N. 103 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 11 ottobre 2006

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria l'11 ottobre 2006 (della Regione Veneto)

Professioni  -  Abolizione  dell'obbligatorieta'  di  tariffe fisse o
  minime,   del   divieto   di   pattuire   compensi  parametrati  al
  raggiungimento  degli obiettivi perseguiti, del divieto di svolgere
  pubblicita'  informativa  circa  i  titoli  e  le  specializzazioni
  professionali,  il  servizio,  il  prezzo e i costi, del divieto di
  fornire servizi interdisciplinari da parte di societa' di persone o
  associazioni  tra  professionisti  - Ricorso della Regione Veneto -
  Lamentata  introduzione  di  norme  statali  di minuto dettaglio ed
  autoapplicative   in   un  ambito  di  legislazione  concorrente  -
  Denunciata  violazione dell'autonomia legislativa, amministrativa e
  finanziaria    regionale,    nonche'   del   principio   di   leale
  collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 2, commi 1, 2-bis e 3.
- Costituzione, artt. 114 e 117, comma terzo.
Commercio  -  Abolizione dell'iscrizione a registri abilitanti ovvero
  del  possesso di requisiti professionali soggettivi per l'esercizio
  di  attivita'  commerciali,  del  rispetto  di  distanze minime tra
  attivita'  della  stessa  tipologia, delle limitazioni quantitative
  all'assortimento  merceologico,  del  rispetto di limiti riferiti a
  quote  di  mercato, dei divieti ad effettuare vendite promozionali,
  del  divieto  di  consumo  immediato  dei prodotti di gastronomia -
  Ricorso  della  Regione Veneto - Ritenuta improprieta' del richiamo
  alla  «tutela della concorrenza» e alla «determinazione dei livelli
  essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
  che  devono  essere  garantiti  su tutto il territorio nazionale» -
  Lamentato  intervento normativo statale nella materia del commercio
  riservata  alla  potesta'  legislativa  esclusiva  delle  Regioni -
  Denunciata  violazione dell'autonomia legislativa, amministrativa e
  finanziaria    regionale,    nonche'   del   principio   di   leale
  collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 3.
- Costituzione, artt. 114, 117, comma quarto, e 118.
Commercio  -  Distribuzione  dei farmaci - Vendita al pubblico presso
  esercizi  commerciali diversi dalle farmacie dei farmaci da banco o
  di automedicazione e dei farmaci non soggetti a prescrizione medica
  - Disciplina e modalita' - Ricorso della Regione Veneto - Lamentata
  introduzione  di  norme statali di mero dettaglio nell'ambito della
  materia  del  «commercio» riservata alla competenza residuale delle
  Regioni  ovvero  della  materia  della  «tutela  della  salute»  di
  competenza   concorrente  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia
  legislativa,  amministrativa  e  finanziaria regionale, nonche' del
  principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 5, commi 1 e 2.
- Costituzione, artt. 114 e 117, commi terzo e quarto.
Trasporto  pubblico  - Trasporto pubblico locale - Servizio di taxi -
  Turnazioni  integrative,  concorsi  straordinari per il rilascio di
  nuove  licenze,  autorizzazioni  temporali  o  stagionali,  servizi
  sperimentali,  tariffe  predeterminate  per percorsi prestabiliti -
  Ricorso  della  Regione Veneto - Ritenuta improprieta' del richiamo
  alla  «tutela della concorrenza» - Lamentata interferenza in ambito
  di  competenza  residuale  delle  Regioni  -  Denunciata violazione
  dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale,
  nonche'   dei  principi  di  leale  collaborazione,  adeguatezza  e
  proporzionalita'.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 6.
- Costituzione, artt. 114, 117 e 118.
Trasporto  pubblico  - Trasporto pubblico locale in ambito comunale e
  intercomunale - Liberalizzazione con possibilita' di svolgimento da
  parte di soggetti in possesso dei requisiti tecnico-professionali -
  Ricorso  della  Regione Veneto - Ritenuta improprieta' del richiamo
  alla  «tutela della concorrenza» - Lamentata interferenza in ambito
  di  competenza  residuale  delle  Regioni  -  Denunciata violazione
  dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale,
  nonche'   dei  principi  di  leale  collaborazione,  adeguatezza  e
  proporzionalita'.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 12, comma 1.
- Costituzione, artt. 114, 117 e 118.
Partecipazioni  pubbliche  -  Societa'  a  capitale  pubblico o misto
  costituite  o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali
  o  locali per la produzione di beni e servizi strumentali - Obbligo
  di  operare  esclusivamente  con  gli  enti  pubblici costituenti o
  partecipanti  e correlativo divieto di operare nel libero mercato -
  Ricorso  della  Regione  Veneto  - Lamentata adozione di disciplina
  puntuale   e   di  estremo  dettaglio  -  Denunciata  irragionevole
  compressione,   con   violazione   dei  criteri  di  adeguatezza  e
  proporzionalita',   dell'autonomia  legislativa,  amministrativa  e
  organizzativa  della  Regione,  violazione  del  principio di leale
  collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 13.
- Costituzione, artt. 114, 117, 118 e 120.
Assistenza  -  Politiche  sociali  -  Istituzione  di  fondi  per  le
  politiche  della  famiglia,  per  le  politiche  giovanili e per le
  politiche  relative  ai  diritti e alle pari opportunita' - Ricorso
  della   Regione  Veneto  -  Lamentata  interferenza  in  ambito  di
  competenza  residuale delle Regioni, previsione di fondi settoriali
  anziche'   trasferimenti   di   risorse   -  Denunciata  violazione
  dell'autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria regionale.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 19.
- Costituzione, artt. 114 e 117, comma quarto.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  - Enti ed organismi pubblici non
  territoriali  - Riduzione nella misura del 10 per cento delle spese
  di  funzionamento  relative all'anno 2006, nonche' nella misura del
  20  per  cento  di  quelle  iniziali dell'anno 2006 per il triennio
  2007-2009 - Ricorso della Regione Veneto - Lamentata incidenza, con
  vincoli  di  spesa  puntuali,  sugli enti pubblici non territoriali
  regionali  - Denunciata esorbitanza dello Stato dai limiti alla sua
  competenza  in  materia  di «coordinamento della finanza pubblica»,
  lesione   dell'autonomia   finanziaria   di  spesa  della  Regione,
  violazione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 22.
- Costituzione, artt. 114, 117, comma terzo, 119 e 120.
Bilancio  e  contabilita'  pubblica  -  Regola del contenimento delle
  spese  da parte degli enti inseriti nel conto economico consolidato
  delle  pubbliche  amministrazioni  -  Controlli  e  sanzioni per il
  mancato rispetto - Obbligo per gli enti che non ricevono contributi
  statali  di versare le eccedenze di spesa risultanti dai consuntivi
  degli anni 2005, 2006 e 2007 all'entrata del bilancio dello Stato -
  Ricorso  della  Regione  Veneto - Denunciata irragionevolezza di un
  obbligo  imposto indistintamente agli enti sia che abbiano ricevuto
  contributi  statali  sia  che  non li abbiano ricevuti - Denunciata
  lesione  della  sfera  di  autonomia  finanziaria e contabile delle
  Regioni  e  degli  enti  locali,  lesione  del  principio  di  buon
  andamento  dell'azione  amministrativa, violazione del principio di
  leale collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 26.
- Costituzione, artt. 3, 97, 114, 117, 118, 119 e 120.
Bilancio   e   contabilita'   pubblica   -  Riduzione  rispetto  alla
  finanziaria  per  il  2006  del  limite  di spesa annua per studi e
  incarichi di consulenza, per relazioni pubbliche, convegni, mostre,
  pubblicita'   e   di   rappresentanza   sostenute   dalla  pubblica
  amministrazione   -   Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Lamentata
  incidenza, con vincoli di spesa puntuali, sui bilanci di Regioni ed
  enti  locali  -  Denunciata esorbitanza dello Stato dai limiti alla
  sua   competenza   in   materia  di  «coordinamento  della  finanza
  pubblica»,   lesione  dell'autonomia  finanziaria  di  spesa  della
  Regione, violazione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 27.
- Costituzione, artt. 114, 117, comma terzo, 119 e 120.
Bilancio  e contabilita' pubblica - Norme di contenimento della spesa
  per  commissioni,  comitati  ed  organismi  - Applicabilita', quali
  disposizioni  di  principio ai fini del coordinamento della finanza
  pubblica,  alle Regioni, province autonome, enti locali ed enti del
  Servizio  sanitario  nazionale  -  Ricorso  della  Regione Veneto -
  Lamentata   natura  di  disposizioni  puntuali  contenenti  vincoli
  precisi alla spesa e inidonee a svolgere la funzione di principio -
  Denunciata  lesione  dell'autonomia finanziaria e di organizzazione
  delle  Regioni  e  degli  enti  locali, violazione del principio di
  leale collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 29.
- Costituzione, artt. 114, 117, 118, 119 e 120.
Amministrazione  pubblica  -  Divieto  di  assunzioni di personale, a
  qualsiasi titolo, nel caso di mancato conseguimento degli obiettivi
  di   risparmio   di   spesa  previsti  nel  comma 198  della  legge
  finanziaria  per il 2006 - Ricorso della Regione Veneto - Lamentata
  natura  puntuale,  specifica e autoapplicativa delle disposizioni -
  Denunciata  lesione  dell'autonomia finanziaria e di organizzazione
  delle Regioni, violazione del principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 30.
- Costituzione, artt. 114, 117, 118, 119 e 120.
Impiego  pubblico  -  Incarichi  di  uffici  dirigenziali  di livello
  generale  -  Criteri per l'individuazione dei trattamenti accessori
  massimi  -  Determinazione  ad  opera di decreto del Presidente del
  consiglio  dei  ministri - Ricorso della Regione Veneto - Lamentata
  natura  puntuale,  specifica e autoapplicativa della disposizione -
  Denunciata  lesione  dell'autonomia  legislativa,  finanziaria e di
  organizzazione  delle  Regioni,  violazione  del principio di leale
  collaborazione.
- Decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni,
  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 34, comma 1.
- Costituzione, artt. 114, 117, comma terzo, 119 e 120.
(GU n.45 del 15-11-2006 )
    Ricorso  della  Regione  Veneto,  in  persona  del Presidente pro
tempore  della  Giunta  regionale, autorizzato mediante deliberazione
della  Giunta  stessa  19  settembre  2006,  n. 2893, rappresentata e
difesa,  come  da procura speciale a margine del presente atto, dagli
avv.ti  prof.  Mario  Bertolissi di Padova, Romano Morra di Venezia e
Andrea Manzi di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, via F.
Confalonieri 5;

    Contro  il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  presso  la quale e'
domiciliato  ex  lege,  in  Roma,  via  dei Portoghesi, n. 12, per la
declaratoria  di  illegittimita' costituzionale, per violazione degli
artt. 3,  97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.; degli articoli 2, commi
1,  2-bis e 3; 3, 5, commi 1 e 2; 6, 12, comma 1; 13, 19, 22, 26, 27,
29,  30,  34,  comma 1; del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, come
risultanti  dalla  conversione  operata  dalla  legge  4 agosto 2006,
n. 248  «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4
luglio  2006,  n. 223,  recante  disposizioni urgenti per il rilancio
economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della
spesa  pubblica,  nonche'  interventi  in  materia  di  entrate  e di
contrasto  all'evasione fiscale», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 186  dell'11 agosto 2006 (supplemento ordinario n. 183/L), nonche'
della stessa intera legge di conversione.
                     F a t t o e  d i r i t t o
    1.   -   Il   decreto-legge   4  luglio  2006,  n,  223,  recante
«Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio economico e sociale, per il
contenimento  e  la  razionalizzazione  della spesa pubblica, nonche'
interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale»
(c.d.  decreto  Bersani),  ha previsto numerose norme, che, ad avviso
della   Regione   del   Veneto,   si  pongono  in  contrasto  con  la
Costituzione,  violando  l'autonomia  legislativa,  amministrativa  e
finanziaria regionale, nonche' il principio di leale collaborazione.
    La  regione  ha quindi proposto ricorso in via di azione avanti a
codesta   ecc.ma   Corte   costituzionale   per  la  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale  di  alcune  disposizioni  del decreto
legge  citato  (ricorso notificato in data 31 agosto 2006, depositato
l'11 settembre 2006, registro ricorsi n. 96/2006).
    Lo  stesso decreto e' stato convertito, con modificazioni, con la
legge  4  agosto  2006,  n. 248,  recante  «Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223, recante
disposizioni  urgenti  per  il  rilancio  economico e sociale, per il
contenimento  e  la  razionalizzazione  della spesa pubblica, nonche'
interventi   in  materia  di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione
fiscale», senza eliminare quelle norme che si ritenevano lesive della
autonomia regionale.
    Al   contrario,   con  la  legge  citata  sono  state  introdotte
disposizioni, ulteriori rispetto a quelle contenute nel decreto-legge
4 luglio 2006, n. 223, viziate da illegittimita' costituzionale sotto
i medesimi profili.
    In   particolare,   molte   di   queste   disposizioni  vuinerano
l'autonomia  legislativa,  amministrativa  e organizzativa regionale,
non  recependo per altro gli orientamenti formulati da codesto ecc.mo
Collegio, sotto molteplici profili in ordine:
        a) alla ricostruzione dei rapporti tra legislazione statale e
regionale  definiti  dal  nuovo  art. 117  Cost., anche alla luce del
principio  di  leale  collaborazione  tra  Stato  e  regioni,  di cui
all'art. 120  Cost.,  con  specifico  riferimento  alle materie della
tutela  della  concorrenza,  delle  professioni, del commercio, della
programmazione socio-sanitaria e del trasporto pubblico locale;
        b)  all'attuazione  e  alla cogenza delle disposizioni di cui
all'art. 119  Cost.,  congiuntamente  a quelle degli artt. 117, terzo
comma,  e  118  Cost.,  con  riferimento  all'autonomia finanziaria e
contabile  delle  regioni  e  alla natura di principio delle norme di
coordinamento della finanza pubblica.
    Per  meglio illustrare i profili di illegittimita' costituzionale
denunciati  si  procedera'  qui  di seguito ad un'analisi di ciascuna
delle norme impugnate.
    2.  -  L'art. 2  del  decreto-legge  4  luglio 2006, n. 223, come
convertito  nella  legge  4  agosto  2006,  n. 248, nella volonta' di
dettare  «Disposizioni  urgenti  per  la tutela della concorrenza nel
settore  dei  servizi professionali», ha previsto, rispettivamente al
comma 1, 2-bis e al comma 3, che:
        In conformita' al principio comunitario di libera concorrenza
ed  a quello di liberta' di circolazione delle persone e dei servizi,
nonche'  al  fine  di assicurare agli utenti un'effettiva facolta' di
scelta  nell'esercizio  dei  propri  diritti  e di comparazione delle
prestazioni  offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del
presente   decreto   sono  abrogate  le  disposizioni  legislative  e
regolamentari  che  prevedono  con  riferimento alle attivita' libero
professionali  e intellettuali: a) l'obbligatorieta' di tariffe fisse
o  minime  ovvero  il  divieto  di  pattuire  compensi parametrati al
raggiungimento  degli  obiettivi  perseguiti;  b)  il  divieto, anche
parziale,  di  svolgere  pubblicita'  informativa circa i titoli e le
specializzazioni   professionali,  le  caratteristiche  del  servizio
offerto,  nonche'  il  prezzo e i costi complessivi delle prestazioni
secondo  criteri  di  trasparenza  e veridicita' del messaggio il cui
rispetto   e'  verificato  dall'ordine;  c)  il  divieto  di  fornire
all'utenza  servizi  professionali di tipo interdisciplinare da parte
di  societa'  di  persone  o  associazioni  tra professionisti, fermo
restando     che    l'oggetto    sociale    relativo    all'attivita'
libero-professionale   deve   essere   esclusivo,   che  il  medesimo
professionista  non  puo' partecipare a piu' di una societa' e che la
specifica   prestazione   deve   essere  resa  da  uno  o  piu'  soci
professionisti  previamente  indicati,  sotto  la  propria  personale
responsabilita» (comma 1);
        «All'articolo  2233  del  codice  civile,  il  terzo comma e'
sostituito  dal  seguente:  "Sono  nulli,  se  non  redatti  in forma
scritta,  i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati
con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali"» (comma
2-bis);
        «Le  disposizioni  deontologiche  e  pattizie  e  i codici di
autodisciplina  che contengono le prescrizioni di cui al comma 1 sono
adeguate,  anche  con  l'adozione di misure a garanzia della qualita'
delle prestazioni professionali, entro il 1° gennaio 2007. In caso di
mancato  adeguamento,  a  decorrere  dalla  medesima data le norme in
contrasto  con  quanto  previsto dal comma 1 sono in ogni caso nulle»
(comma 3).
    Appare  evidente che le disposizioni in discorso contengono norme
di  minuto  dettaglio  ed  autoapplicative,  che  ledono  l'autonomia
legislativa regionale.
    L'art. 117  della  Costituzione, al suo terzo comma, annovera tra
le   materie   di   legislazione   concorrente  la  disciplina  delle
«professioni»,  attribuendo  alle  Regioni  la  potesta' legislativa,
salvo  che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata
alla legislazione dello Stato.
    Ora,  le  norme  del  «decreto Bersani» sopra riportate non hanno
nessuna   delle   caratteristiche   che   individuano   un  principio
fondamentale   poiche'   pongono  in  essere  delle  modifiche  molto
puntuali,   oltre  che  rilevanti,  alla  disciplina  della  materia,
abolendo  l'obbligatorieta'  delle  tariffe fisse o minime e numerosi
divieti  fino  ad  ora  vigenti,  quali  quello  di pattuire compensi
parametrati   al  raggiungimento  degli  obiettivi  (lett.  a)  o  di
pubblicizzare  titoli, specializzazioni, caratteristiche del servizio
offerto  e  i  costi  complessivi  delle  prestazioni  (lett. b) e di
fornire  servizi  professionali di tipo interdisciplinare da parte di
societa' di persone o associazioni tra professionisti (lett. c).
    Le  abolizioni  cosi'  previste  non necessitano in se' di alcuna
norma di dettaglio per darvi attuazione, privando, di conseguenza, le
regioni di qualsiasi potere in materia.
    A  nulla  varrebbe  invocare  i  principi  comunitari  di  libera
concorrenza  e  di  libera  circolazione delle persone e dei servizi,
richiamati  nel  primo comma dell'art. 2 del decreto legge n. 223 del
2006,  al  fine  di  superare  le  censure prospettate e affermare la
competenza statale.
    Come  ha  avuto  modo  di osservare codesto ecc.mo Collegio nella
sentenza  14  gennaio  2004,  n. 14  e come vedremo meglio a breve in
altra  parte  del  presente ricorso, una concezione cosi' ampia della
competenza   attribuita   allo  Stato  in  materia  di  tutela  della
concorrenza  -  «che  non  presenta  i  caratteri  di  una materia di
estensione  certa,  ma  quelli  di una funzione esercitabile sui piu'
diversi  oggetti»  -  finirebbe  per  vanificare lo schema di riparto
dell'art. 117  Cost., secondo il quale sono «attribuite alla potesta'
legislativa  residuale  e  concorrente  delle  regioni materie la cui
disciplina incide innegabilmente sullo sviluppo economico».
    In  altre  parole  la  tutela  della  concorrenza non puo' essere
utilizzata  quale  fondamento  di legittimazione del potere normativo
statale  esercitato  in  modo  da non lasciare, irragionevolmente, il
minimo  spazio  non  solo per un'ipotetica legislazione ulteriore, ma
persino per una normazione secondaria di mera esecuzione.
    3.   -   Analogo   richiamo  alle  disposizioni  dell'ordinamento
comunitario   in   materia  di  tutela  della  concorrenza  e  libera
circolazione  delle  merci e dei servizi viene svolto nell'art. 3 del
decreto-legge  4  luglio  2006, n. 223, come convertito nella legge 4
agosto  2006, n. 248, recante «Regole di tutela della concorrenza nel
settore della distribuzione commerciale».
    Per  poter evidenziare i profili di illegittimita' costituzionale
delle   norme   contenute  nell'articolo  ora  citato  e'  necessario
riportare qui di seguito per esteso il testo della disposizione:
        «Ai  sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in
materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci
e  dei  servizi  ed  al  fine di garantire la liberta' di concorrenza
secondo  condizioni  di  pari opportunita' ed il corretto ed uniforme
funzionamento  del  mercato,  nonche'  di  assicurare  ai consumatori
finali  un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilita'
all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, al sensi
dell'art. 117,  secondo  comma, lettere e) ed m), della Costituzione,
le attivita' commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31
marzo  1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono
svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni:
          a)  l'iscrizione  a  registri abilitanti ovvero possesso di
requisiti  professionali  soggettivi  per  l'esercizio  di  attivita'
commerciali,  fatti  salvi quelli riguardanti il settore alimentare e
della somministrazione degli alimenti e delle bevande; b) il rispetto
di   distanze   minime   obbligatorie   tra   attivita'   commerciali
appartenenti  alla medesima tipologia di esercizio; c) le limitazioni
quantitative  all'assortimento  merceologico  offerto  negli esercizi
commerciali,  fatta salva la distinzione tra settore alimentare e non
alimentare;  d)  il  rispetto  di  limiti riferiti a quote di mercato
predefinite   o   calcolate   sul  volume  delle  vendite  a  livello
territoriale sub regionale; e) la fissazione di divieti ad effettuare
vendite  promozionali,  a  meno  che non siano prescritti dal diritto
comunitario;  f)  l'ottenimento  di  autorizzazioni  preventive  e le
limitazioni  di  ordine  temporale o quantitativo allo svolgimento di
vendite   promozionali  di  prodotti,  effettuate  all'interno  degli
esercizi   commerciali,   tranne   che   nei  periodi  immediatamente
precedenti  i  saldi di fine stagione per i medesimi prodotti; f-bis)
il  divieto  o  l'ottenimento  di  autorizzazioni  preventive  per il
consumo  immediato  dei prodotti di gastronomia presso l'esercizio di
vicinato,   utilizzando  i  locali  e  gli  arredi  dell'azienda  con
l'esclusione   del  servizio  assistito  di  somministrazione  e  con
l'osservanza delle prescrizioni igienico sanitarie.» (comma 1);
        «Sono fatte salve le disposizioni che disciplinano le vendite
sottocosto e i saldi di fine stagione» (comma 2);
        «A  decorrere  dalla  data  di entrata in vigore del presente
decreto  sono  abrogate  le  disposizioni legislative e regolamentari
statali  di  disciplina  del  settore della distribuzione commerciale
incompatibili con le disposizioni di cui al comma 1» (comma 3);
    «Le  regioni  e  gli enti locali adeguano le proprie disposizioni
legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al
comma 1 entro il 1° gennaio 2007» (comma 4).
    La  disciplina  relativa  alla  distribuzione  commerciale che il
legislatore  statale  ha  dettato, ritenendo di far uso delle proprie
competenze   nelle   materie  di  «tutela  della  concorrenza»  e  di
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale», viola l'autonomia legislativa e amministrativa
riconosciuta  alla  regione, ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost., in
materia di commercio.
    Giova a questo riguardo ricordare che la disciplina del commercio
rientra,  ai  sensi  del  comma 4 dell'art. 117 Cost., nella potesta'
legislativa  piu'  ampia  delle  regioni,  non essendo compresa nelle
materie  elencate nel secondo e nel terzo comma del medesimo articolo
(come  codesto  ecc.mo  Collegio  ha  precisato,  tra  l'altro, nella
sentenza 13 gennaio 2004, n. 1 e nell'ord. 11 maggio 2006, n. 199).
    A  questo  punto  pero' si rendono necessarie alcune osservazioni
sui  rapporti  tra  la  competenza  legislativa  statale esclusiva in
materia  di  «tutela della concorrenza» e quella regionale in materia
di commercio.
    Tale  «materia» (materia-non materia, per usare una significativa
espressione utilizzata dalla dottrina), al pari di quella di cui alla
lettera  m)  dello  stesso secondo comma dell'art. 117 Cost., rientra
tra  quelle  a  cui  la  maggior  parte  degli  autori, seguiti dalla
giurisprudenza  costituzionale (a partire dalla sent. 26 giugno 2002,
n. 282),  attribuisce  una  portata «trasversale» o «orizzontale», in
quanto si intersecano con materie intese in senso tradizionale e che,
quindi,   fondando   un   potere   legislativo   statale  determinano
interferenze  tra  potesta'  statale e regionale non solo nell'ambito
delle  materie  di competenza concorrente, ma anche all'interno delle
materie  che  dovrebbero  essere  di  competenza c.d. residuale delle
regioni, ai sensi del comma 4 dell'art. 117 Cost.
    Senza  poter  affrontare  in  questa  sede  i  problemi  inerenti
all'individuazione dei caratteri distintivi e dei confini tra materie
«trasversali»  e  materie  di competenza legislativa concorrente o la
questione  circa  l'attitudine  delle prime a costituire un «tipo» di
competenza  distinto  da  quelli espressamente indicati dall'art. 117
Cost., giova rilevare come con riferimento alle materie «trasversali»
si avverta generalmente il problema di evitare che un'interpretazione
lata  di  queste  vanifichi  di  fatto  il  sistema  di riparto delle
competenze tra regioni e Stato a tutto vantaggio di quest'ultimo.
    Focalizzando  l'attenzione  sulla «tutela della concorrenza», non
vi sono dubbi che si arriverebbe certamente all'assurdo se il rilievo
trasversale  della  competenza statale potesse essere esasperato fino
ad  avallare un'interpretazione che precluda alle regioni di porre in
essere    qualsiasi    disciplina,   in   quanto   costituzionalmente
illegittima,  che  possa  avere un rilievo nei rapporti tra imprese o
una ricaduta sul mercato.
    In  dottrina  si e' espresso il timore che l'intervento normativo
statale,  in  presenza dei vincoli comunitari in tema di concorrenza,
possa  risultare  «ripetitivo»  e  «ridondante»,  ovvero che comprima
eccessivamente i margini di autonomia spettanti alle Regioni (cfr. R.
Caranta,  La tutela della concorrenza, le competenze legislative e la
difficile  applicazione  del  Titolo  V  della  Costituzione,  in  Le
Regioni, 2004, n. 4, 990 s.).
    Del  resto, come si e' gia' ricordato supra, codesta ecc.ma Corte
costituzionale,   affrontando   la  questione  del  rapporto  tra  le
politiche statali di sostegno del mercato e le competenze legislative
delle  regioni  nel  nuovo Titolo V della nostra Costituzione, con la
sentenza  13  gennaio  2004,  n. 14  ha cosi' argomentato: «una volta
riconosciuto che la nozione di tutela della concorrenza abbraccia nel
loro  complesso  i  rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude
interventi  promozionali  dello Stato, si deve tuttavia precisare che
una  dilatazione  massima  ditale  competenza,  che  non  presenta  i
caratteri  di  una  materia  di  estensione  certa,  ma quelli di una
funzione  esercitabile  sui  piu'  diversi  oggetti,  rischierebbe di
vanificare  lo  schema  di  riparto  dell'art. 117  Cost.,  che  vede
attribuite  alla  potesta'  legislativa residuale e concorrente delle
regioni   materie  la  cui  disciplina  incide  innegabilmente  sullo
sviluppo economico».
    Il  problema  e' stato risolto, come e' noto, facendo riferimento
al   criterio   sistematico   che   evidenzierebbe  la  volonta'  del
legislatore  costituzionale  del 2001 di unificare in capo allo Stato
«strumenti   di   politica  economica  che  attengono  allo  sviluppo
dell'intero  Paese»;  strumenti  che sono espressione di un carattere
unitario  e  che,  «interpretati  gli  uni  per  mezzo  degli  altri,
risultano  tutti  finalizzati  ad  equilibrare  il  volume di risorse
finanziarie inserite nel circuito economico».
    In  sintesi,  dunque,  l'intervento statale si giustifica «per la
sua  rilevanza  macroeconomica»,  mentre appartengono alla competenza
legislativa  concorrente  o  residuale  delle  regioni gli interventi
«sintonizzati sulla realta' produttiva regionale», tali, comunque, da
non  creare  ostacolo  alla libera circolazione delle persone e delle
cose  fra  le  Regioni  e  da non limitare l'esercizio del diritto al
lavoro in qualunque parte del territorio nazionale.
    Nel  caso  di  specie un' interpretazione estensiva del carattere
«trasversale»  della  materia-non  materia «tutela della concorrenza»
potrebbe  di  fatto  cancellare  la  competenza legislativa esclusiva
regionale in materia di commercio.
    Come  e'  stato osservato, una lettura della lett. e) del comma 2
dell'art. 117  cosi' ampia da farvi rientrare non solo - come sarebbe
corretto   -   le   «regole  generali»  della  concorrenza  o  quelle
disposizioni  che siano strettamente funzionali al mantenimento della
concorrenza,  ma anche la disciplina di tutte le misure regolamentari
e  amministrative che incidono sull'esercizio di attivita' economiche
«limiterebbe  eccessivamente  la potesta' esclusiva delle regioni, le
quali  in  materie  come  il  commercio  non  potrebbero,  ad esempio
occuparsi  di  autorizzazioni o di orari di apertura e chiusura degli
esercizi   commerciali,   in   quanto   aspetti  che  hanno  riflessi
sull'esercizio delle attivita' economiche» (E. Freni, La tutela della
concorrenza, in Trattato di Diritto Amministrativo, IV, Milano, 2003,
3688).
    Per  altro, del tutto improprio appare il richiamo, contenuto nel
primo  comma  dell'art. 3, alla determinazione dei livelli essenziali
delle  prestazioni,  di  cui all'art. 117, secondo comma, lettera m),
Cost.,  anch'essa materia trasversale in ordine alla quale valgono le
considerazioni  sopra  svolte  sulle  letture  di  tali  materie  che
finiscono  per  comprimere  irragionevolmente gli ambiti di autonomia
regionale.
    Infatti,  proprio  a  questo  tipo di interpretazione si dovrebbe
accedere  se  si  volessero far rientrare le disposizioni in discorso
nell'ambito   della   individuazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale.
    4.  -  Irrispettose  della  competenza  regionale  in  materia di
commercio,  oltre  che  in materia di programmazione socio-sanitaria,
risultano  anche  le  norme  di  cui  ai  commi 1 e 2 dell'art. 5 del
decreto-legge  4  luglio  2006, n. 223, come convertito nella legge 4
agosto 2006, n. 248.
    Il  primo  comma  stabilisce che «Gli esercizi commerciali di cui
all'art. 4,  comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31
marzo  1998,  n. 114,  possono  effettuare  attivita'  di  vendita al
pubblico   di   farmaci   da  banco  o  di  automedicazione,  di  cui
all'art. 9-bis   del   decreto-legge   18   settembre  2001,  n. 347,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405,
e  di  tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica,
previa  comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui
ha  sede  l'esercizio  e  secondo  le modalita' previste dal presente
articolo. E' abrogata ogni norma incompatibile».
    La  disposizione  contenuta  nel successivo secondo comma prevede
che  tale  vendita  sia consentita durante l'orario di apertura degli
stessi  e debba essere effettuata nell'ambito di un apposito reparto,
alla  presenza  e  con l'assistenza personale e diretta al cliente di
uno  o  piu'  farmacisti abilitati all'esercizio della professione ed
iscritti   al   relativo  ordine.  Restano  vietati  i  concorsi,  le
operazioni  a  premio  e  le  vendite  sotto  costo aventi ad oggetto
farmaci.
    Si  tratta  di una norma di mero dettaglio che non puo' definirsi
conforme  a  Costituzione,  ne'  facendo  rientrare  la disciplina in
discorso  nell'ambito della materia del «commercio», di cui al quarto
comma  dell'art. 117,  ne'  in quella della «tutela della salute», di
cui al terzo comma del medesimo articolo.
    A  tale  proposito si puo' ricordare che nella sentenza n. 87 del
2006  codesto  ecc.mo  Collegio ha avuto modo di precisare come, pure
successivamente  all'entrata  in  vigore  del  nuovo  Titolo  V della
Costituzione,   la   «materia»   della  organizzazione  del  servizio
farmaceutico  vada  ricondotta  al  titolo  di competenza concorrente
della tutela della salute.
    Notava  peraltro sempre codesto ecc.mo Collegio che «la complessa
regolamentazione pubblicistica della attivita' economica di rivendita
dei   farmaci   e'  infatti  preordinata  al  fine  di  assicurare  e
controllare  l'accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal
senso  a  garantire  la  tutela del fondamentale diritto alla salute,
restando  solo  marginale,  sotto  questo  profilo,  sia il carattere
professionale  sia  l'indubbia  natura commerciale dell'attivita' del
farmacista».
    A ben vedere pero' proprio la ratio con cui sono state dettate le
norme dell'art. 5 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 costituisce
una  diversa  prospettiva  di  disciplina della materia rispetto alla
precedente legislazione vigente in materia.
    Nella volonta' del legislatore, che emerge inequivocabilmente dal
testo   normativo,   non   si   puo'   affermare  che  «il  carattere
professionale»  e  «l'indubbia  natura commerciale dell'attivita' del
farmacista»  restino «solo marginali» rispetto «al fine di assicurare
e controllare l'accesso dei cittadini ai prodotti medicinali», quando
tutta  la  disciplina  viene  dettata  nell'obiettivo  dichiarato  di
ottenere  dei  vantaggi  per  i consumatori in termini di prezzi e di
orari  di  apertura,  sfruttando  le probabili dinamiche commerciali,
piuttosto   che   attraverso   una   regolamentazione   pubblicistica
dell'attivita'.
    La  norma  impugnata, sotto questo profilo, non puo' non venire a
ledere  la  competenza  legislativa  esclusiva  che, come si e' visto
supra, spetta alle Regioni in materia di commercio.
    Ma  analoga  lesione dell'autonomia legislativa regionale si puo'
riscontrare  anche  riconducendo  la materia nell'ambito della tutela
della salute.
    Infatti,  nelle  materie  di legislazione concorrente spetta allo
Stato  la  sola  determinazione  dei principi fondamentali, dovendosi
lasciare  alle  regioni  la  possibilita'  di  esercitare la potesta'
legislativa  che a loro e' riconosciuta dall'ultimo periodo del terzo
comma dell'art. 117 Cost., ora citato.
    Prevedendo  l'orario  di  vendita  dei  farmaci  da  banco  o  di
automedicazione,  le  modalita'  di vendita (in apposito reparto alla
presenza  e  con l'assistenza personale e diretta al cliente di uno o
piu'  farmacisti)  e  divieti  specifici  per  concorsi, operazioni a
premio  e  vendite  sotto  costo,  il  comma  2  dell'art. 5 contiene
innegabilmente  statuizioni  al piu' basso grado di astrattezza, che,
per  il  loro  carattere di estremo dettaglio, sono insuscettibili di
sviluppi normativi ulteriori.
    Non   siamo,  quindi,  di  fronte  alla  previsione  di  principi
fondamentali  della materia, il solo tipo di norma che il legislatore
statale e' abilitato a dettare in materia di tutela della salute.
    5.  -  Le  norme  di  cui  all'art. 6 e all'art. 12, comma 1, del
decreto  legge  n. 223  del 2006 come convertito nella legge 4 agosto
2006,   n. 248,   recanti,   rispettivamente,   «Interventi   per  il
potenziamento  del  servizio  di  taxi» e «Disposizioni in materia di
circolazione  dei  veicoli  e di trasporto comunale e intercomunale»,
violano  la  competenza  regionale in materia di autotrasporto non di
linea  e  di  trasporto  pubblico  locale,  e,  di  conseguenza,  gli
artt. 117 e 118 della Costituzione.
    La  prima  delle  due  disposizioni  stabilisce  nel  nuovo testo
riscritto dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 che:
        «Al  fine di assicurare per il servizio di taxi il tempestivo
adeguamento  dei  livelli  essenziali di offerta del servizio di taxi
necessari  all'esercizio  del diritto degli utenti alla mobilita', in
conformita'  al  principio  comunitario  di  libera  concorrenza ed a
quello  di  liberta'  di  circolazione  delle  persone e dei servizi,
nonche'   la  funzionalita'  e  l'efficienza  del  medesimo  servizio
adeguati  ai  fini della mobilita' urbana ai sensi degli articoli 43,
49,  81,  82  e  86 del Trattato istitutivo della comunita' europea e
degli  articoli  3, 11, 16, 32, 41 e 117, comma secondo, lettere e) e
m),  della  Costituzione, i comuni, sentite le commissioni consultive
di  cui  all'articolo 4, comma 4, della legge 15 gennaio 1992, n. 21,
ove funzionanti, o analogo organo partecipativo, possono:
        a)  disporre  turnazioni  integrative  in  aggiunta  a quelle
ordinarie,  individuando  idonee forme di controllo sistematico circa
l'effettivo  svolgimento  del  servizio  nei  turni  dichiarati.  Per
l'espletamento del servizio integrativo di cui alla presente lettera,
i  titolari di licenza si avvalgono, in deroga alla disciplina di cui
all'articolo 10 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, di sostituti alla
guida  in  possesso  dei  requisiti  stabiliti  all'articolo  6 della
medesima  legge.  I sostituti alla guida devono espletare l'attivita'
in  conformita'  alla  vigente  normativa ed il titolo di lavoro deve
essere  trasmesso al comune almeno il giorno precedente all'avvio del
servizio;
        b)  bandire concorsi straordinari in conformita' alla vigente
programmazione  numerica,  ovvero  in  deroga  ove  la programmazione
numerica manchi o non sia ritenuta idonea dal comune ad assicurare un
livello  di  offerta adeguato, per il rilascio, a titolo gratuito o a
titolo oneroso, di nuove licenze da assegnare ai soggetti in possesso
dei  requisiti stabiliti dall'articolo 6 della citata legge n. 21 del
1992,  fissando,  in  caso  di titolo oneroso, il relativo importo ed
individuando,  in caso di eccedenza delle domande, uno o piu' criteri
selettivi  di  valutazione  automatica o immediata, che assicurino la
conclusione  della  procedura  in  tempi celeri. I proventi derivanti
sono  ripartiti  in  misura  non  inferiore  all'80  per  cento tra i
titolari  di  licenza  di taxi del medesimo comune; la restante parte
degli introiti puo' essere utilizzata dal comune per il finanziamento
di  iniziative  volte  al controllo e al miglioramento della qualita'
degli  autoservizi  pubblici  non  di  linea  e  alla  sicurezza  dei
conducenti  e  dei passeggeri, anche mediante l'impiego di tecnologie
satellitari;
        c)   prevedere  il  rilascio  ai  soggetti  in  possesso  dei
requisiti  stabiliti  dall'articolo  6  della  citata legge n. 21 del
1992,  e  in  prevalenza  ai soggetti di cui all'articolo 7, comma 1,
lettere  b)  e  c),  della  medesima  legge,  di titoli autorizzatori
temporanei  o  stagionali, non cedibili, per fronteggiare particolari
eventi straordinari o periodi di prevedibile incremento della domanda
e in numero proporzionato alle esigenze dell'utenza;
        d)    prevedere    in    via   sperimentale   l'attribuzione,
prevalentemente  a favore di soggetti di cui all'articolo 7, comma 1,
lettere   b)   e  c),  della  citata  legge  n. 21  del  1992,  della
possibilita'  di  utilizzare  veicoli  sostitutivi  ed aggiuntivi per
l'espletamento  di  servizi diretti a specifiche categorie di utenti.
In  tal  caso,  l'attivita'  dei  sostituti alla guida deve svolgersi
secondo quanto previsto dalla lettera a);
        e) prevedere in via sperimentale forme innovative di servizio
all'utenza,   con  obblighi  di  servizio  e  tariffe  differenziati,
rilasciando a tal fine apposite autorizzazioni ai titolari di licenza
del  servizio  di  taxi o ai soggetti di cui all'articolo 7, comma 1,
lettere b) e c), della citata legge n. 21 del 1992;
        f)  prevedere  la  possibilita'  degli utenti di avvalersi di
tariffe predeterminate dal comune per percorsi prestabiliti;
        g)  istituire  un  comitato  permanente  di  monitoraggio del
servizio  di  taxi  al fine di favorire la regolarita' e l'efficienza
dell'espletamento  del  servizio  e  di  orientare  costantemente  le
modalita'  di svolgimento del servizio stesso alla domanda effettiva,
composto  da funzionari comunali competenti in materia di mobilita' e
di  trasporto  pubblico  e  da rappresentanti delle organizzazioni di
categoria  maggiormente rappresentative, degli operatori di radiotaxi
e delle associazioni degli utenti» (primo comma).
    «Sono  fatti  salvi  il  conferimento di nuove licenze secondo la
vigente  programmazione  numerica  e  il  divieto  di  cumulo di piu'
licenze  al  medesimo  intestatario,  ai sensi della legge 15 gennaio
1992,  n. 21,  e  della  disciplina  adottata dalle regioni» (secondo
comma).
    Con  il  primo  comma  dell'art. 12  del  decreto impugnato si e'
stabilito   che   «fermi   restando   i  principi  di  universalita',
accessibilita'  ed  adeguatezza  dei  servizi  pubblici  di trasporto
locale   ed   al   fine   di   assicurare   un  assetto  maggiormente
concorrenziale  delle  connesse attivita' economiche e di favorire il
pieno  esercizio  del  diritto dei cittadini alla mobilita», i comuni
possano   prevedere   «che   il  trasporto  di  linea  di  passeggeri
accessibile  al  pubblico,  in  ambito  comunale e intercomunale, sia
svolto,   in   tutto   il   territorio   o  in  tratte  e  per  tempi
predeterminati,   anche   dai  soggetti  in  possesso  dei  necessari
requisiti  tecnico-professionali, fermi restando la disciplina di cui
al comma 2 ed il divieto di disporre finanziamenti in qualsiasi forma
a  favore dei predetti soggetti. Il comune sede di scalo ferroviario,
portuale  o  acroportuale  e'  comunque tenuto a consentire l'accesso
allo scalo da parte degli operatori autorizzati ai sensi del presente
comma da comuni del bacino servito».
    Dalla  lettura  dei testi normativi ora riportati emerge come gli
stessi  siano  costituzionalmente  illegittimi  in considerazione del
fatto  che  la  regione  nella  materia e' titolare di una competenza
legislativa  esclusiva,  ai  sensi  del  quarto  comma dell'art. 117,
secondo  il  quale,  come  e'  noto, «spetta alle regioni la potesta'
legislativa   in   riferimento  ad  ogni  materia  non  espressamente
riservata alla legislazione dello Stato».
    Del  resto,  si deve ricordare che gia' il d.lgs. n. 422 del 1997
aveva  conferito  alle regioni ed agli enti locali funzioni e compiti
in  materia  di  trasporto  pubblico locale, a norma dell'articolo 4,
comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59.
    L'impianto  legislativo introdotto dal decreto legislativo n. 422
del  1997,  posto  in  essere  anteriormente alla promulgazione della
legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n. 3,  per  altro,  si era
contraddistinto per una valorizzazione del ruolo svolto dalle regioni
in   questo   settore   e  per  una  sensibilita'  verso  il  modello
concorrenziale elaborato a livello comunitario, pur rinvenendo per il
trasporto pubblico locale vincoli meno stringenti.
    Come   codesta   ecc.ma   Corte   ha   avuto  modo  di  precisare
recentemente,  «la  materia  del  trasporto  pubblico  locale rientra
nell'ambito delle competenze residuali delle regioni di cui al quarto
comma  dell'art. 117  Cost.,  come reso evidente anche dal fatto che,
ancor prima della riforma del Titolo V della Costituzione, il decreto
legislativo  19  novembre  1997, n. 422 (Conferimento alle regioni ed
agli  enti  locali  di  funzioni  e  compiti  in materia di trasporto
pubblico  locale,  a norma dell'art. 4, comma 4, della legge 15 marzo
1997,  n  59)  aveva ridisciplinato l'intero settore, conferendo alle
regioni  ed  agli  enti  locali funzioni e compiti relativi a tutti i
"servizi  pubblici  di  trasporto di interesse regionale e locale con
qualsiasi  modalita'  effettuati  ed  in qualsiasi forma affidati" ed
escludendo  solo  i  trasporti pubblici di interesse nazionale» (cfr.
sent. n. 222 dell'8 giugno 2005).
    Se  questa  e'  la  natura delle competenze regionali in materia,
anche  con  riferimento  alle  norme  di cui all'art. 6 ed al comma 1
dell'art. 12,  non  varrebbe  il semplice richiamo alla necessita' di
adottare  una disciplina di tutela della concorrenza per giustificare
l'intervento del legislatore statale.
    Questo e' vero soprattutto se si considera che le norme impugnate
contengono  una  disciplina  compiuta  che  non  lascia spazio ad una
legislazione  regionale ulteriore, con cio' dovendosi dubitare che le
disposizioni   rispettino  i  parametri  della  adeguatezza  e  della
proporzionalita'.
    6.   -   A  finalita'  di  tutela  della  concorrenza  si  ispira
dichiaratamente  anche  l'art. 13  del  decreto-legge  4 luglio 2006,
n. 223,  come  convertito  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, recante
«Norme per la riduzione dei costi degli apparati pubblici regionali e
locali e a tutela della concorrenza».
    Con  le  norme  in esame il legislatore statale ha voluto evitare
alterazioni   o   distorsioni  della  concorrenza  e  del  mercato  e
assicurare   la  parita'  degli  operatori,  impedendo  che  soggetti
destinatari  dei  cosiddetti  «obblighi  di  servizio pubblico», solo
formalmente privatizzati - in quanto i pubblici poteri esercitano nei
loro confronti, direttamente o indirettamente, un'influenza dominante
per  ragioni  di proprieta', partecipazione finanziaria o in forza di
una  normativa  che la disciplina - possano operare, avvantaggiandosi
del  regime  speciale  di  cui  godono,  anche  sul  libero  mercato,
producendo alterazioni e distorsioni della concorrenza.
    Se  queste  sono le finalita' perseguite dalla disciplina statale
rimane  da  accertare  se quest'ultima rispetti la sfera di autonomia
regionale   oppure   se,  facendo  valere  ragioni  di  tutela  della
concorrenza,  comprima  irragionevolmente  l'autonomia  legislativa e
amministrativa della regione.
    Leggiamo il testo delle disposizioni:
        Al   fine   di   evitare   alterazioni  o  distorsioni  della
concorrenza e del mercato e di assicurare la parita' degli operatori,
le  societa',  a  capitale interamente pubblico o misto, costituite o
partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali e locali per la
produzione  di beni e servizi strumentali all'attivita' di tali enti,
in funzione della loro attivita', con esclusione dei servizi pubblici
locali,  nonche', nei casi consentiti dalla legge, per lo svolgimento
esternalizzato  di funzioni amministrative di loro competenza, devono
operare  esclusivamente  con  gli  enti  costituenti o partecipanti o
affidanti,  non  possono  svolgere  prestazioni  a  favore  di  altri
soggetti pubblici o privati, ne' in affidamento diretto ne' con gara,
e  non  possono partecipare ad altre societa' o enti. Le societa' che
svolgono l'attivita' di intermediazione fmanziaria prevista dal testo
unico  di  cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sono
escluse  dal  divieto  di  partecipazione ad altre societa' od enti.»
(comma 1);
    «Le  societa' di cui al comma 1 sono ad oggetto sociale esclusivo
e  non  possono  agire  in violazione delle regole di cui al comma 1»
(comma 2);
    «Al   fine   di   assicurare   l'effettivita'   delle  precedenti
disposizioni, le societa' di cui al comma 1 cessano entro dodici mesi
dalla data di entrata in vigore del presente decreto le attivita' non
consentite.  A tale fine possono cedere, nel rispetto delle procedure
ad  evidenza  pubblica,  le  attivita'  non consentite a terzi ovvero
scorporarle. anche costituendo una separata societa' da collocare sul
mercato,  secondo  le  procedure  del  decreto-legge  31 maggio 1994,
n. 332,  convertito,  con  modificazioni, dalla legge 30 luglio 1994,
n. 474,  entro  ulteriori  diciotto  mesi.  I contratti relativi alle
attivita'  non  cedute  o  scorporate ai sensi del periodo precedente
perdono  efficacia  alla  scadenza  del  termine  indicato  nel primo
periodo del presente comma» (comma 3);
    «I  contratti  conclusi,  dopo  la  data di entrata in vigore del
presente  decreto,  in  violazione delle prescrizioni dei commi 1 e 2
sono  nulli.  Restano  validi,  fatte salve le prescrizioni di cui al
comma  3,  i contratti conclusi dopo la data di entrata in vigore del
presente   decreto,   ma  in  esito  a  procedure  di  aggiudicazione
perfezionate prima della predetta data» (comma 4).
    Come  si  puo'  comprendere  dalla lettura delle disposizioni ora
riportate  con  il  decreto  impugnato  si  e'  posta  in  essere una
disciplina  puntuale  che  non  lascia alcuno spazio alla regione per
dettare  una  normativa  che  tenga  conto  delle necessita' locali e
nemmeno  dei tempi di attuazione dei principi statali secondo criteri
di adeguatezza e proporzionalita'.
    L'art. 13  del  decreto  legge  4 luglio 2006, n. 223 accompagna,
infatti,  la  previsione  dei  limiti  all'attivita'  esercitabile  e
all'oggetto  sociale delle societa' a capitale interamente pubblico o
misto di cui al comma 1 con prescrizioni temporali tassative e con la
sanzione  della  nullita'  dei contratti conclusi in violazione delle
prescrizioni contenute nei primi due commi.
    Le norme in esame, dunque, incidono sull'autonomia organizzativa,
legislativa  e  amministrativa della regione e degli enti locali, non
risultando   proporzionate  e  adeguate  alle  espresse  esigenze  di
liberalizzazione del mercato.
    7.  - Con l'art. 19 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, come
convertito  nella  legge  4  agosto  2006,  n. 248, il legislatore ha
istituito dei fondi per le politiche della famiglia, per le politiche
giovanili  e  per  le  politiche  relative  ai  diritti  e  alle pari
opportunita'.
    Il  primo  comma  della disposizione citata, infatti, prevede che
«Al  fine  di  promuovere e realizzare interventi per la tutela della
famiglia,   in  tutte  le  sue  componenti  e  le  sue  problematiche
generazionali,  nonche' per supportare l'Osservatorio nazionale sulla
famiglia,   presso  la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  e'
istituito   un   fondo  denominato  "Fondo  per  le  politiche  della
famiglia",  al  quale  e' assegnata la somma di 3 milioni di euro per
l'anno 2006 e di dieci milioni di euro a decorrere dall'anno 2007».
    Con  il  successivo secondo comma si e' stabilito che «al fine di
promuovere  il  diritto  dei  giovani  alla  formazione  culturale  e
professionale  e all'inserimento nella vita sociale, anche attraverso
interventi  volti  ad  agevolare  la  realizzazione  del  diritto dei
giovani all'abitazione, nonche' a facilitare l'accesso al credito per
l'acquisto  e  l'utilizzo di beni e servizi, presso la Presidenza del
Consiglio dei Ministri e' istituito un fondo denominato "Fondo per le
politiche  giovanili", al quale e' assegnata la somma di 3 milioni di
euro per l'anno 2006 e di dieci milioni di euro a decorrere dall'anno
2007».
    Infine, ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo citato, «al fine
di   promuovere   le  politiche  relative  ai  diritti  e  alle  pari
opportunita',  presso  la  Presidenza  del  Consiglio dei Ministri e'
istituito  un  fondo  denominato  "Fondo per le politiche relative ai
diritti  e alle pari opportunita'", al quale e' assegnata la somma di
3  milioni  di  euro  per  l'anno  2006  e di dieci milioni di euro a
decorrere dall'anno 2007».
    Le disposizioni di cui all'art. 19, ora riportate, attengono alle
politiche  sociali,  materia  nella  quale  la  regione ha competenza
legislativa  residuale. Pertanto un tal genere di norme statali viola
l'autonomia  amministrativa e finanziaria della regione, nella misura
in  cui,  anziche'  trasferire  a quest'ultima le risorse, prevede un
fondo statale settoriale.
    Infatti,  le  politiche sociali non sono ricomprese negli elenchi
di  materie  previsti  dal  secondo  e dal terzo comma dell'art. 117,
oggetto,  rispettivamente,  di competenza legislativa esclusiva dello
Stato  e  di  competenza  concorrente,  e  rientrano nella competenza
residuale  delle  regioni,  ai  sensi  del quarto comma dell'art. 117
Cost.
    Codesto  ecc.mo  collegio ha gia' precisato in piu' occasioni che
norme   di   tal  genere  ledono  l'autonomia  regionale,  in  quanto
destinano,  in  modo  vincolato, risorse in una materia non riservata
alla  competenza  legislativa  esclusiva  dello  Stato  in  forza del
secondo  comma dell'art. 117 Cost. (tra le tante, si vedano le sentt.
nn. 320 e 423 del 2004 e 118 del 2006)
    Allo  Stato,  dunque, non e' consentito istituire fondi speciali,
nelle materie riservate alla competenza residuale o concorrente delle
regioni,  senza  lasciare  a  queste  ultime  e  agli  enti locali un
qualsiasi spazio di manovra.
    Inoltre, sempre codesto ecc.mo Collegio ha specificato non essere
consentito  anche  nell'ipotesi  in  cui  siano  previsti  interventi
finanziari statali destinati direttamente a soggetti privati.
    8.  -  L'art. 22  del  decreto-legge  4 luglio 2006, n. 223, come
convertito  nella  legge 4 agosto 2006, n. 248, contiene disposizioni
che  stabiliscono  la riduzione delle spese di funzionamento per enti
ed organismi pubblici non territoriali.
    Sancisce   il   primo  comma  dell'articolo  in  esame  che  «Gli
stanziamenti  per  l'anno 2006 relativi a spese per consumi intermedi
dei  bilanci  di  enti  ed  organismi  pubblici non territoriali, che
adottano   contabilita'   anche  finanziaria,  individuati  ai  sensi
dell'articolo  1,  commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311,
con esclusione delle Aziende sanitarie ed ospedaliere, degli Istituti
di  ricovero  e cura a carattere scientifico, dell'istituto superiore
di sanita', dell'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza
del   lavoro,  dell'Agenzia  italiana  del  farmaco,  degli  Istituti
zooprofilattici  sperimentali,  degli  enti e degli organismi gestori
delle  aree  naturali  protette e delle istituzioni scolastiche, sono
ridotti  nella  misura  del  10  per cento, comunque nei limiti delle
disponibilita'  non  impegnate  alla  data  di  entrata in vigore del
presente decreto. Per gli enti ed organismi pubblici che adottano una
contabilita'  esclusivamente  civilistica,  i costi della produzione,
individuati all'articolo 2425, primo comma, lettera b), numeri 6), 7)
e  8),  del  codice  civile,  previsti  nei  rispettivi  budget 2006,
concernenti  i  beni  di consumo e servizi ed il godimento di beni di
terzi,  sono  ridotti  del  10  per cento. Le somme provenienti dalle
riduzioni  di  cui  al  presente comxna sono versate da ciascun ente,
entro  il mese di ottobre 2006, all'entrata del bilancio dello Stato,
con imputazione al capo X, capitolo 2961».
    Il  secondo  comma  dello  stesso art. 22 prevede poi che «Per le
medesime  voci  di  spesa  e  di  costo  indicate  al comma 1, per il
triennio 2007-2009, le previsioni non potranno superare l'ottanta per
cento  di  quelle  iniziali  dell'anno  2006,  fermo  restando quanto
previsto  dal  comma 57 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2004,
n. 311.  Le  somme  corrispondenti  alla  riduzione dei costi e delle
spese  per  effetto del presente comma sono appositamente accantonate
per  essere  versate  da  ciascun ente, entro il 30 giugno di ciascun
anno,  all'entrata  del bilancio dello Stato, con imputazione al capo
X,  capitolo 2961. E' fatto divieto alle amministrazioni vigilanti di
approvare  i  bilanci  di  enti  ed  organismi  pubblici  in  cui gli
amministratori  non  abbiano espressamente dichiarato nella relazione
sulla  gestione  di  avere ottemperato alle disposizioni del presente
articolo».
    La   difesa   della   Regione  del  Veneto  non  ritiene  che  le
disposizioni  ora  citate siano interpretabili in via estensiva tanto
da  far rientrare nel loro ambito soggettivo di applicazione gli enti
pubblici non territoriali regionali.
    Se  pero'  si volesse seguire una lettura cosi' ampia del dettato
normativo   statale   ne   dovrebbe  discendere  necessariamente  una
violazione  da parte del medesimo dettato normativo degli artt. 117 e
119 Cost.
    Infatti,   con   le  disposizioni  in  oggetto  il  decreto-legge
impugnato  avrebbe  posto  per  le  regioni  vincoli  puntuali ad una
singola voce di spesa, eccedendo in tal modo dai limiti della propria
competenza  in  materia di "coordinamento della finanza pubblica", ai
sensi  dell'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  e  violando l'autonomia
finanziaria di spesa di cui all'art. 119 Cost.
    Nel  medesimo senso, Codesto Ecc.mo Collegio in numerose pronunce
(ad  esempio,  nelle sentenze nn. 376 del 2003, 4, 36 e 390 del 2004,
417  e  449  del  2005)  ha  avuto  modo  di  precisare,  dichiarando
l'illegittimita' costituzionale di alcune norme statali, che lo Stato
puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche
di  bilancio  -  anche  se  con cio' si determina inevitabilmente una
limitazione  indiretta  dell'autonomia  di spesa degli enti - purche'
pero'  cio'  avvenga  attraverso una «disciplina di principio» e «per
ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari».
    Piu'  precisamente, se l'imposizione di vincoli alle politiche di
bilancio  di  regioni ed enti locali vuole rimanere nell'ambito della
legittimita'   costituzionale,  essa  dovrebbe  avere  ad  oggetto  o
l'entita'  del  disavanzo  di parte corrente, oppure, ma solo «in via
transitoria  ed  in  vista  degli specifici obiettivi di riequilibrio
della  finanza  pubblica  perseguiti  dal  legislatore  statale»,  la
crescita  della  spesa corrente. Alla legge statale, per tanto, viene
consentito di stabilire unicamente un «limite complessivo, che lascia
agli  enti  stessi  ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i
diversi ambiti e obiettivi di spesa».
    La  previsione da parte della legge statale di limiti all'entita'
di una singola voce di spesa non puo' essere considerata un principio
fondamentale  in  materia  di  armonizzazione  dei bilanci pubblici e
coordinamento  della  finanza  pubblica,  in  quanto pone un precetto
specifico  e  puntuale  sull'entita' della spesa e si risolve percio'
«in   una  indebita  invasione»,  da  parte  dello  Stato,  dell'area
riservata   alle   autonomie   regionali  e  locali,  alle  quali  il
legislatore  nazionale  puo' prescrivere criteri ed obiettivi, quali,
ad esempio, il contenimento della spesa pubblica, «ma non imporre nel
dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli
obiettivi».
    Per  tanto,  l'art. 22  del  decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,
cosi'  come  convertito  nella  legge  4 agosto 2006, n. 248, recando
disposizioni   che   stabiliscono   la   riduzione   delle  spese  di
funzionamento  per  enti  ed  organismi pubblici non territoriali, se
ritenuta   applicabile   agli   enti   non   territoriali  regionali,
oltrepasserebbe i limiti imposti al legislatore statale in materia di
coordinamento  della  finanza pubblica, che si sono qui delineati, in
violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.
    9.  - Con l'art. 26 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, come
convertito  nella  legge  4  agosto  2006, n. 248 sono stati previsti
controlli  e  sanzioni  per  il  mancato  rispetto  della  regola sul
contenimento  delle  spese  da  parte  degli  enti inseriti nel conto
economico consolidato delle pubbliche amministrazioni.
    La  disposizione  prevede  che  «In  caso di mancato rispetto del
limite  di spesa annuale di cui all'articolo 1, comma 57, della legge
30  dicembre  2004,  n. 311, da parte degli enti individuati ai sensi
dei  commi  5  e  6  del medesimo articolo, fatte salve le esclusioni
previste  dal  predetto comma 57, i trasferimenti statali a qualsiasi
titolo  operati  a  favore  di detti enti sono ridotti in misura pari
alle eccedenze di spesa risultanti dai conti consuntivi relativi agli
esercizi  2005,  2006  e  2007. Gli enti interessati che non ricevono
contributi  a  carico  del bilancio dello Stato sono tenuti a versare
all'entrata  del  bilancio  dello  Stato,  con imputazione al capo X,
capitolo 2961, entro il 30 settembre rispettivamente degli anni 2006,
2007  e  2008, un importo pari alle eccedenze risultanti dai predetti
conti  consuntivi.  Le  amministrazioni vigilanti sono tenute a dare,
rispettivamente,  entro  il  31  luglio degli anni 2006, 2007 e 2008,
comunicazione   delle   predette  eccedenze  di  spesa  al  Ministero
dell'economia   e  delle  finanze  -  Dipartimento  della  Ragioneria
generale dello Stato».
    La  norma,  dunque, impone anche agli enti che non hanno ricevuto
contributi  statali il versamento delle eccedenze di spesa risultanti
dai  consuntivi degli anni 2005, 2006 e 2007 entro il 30 settembre di
ogni anno.
    Si  tratta di una disposizione irragionevole, dato che stabilisce
il  medesimo obbligo sia per gli enti che hanno ricevuto i contributi
statali sia per quelli che non li hanno ricevuti.
    Un  tal  genere  di  disciplina  sottraendo  risorse  al bilancio
dell'ente  senza  una base logica giustificativa risulta irrispettosa
della  sfera  di  autonomia finanziaria e contabile riconosciuta alle
regioni e agli enti locali e contraria al principio di buon andamento
dell'azione amministrativa.
    A  questo proposito va rilevato come la norma in oggetto contenga
un   precetto  preciso  (il  versamento  delle  eccedenze  di  spesa,
espressamente  individuate, entro un termine stabilito), che richiede
ai  fini della propria concreta applicazione soltanto un'attivita' di
materiale  esecuzione,  e  non  possa  quindi  essere  in  alcun modo
riconosciuta   alla   stessa   la   natura   di  norma  di  principio
dell'armonizzazione  dei  bilanci  pubblici e del coordinamento della
finanza pubblica.
    Pertanto, l'art. 26 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, come
convertito  nella  legge  4  agosto  2006, n. 248, risulta dettato in
violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.
    10.  -  L'art. 27  del  decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, come
convertito  nella  legge 4 agosto 2006, n. 248, prevede una ulteriore
riduzione  rispetto  a  quella prevista dalla finanziaria per il 2006
del  limite  di  spesa annua per studi e incarichi di consulenza, per
relazioni    pubbliche,    convegni,   mostre,   pubblicita'   e   di
rappresentanza  sostenute  dalle  pubbliche  amministrazioni  di  cui
all'art. 1,   comma   2,  del  d.lgs.  30  marzo  2001,  n. 165,  con
l'esclusione  di universita', enti di ricerca e organismi equiparati.
Con  la modifica dei commi 9 e 10 dell'art. 1 della legge 23 dicembre
2005,  n. 266, l'ammontare delle spese in discorso non potra' infatti
essere superiore al 40 per cento di quelle sostenute per il 2004.
    Questa  norma, che fissa vincoli puntuali relativi a singole voci
di  spesa  dei  bilanci  a  delle  regioni  e  degli enti locali, non
costituisce  un principio fondamentale di coordinamento della finanza
pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e lede pertanto
l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.
    Infatti,  come  ha  osservato Codesta ecc.ma Corte nella sentenza
n. 417 del 2005, avente ad oggetto disposizioni di analogo tenore, le
norme  censurate  «non  fissano  limiti  generali al disavanzo o alla
spesa  corrente,  ma  stabiliscono  limiti  alle  spese  per  studi e
incarichi    di    consulenza    conferiti    a   soggetti   estranei
all'amministrazione,    alle    spese    per   missioni   all'estero,
rappresentanza,  relazioni  pubbliche  e convegni, nonche' alle spese
per  l'acquisto  di  beni e servizi; vincoli che, riguardando singole
voci   di   spesa,   non   costituiscono   principi  fondamentali  di
coordinamento della finanza pubblica, ma comportano una inammissibile
ingerenza  nell'autonomia  degli  enti  quanto  alla  gestione  della
spesa».
    Nel  dettare  questo  tipo  di disposizioni, dunque, lo Stato non
sembra  voler  recepire  gli orientamenti formulati da Codesto ecc.mo
Collegio  circa  l'attuazione  e la cogenza delle disposizioni di cui
all'art. 119 Cost., con cio' persistendo nella violazione delle norme
costituzionali  relative  all'autonomia legislativa, amministrativa e
finanziaria delle Regioni.
    11.  -  Si pone in contrasto con il dettato costituzionale ed, in
particolare,  con  gli  artt. 117, 118 e 119 della Costituzione anche
l'art. 29  del  decreto-legge  4 luglio 2006, n. 223, come convertito
nella legge 4 agosto 2006. n. 248.
    La  disposizione  ora citata contiene norme di contenimento della
spesa per commissioni, comitati ed organismi, che, ai sensi del comma
6,  non  trovano  diretta  applicazione  alle  regioni, alle Province
autonome,  agli  enti  locali  e  agli  enti  del  Servizio sanitario
nazionale,  ma  per  i  quali costituiscono comunque «disposizioni di
principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica».
    La  formulazione di quest'ultima norma - poco chiara, in verita',
-  non  e'  comunque  in  grado  di  impedire  che le norme contenute
nell'articolo  citato  abbiano  la  natura  di disposizioni puntuali,
capaci  di  porre  in essere vincoli precisi alla spesa di regioni ed
enti locali.
    Il  primo  comma  dell'art. 29  citato  stabilisce  che  la spesa
complessiva  sostenuta  dalle amministrazioni per organi collegiali e
altri   organismi,  anche  monocratici,  comunque  denominati,  venga
ridotta  del  trenta  per cento rispetto a quella sostenuta nell'anno
2005  e  prevede,  da  un  lato,  che le amministrazioni adottino con
immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore  del  decreto,  le  necessarie  misure di adeguamento al nuovi
limiti  di  spesa,  dall'altro lato, che tale riduzione si aggiunga a
quella  prevista dall'art. 1, comma 58, della legge 23 dicembre 2005,
n. 266.
    Nei  successivi commi 2 e 3 si stabiliscono, rispettivamente, per
le  amministrazioni  statali  e  per quelle non statali, le modalita'
specifiche  di  riordino  degli organismi con la individuazione della
natura  degli atti con cui le amministrazioni dovranno procedere e la
statuizione dei relativi criteri.
    Si  prevede  inoltre  che  «gli  organismi  non  individuati  dai
provvedimenti  previsti dai commi 1 e 2 entro centoventi giorni dalla
data di entrata in vigore del presente decreto sono soppressi» (comma
4) e che «scaduti i termini di cui ai commi 1, 2 e 3 senza che si sia
provveduto  agli  adempimenti  ivi  previsti  e'  fatto  divieto alle
amministrazioni   di   corrispondere  compensi  ai  componenti  degli
organismi di cui al comma 1» (comma 5).
    Prevedendo  riduzioni  percentuali precise ad una singola voce di
spesa  e  indicando  le  modalita' di contenimento della medesima, le
norme   in   oggetto   stabiliscono   limiti   precisi  e  stringenti
all'autonomia  finanziaria  e di organizzazione delle Regioni e degli
enti  locali  e  sono  del  tutto  inidonee a svolgere la funzione di
principi  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  come vorrebbe
definirle il legislatore statale.
    Senza  ripetere  quanto  gia' detto in ordine alla illegittimita'
costituzionale  delle  disposizioni  che  pongono limiti alle singole
voci di spesa di Regioni ed enti locali, si puo' fermare l'attenzione
sul valore delle previsioni del tenore di cui al comma 6 dell'art. 29
del  decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, come convertito nella legge
4 agosto 2006, n. 248.
    Non  basta,  per  ritenere  conforme  a  Costituzione la relativa
disciplina,  che  la  norma si definisca disposizione di principio di
«coordinamento della finanza pubblica».
    E'  evidente,  infatti,  che  autoqualificazioni di tal fatta non
esimono il legislatore statale dal rispettare i limiti costituzionali
ad esso imposti a tutela dell'autonomia regionale.
    Affermare  che  le norme contenute nell'art. 29 citato, di natura
estremamente  puntuale,  non  si  applicano a Regioni ed enti locali,
qualificandole  subito  dopo  come  principi  di  coordinamento della
finanza  pubblica, significa semplicemente tentare di superare con un
artifizio  retorico  i  confini  del  potere  legislativo  statale in
materia.
    Come  si  e'  piu' volte chiarito in questo ricorso, la natura di
principio della norma e' incompatibile con statuizioni del piu' basso
grado  di astrattezza e che contengono una disciplina in se' compiuta
come quella contenuta nell'art. 29 impugnato.
    12.  -  Il  legislatore  statale  non ha rispettato la competenza
legislativa e finanziaria regionale nemmeno nel dettare l'art. 30 del
decreto-legge  4  luglio  2006, n. 223, come convertito nella legge 4
agosto  2006,  n. 248, con cui ha sostituito il comma 204 dell'art. 1
della  legge 23 dicembre 2005, n. 266, del resto gia' impugnato dalla
Regione del Veneto.
    La  disposizione  in  discorso  viola la sfera di autonomia delle
Regioni,  garantita  dalla  Costituzione,  imponendo  il  divieto  di
assunzioni  di  personale,  a  qualsiasi  titolo, nel caso di mancato
conseguimento  degli  obiettivi  di  risparmio  di spesa previsti nel
comma 198 della legge finanziaria per il 2006.
    Giova  a questo punto ricordare quanto stabilito dal citato comma
198:   «le  amministrazioni  regionali  e  gli  enti  locali  di  cui
all'articolo  2,  commi  1  e  2,  del  testo unico di cui al decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n. 267, nonche' gli enti del Servizio
sanitario  nazionale,  fermo restando il conseguimento delle economie
di  cui all'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004,
n. 311,  concorrono  alla  realizzazione  degli  obiettivi di finanza
pubblica  adottando  misure  necessarie  a  garantire che le spese di
personale,   al   lordo   degli   oneri   riflessi   a  carico  delle
amministrazioni  e  dell'IRAP,  non  superino per ciascuno degli anni
2006,   2007  e  2008  il  corrispondente  ammontare  dell'anno  2004
diminuito  dell'1  per cento. A tal fme si considerano anche le spese
per il personale a tempo determinato, con contratto di collaborazione
coordinata  e  continuativa, o che presta servizio con altre forme di
rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni».
    Tornando  alle  norme  contenute  nell'art. 30  del decreto-legge
n. 223  del  2006,  esse  prevedono, ai fini del monitoraggio e della
verifica  degli  adempimenti  di  cui al comma 198, ora ricordato, la
costituzione  di  un  tavolo  tecnico  con rappresentanti del sistema
delle   autonomie  designati  dai  relativi  enti  esponenziali,  del
Ministero   dell'economia   e  delle  finanze  -  Dipartimento  della
Ragioneria  generale  dello Stato, della Presidenza del Consiglio dei
ministri - Dipartimento della funzione pubblica, della Presidenza del
Consiglio  dei  ministri  - Dipartimento degli affari regionali e del
Ministero dell'interno, con l'obiettivo di:
        «a)  acquisire,  per  il tramite del ministro dell'economia e
delle  finanze,  la  documentazione  da  parte degli enti destinatari
della  norma,  certificata  dall'organo di revisione contabile, delle
misure  adottate  e  dei  risultati  conseguiti; b) fissare specifici
criteri  e  modalita'  operative,  anche campionarie per i comuni con
popolazione  inferiore  a  30.000 abitanti e per le comunita' montane
con popolazione inferiore a 50.000 abitanti, per il monitoraggio e la
verifica  dell'effettivo  conseguimento,  da  parte  degli  enti, dei
previsti  risparmi  di spesa; c) verificare, sulla base dei criteri e
delle   modalita'   operative   di   cui  alla  lettera  b)  e  della
documentazione  ricevuta, la puntuale applicazione della disposizione
ed  i  casi  di  mancato adempimento; d) elaborare analisi e proposte
operative   dirette   al  contenimento  strutturale  della  spesa  di
personale per gli enti destinatari del comma 198».
    Al  comma  204  della  legge  finanziaria per il 2006 vengono poi
aggiunti  i  commi  204-bis  - contenente un obbligo di comunicazione
alla  Corte  dei conti, e il divieto di assunzione a qualsiasi titolo
in  caso  di  mancato invio della documentazione da parte degli enti,
certificata dall'organo di revisione contabile, delle misure adottate
e  dei risultati conseguiti - e 204-ter, in forza del quale, «Ai fini
dell'attuazione dei commi 198, 204 e 204-bis, limitatamente agli enti
locali in condizione di avanzo di bilancio negli ultimi tre esercizi,
sono  escluse  dal computo le spese di personale riferite a contratti
di  lavoro  a  tempo  determinato,  anche  in forma di collaborazione
coordinata e continuativa, stipulati nel corso dell'anno 2005».
    Dispone,  infatti,  il  comma  204-bis  che  «Le risultanze delle
operazioni  di  verifica  del tavolo tecnico di cui al comma 204 sono
trasmesse  con  cadenza  annuale, alla Corte dei conti, anche ai fini
del  referto  sul  costo  del  lavoro pubblico di cui al titolo V del
decreto  legislativo  30  marzo  2001, n. 165. Il mancato invio della
documentazione  di  cui  alla lettera a) del comma 204 da parte degli
enti  comporta,  in  ogni  caso, il divieto di assunzione a qualsiasi
titolo».
    Molte  sono  le  censure che si possono sollevare con riferimento
alle  disposizioni  contenute nell'art. 30 del decreto-legge 4 luglio
2006,  n. 223, come convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248, che
si sono appena riportate.
    In  tutta  evidenza,  siamo di fronte a norme contenenti precetti
puntuali  e specifici, autoapplicative, che non lasciano alla Regione
margini  di  disposizione  in  via  autonoma,  nonostante  la materia
rientri nell'ambito del «coordinamento della finanza pubblica» di cui
all'art. 117,  comma  terzo,  Cost.. in cui allo Stato spetta solo il
potere  di  dettare i principi fondamentali e non l'intera disciplina
della materia.
    Del  resto,  codesto  ecc.mo Collegio, con la sentenza n. 390 del
2004,  ha  gia'  dichiarato  costituzionalmente  illegittime analoghe
nonne statali contenute nella legge finanziaria 2003.
    Senza  voler  annoiare il Collegio, che certamente ben conosce la
sua  giurisprudenza, si ricordera' che nella sentenza ora citata sono
state  accolte  le censure mosse alle disposizioni di cui al comma 11
dell'art. 34  della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria
2003),   con  le  quali  si  stabiliva  che  le  assunzioni  a  tempo
indeterminato  delle  Regioni  e  degli  enti locali, «fatto salvo il
ricorso   alle  procedure  di  mobilita',  devono,  comunque,  essere
contenute,  fatta  eccezione  per  il  personale  infermieristico del
Servizio  sanitario  nazionale, entro percentuali non superiori al 50
per  cento  delle  cessazioni  dal  servizio  verificatesi  nel corso
dell'anno 2002».
    Nella  pronuncia n. 390 del 2004, prima ricordata, codesto ecc.mo
Collegio  ha osservato che la norma della legge finanziaria 2003 «non
si  limita  a  fissare  un  principio  di coordinamento della finanza
pubblica, ma pone un precetto specifico e puntuale sull'entita' della
copertura  delle  vacanze  verificatesi  nel 2002, imponendo che tale
copertura  non  sia  superiore al 50 per cento: precetto che, proprio
perche'  specifico e puntuale e per il suo oggetto, si risolve in una
indebita   invasione,   da   parte  della  legge  statale,  dell'area
(organizzazione  della  propria  struttura  amministrativa) riservata
alle  autonomie  regionali  e  degli enti locali, alle quali la legge
statale  puo'  prescrivere  criteri  (...)  ed obiettivi (ad esempio,
contenimento  della  spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli
strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi».
    Anche   la   norma   impugnata  presenta  analoghi  caratteri  di
illegittimita'  costituzionale,  prevedendo  divieti di assunzioni di
personale quale conseguenza del mancato conseguimento degli obiettivi
di  risparmio  di spesa, che violano l'autonomia regionale in materia
di  organizzazione  degli uffici, unitamente alla autonomia di spesa,
di cui agli artt. 117, 118 e 119 Cost.
    13.  -  E'  costituzionalmente  illegittimo - in quanto introduce
norme che incidono sull'autonomia legislativa e finanziaria regionale
-  anche l'art. 34, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,
come  convertito  nella legge 4 agosto 2006, n. 248, recante «Criteri
per  i trattamenti accessori massimi e pubblicita' degli incarichi di
consulenza».
    La   disposizione   ora  citata  aggiunge  un  ulteriore  periodo
all'art. 24,  comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Quest'ultimo
articolo  dispone  che  con  contratto individuale venga stabilito il
trattamento  economico  fondamentale  per  gli  incarichi  di  uffici
dirigenziali  di livello generale, assumendo come parametri di base i
valori  economici massimi contemplati dai contratti collettivi per le
aree dirigenziali, e vengano determinati gli istituti del trattamento
economico   accessorio,   collegato  al  livello  di  responsabilita'
attribuito  con  l'incarico  di  funzione  ed ai risultati conseguiti
nell'attivita' amministrativa e di gestione, ed i relativi importi.
    Il  periodo  aggiunto  dalla norma qui censurata prevede che «Con
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il
Ministro  dell'economia  e delle finanze sono stabiliti i criteri per
l'individuazione  dei trattamenti accessori massimi, secondo principi
di contenimento della spesa e di uniformita' e perequazione».
    Come  si  puo' comprendere dalla semplice lettura del testo della
disposizione  ora richiamata, anche in questo caso siamo di fronte ad
una  norma  statale  in  materia  di  fmanza  pubblica  dal contenuto
specifico, dettagliato e autoapplicativo.
    Se  pure  legittimamente  finalizzata al contenimento della spesa
pubblica,  la  previsione  in  oggetto  non rispetta il dettato degli
artt. 117,  comma  3,  e  119,  perche'  non costituisce un principio
fondamentale  di  coordinamento della finanza pubblica e non consente
al  legislatore  regionale  di  porre  in  essere alcuna normativa di
dettaglio  della  materia  non  solo  in  via legislativa, ma nemmeno
attraverso una normazione secondaria di mera esecuzione.
    Infatti,  prevedendo  una disciplina uniforme posta in essere con
decreto  del  Presidente del Consiglio dei ministri si impedisce alle
Regioni  di  stabilire  un  diverso  regime economico dei trattamenti
accessori massimi per gli incarichi di uffici dirigenziali di livello
generale, in relazione alle concrete realta' regionali.
    Da  quanto  si  e' esposto nel presente ricorso ritiene la difesa
della  Regione  del  Veneto  che  risulti  con  chiarezza  il mancato
rispetto  del  dettato  costituzionale  da  parte  di  tutte le norme
impugnate  del  decreto-legge  4  luglio  2006,  n. 223,  cosi'  come
convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248.
                              P. Q. M.
    Si  chiede  che  l'ecc.ma Corte costituzionale voglia dichiarare,
nei   termini   e  nelle  proposizioni  suindicati,  l'illegittimita'
costituzionale  degli articoli 2, commi 1, 2-bis e 3; 3, 5, commi 1 e
2;  6,  12,  comma  1;  13,  19, 22, 26, 27, 29, 30, 34, comma 1, del
decreto-legge   4   luglio   2006,   n. 223,  come  risultanti  dalla
conversione operata dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 «Conversione in
legge,  con  modificazioni,  del  decreto-legge 4 luglio 2006 n. 223,
recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per
il  contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonche'
interventi   in  materia  di  entrate  e  di  contrasto  all'evasione
fiscale»,  pubblicata  nella  Gazzetta Uffciale n. 186 dell'11 agosto
2006  (supplemento  ordinano  n. 1831),  nonche'  della stessa intera
legge  di  conversione,  per  violazione degli artt. 3, 97, 114, 117,
118, 119 e 120 della Costituzione.
        Padova-Roma, addi' 2 ottobre 2006
 Avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Romano Morra - Avv. Andrea Manzi
06C0921