N. 355 SENTENZA 25 ottobre - 7 novembre 2006

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Enti  pubblici  -  Ente  Ordine  Mauriziano  di Torino - Norme per il
  risanamento  economico  -  Estinzione, obbligatoriamente dichiarata
  dal  giudice,  per un periodo di ventiquattro mesi, delle procedure
  esecutive  proposte  a  carico  dell'ente sulla base di particolari
  titoli esecutivi - Inserimento automatico dei relativi debiti nella
  massa  passiva - Lamentata lesione del principio di eguaglianza tra
  i  creditori  e  del  principio  di  ragionevolezza  - Esclusione -
  Possibilita'   di  pervenire  in  via  interpretativa  a  soluzione
  conforme a Costituzione - Non fondatezza della questione.
- D.L.  del  19 novembre 2004, n. 277, convertito, con modificazioni,
  nella legge 21 gennato 2005, n. 4, art. 3, comma 1, lett. b).
- Costituzione, art. 3, commi primo e secondo.
Enti  pubblici  - Ente Ordine Mauriziano di Torino - Procedura per il
  ripianamento  dell'indebitamento  pregresso  -  Possibilita'  per i
  creditori  esclusi  (in  tutto  o  in parte) dalla massa passiva di
  proporre  ricorso al Ministro dell'interno - Mancata previsione del
  diritto  di  tutti  i  soggetti  interessati di adire il competente
  organo  giurisdizionale  per ottenere piena tutela delle rispettive
  posizioni   -   Lamentata   violazione   del  diritto  alla  tutela
  giurisdizionale  e  del  diritto  di  difesa nonche' violazione dei
  principi  di  eguaglianza  e di ragionevolezza - Questione priva di
  rilevanza nel giudizio a quo - Inammissibilita'.
- D.L.  del  19 novembre 2004, n. 277, convertito, con modificazioni,
  nella legge 21 gennaio 2005, n. 4, art. 3, comma 1, lettera f).
- Costituzione,  artt.  3,  commi primo e secondo e 24, commi primo e
  secondo.
(GU n.45 del 15-11-2006 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Romano   VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 3, comma 1,
lettere b)   e   f),   del  decreto-legge  19 novembre  2004,  n. 277
(Interventi  straordinari  per il riordino e il risanamento economico
dell'Ente    Ordine    Mauriziano   di   Torino),   convertito,   con
modificazioni,  nella  legge  21 gennaio  2005,  n. 4 (Conversione in
legge,  con modificazioni, del d.l. 19 novembre 2004, n. 277, recante
interventi  straordinari  per  il riordino e il risanamento economico
dell'Ente Ordine Mauriziano di Torino), promosso con ordinanza del 29
giugno 2005  dal  giudice  dell'esecuzione del Tribunale ordinario di
Torino,  nel  procedimento di esecuzione promosso dalla 3 B s.r.l. ed
altri  nei  confronti dell'Ente Ordine Mauriziano, iscritta al n. 495
del  registro  ordinanze  2005  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 41, 1ª serie speciale, dell'anno 2005;
    Visti  gli  atti di costituzione della 3 B S.r.l., della Advanced
Medical  Supplies  s.a.  ed  altre,  nonche' l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  10 ottobre  2006  il  giudice
relatore Romano Vaccarella;
    Udito  l'avvocato Paolo Agnino per Advanced Medical Supplies s.a.
ed   altre  e  l'avvocato  dello  Stato  Antonio  Palatiello  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel corso di un processo di espropriazione immobiliare, il
giudice  dell'esecuzione  del  Tribunale  ordinario  di  Torino,  con
ordinanza  del 29 giugno 2005, ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale    dell'art. 3,   comma 1,   lettere b)   e   f)   del
decreto-legge  19 novembre  2004, n. 277 (Interventi straordinari per
il riordino e il risanamento economico dell'Ente Ordine Mauriziano di
Torino),  convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2005,
n. 4,  in  riferimento  all'art. 3,  commi  primo  e  secondo,  della
Costituzione  quanto alla lettera b), ed in riferimento agli artt. 3,
commi   primo   e  secondo,  e  24,  commi  primo  e  secondo,  della
Costituzione, quanto alla lettera f).
    1.1. - Il giudice rimettente premette, in fatto, che, con atto di
pignoramento  del 6 febbraio 2004, trascritto il 24 marzo successivo,
era  stata  iniziata una procedura esecutiva immobiliare, nella quale
erano  intervenuti  numerosi  creditori,  nei  confronti  dell'Ordine
Mauriziano,  ente ospedaliero di diritto pubblico. Tenutasi l'udienza
per  l'audizione  delle  parti,  ai sensi dell'art. 569 del codice di
procedura  civile,  la  Fondazione  Ordine  Mauriziano  aveva chiesto
dichiararsi l'estinzione del processo esecutivo ai sensi dell'art. 3,
comma 1,  del  citato  decreto-legge  n. 277  del 2004, mentre taluni
creditori  avevano  eccepito  la  illegittimita' costituzionale della
medesima norma.
    1.2.  -  In  diritto,  il  giudice  a quo osserva che il predetto
decreto-legge  n. 277  del  2004,  nel  prevedere  che  l'Ente Ordine
Mauriziano  di  Torino  «continua  a  svolgere  la  propria attivita'
secondo  le vigenti disposizioni» (art. 1, comma 2), ha costituito la
Fondazione  Ordine  Mauriziano, con sede in Torino (art. 2, comma 1),
trasferendo  ad  essa  l'intero  patrimonio  immobiliare  e mobiliare
dell'Ente, con esclusione dei presidi ospedalieri Umberto I di Torino
e  Istituto  per  la  ricerca e la cura del cancro (IRCC) di Candiolo
(art. 2,  comma 2),  e  stabilendo che la medesima Fondazione succede
all'Ente   nei   rapporti  attivi  e  passivi,  ivi  compresi  quelli
contenziosi,  di  cui  lo stesso era titolare alla data di entrata in
vigore del decreto (con esclusione dei rapporti di lavoro relativi al
personale   impegnato   nelle  attivita'  sanitarie),  nonche'  nelle
situazioni   debitorie  e  creditorie  a  qualsiasi  titolo  maturate
dall'Ente in data anteriore a quella di entrata in vigore del decreto
(art. 2,  comma 3). Il nuovo soggetto giuridico, cosi' costituito, ha
lo  scopo  -  dispone  l'art. 2,  comma 4  - di gestire il patrimonio
conferitogli,  conservando  e  valorizzando  i  beni culturali di sua
proprieta',  nonche'  di  «operare  per  il  risanamento del dissesto
finanziario  dell'Ente,  calcolato alla data di entrata in vigore del
presente   decreto,  anche  mediante  la  dismissione  dei  beni  del
patrimonio disponibile trasferito» .
    In  funzione  di  tale  obiettivo, l'art. 3, comma 1, prevede che
dalla  data  di  entrata  in  vigore e per un periodo di ventiquattro
mesi:
    «a)  non  possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive
nei  confronti  della  Fondazione per debiti dell'Ente, insoluti alla
data predetta;
        b) le procedure esecutive pendenti, per le quali sono scaduti
i   termini   per   l'opposizione  giudiziale  da  parte  dell'Ordine
Mauriziano, ovvero la stessa opposizione, benche' proposta, sia stata
rigettata,  sono  dichiarate  estinte  dal  giudice;  gli importi dei
relativi  debiti  sono  inseriti  nella  massa  passiva  di  cui alla
lettera e), a titolo di capitale, accessori e spese;
        c) i  pignoramenti  eventualmente  gia'  eseguiti  non  hanno
efficacia  e  non  vincolano  la  Fondazione ed il tesoriere, i quali
possono  disporre  delle  somme  per  i  fini  della  Fondazione e le
finalita' di legge;
        d) i  debiti  insoluti  alla  data  di  entrata in vigore del
presente  decreto  non  producono  interessi,  ne'  sono  soggetti  a
rivalutazione monetaria;
        e) il   legale  rappresentante  della  Fondazione  assume  le
funzioni   di   commissario   straordinario  e  provvede  al  ripiano
dell'indebitamento  pregresso  con  i mezzi consentiti dalla legge. A
tale  fine  provvede  all'accertamento della massa passiva risultante
dai  debiti  insoluti  per  capitale, interessi e spese ed istituisce
apposita  gestione  separata,  nella  quale confluiscono i debiti e i
crediti  maturati  fino  alla  data di entrata in vigore del presente
decreto.  Nell'ambito di tale gestione separata e', altresi', formata
la massa attiva con l'impiego anche del ricavato dall'alienazione dei
cespiti  appartenenti  al  patrimonio  disponibile  della Fondazione,
delle  sovvenzioni  straordinarie e delle altre eventuali entrate non
vincolate  per  legge  o  per  destinazione,  per  il pagamento anche
parziale  dei  debiti,  mediante  periodici  stati  di  ripartizione,
secondo i privilegi e le graduazioni previsti dalla legge;
        f) avverso  il  provvedimento del legale rappresentante della
Fondazione che prevede l'esclusione, totale o parziale, di un credito
dalla  massa  passiva,  i creditori esclusi possono proporre ricorso,
entro  il  termine  di  trenta  giorni  dalla  notifica,  al Ministro
dell'interno,   che   si   pronuncera'   entro  sessanta  giorni  dal
ricevimento decidendo allo stato degli atti;
        g) il legale rappresentante della Fondazione e' autorizzato a
definire transattivamente, con propria determinazione, le pretese dei
creditori,  in misura non superiore al 70 per cento di ciascun debito
complessivo, con rinuncia ad ogni altra pretesa e con la liquidazione
obbligatoria  entro  trenta giorni dalla conoscenza dell'accettazione
della transazione».
    1.3.  -  Riguardo,  in particolare, alla disposizione di cui alla
lettera b),  il  giudice rimettente osserva che, poiche' la locuzione
«opposizione   giudiziale»   non   puo'   riferirsi   all'opposizione
all'esecuzione  ex  art. 615  cod.  proc.  civ.,  per la quale non e'
previsto  alcun  termine,  «si deve ritenere che il legislatore abbia
voluto   fare   implicito   riferimento   ai  procedimenti  esecutivi
intrapresi  sulla  base di titoli esecutivi, caratterizzati dal fatto
di  essere  adottati  all'esito  di  un  procedimento  di  cognizione
sommaria  in  cui puo' inserirsi, come fase eventuale, un giudizio di
opposizione  a  cognizione  piena»,  come  nel caso di specie, in cui
l'esecuzione  e'  stata  promossa  in  forza di un decreto ingiuntivo
dichiarato esecutivo.
    Dal  tenore  letterale  della norma, poi, il giudice a quo evince
che  il provvedimento giudiziale, con il quale le procedure esecutive
pendenti «sono dichiarate estinte», ha portata meramente dichiarativa
di  un  effetto  estintivo  gia'  prodottosi  ope legis dalla data di
entrata in vigore del decreto-legge n. 277 del 2004.
    1.4.   -  Tanto  premesso,  il  giudice  a  quo  ritiene  che  la
disposizione  di  cui  all'art. 3,  comma 1,  lettera b),  del citato
decreto-legge  si  pone in contrasto con l'art. 3 Cost. sotto diversi
profili.
    1.4.1.  -  In primo luogo, posto che l'estinzione della procedura
esecutiva  si  e'  prodotta  gia' dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge,  i  creditori  intervenuti successivamente a tale data
sulla   base   di   titoli  esecutivi  identici  (decreti  ingiuntivi
esecutivi) non possono avvalersi della previsione, riferibile solo ai
creditori  anteriori,  per  cui «gli importi dei relativi debiti sono
inseriti  nella  massa  passiva  di  cui alla lettera e), a titolo di
capitale,  accessori  e  spese»;  il  che creerebbe «un'irragionevole
disparita'  di  trattamento  tra  creditori,  che  pur  trovandosi in
situazioni   identiche,   si   vedono   assoggettati   ad  un  regime
immotivatamente differenziato».
    1.4.2.  -  In  secondo  luogo,  l'inserimento nella massa passiva
dovrebbe  aver  luogo  anche per i creditori che sono si' intervenuti
prima  dell'entrata  in  vigore  del  decreto-legge, ma sulla base di
titoli  privi  di  efficacia  esecutiva; di guisa che si farebbe, del
tutto  irragionevolmente,  un  identico trattamento a soggetti che si
trovano in posizioni differenti.
    Piu'  in  generale, poi, la diversita' di soluzioni, adottate dal
legislatore   nelle   lettere a)   e  b)  dell'art. 3,  comma 1,  del
decreto-legge  in  questione,  creerebbe  irragionevole disparita' di
trattamento  tra  creditori muniti di titoli esecutivi provenienti da
procedimenti  a  cognizione  sommaria  e  creditori forniti di titoli
esecutivi di specie diversa.
    1.4.3.--  In  terzo  luogo,  posto  che  le disposizioni in esame
devono  trovare  applicazione  «per  un periodo di ventiquattro mesi»
(secondo l'enunciato iniziale dell'art. 3, comma 1), «se si considera
che l'estinzione del procedimento comporta il venir meno di tutti gli
atti  compiuti,  appare  priva  di ragionevolezza la previsione della
dichiarazione  di  estinzione per un periodo temporaneo»: infatti, al
termine   di  tale  periodo,  i  creditori,  che  non  fossero  stati
soddisfatti,  ben potrebbero agire in via esecutiva, ma non avrebbero
la  possibilita'  di  riattivare  le «vecchie» procedure e dovrebbero
instaurarne  di  nuove, andando incontro, cosi', ad un ingiustificato
aggravio di spese.
    L'irragionevolezza di tale opzione legislativa sarebbe confermata
-  ad  avviso del rimettente - nel confronto con le normative dettate
per  le varie procedure finalizzate al soddisfacimento dei crediti in
via  concorsuale,  nelle  quali  trova  applicazione generalizzata la
regola  posta  dall'art. 51  del  regio decreto 16 marzo 1942, n. 267
(Disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
amministrativa), ossia quella che stabilisce il divieto di iniziare o
proseguire  azioni  esecutive  individuali  a  far data dall'apertura
della procedura concorsuale.
    1.5.   -  Riguardo  alla  disposizione  di  cui  alla  lettera f)
dell'art. 3,  comma 1, del medesimo decreto-legge n. 277 del 2004, il
giudice  a  quo  osserva  che  essa violerebbe il diritto alla tutela
giurisdizionale  (art. 24, comma primo, Cost.), in quanto i creditori
possono  ottenere il soddisfacimento dei loro diritti solo attraverso
l'iscrizione  nel  passivo  della  Fondazione  e l'unico strumento di
tutela   loro   offerto,   «avverso   il   provvedimento  del  legale
rappresentante  della  Fondazione  che prevede l'esclusione, totale o
parziale,  di un credito dalla massa passiva», e' rappresentato dalla
possibilita'  di «proporre ricorso, entro il termine di trenta giorni
dalla  notifica,  al  Ministro  dell'interno»,  il  quale e' tenuto a
pronunciare  «entro  sessanta  giorni  dal ricevimento decidendo allo
stato degli atti».
    1.5.1.  -  La  norma  violerebbe,  altresi', il diritto di difesa
(art. 24,  secondo comma, Cost.), in quanto non concede alla parte lo
spazio  e  il tempo necessari per dispiegare compiutamente le proprie
argomentazioni   difensive,  non  facendo  obbligo  al  Ministro  «di
svolgere  un'attivita'  istruttoria  funzionale  all'esplicazione del
diritto di difesa del privato».
    1.5.2. - Sotto altro profilo, verrebbe leso anche il principio di
uguaglianza  (art. 3  Cost.)  dalla  previsione  che solo i creditori
esclusi,   non  anche  i  creditori  ammessi,  possono  ricorrere  al
Ministro,  con  cio'  facendo  una «irragionevole differenziazione di
trattamento,  in  quanto  anche  i  creditori  ammessi  possono avere
interesse  a  ricorrere contro la decisione del legale rappresentante
della  Fondazione, che ammetta al passivo crediti, dai quali potrebbe
derivare  nocumento  al  pieno  effettivo  soddisfacimento delle loro
ragioni».
    Il   sospetto   di  incostituzionalita'  sarebbe  avvalorato  dal
confronto  sia con la disciplina dei procedimenti esecutivi contenuta
nel  codice di rito sia con quella delle varie procedure concorsuali:
infatti,  come nell'esecuzione singolare i creditori possono ottenere
tutela  giurisdizionale  delle  loro  posizioni soggettive in sede di
distribuzione  (art. 512  cod.  proc. civ.), cosi' nella procedura di
fallimento  e  in  quella  di  liquidazione  coatta  amministrativa i
creditori  esclusi o ammessi con riserva possono proporre opposizione
allo  stato  passivo,  ai sensi dell'art. 98 del r.d. n. 267 del 1942
(legge  fallimentare),  e i creditori interessati possono impugnare i
crediti  ammessi,  ai  sensi  dell'art. 100  dello  stesso  r.d.,  in
entrambi  i casi instaurando un giudizio di cognizione, in cui ognuno
ha  la  possibilita'  di  difendere  le  proprie ragioni davanti a un
giudice terzo e imparziale.
    1.6.  -  Il  giudice  rimettente  ritiene che a fugare i dubbi di
incostituzionalita'  non  valgano  le  considerazioni  espresse nella
sentenza  della  Corte  costituzionale  n. 155 del 1994, con la quale
sono  state  dichiarate  infondate  alcune  questioni di legittimita'
costituzionale  sollevate  con riguardo all'art. 21 del decreto-legge
18 gennaio  1993,  n. 8  (Disposizioni  urgenti in materia di finanza
derivata  e di contabilita' pubblica), convertito, con modificazioni,
nella  legge 19 marzo 1993, n. 68: norma sotto piu' profili analoga a
quella oggetto del presente giudizio.
    1.6.1.--  Ad  avviso del giudice a quo, da tale pronuncia possono
trarsi   ulteriori   argomenti   a   sostegno   della  non  manifesta
infondatezza delle questioni sollevate.
    In  primo  luogo,  nella  fattispecie  in  esame  non  sussistono
esigenze  identiche  a  quelle  che  hanno  giustificato  lo speciale
trattamento  riservato  agli enti locali in stato di dissesto, atteso
che    la    Fondazione    Ordine   Mauriziano   non   e'   un   ente
«costituzionalmente necessario» ed e', comunque, un soggetto distinto
dall'Ente   Ordine  Mauriziano;  sicche'  non  sembra  rispondente  a
ragionevolezza   «la   decisione  del  legislatore  di  adottare  una
procedura  concorsuale  speciale rispetto alla disciplina applicabile
alla generalita' dei casi».
    1.6.2.--   In   secondo   luogo,  posto  che  l'art. 3,  comma 1,
lettera b),  del  decreto-legge  n. 277 del 2004 prevede l'estinzione
solo  delle  procedure  esecutive  pendenti  instaurate sulla base di
particolari  titoli  esecutivi,  la  scelta  del legislatore non puo'
dirsi  giustificata  dall'esigenza di evitare la concorrente pendenza
di procedure esecutive individuali e concorsuali.
    1.6.3.--  In terzo luogo, quanto alla tutela offerta ai creditori
nel   procedimento   amministrativo   di   liquidazione,  non  sembra
applicabile  nella  fattispecie  il  principio  enunciato dalla Corte
costituzionale,  secondo cui il silenzio del legislatore non puo' mai
significare  sottrazione  alla  «ordinaria verifica giurisdizionale»,
giacche'  l'art. 3, comma 1, lettera f), del decreto-legge n. 277 del
2004, avendo espressamente previsto solo la possibilita' di ricorrere
al  Ministro  dell'interno,  ha  inteso  escludere la possibilita' di
esperire  rimedi  di natura giurisdizionale. Peraltro, quand'anche si
ritenesse   possibile   esperire  mezzi  di  tutela  giurisdizionale,
sussisterebbe,  tuttavia, un profilo di irragionevolezza e disparita'
di   trattamento,   atteso   che   i   creditori  esclusi  dovrebbero
preventivamente  ricorrere  al Ministro e solo contro la decisione di
questo   potrebbero   rivolgersi  al  giudice  competente,  mentre  i
creditori  ammessi,  per  impugnare  l'ammissione di altri creditori,
potrebbero adire direttamente la via giurisdizionale.
    In  conclusione, l'art. 3, comma 1, lettera f), del decreto-legge
n. 277  del  2004  contrasterebbe con gli artt. 3 e 24 Cost., nonche'
con  il  principio  di  ragionevolezza,  «nella parte in cui prevede,
unicamente  per  i creditori esclusi, la possibilita' di ricorrere al
Ministro  dell'interno,  invece  del  diritto  di  tutti  i  soggetti
interessati   di  adire  il  competente  organo  giurisdizionale  per
ottenere  piena  tutela  delle  rispettive  posizioni, analogamente a
quanto  previsto  nella  generalita' delle procedure concorsuali e in
particolare nella liquidazione coatta amministrativa».
    1.7.   -  Quanto  alla  rilevanza  delle  questioni,  il  giudice
rimettente  osserva  che  le  censure  da lui mosse «non attengono al
livello di controllo giurisdizionale garantito, come tale sindacabile
in giudizi successivi eventualmente proposti dai singoli per ottenere
tutela   dei   propri  diritti  ed  interessi,  ma  all'irragionevole
disparita'   di   trattamento  dei  diversi  creditori,  direttamente
conseguente  alla  decisione  di estinzione o improseguibilita' della
presente procedura».
    2.  -  Si  e'  costituita  nel  giudizio la 3B S.r.l., creditrice
pignorante nel processo a quo, la quale ha chiesto che sia dichiarata
l'illegittimita'  costituzionale  degli artt. 2 e 3 del decreto-legge
19 novembre  2004,  n. 277 (Interventi straordinari per il riordino e
il  risanamento  economico  dell'Ente  Ordine  Mauriziano di Torino),
convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2005, n. 4.
    2.1.  -  La deducente osserva, in primis, che la previsione della
estinzione  delle  procedure  esecutive  pendenti  e' contraddittoria
rispetto  alla  disposizione  dell'art. 3,  comma 1,  lettera a), del
citato  decreto-legge,  la  quale  stabilisce  che, per un periodo di
ventiquattro mesi, «non possono essere intraprese o proseguite azioni
esecutive  nei confronti della Fondazione per debiti dell'Ente»: se i
creditori  riacquistano  la  facolta'  di agire in via esecutiva allo
scadere del periodo di moratoria, sarebbe stato logico prevedere, per
tale periodo, «una sorta di sospensione ex lege con facolta' di poter
poi   proseguire   la   procedura   medesima   in  base  al  disposto
dell'art. 627 cod. proc. civ.».
    2.2.   -   Osserva,   poi,   che   la  disposizione  che  sottrae
all'autorita'  giudiziaria  l'accertamento dei diritti dei creditori,
per   devolverlo   a   organi  non  giurisdizionali  (il  commissario
straordinario   e,  in  secondo  grado,  il  Ministro  dell'interno),
contrasterebbe  coi  principi  sanciti  negli  artt. 24 e 25 Cost., e
violerebbe altresi' l'art. 3 Cost., in quanto pone sullo stesso piano
i  creditori  che  si  sono  attivati  tempestivamente, agendo in via
esecutiva, rispetto a quelli che sono rimasti del tutto inerti.
    2.3.  -  Sotto  altro  profilo,  il contrasto con il principio di
uguaglianza  risulterebbe  da  cio', che la normativa impugnata tende
non   gia'   a   soddisfare  interessi  generali  o  diffusi,  ma  ad
avvantaggiare  un  solo  soggetto,  per  di  piu' privato, qual e' la
Fondazione Ordine Mauriziano.
    2.4.  - Inoltre, la previsione del blocco degli interessi, di cui
alla lettera d) dell'art. 3, comma 1, del decreto-legge in questione,
«costituisce  una vera espropriazione di diritti acquisiti», violando
pure  il  principio  di  autonomia  contrattuale sancito dall'art. 41
Cost.
    2.5.  -  La  deducente  osserva,  ancora,  che  si  e' creata una
procedura   concorsuale   ad   personam,  nella  quale  nemmeno  sono
assicurate  le  elementari  garanzie previste in ogni altra procedura
concorsuale.
    2.6.  -  Infine,  essa  denuncia  come  lesivo dei principi degli
artt. 3,  24  e 41 Cost. «lo scorporo dal patrimonio della Fondazione
destinato  a  soddisfare  i  creditori di una cospicua parte dei beni
gia' di proprieta' dell'Ordine Mauriziano, beni sui quali i creditori
fondatamente   contavano   per  poter  soddisfare  le  loro  ragioni»
(art. 2740 del codice civile).
    3.  -  Si sono, altresi', costituite la Advanced Medical Supplies
s.a., la Emopass s.r.l. e la ME.DI S.r.l., creditrici intervenute nel
processo  a  quo, le quali hanno chiesto che la emananda pronuncia di
incostituzionalita'  sia  estesa  all'art. 2,  commi 2 e 3, nonche' a
tutto l'art. 3 del decreto-legge n. 277 del 2004.
    3.1. - Le deducenti asseriscono che l'illegittimita' dell'art. 3,
comma 1,   lettera b),   «trae   con   se'   in  via  consequenziale»
l'illegittimita'  dell'art. 3, comma 1, lettera a), «vista la stretta
connessione  tra  le due previsioni». La sospensione delle esecuzioni
pendenti,  che,  espunta  la  lettera b),  conseguirebbe - secondo il
giudice  rimettente  -  dall'applicazione  della  sola lettera a), in
realta',  dato  il  disposto  della  lettera c),  «sarebbe  del tutto
fittizia,  in  quanto  semplicemente  non si troverebbero piu' i beni
gia' pignorati».
    Non potrebbe, allora, non essere travolta anche la lettera c).
    3.2.  -  Osservano,  ancora,  che  non  hanno  alcuna ragionevole
giustificazione  e sono da ritenere costituzionalmente illegittimi in
via  consequenziale  il  blocco degli interessi e della rivalutazione
monetaria,  disposto dalla lettera d), la gestione separata, prevista
dalla   lettera e),   nonche'   l'autorizzazione,   data   al  legale
rappresentante   della   Fondazione  dalla  lettera g),  «a  definire
transattivamente,   con   propria   determinazione,  le  pretese  dei
creditori,  in misura non superiore al 70 per cento di ciascun debito
complessivo, con rinuncia ad ogni altra pretesa e con la liquidazione
obbligatoria  entro  trenta giorni dalla conoscenza dell'accettazione
della transazione».
    Quest'ultima  previsione,  in particolare, non solo stride con la
sicura  capienza  del  patrimonio disponibile dell'Ordine Mauriziano,
ma,  in  realta', consente «uno stralcio che sara' disposto d'imperio
dalla   Fondazione»,   cosi'  riconoscendo  ad  essa  «il  potere  di
autoesentarsi dal debito», in violazione dei principi costituzionali,
tra cui quello sancito nell'art. 23 Cost.
    3.3.  -  Infine,  le deducenti sostengono che, consequenzialmente
alla    pronuncia    di   incostituzionalita'   dell'intero   comma 1
dell'art. 3,  anche  le  disposizioni  dei  commi 2  e  3 dell'art. 2
presenterebbero  profili  di  irragionevolezza,  oltre  ad  «autonomi
profili  di incostituzionalita' legati alla violazione del diritto di
difesa,   in  conseguenza  di  un  trasferimento  d'imperio  di  beni
pignorati,  che  stravolge  principi  di  ordine  pubblico  da sempre
indiscussi, quali espressi negli artt. 2913, 2914, 2915 cod. civ.».
    4.  - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha concluso per l'infondatezza delle questioni.
    4.1.  -  L'interveniente  osserva che la normativa introdotta dal
decreto-legge n. 277 del 2004 si e' resa necessaria per assicurare la
sopravvivenza    dell'Ordine   Mauriziano   -   ente   di   rilevanza
costituzionale,  in  quanto  previsto  dalla  XIV disposizione finale
della  Costituzione  -  e la prosecuzione dell'attivita' sanitaria da
esso  esercitata,  ponendo  rimedio  alla  sua  gravissima situazione
finanziaria,  mediante  «una  sorta  di  coordinamento  tra autorita'
amministrativa  e  giudiziaria  finalizzata  ad una coordinata tutela
dell'interesse   pubblico   e   degli  interessi  privati  coinvolti,
pienamente compatibile con il vigente ordinamento costituzionale».
    La disciplina in questione e' del tutto analoga a quella dettata,
per   il  risanamento  degli  enti  locali  dissestati,  dal  decreto
legislativo   18 agosto   2000,   n. 267  (Testo  unico  delle  leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali), ed a quella apprestata per il
risanamento   dell'Azienda   Policlinico  Umberto  I  e  dell'Azienda
ospedaliera  Sant'Andrea  di  Roma dal decreto-legge 1° ottobre 1999,
n. 341  (Disposizioni  urgenti  per l'Azienda Policlinico Umberto I e
per  l'Azienda  ospedaliera  Sant'Andrea  di  Roma),  convertito, con
modificazioni, nella legge 3 dicembre 1999, n. 453.
    4.2.  -  Poste  tali  premesse, osserva l'Avvocatura dello Stato,
quanto   alla  disposizione  dell'art. 3,  comma 1,  lettera b),  del
decreto-legge  n. 277  del  2004, che essa non lede gli interessi dei
creditori,   in   quanto,   in  conseguenza  della  dichiarazione  di
estinzione  delle  procedure  esecutive  pendenti, «per le quali sono
scaduti  i  termini per l'opposizione giudiziale da parte dell'Ordine
Mauriziano, ovvero la stessa opposizione, benche' proposta, sia stata
rigettata», i crediti, con esse fatti valere, vengono automaticamente
inseriti  nella massa passiva e, quindi, partecipano, senza ulteriori
adempimenti, al riparto dell'attivo.
    La  norma  non  preclude,  «ovviamente,  i possibili ricorsi e le
successive  azioni  in  sede  giurisdizionale  che restano, intatte e
intangibili, nella piena disponibilita' dell'interessato».
    Ne'  sussisterebbe la prospettata disparita' di trattamento fra i
creditori  intervenuti  prima  e quelli intervenuti dopo l'entrata in
vigore   del   decreto-legge   in  questione,  essendo  differenti  i
presupposti  delle  due  fattispecie;  d'altro canto, l'interveniente
successivo  potra'  anch'egli  chiedere  al commissario straordinario
l'iscrizione del suo credito nella massa passiva.
    4.3. - Quanto alla disposizione dell'art. 3, comma 1, lettera f),
del decreto-legge n. 277 del 2004, la difesa erariale ricorda, in via
generale, che la Corte costituzionale ha affermato che, «ove sorga la
esigenza  di  una  procedura  concorsuale, non necessariamente questa
deve   interamente   svolgersi   nel   contesto  di  un  procedimento
giurisdizionale  sotto l'immediato e diretto controllo dell'autorita'
giudiziaria,  come nell'ipotesi del fallimento, ben potendo invece il
legislatore  prevedere  un  procedimento amministrativo tanto piu' se
sono  coinvolti interessi pubblici» (sentenza n. 155 del 1994). Cio',
tuttavia,  «non  significa  negazione  della  giustiziabilita'  delle
posizioni  soggettive  versate  nella procedura di liquidazione e non
comporta  vulnerazione  di  quel  supremo  principio dell'ordinamento
costituzionale  (sentenze n. 18 del 1982 e n. 392 del 1992) che e' il
diritto  alla  tutela  giurisdizionale, la quale non implica un'unica
rigida  tipologia  di  procedura concorsuale» (ancora sentenza n. 155
del 1994).
    Nel   caso   di  specie,  si  rientra  proprio  nella  situazione
contemplata  dalla  Corte  nella  richiamata pronuncia, atteso che le
ragioni   di   interesse  pubblico  insite  nell'attivita'  sanitaria
esercitata   dall'Ordine   Mauriziano   giustificano  la  particolare
disciplina   adottata  per  risanare  la  sua  gravissima  situazione
finanziaria.
    Cio'  posto,  appare priva di fondamento la censura relativa alla
previsione   della  possibilita'  di  proporre  ricorso  al  Ministro
dell'interno,  «atteso il carattere altamente qualificato dell'organo
chiamato  a  rendere  il  proprio  avviso e la terzieta' dello stesso
rispetto  al soggetto responsabile dell'atto impugnato», per cui egli
si atteggia «ad organo di giustizia estraneo alle parti e piu' vicino
alla figura del giudice».
    Peraltro, la disposizione in esame non esclude la possibilita' di
un  successivo  controllo  giurisdizionale, che deve ritenersi sempre
ammissibile a mente dell'art. 113 Cost.
    Ne'   risulta   menomata  la  salvaguardia  delle  posizioni  dei
creditori  in  relazione ai piani di riparto, potendo essere esperiti
avverso  questi i normali mezzi di tutela. Infine, non puo' ritenersi
-  contrariamente  a  quanto sostenuto nell'ordinanza di rimessione -
precluso ai creditori ammessi di far ricorso al Ministro.
    4.4.  -  Conclusivamente,  la  difesa  erariale  osserva  che  la
disciplina  de  qua  e'  il  frutto  di un'attenta ponderazione fra i
molteplici  interessi,  pubblici e privati, implicati nella complessa
situazione  dello  storico Ordine: essa, da un lato, ha consentito la
prosecuzione  della  rilevantissima  attivita'  sanitaria  svolta nei
presidi  ospedalieri  rimasti  all'Ente;  dall'altro,  ha  avviato il
ripianamento  della  ingente  esposizione  debitoria,  attraverso  la
liquidazione  dei  beni  del  patrimonio  disponibile, conferiti alla
Fondazione  liberi  dai  vincoli  delle  esecuzioni  in  corso  -  in
conseguenza  della  inefficacia  dei  pignoramenti -, in modo che sia
attuato il principio della par condicio creditorum, «senza violazione
alcuna  del  principio  di  uguaglianza,  in  quanto  i pagamenti non
verranno  a  dipanarsi nell'ordine casuale e contingente, determinato
dalle  varie procedure esecutive individuali, ma avvengono nel quadro
di  una  procedura concorsuale liquidatoria in cui, tra l'altro, sono
tenuti  presenti  i  vari  privilegi  e le graduazioni previste dalla
legge».

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  ordinario  di Torino dubita, in riferimento
all'art. 3,   commi   primo  e  secondo,  della  Costituzione,  della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 3,  comma 1,  lettera b), del
decreto-legge  19 novembre  2004, n. 277 (Interventi straordinari per
il riordino e il risanamento economico dell'Ente Ordine Mauriziano di
Torino),  convertito, con modificazioni, nella legge 21 gennaio 2005,
n. 4,  nonche', in riferimento agli artt. 3, commi primo e secondo, e
24,  commi  primo  e  secondo, della Costituzione, della legittimita'
costituzionale  della  lettera f)  del  medesimo art. 3, comma 1, del
citato decreto-legge.
    2.  -  La questione sollevata in riferimento all'art. 3, comma 1,
lettera b), del decreto-legge n. 277 del 2004 non e' fondata.
    2.1. - Il giudice a quo, muovendo dalla premessa che la locuzione
«opposizione  giudiziale»  non puo' riferirsi che ai creditori il cui
titolo  esecutivo  sia costituito da un decreto ingiuntivo esecutivo,
osserva  che  l'inserimento,  ad opera del commissario straordinario,
nella  massa passiva sarebbe garantito a tale tipologia di creditori,
se  intervenuti  nel  processo esecutivo prima dell'entrata in vigore
del  decreto-legge,  il quale ex se, e non gia' ope judicis, sancisce
l'estinzione delle procedure esecutive singolari.
    Di   qui   l'asserita   violazione   dell'art. 3  Cost.  sia  per
l'irragionevole  deteriore trattamento riservato ai creditori, muniti
di  identico  titolo  esecutivo, intervenuti dopo l'entrata in vigore
del decreto-legge, laddove, per giunta, sarebbero ammessi nella massa
passiva  creditori  non  muniti  di  titolo  esecutivo se intervenuti
anteriormente; sia, ancora, per l'irragionevole deteriore trattamento
riservato  ai  creditori muniti di diverso titolo esecutivo, per cio'
solo esclusi dalla massa passiva; sia, infine, per l'irragionevolezza
della   previsione   dell'estinzione,   in  luogo  della  «temporanea
improseguibilita»,  delle  procedure  esecutive  singolari, in quanto
tale  previsione  comporterebbe  che,  allo  spirare  del  termine di
ventiquattro mesi, i creditori non soddisfatti dovrebbero iniziare ex
novo  procedure esecutive e non riattivare le precedenti sui medesimi
beni gia' pignorati.
    2.2.  - La norma impugnata - formulata, osserva il rimettente, in
modo  da rendere impossibile all'interprete di attenersi strettamente
alla sua lettera - deve essere interpretata alla luce del complessivo
quadro normativo disegnato dagli artt. 2 e 3 del decreto-legge n. 277
del  2004;  e  cio'  analogamente  a  quanto  si  impone  per  norme,
sostanzialmente  identiche,  dettate  per  gli enti locali dissestati
(art. 248  del  decreto  legislativo  18 agosto  2000, n. 267, «Testo
unico  delle  leggi sull'ordinamento degli enti locali», riproduttivo
dell'art. 81   del   decreto  legislativo  25 febbraio  1995,  n. 77,
«Ordinamento  finanziario  e  contabile  degli  enti  locali»)  e per
l'Azienda Ospedaliera Policlinico Umberto I (art. 2 del decreto-legge
1° ottobre   1999,   n. 341,   «Disposizioni  urgenti  per  l'Azienda
Policlinico  Umberto  I  e  per  l'Azienda ospedaliera Sant'Andrea di
Roma»,  convertito,  con  modificazioni, nella legge 3 dicembre 1999,
n. 453).
    Non  e'  dubbio, infatti, che, alla pari di quelle appena citate,
la  norma  censurata  assolve alla funzione - unitamente a quella, ex
art. 3,  comma 1, lettera a), che vieta di intraprendere o proseguire
azioni  esecutive  ed  a  quella, ex art. 3, comma 1, lettera c), che
priva i pignoramenti gia' eseguiti della loro efficacia e del vincolo
di  destinazione  che  ne  consegue  ex  art. 2913  cod.  civ.  -  di
assoggettare  i  beni  della Fondazione ad una procedura esecutiva di
tipo concorsuale in luogo di quelle singolari.
    E'  il  caso di rilevare che la scelta cosi' operata - di imporre
carattere  concorsuale  alla  procedura di liquidazione dei beni - e'
soluzione  alla  quale  il  legislatore  ricorre,  in  presenza di un
ragionevole  rischio di insufficienza di un patrimonio a soddisfare i
creditori,  attraverso  varie  tecniche:  e  cosi',  al  fine  di non
pregiudicare   l'espletamento  di  servizi  essenziali,  creando  una
«gestione  separata»  di  un  complesso  di rapporti attivi e passivi
(come  nel caso degli enti locali); procedendo alla creazione, con lo
scorporo  da  una  piu'  ampia entita', di un ente distinto (scorporo
dall'Universita'  «La Sapienza» di Roma dell'Ente ospedaliero Umberto
I);  prevedendo la liquidazione concorsuale dell'eredita' beneficiata
e  dell'eredita'  giacente ovvero del patrimonio di persona giuridica
estinta.
    Nel  caso  di  specie, il legislatore - al fine di preservare dal
dissesto l'espletamento delle tradizionali attivita' ospedaliere - ha
operato  una  scissione  dell'ente  (nella  specie,  dell'Ente Ordine
Mauriziano)   costituendo   due   distinti   patrimoni  (art. 1,  non
censurato) ed attribuendo alla neo-costituita Fondazione tutti i beni
estranei ai presidi ospedalieri, nonche' la qualita' di successore in
tutti i rapporti attivi e passivi (con esclusione di quelli di lavoro
di carattere sanitario).
    Connotato  essenziale  ed  indefettibile  di  qualsiasi procedura
ispirata  al principio della concorsualita', e suo fine fondamentale,
e' l'attuazione del principio della par condicio creditorum.
    Alla luce di tale principio, pertanto, devono essere interpretate
le  singole  disposizioni,  in quanto - come questa Corte ha rilevato
nella  sentenza  n. 155 del 1994, avente ad oggetto la norma (art. 21
del  decreto-legge  18 gennaio  1993,  n. 8, «Disposizioni urgenti in
materia  di finanza derivata e di contabilita' pubblica», convertito,
con  modificazioni,  nella legge 19 marzo 1993, n. 68) dalla quale e'
derivata la successiva disciplina del dissesto degli enti locali - il
carattere  concorsuale della liquidazione dei beni mira a far si' che
il  «comune  rischio di inadempimento del debitore e di incapienza di
una    qualsivoglia    procedura   esecutiva   individuale»   risulti
«razionalizzato  perche'  il  pagamento  avviene  non gia' secondo il
(casuale   e   contingente)   andamento   delle   singole   procedure
individuali,  bensi'  nel  rispetto  del  canone  della  par condicio
creditorum;  sicche'  il  principio di eguaglianza, lungi dall'essere
violato [...], e' viceversa maggiormente attuato».
    2.3.  -  Da quanto fin qui rilevato emerge che l'interpretazione,
proposta  dal giudice a quo, della locuzione - certamente non felice,
ma  mutuata dalle leggi che si sono ricordate sub 2.2. - «opposizione
giudiziale»,   come   riferentesi  esclusivamente  all'opposizione  a
decreto  ingiuntivo,  non  puo'  essere  condivisa:  ed  infatti tale
interpretazione,   pur   costituendo   (come   lo  stesso  rimettente
riconosce)  una  forzatura  della  lettera  della  legge,  e' tale da
violare fondamentali precetti costituzionali.
    Tale violazione discende dal fatto che l'interpretazione adottata
dal rimettente si pone in radicale contrasto con l'essenza stessa del
carattere concorsuale della procedura, imposta dalla legge, in quanto
essa  comporta  che  l'ammissione  alla massa passiva - lo strumento,
cioe',  attraverso  il  quale  si  attua la par condicio creditorum -
sarebbe riservata, del tutto irragionevolmente, soltanto ai creditori
muniti   di  (titolo  esecutivo  costituito  da)  decreto  ingiuntivo
(definitivamente)   esecutivo   (perche'   non   opposto   o  perche'
l'opposizione e' stata rigettata), e ne sarebbero esclusi i creditori
muniti   di   (titolo  esecutivo  costituito  da)  sentenza  o  altro
provvedimento irretrattabile.
    Egualmente  confliggente con i precetti costituzionali, e proprio
perche'  contrastante  con  la  concorsualita'  della  procedura  qui
imposta dal legislatore - oltre che contraddittoria con la tesi della
ammissione   alla  massa  passiva  dei  soli  creditori  riconosciuti
definitivamente   tali   attraverso   la  procedura  monitoria  -  e'
l'interpretazione   secondo   la   quale   i   creditori  intervenuti
successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge sarebbero per
cio'  solo  esclusi  dalla massa passiva, mentre vi sarebbero ammessi
tutti  quelli  intervenuti  anteriormente,  ancorche' privi di titolo
esecutivo;  il  tutto desunto dalla natura meramente dichiarativa del
provvedimento  di  estinzione  che  il  giudice  dell'esecuzione deve
emettere ai sensi dell'art. 3, comma 1, lettera b).
    2.4.  -  Il dovere del giudice di sperimentare la possibilita' di
una  interpretazione  conforme  a Costituzione impone di fondarsi non
gia'  esclusivamente  su  una  singola  -  peraltro,  non  univoca  -
espressione   verbale   ma   sulla   trasparente   ratio  dell'intera
disciplina, per verificare se quella espressione sia tale da impedire
una    lettura   sistematica,   che   sia   rispettosa   dei   valori
costituzionali.
    E' agevole, allora, rilevare che «l'opposizione giudiziale» - non
proposta  ovvero  rigettata  -  alla  quale  si  riferisce  la  norma
censurata   allude  genericamente  a  qualsiasi  rimedio  lato  sensu
impugnatorio volto a contrastare la formazione di un titolo esecutivo
giudiziale; titolo che, divenuto irretrattabile, per cio' solo impone
al commissario straordinario l'inserimento del relativo credito nella
massa passiva.
    Cosi'  come e' agevole rilevare che per tutti gli altri crediti -
e  cioe'  non  assistiti  da  un  giudicato  -  il  commissario  deve
provvedere   all'«accertamento»,   ai   sensi  dell'art. 3,  comma 1,
lettera e),  e,  in  caso di sua valutazione favorevole all'esistenza
del credito, deve disporne l'ammissione al passivo.
    Peraltro, la legge e' inequivoca nel senso che l'ammissione nella
massa  passiva  riguarda  tutti,  ed  esclusivamente, «i debiti [...]
maturati  fino  alla data di entrata in vigore del presente decreto»:
sicche'  non  soltanto  e'  irrilevante  il  momento dell'(eventuale)
intervento  nella  procedura  esecutiva,  ma ne discende altresi' che
l'inserimento   nella   massa   passiva  e'  definitivo  e  non  gia'
«provvisorio»,  e  cioe' - secondo il rimettente - per «un periodo di
ventiquattro  mesi»,  decorso  il quale occorrerebbe intraprendere ex
novo un'espropriazione singolare.
    Poiche',  infatti,  il  commissario,  al fine del risanamento del
dissesto  «calcolato  alla  data  di  entrata  in vigore del presente
decreto»  (art. 2,  comma 4,  del  decreto-legge  n. 277  del  2004),
«istituisce  apposita  gestione  separata»  - costituita da una massa
passiva   comprensiva   di  tutti  i  debiti  maturati  anteriormente
all'entrata in vigore del decreto-legge e da una massa attiva formata
dai crediti maturati alla stessa data, dal «ricavato dell'alienazione
dei  cespiti appartenenti al patrimonio disponibile della Fondazione,
dalle   sovvenzioni  straordinarie  e  dalle  eventuali  entrate  non
vincolate per legge o per destinazione» - tale gestione separata puo'
cessare  (e sarebbe intrinsecamente irragionevole - ex art. 3 Cost. -
l'opposta soluzione) solo dopo che i beni costituenti la massa attiva
siano  stati  impiegati  per  la soddisfazione, «anche parziale», dei
creditori   ammessi   al   passivo   «mediante   periodici  stati  di
ripartizione,  secondo  i  privilegi  e le graduazioni previsti dalla
legge».
    E'  evidente, allora, che il potere, riconosciuto al commissario,
di  alienare  i «cespiti appartenenti al patrimonio disponibile della
Fondazione»  - essenziale per la formazione della massa attiva con la
quale   soddisfare   concorsualmente   i   creditori   -   presuppone
necessariamente il venir meno del vincolo di destinazione impresso su
di  essi,  ex  art. 2913  cod.  civ., con il pignoramento; sicche' il
lamentare  -  come fa il rimettente - che il legislatore abbia optato
per  l'estinzione  delle  procedure  esecutive,  anziche' per la loro
«temporanea  improseguibilita», contraddice la possibilita' stessa di
formare  una  massa  attiva e il senso stesso della formazione di una
massa  passiva,  viceversa  censurata  -  si  e' visto - soltanto per
profili  attinenti al modo in cui ne e' disciplinata la composizione.
Altrettanto  evidente  e'  che il commissario non ha semplicemente il
potere,  ma  il  dovere  di  procedere  alla liquidazione della massa
attiva  al  fine  di provvedere al riparto del ricavato tra i crediti
ammessi   al  passivo:  questo,  e  non  altro,  essendo  il  compito
demandatogli  dalla  legge in tale qualita' e questo essendo lo scopo
fondamentale  fissato  dalla  legge (anche ai fini di cui all'art. 25
cod.  civ.) alla Fondazione (come dimostra l'obbligo di dismettere in
favore  di  «altra  istituenda Fondazione» il «patrimonio culturale»:
art. 2, comma 5).
    Ne   consegue   che   la   legge,  imponendo  la  «moratoria»  di
ventiquattro  mesi,  esclude  che  i  creditori,  il  cui diritto sia
maturato  posteriormente  all'entrata  in  vigore  del decreto-legge,
possano  intraprendere  per  tale periodo azioni esecutive e, decorso
tale   periodo,   le   consente,  oltre  che  su  beni  eventualmente
sopravvenuti,  sui beni compresi nella «gestione separata» solo se, e
dopo  che,  i  creditori  ammessi alla massa passiva siano gia' stati
integralmente  soddisfatti:  solo  se,  in  altri termini, sia venuto
meno,  per  raggiungimento dello scopo, il vincolo di destinazione su
di  essi  impresso  attraverso il loro inserimento nella massa attiva
della «gestione separata».
    3.  -  La  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 3,
comma 1,  lettera f), del decreto-legge n. 277 del 2004, sollevata in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., e' inammissibile.
    3.1.  -  Non  occorre  soffermarsi  sulla manifesta apoditticita'
dell'affermazione  del  giudice  a  quo,  a  tenore  della  quale  la
previsione della «possibilita' di ricorrere al Ministro dell'interno»
renderebbe  non  applicabile  nella  specie il principio enunciato da
questa Corte (sentenza n. 155 del 1994), secondo cui il «silenzio del
legislatore  non  puo'  mai  significare  sottrazione  alla ordinaria
verifica   giurisdizionale»,   ne'  occorre  sottolineare  come  tale
affermazione  confligga  con  il rilevato carattere concorsuale della
procedura,  il quale presuppone la possibilita' per ciascun creditore
di  contestare  giudizialmente  il  modo  di  formazione  della massa
passiva:  e'  evidente,  infatti, l'irrilevanza nel giudizio a quo di
una   questione   di  legittimita'  costituzionale  che  concerne  la
disciplina  della  fase,  certamente  successiva a quella sub iudice,
della formazione della massa passiva.
    3.2.   -   La   tesi   del  rimettente  -  secondo  la  quale  la
«irragionevole   disparita'  di  trattamento  dei  diversi  creditori
[sarebbe]  direttamente conseguente alla decisione di estinzione o di
improseguibilita'  della  presente  procedura»  -  e'  manifestamente
inidonea  a  giustificare  la  pretesa  rilevanza della questione, in
quanto  essa,  con  chiara  inversione  del  corretto  ordine logico,
presuppone  la  fondatezza della questione sollevata, e cioe' che «il
creditore  intervenuto  dopo l'entrata in vigore del decreto legge in
esame,  ed  eventualmente escluso dal passivo, potrebbe far valere il
proprio  diritto  alla  parita'  di  trattamento  solo nel successivo
giudizio,  cronologicamente  posteriore al ricorso avanti al Ministro
dell'interno».
    3.3.  - A prescindere dal carattere ipotetico della questione, e'
evidente   che   il   giudice   a  quo  -  investito,  quale  giudice
dell'esecuzione,   dell'istanza   relativa   alla   dichiarazione  di
estinzione  della  procedura  -  non e' in alcun modo chiamato a fare
applicazione  della  norma,  della  cui  legittimita'  costituzionale
dubita.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara    inammissibile    la    questione    di   legittimita'
costituzionale,  dell'art. 3,  comma 1, lettera f), del decreto-legge
19 novembre  2004,  n. 277 (Interventi straordinari per il riordino e
il  risanamento  economico  dell'Ente  Ordine  Mauriziano di Torino),
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  21 gennaio 2005, n. 4
(Conversione  in legge, con modificazioni, del d.l. 19 novembre 2004,
n. 277,   recante  interventi  straordinari  per  il  riordino  e  il
risanamento   economico   dell'Ente  Ordine  Mauriziano  di  Torino),
sollevata,  in  riferimento agli articoli 3, commi primo e secondo, e
24,   commi  primo  e  secondo,  della  Costituzione,  dal  Tribunale
ordinario di Torino con l'ordinanza in epigrafe;
    Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale,
dell'art. 3,  comma 1,  lettera b), del medesimo decreto-legge n. 277
del  2004,  sollevata,  in  riferimento  all'art. 3,  commi  primo  e
secondo,  della  Costituzione,  dal Tribunale ordinario di Torino con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 2006.
                         Il Presidente: Bile
                      Il redattore: Vaccarella
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 7 novembre 2006.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
06C0973