei predetti principi costituzionali (sentenza n. 411/1988 e ordinanza n. 549/1988, nonche' - con riferimento all'art. 28 Cost. - le sentenze n. 2/1968, n. 123/1972, n. 164/1982 e n. 26/1987), ma anche la possibilita' di stabilire un limite patrimoniale della responsabilita' amministrativa (sentenza n. 340/2001). Cio' sta a significare, in definitiva, da una parte, che, per quanto non sia possibile trarre da taluni parametri costituzionali (in particolare, artt. 97 e 103, comma 2 Cost.) un principio di inderogabilita' delle comuni regole, della responsabilita', si puo' tuttavia ricavare dagli stessi parametri la regola secondo la quale la discrezionalita' del legislatore, per essere considerata corretta nel suo esercizio, deve determinare e graduare, caso per caso, i tipi e i limiti della responsabilita' in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici e alle diverse situazioni concrete, fissando, per ciascuna di esse, le forme piu' idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile (sentenza n. 371/1998); e, dall'altra, che, in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, le leggi disciplinanti la responsabilita' dei pubblici dipendenti sono sindacabili, in riferimento ai parametri invocati, solo sotto il profilo della ragionevolezza della disciplina adottata e delle diversita' introdotte (cioe', in relazione all'art. 3 Cost.). Conseguentemente, pur non potendosi negare, in linea di principio, la possibilita' di un intervento legislativo del tipo di quello esaminato in questa sede, e' tuttavia pur sempre necessario che l'intervento stesso sia strettamente (e ragionevolmente) collegato alle specifiche peculiarita' del caso in modo tale da escludere qualsiasi ipotesi di arbitrio nella fase di sostituzione della disciplina generale con una (successiva) eccezionale (Corte cost., sentenza n. 14/1999, e altre precedenti ivi citate) sotto il profilo tanto del rispetto del principio di eguaglianza, quanto della tutela del buon andamento e della salvaguardia della funzione giurisdizionale da indebite interferenze da parte del potere legislativo. Senonche', rispetto alle norme di cui si sta trattando, appare alquanto problematica l'individuazione della ratio che le sorregge, che non sia quella - puramente e semplicemente - della limitazione del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in primo grado, circostanza che, proprio per questo, caratterizza l'innovazione normativa per la sua irrazionalita' e - conseguentemente - per la sua arbitrarieta'. In merito, potrebbe essere utile richiamare due esempi, tratti dalla normativa che - pur eventualmente «criticabili» sul piano lato sensu «politico» - presentano una ratio che consente di superare sul piano giuridico, i dubbi di irrazionalita' e arbitrarieta': uno, concerne il c.d. «condono fiscale» che, pur attivabile «dinanzi alle commissioni tributarie od al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio (da ultimo, art. 16 legge 27 dicembre 2002, n. 289), e' chiaramente finalizzato all'incremento - e in termini brevi - delle entrate fiscali oltre a deflazionare, in qualche misura, il contenzioso tributario; un altro, concernente la «applicazione della pena su richiesta delle parti» (ai sensi degli artt. 444 e segg. cod. proc. pen.), che, potendo essere richiesta, nel giudizio ordinario, fino alla presentazione delle conclusioni di cui, agli artt. 421, comma 3, e 422 comma 3 (e, in caso di giudizio direttissimo, fino alla dichiarazione di apertura di dibattimento di primo grado), e' chiaramente finalizzata a deflazionare il carico di lavoro del giudice penale per i reati meno rilevanti e, al contempo a limitare drasticamente le pene detentive e quindi limitare gli accessi alle carceri, notoriamente superaffollate. Conseguentemente, raffrontando le citate situazioni con il caso che interessa in questa sede, a giudizio della sezione appaiono violati gli artt. 97 (principio di buon andamento dell'amministrazione pubblica) e 103, comma 2, Cost. (controllo contabile) stante che le norme sottoposte a scrutinio costituzionale, da una parte, non incidono minimamente (in senso riduttivo) sull'entita' del contenzioso contabile (considerato che le norme stesse operano esclusivamente in sede di appello, nel cui ambito il sostituire una pubblica udienza con una camera di consiglio e una sentenza con un decreto e' sicuramente di piccolo momento), e, dall'altra, che producono (quasi sicuramente, facendo astrazione ovviamente dall'ipotesi di condanna in sede di appello ordinario) una minore entrata (fra il 90 per cento e il 70 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado), per cui rimane soltanto l'irrazionale e incongruo «effetto premiale» (nei confronti del convenuto condannato), che, in quanto tale, si appalesa del tutto ingiustificato. D'altra parte, la sezione ritiene che tali parametri costituzionali siano violati anche sotto un altro profilo. Infatti - premesso che nel sistema vigente l'attenuazione della responsabilita' amministrativo-contabile e' rimessa, nei singoli casi, al potere riduttivo del giudice, che, a tal fine, puo' tenere conto (fondamentalmente) del comportamento e del livello di responsabilita', ma anche delle capacita' economiche del soggetto responsabile -, appare assolutamente irragionevole (e, in questo senso, viene implicato anche l'art. 3 Cost.) una riduzione predeterminata e pressoche' automatica della responsabilita' e della misura del risarcimento, lasciando al giudice una valutazione minima in ordine al comportamento complessivo dell'agente (Corte costituzionale, sentenza n. 340/2001); con la ulteriore conseguenza che il complesso normativo esaminato potrebbe incidere (limitandolo) sul principio del «libero convincimento del giudice», violando cosi' l'art. 101 Cost., limitandolo anche nel senso che l'inciso «in caso di accoglimento» della richiesta del soggtto condannato (comma 232), non contenendo alcun criterio di orientamento per il giudice, comporta - in conclusione e in sostanza - l'assenza di qualsiasi «discrezionalita» nell'an (per cui il procedimento, in certo qual modo, diventa «obbligatorio»). A sua volta, il principio di eguaglianza appare ulteriormente violato nella considerazione che la normativa e' applicabile soltanto ai «soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna», con la conseguenza che la situazione concreta potrebbe rilevarsi negativa nei confronti dei soggetti che risultino assolti in primo grado nel senso che la relativa sentenza potrebbe essere appellata dal pubblico ministero e che la sentenza di appello potrebbe essere di condanna, senza che il convenuto possa fruire dei vantaggi nella norma «di condono». E' ben vero che, nella specie, si e' in presenza di soggetti condannati in primo grado, con la consguenza che la prospettazione che precede potrebbe apparire non rilevante, ma, nell'economia complessiva della normativa, appare comunque irrazionale una previsione legislativa che esclude dai benefici quei soggetti la cui posizione - dopo la sentenza di primo grado - appare chiaramente meno «pesante» di quella dei convenuti condannati; mentre difficilmente potrebbe pervenirsi ad una interpretazione «adeguatrice», non solo perche', in tale caso, dovrebbe superarsi la «lettera» della «condanna» in primo grado, ma anche perche' si dovrebbe «creare» il criterio al quale correlare le percentuali del 10, del 20 o del 30 previste dalla legge. Appare violato anche l'art. 24 Cost. (in particolare, il comma 2: «La difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento») nella parte in cui il pubblico ministero presso la Corte dei conti viene evocato nel solo comma 232 e solo per «essere sentito» in Camera di consiglio quando la sezione di appello deve deliberare «in merito alla richiesta»; infatti, per tale funzione limitata e marginale (che si sostanzia nell'espressione di un «parere»), del pubblico ministero, il procedimento regolato dai commi 231-233 dell'art. 1 della legge n. 266/2005 non assume, sostanzialmente carattere bilaterale, per cui la funzione di «parte» del pubblico ministero contabile (nell'ottica - anche del «giusto processo» - dell'art. 111 Cost.) viene, nella specie, quasi pretermessa (con la conseguenza - fra l'altro - che, in tal modo, vengono pesantemente compressi i diritti e gli interessi della pubblica amministrazione, dei quali il pubblico ministero e' chiaramente portatore, in uno all'interesse generale dell'Ordinamento). Le questioni di legittimita' costituzionale che precedono, non superabili in via interpretativa, sono non manifestamente infondate per i motivi che precedono e rilevanti in quanto le norme denunciate, ove venissero dichiarate incostituzionali, non potrebbero essere applicabili nel presente giudizio, che proseguirebbe secondo il rito ordinario.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in relazione agli artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111 della Costituzione. Ordina l'immediata trasmissione degli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale, sospendendo conseguentemente il processo fino all'esito del giudizio incidentale di costituzionalita'. Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' provveduto in Palermo, nella Camera di consiglio del 21 marzo 2006. Il presidente estensore: Cilia 06C0806