N. 476 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 2006

Ordinanza del 6 febbraio 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il
10  ottobre  2006) emessa dal Giudice tutelare presso il Tribunale di
Venezia - Sezione distaccata di Chioggia, nel procedimento relativo a
B.R.

Capacita'  giuridica  e  di  agire  -  Amministrazione  di sostegno -
  Procedimento  per  la  nomina  dell'amministratore  -  Obbligatoria
  presenza  di  un  difensore  tecnico  che  assista  in  giudizio il
  beneficiario  -  Mancata  previsione  -  Violazione  del diritto di
  difesa - Insufficiente protezione della capacita' legale di agire -
  Incidenza sulla sfera di liberta' e autodeterminazione del singolo,
  in cui si esprime la dignita' della persona umana.
- Codice  civile,  artt. 407  e  408;  codice  di  procedura  civile,
  art. 716.
- Costituzione, artt. 2, 3 e 24.
(GU n.45 del 15-11-2006 )
                         IL GIUDICE TUTELARE

    Letto  il  ricorso  introduttivo presentato personalmente da B.U.
nato  a  Cavarzere  il  15 ottobre 1938, nell'interesse della sorella
B.R.,  nata  a  Cavarzere  il  17 giugno 1948, e cosi' ai sensi degli
artt. 406  e  417  c.c.,  secondo quanto ritenuto dalla Procura della
Repubblica  presso  il Tribunale di Venezia (provvedimento 9 novembre
2005) ove l'atto era stato depositato (in data 8 novembre 2005).
    Rilevato  che  in detto ricorso viene rappresentata la condizione
di  invalidita'  al 100% nella quale irrimediabilmente versa la B.R.,
come   da  allegato  verbale  di  accertamento  di  visita  legale  e
conseguente certificato (ex legge 5 febbraio 1992, n. 104).
    Rilevato, in particolare, che la B.R. e' affetta da «Cerebropatia
con  oligofrenia  ed afasia per cui e' totalmente compromessa la vita
di   relazione   e   necessita   di   accompagnamento»,   sicche'  e'
verosimilmente  necessario  somministrare  una  misura di protezione,
trattandosi di persona che non puo' curare i propri interessi.
    Rilevato  che  il ricorso introduttivo non e' stato presentato da
un  legale  patrocinatore munito di procura e che dalla lettura degli
atti  allegati  risulta che l'interessata e' priva dell'assistenza di
difensore  tecnico  con  il  quale  stare  in giudizio nella presente
procedura, e cosi' ai sensi dell'art. 82 c.p.c.
    Visto  il parere del p.m. -- sede, secondo il quale e' necessario
che  la  domanda  sia  presentata  da  un  difensore  tecnico  e  non
direttamente  dal  privato  cittadino  o  comunque  da  soggetto  non
assistito,   in   quanto,   «nonostante   l'esistenza  di  molteplici
disposizioni  da  cui  e'  possibile  ricavare  un principio opposto,
meritano  di  essere  valorizzati. ... gli spunti normativi da cui si
ricava una identita' dogmatica tra il procedimento per interdizione e
quello  per  la  nomina  di amministratore di sostegno, nel senso che
entrambi   possano   classificarsi   procedimenti  c.d.  a  carattere
oggettivo,  procedimenti,  in altre parole, che operano su status del
soggetto,  intesi  quali  complesso  di  diritti  fondamentali  della
persona  fisica,  e  che,  come  tali,  se  possono deviare in alcune
circostanze   dallo  schema  consueto  del  procedimento  contenzioso
civile,  comunque  ne mantengono il carattere (ad esempio, si veda il
disposto   dell'art. 720-bis  c.p.c.,  che  consente  il  ricorso  in
Cassazione  per i provvedimenti finali, o quello dell'art. 418, terzo
comma  c.c.,  che nel passaggio da interdizione ad amministrazione di
sostegno individua una mera trasmissione del procedimento».
    Ritenuto  che  la mancata assistenza da parte di un patrocinatore
legale  col  quale  stare  in  giudizio  configura verosimilmente una
violazione  del  diritto  difesa  di  B.R.,  e  che tale difetto, non
essendo  imposta  la  nomina  di  un difensore dalle norme istitutive
della  nuova misura di protezione delle persone prive di autonomia di
cui  alla legge 9 gennaio 2004, n. 6, pone come rilevante nel caso di
specie  la questione di legittimita' costituzionale di tali norme, in
particolare  degli artt. 407 e 408 del c.c. e 716 c.p.c. in relazione
agli artt. 2, 3 e 24 della Carta costituzionale.
    Cio'  premesso, espone di seguito le ragioni per le quali ritiene
tale questione non solo rilevante nel caso di specie, ma altresi' non
manifestamente infondata.
        A)  Questo giudice ritiene opportuno rendere esplicita la sua
adesione  alla  tesi  prevalente  tra i giudici di merito, secondo la
quale la legge n. 6 del 2004 non ha reso del tutto inutile il ricorso
agli    istituti,    da    altri   ritenuti   arcaici   e   superati,
dell'interdizione e dell'inabilitazione.
    Secondo   la   tesi   qui  accolta,  una  analisi  interpretativa
sistematica,  teleologicamente  orientata  e  non  preconcetta  della
complessa  disciplina inserita da tale legge sulle preesistenti norme
del   codice   civile,   dimostra   che   l'ambito   di  operativita'
dell'amministrazione  di  sostegno non puo' coincidere in nessun caso
con  quello  dell'interdizione e con quello dell'inabilitazione cosi'
da consentire la loro disapplicazione.
    In  altri  termini,  tanto l'interdizione quanto l'inabilitazione
conservano  un proprio distinto ambito di operativita', che i giudici
devono  essere  in  grado  di  individuare  alla  luce  dei parametri
generali  della  necessita/adeguatezza  e  della  minore  invasivita'
possibile della misura di protezione da applicare.
    Ne  viene, che non e' consentito loro formulare giudizi di valore
sugli  istituti  legislativi,  in  definitiva sulla legge stessa, per
accordare aprioristicamente la propria preferenza esclusiva all'uno o
all'altro,  senza  tenere  conto dei distinti ambiti di operativita';
ma, in un sistema basato sul principio di legalita', nel quale non vi
e' spazio per la giurisprudenza abrogatrice, devono sforzarsi di dare
contorni  piu'  precisi  a quegli ambiti, in definitiva «distinguere»
quando  l'interdizione  e  l'inabilitazione  sono ancora necessari, e
cosi'  sia  in  generale,  secondo  una  precisa  tipizzazione  della
relativa  fattispecie  astratta, sia in relazione ai casi concreti da
valutare.
    Secondo  il  Tribunale  di  Milano,  ad  es.,  la  modifica,  sia
dell'art. 414  c.c., nella parte in cui mantiene l'interdizione per i
soggetti  che  si  trovano in condizioni di abitualita' infermita' di
mente...  quando  cio'  e' necessario per assicurare la loro adeguata
protezione, sia dell'art. 427 c.c., laddove consente di stabilire che
taluni  atti  di  ordinaria  amministrazione  possono essere compiuti
dall'interdetto,   depongono   per   una   «volonta'  legislativa  di
riconoscere  all  'interdizione  una valenza di protezione necessaria
per tutti i soggetti che, ancorche' in grado di esplicitare capacita'
residuali, possano ritenersi adeguatamente protetti, da loro stessi e
dagli altri, solo se li si escluda da qualunque capacita' (in cio' si
concretizza  l'interdizione),  nel senso di impedire che si producano
effetti  giuridici  quando  si attivano con modalita' non sorrette da
valide  capacita'  intellettive e volitive in tutti gli ambiti (anche
non  immediatamente  prevedibili) da cui possano derivarne pregiudizi
riconoscendo  loro  quei soli ambiti di azione certamente non nocivi»
(Tribunale  di Milano, sentenza 21 marzo 2005, n. 3289, pubblicata su
Altalex).
    Secondo  questa  prospettiva  (conforme,  Trib.  di  Bologna,  1°
dicembre   2005,   n. 3107),  che  supera  dunque  il  falso  dilemma
interpretazione conservatrice/interpretazione solidaristica, e non si
attarda  su  meri giudizi di valore, «se al fine di garantire la piu'
completa    protezione    della    persona    incapace,    i   poteri
dell'Amministratore  di  sostegno  devono estendersi, sia a decisioni
personali  inerenti  la  cura del soggetto, sia a qualunque tipologia
negoziale,  con  il  rischio,  tra  l'altro,  di  riportare un elenco
incompleto di atti, residuandone altri non previsti che sfuggano agli
effetti   di   annullabilita'  di  cui  agli  artt. 409  e  412  c.c.
(rimarrebbe  sempre  l'impugnabilita' ex art 428 c.c., ma subordinata
alla  prova della malafede dell'altro contraente), e se ci si trova a
dover integrare detta misura richiamando, ex art. 411 c.c. e sempre a
fini   di  tutela,  disposizioni  previste  per  l'interdetto  (quali
l'incapacita'  di  contrarre  matrimonio - art. 85 c.c., di testare -
art. 591  c.c.,  di  donare  -  art. 774 c.c.). la sovrapposizione di
contenuto  dei  due  istituti  di  amministrazione  di  sostegno e di
interdizione  induce  a  privilegiare  quest'ultimo, che annulla ogni
possibilita'  di  azione  del  soggetto  a suo danno o ne consente un
immediato annullamento, riconoscendo alla persona autonomia di azione
solo per specifici atti che si palesino nocivi» (ivi).
    Orbene; anche a prescindere dal consenso che si possa accordare a
tale   proposta   interpretativa,   delimitatrice   degli  ambiti  di
operativita'  dei tre istituti di protezione delle persone in tutto o
in  parte  prive  di autonomia (o di altre consimili: come quella del
Tribunale  di  Torino  --  ufficio  del  giudice tutelare, decreto 22
maggio  2004, che, valorizzando le disposizioni di cui agli art. 404,
407,  410 e 411 c.c., sottolinea come il destinatario della misura di
sostegno debba conservare, quanto meno in misura ridotta, una propria
autonomia  e capacita', senza la quale non potrebbe dialogare ne' con
il giudice tutelare ne' con l'amministratore di sostegno; come quella
del  Tribunale  di  Parma,  ufficio  del  giudice tutelare, decreto 2
aprile  2004,  che  pone  l'accento  sulla gravita' della menomazione
psichica,   quale   parametro   giustificativo   della  pronuncia  di
interdizione;   come  quella  del  Tribunale  di  Catania,  decisione
26 ottobre  2004,  che argomenta l'esclusione dell'amministrazione di
sostegno,  in  caso di grave compromissione delle facolta' psichiche,
da  quell'art. 409  c.c.  che  conclama il persistere della capacita'
legale  di  agire  del  beneficiario  «per  tutti  gli  atti  che non
richiedono  la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria per
l'amministratore  di sostegno», e cosi' sul presupposto che, mancando
al di fuori di queste aree l'autodeterminazione dell'interessato, non
si  puo'  ricorrere  alla  nuova  meno invasiva misura di protezione,
tanto  piu' che anche la applicazione degli artt. 406, 407 e 410 c..c
dipende   dalla   conservazione  di  una  qualche  residua  capacita'
decisionale  in  capo al malestante; come quella del giudice tutelare
di  Nocera,  decreto 8 luglio 2004, per il quale l'amministrazione di
sostegno e' da ritenere in re ipsa esclusa se e in quanto il soggetto
sia  del  tutto  privo  di  autonomia  psico-fisica;  come quella del
Tribunale di Ancona -- ufficio del giudice tutelare, decreto 17 marzo
2005,  che  pone  anch'essa  l'accento,  quale  causa  preclusiva del
ricorso   all'amministrazione   di  sostegno,  sulla  gravita'  della
malattia psichica della persona in difficolta', in particolare se sia
tale  da non consentirle di relazionarsi con il mondo esterno; o come
quella   del  Tribunale  di  Genova,  sent.  13  novembre  2005,  che
valorizza,  al  fine  di  escludere l'amministrazione di sostegno, la
circostanza  che  l'interessato  non e' in alcun modo in grado di far
valere  il  proprio punto di vista), si dovra' comunque convenire che
la  stessa costituisce un concreto esempio della possibilita' di dare
un contenuto visibile ai generici criteri della necessita/adeguatezza
e  minore  invasivita', e risponde pertanto alla sollecitazione della
stessa  Corte  costituzionale,  or  quando  il  Giudice  delle  leggi
ammonisce  che  la  nuova  disciplina affida al giudice il compito di
«individuare» l'istituto da applicare (sent. Corte cost. n. 440 del 9
dicembre 2005).
    Tale proposta infatti non si limita a ripetere, secondo una vuota
quanto  sterile  tautologia,  che  l'interdizione  e' necessaria solo
quando e' necessaria, con l'immancabile corollario che l'interdizione
e  la  stessa  inabilitazione  non  sarebbero  mai necessarie essendo
sempre  adeguata  e  sufficiente l'amministrazione di sostegno, ma si
sforza  di dare voce a quel muto criterio direttivo, col descrivere i
contorni  di una vera e propria fattispecie astratta, una fattispecie
sotto   cui  sussumere,  di  volta  in  volta,  anche  in  chiave  di
prevedibilita' e trasparenza delle decisioni del G.T., i singoli casi
umani sottoposti al suo vaglio critico.
    Una   proposta,   peraltro,  che  neutralizza  il  rischio  delle
disparita' di trattamento in casi analoghi, rischio giocoforza insito
in ogni clausola generale, e, nel merito, trova sostenitori anche tra
alcuni  dei  primi commentatori del nuovo sistema di protezione degli
incapaci.
    La dottrina sopra richiamata ha infatti avvertito che, estendendo
al  massimo  l'area  dell'incapacita' di agire del beneficiario della
nuova   misura   rispetto   agli  atti  patrimoniali,  non  solo  «si
giungerebbe  a  creare  un  doppione dell'istituto tradizionale», con
l'irragionevole   conseguenza  di  «operare  tale  estensione  in  un
istituto   che   e'  nato  con  (ed  ha)  la  vocazione  di  limitare
specificamente   e   puntualmente   la   capacita'   di   agire   del
destinatario»,  ma  non  si terrebbe neppure conto della volonta' del
legislatore, quale traspare dall'esame dei lavori parlamentari.
    In  proposito, la stessa ha sottolineato che «il testo in vigore,
risultante  dalle  modifiche  apportate dalla Camera ed approvate dal
Senato   il   22  dicembre  2003,  da  un  lato  sopprime  l'espressa
equiparazione  tra  beneficiario  e interdetto (e inabilitato)», come
avveniva   invece   nel   testo   dell'art. 411  approvato  dalla  II
Commissione permanente del Senato il 21 dicembre 2001, e, dall'altro,
«rovescia  esattamente  il  criterio  di applicazione al beneficiario
degli effetti, limitazioni o decadenze stabilite per l'interdizione o
l'inabilitato;     non     piu'     effetto     legale     automatico
dell'amministrazione di sostegno, derogabile ad opera del giudice, ma
effetto   rimesso   dalla   legge   alla  necessaria  mediazione  del
provvedimento giudiziale».
    In  effetti,  non bisogna cadere nell'equivoco di ritenere che il
potere    di    rappresentanza   conferito   dal   giudice   tutelare
all'amministratore  di  sostegno  in forza dell'art. 405, n. 3, c.c.,
comporti  di  per  se' una limitazione, ablazione o sospensione della
capacita'  di  agire del beneficiario in relazione agli atti e negozi
giuridici cui si riferisce quel conferito potere.
    Il  tenore  letterale  di  questo  articolo,  che  disciplina  il
contenuto  del  decreto  di  nomina dell'amministratore di sostegno e
l'oggetto   del   relativo   incarico,   attribuendo   al   g.t.   il
corrispondente   potere   di   nomina,   non  autorizza  infatti  una
conclusione del genere.
    Al  contrario, si deve convenire che il potere di rappresentanza,
che  l'art. 405  c.c.  non qualifica in alcun modo, si atteggia quale
potere  rappresentativo  meramente  suppletivo,  non  sostitutivo ne'
esclusivo,  taluno  parla  di potere «concorrente», e non preclude al
beneficiario il valido compimento da se' solo di quegli stessi atti e
negozi,  allo  stesso  modo in cui una procura volontaria non implica
alcuna  rinuncia  alla autonomia o abdicazione della capacita' legale
di  agire  del  delegante  rispetto al compimento degli atti che sono
oggetto della delega conferita al procuratore.
    E'  vero,  peraltro,  che  il  giudice tutelare puo' interdire al
beneficiario  il  valido  compimento  da se' solo degli atti e negozi
giuridici  oggetto  dell'incarico  di rappresentanza conferito con il
decreto  di  nomina  ex  art. 405  c.c., ma cio' richiede l'esercizio
dell'ulteriore  potere,  siccome  stabilito  dal successivo art. 411,
quarto  comma,  c.c.,  per cui tale organo giudiziario «puo' disporre
che   determinati   effetti,  limitazioni  o  decadenze  previste  da
disposizioni  di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano
al beneficiano di sostegno».
    E'  infatti  solo  l'esercizio  eventuale («puo») di tale potere,
discrezionale  ma  non  arbitrario,  visto l'obbligo di una specifica
motivazione  sul  punto  (art. 411,  quarto  comma,  secondo periodo,
c.c.),  a  imprimere alla rappresentanza conferita all'amministratore
di  sostegno  il carattere dell'esclusivita', avvicinando gli effetti
ditale  misura  di  protezione  sulla  capacita'  legale di agire del
beneficiano a quelli dell'interdizione 1).
    Orbene;   e'   proprio  in  relazione  a  tale  specifico  potere
interdittivo,  sui  presupposti  che  ne  giustificano l'esercizio in
funzione  di protezione della persona in difficolta' e sulla relativa
estensione,  ovverosia  su quali e quanti atti e negozi giuridici del
beneficiano  lo  stesso  possa legittimamente incidere, che si devono
distinguere   gli   ambiti   di   operativita'   dell'interdizione  e
dell'amministrazione di sostegno.
    Ed  e' proprio sull'ambito di tale estensione, tenuto conto della
logica  profonda dell'intervento legislativo - «specifico e mirato di
limitazione   della   capacita',   diametralmente   opposto  ad  ogni
tentazione   totalizzante   ed   ominicomprensiva»  -,  che  si  puo'
ragionevolmente  affermare,  con  la  richiamata dottrina, che «se si
intende  pervenire  alla  piu'  ampia incapacitazione del soggetto in
vista    della    sua    protezione   prevalentemente   patrimoniale,
l'interdizione costituisce ancor oggi lo strumento tipico».
    B)  Per  completezza  e'  opportuno  richiamare  anche  l'opposto
orientamento  interpretativo,  compiutamente  esposto  nella sentenza
n. 2716  del  21  dicembre 2001 del Tribunale ordinario di Venezia --
sede  centrale,  secondo il quale la legge n. 6/04 ha sostanzialmente
reso  non  piu'  necessario il ricorso all'interdizione e addirittura
sempre  inutile  quello  all'inabilitazione  (anche  nell'ipotesi del
prodigo),  e  attribuisce  un  ambito di operativita' omnicomprensivo
all'amministrazione di sostegno.
    Secondo  tale  indirizzo,  la  nuova disciplina, finalizzata alla
protezione  delle  persone  in tutto o in parte prive di autonomia, e
cosi'  attraverso  la regolamentazione sistematica e coordinata delle
tre  misure  di  protezione  dell'interdizione, dell'inabilitazione e
dell'amministratore,  sancisce  che  la  «capacita'  di  agire» della
persona  maggiorenne»  debba essere inteso «quale diritto inviolabile
della  persona  umana (cfr. art. 409 Corte costituzionale; art. 2 e 3
della  Costituzione),  anche  se  affetta  da  menomazioni  fisiche o
psichiche».
    Sulla base di questa premessa, e di una lettura sistematica delle
nuove  disposizioni,  il collegio ritiene pertanto che tale capacita'
e'    ora   «limitabile,   unicamente   quando   sia   indispensabile
nell'interesse  stesso  del  non autonomo, sempre nella minore misura
possibile  (principio  di  conservazione  di  cui all'art. 409, primo
comma  c.c.)  e  per  il  minore  tempo possibile (espansivita' della
capacita' di agire e residualita' dell'incapacita' di agire), con uno
strumento  il  piu'  possibile  modulabile,  modificabile,  elastico,
revocabile».
    Secondo  questo  secondo orientamento, in realta', anche la nuova
misura  di  protezione dell'amministrazione di sostegno puo' avere un
effetto  incapacitante,  ma  la  limitazione  o  compressione di quel
diritto  inviolabile che e' la capacita' di agire, e cosi' attraverso
la  nomina  di un amministratore di pubblica nomina e il conferimento
dei  relativi  poteri,  giammai  potrebbe  riguardare  le  persone in
difficolta'  per  motivi  meramente  fisici,  all'opposto solo quelle
prive  di autonomia se e in quanto affette da una infermita' mentale;
e  anche  in  tale  caso  si  tratterebbe  comunque  di  un  «effetto
normativo» indiretto e solo eventuale (ivi).
    Sotto  il  primo profilo, infatti, sarebbe contrario allo spirito
della  legge di riforma ritenere «che tutto l'istituto dell'A.d.S. e'
modellato  quale  strumento incapacitante di ogni beneficiario (e non
solo dell'infermo)».
    Con  riguardo  al  secondo,  in particolare, «l'effetto eventuale
indirettamente   incapacitante   previsto   dall'art. 409   c.c.  che
esplicitamente  stabilisce l'opposto principio di conservazione della
capacita'  di  agire («il beneficiario conserva la capacita' di agire
per  tutti  gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o
l'assistenza necessaria dell'A.d.S.»), e', appunto, solo un possibile
effetto  indiretto  nient'affatto  necessario  del  decreto del g.t.:
effetto  previsto  direttamente  dalla legge (senza che il g.t. debba
esplicitamente   stabilirlo)  ma  limitato  unicamente  agli  atti  o
categorie  di  atti  per  cui  il g.t. abbia previsto che l'A.d.S. ex
art. 405,  quinto  comma nn. 3 e 4 c.c. debba, tra gli altri compiti,
rappresentare  in via esclusiva (e non solo alternativa e/o eventuale
e/o   senza   specifiche   ed  espresse  previsioni  particolari)  il
beneficiario;  o assisterlo necessariamente (e non eventualmente) nel
loro compimento».
    Tale  indiretto  e  solo  eventuale  effetto, inoltre, puo' anche
essere generalizzato, se cio' e' necessario per proteggere la persona
priva  di  autonomia, ossia compatibilmente con le esigenze oggettive
di protezione dello stesso (ivi).
    Difatti   la   personalizzazione   del  provvedimento  di  nomina
dell'amministratore di sostegno, «non impedisce affatto la previsione
piu'  o  meno  temporanea di sostituzioni generali o per categorie di
atti   dell'A.d.S.»,   ed   e'   «inutile   ogni   discussione  sulla
ammissibilita'  di  provvedimenti di sostituzione anche esclusiva del
beneficiario   per  singoli  atti  o  per  una  generalita'  di  atti
giuridico-economici,    essendo   evidente   che   il   provvedimento
personalizzato  potra'  estendersi  fino  ai  limiti  massimi per cui
risulti  utile  nell'interesse del beneficiario in relazione a tutti,
ad  alcuni,  a  categorie  di atti giuridici (art. 405, quinto comma,
n. 3)».
    In   altri  termini,  secondo  questo  indirizzo  interpretativo,
all'amministratore  di  sostegno,  ove  necessario  e  per  il  tempo
necessario,  nei termini sopra precisati, possono essere affidati gli
stessi generalizzati poteri di rappresentanza esclusiva che competono
al tutore.
    Difatti,   «Se   in  quest'ottica  il  beneficiario  deve  essere
necessariamente  sostituito  nel  compimento  di  alcuni o perfino di
tutti  gli  atti  giuridicamente  rilevanti, anche questo puo' essere
legittimato a fare l'A.d.S.».
    Nondimeno,  anche  in  tal  caso,  anche  quando cioe' si produce
questo  effetto  giuridico  (indiretto,  non  necessario, piu' o meno
generalizzato),  il  procedimento  di  nomina dell'amministrazione di
sostegno mantiene pur sempre la sua natura meramente amministrativa e
l'organo  ad  esso  deputato  non  esercita,  ne'  e'  legittimato ad
esercitare alcun accertamento, valutazione o giudizio sulla capacita'
di agire del beneficiario (ivi).
    Difatti,  il giudice tutelare «non ha compiti giurisdizionali e/o
di    accertamento    sullo   stato   di   capacita/incapacita'   del
beneficiario»,  al  punto  «che  non  appare  ne'  giuridicamente ne'
logicamente  corretto che il g.t. conferisca, in sede di procedimento
ex   art. 407   cc,  un  incarico  peritale  volto  ad  accertare  la
sussistenza  di  «condizioni  di  abituale infermita' di mente che...
rende incapaci di provvedere ai propri interessi».
    Ecco  perche', conclude il riferito indirizzo, il procedimento di
nomina  dell'amministrazione  di sostegno non richiede in nessun caso
il  ricorso  al  patrocinio difensivo obbligatorio e ogni riferimento
all'art. 82, secondo comma, c.p.c. e' pertanto fuori luogo (ivi).
    C)  Chi  scrive  espone  di seguito le ragioni del suo articolato
dissenso   rispetto   al  surriferito  indirizzo  interpretativo  del
Tribunale  di  Venezia -- sede centrale (indirizzo peraltro disatteso
anche  dal  g.t.  della sezione distaccata di Dolo: cfr. ordinanze 20
ottobre 2004 e 25 maggio 2005).
    In  primo  luogo,  non  si  comprende  su  quale dato normativo o
presupposto  logico si fonderebbe questa riduzione della funzione del
g.t.  a  organo  amministrativo  che  non  accerta,  non valuta e non
giudica, ma si limita a dare quanto gli viene chiesto.
    E   cosi'   non   solo  e  non  tanto  perche',  nell'ambito  del
procedimento  di  nomina dell'amministratore di sostegno, da chiunque
sia   attivato   o   avviato,   il  giudice  tutelare  ha  invece  il
dovere-potere  di  accertare  la  sussistenza  in  punto di fatto del
presupposto che giustifica la misura di protezione, ossia la mancanza
di  autonomia  e  la  relativa  causa,  se  del caso una infermita' o
menomazione  psico-fisica che, incidendo sulla capacita' di intendere
e  volere  del  soggetto  non  autonomo,  impedisce a quest'ultimo di
curare  i  propri interessi, ma anche e soprattutto perche' e' tenuto
valutare, sulla base di quella accertata eziologia:
        1)  se  e  in  che  misura  conferire  all'amministratore  di
pubblica  nomina  poteri  di  rappresentanza esclusiva (non meramente
suppletiva) e di assistenza necessaria;
        2)  se  il  difetto di autonomia della persona in difficolta'
sia  tale,  in  ragione  del quadro clinico che lo ha determinato, da
richiedere   poteri  di  rappresentanza  esclusiva  o  di  assistenza
necessaria  cosi'  estesi  e  generalizzati,  che  non possono essere
conferiti  a  un  amministratore  di  sostegno,  e  si renda pertanto
necessario  informare  della  situazione il p.m., perche' promuova un
giudizio di interdizione o di inabilitazione.
    Come  ha  ribadito  in  proposito  la  Corte  costituzionale, «il
giudice  tutelare  verifica  (in  piena autonomia) la sussistenza dei
presupposti  dell'amministrazione  di sostegno», e cosi' anche quando
il procedimento gli sia stato trasmesso dal tribunale, previo rigetto
del   ricorso   per   interdizione/inabilitazione   e  nomina  di  un
amministratore di sostegno provvisorio, ai sensi dell'art. 418, comma
3, c.c. (sent. Corte costituzionale n. 440 del 9 dicembre 2005).
    Ne  viene  che  il  Tribunale,  che  in tal caso ha semplicemente
avviato l'amministrazione di sostegno sulla base della sua iniziale e
provvisoria  valutazione di idoneita' della misura di protezione, non
e'  abilitato  a  «imporre» al g.t., mediante tale avvio, l'esito del
relativo  giudizio; tant'e' che il giudice tutelare, sulla base della
sua  autonoma  e  finale  valutazione  di  idoneita', puo' dichiarare
cessata  la  misura  e  informare  di  cio'  il p.m. perche' promuova
nuovamente,   se   l'organo   titolare  dell'azione  lo  ritiene,  il
procedimento di interdizione o di inabilitazione.
    Difatti,  ben  «puo'  accadere  che  l'uno decida di non attivare
l'amministrazione   di   sostegno   e   l'altro   di  non  dichiarare
l'interdizione  o  l'inabilitazione»;  e  tale  eventuale conflitto o
contrasto   valutativo   va   ricomposto,  attraverso  il  meccanismo
processuale  dell'impugnazione,  la  cui  attivazione chiama in gioco
innanzi  tutto  la  responsabilita' dello stesso p.m., nella sua sede
naturale.
    Ossia, innanzi alla Corte di appello.
    Non  si  comprende,  in secondo luogo, perche' il g.t., nel corso
dell'attivita'   di   accertamento-valutazione   della  infermita'  o
menomazione psichica che da' luogo al difetto di autonomia, aftivita'
come  si  e' visto doverosa ed autonoma, non possa avvalersi, secondo
il  suo  prudente  apprezzarnento, dell'ausilio della scienza medica,
rinunciando  a priori, secondo il discutibile principio Iudex peritus
sine   peritorum   2),   agli  ampi  poteri  istruttori  conferitigli
dall'art. 407 c.c., in forza del quale «Dispone, anche d'ufficio, gli
accertamenti  di  natura  medica  e  tutti gli altri mezzi istruttori
utili ai fini della decisione».
    Al  riguardo,  si  puo'  anzi  ribattere  che  tali  accertamenti
medico-legali  sono  tanto  piu'  opportuni,  in  quanto si tratti di
accertare il grado di autonomia psichica della persona in difficolta'
nella cura dei propri interessi, e in modo mirato se la stessa sia in
grado in ragione della sua residua capacita' naturale di:
        1)  compiere  da  se'  sola, ai sensi dell'art. 409 c.c., gli
atti   necessari   a   soddisfare  le  esigenze  della  propria  vita
quotidiana;
        2)  elaborare  dentro  di se' e prendere consapevolezza delle
proprie aspirazioni di vita individuale e sociale;
        3)  comunicare  tali  aspirazioni sia al giudice tutelare nel
corso  del colloquio previsto dall'art. 404 c.c., sia successivamente
all'amministratore di sostegno ai sensi dell'art. 410, secondo comma,
c.c.
        4) percepire e comprendere il significato delle informazioni,
relative   agli   atti   da   compiere   nel   suo   interesse,   che
l'amministratore  di sostegno e' tenuto a comunicarle tempestivamente
prima della loro attuazione;
        5)  esprimere  eventuali  dissensi,  e dissensi non meramente
acritici,  al  riguardo,  secondo  quanto  garantitole dall'art. 410,
secondo comma, c.p.c.
    In  particolare,  posto  che  l'art. 412 c.c. considera invalidi,
sanzionandone l'annullabilita', gli atti compiuti dall'amministratore
di  sostegno  in violazione delle disposizioni di legge, e che tra le
disposizioni  di  legge  da  osservare: vi e' anche quella che impone
all'amministratore  di  sostegno, prima di compiere gli atti a cui e'
abilitato  dal  decreto  di  nomina,  di  consultare il beneficiario,
raccoglierne l'eventuale dissenso e comunicarlo al g.t., e' del tutto
evidente   la   necessita'   di  accertare  preventivamente  se  tale
consultazione  sia  davvero  possibile  e se l'eventuale dissenso del
beneficiario sia viziato e in che misura (art. 410 c.c.).
    Ed  ancora,  l'accertamento  della  incapacita'  di  intendere  e
volere,  doveroso  per  il  g.t. se e in quanto e' la segnalata causa
dell'impossibilita'  della  persona in difficolta' di curare i propri
interessi,   precostituisce,   a  favore  di  questa,  la  prova  del
principale presupposto che condiziona, in punto di fatto, il successo
di  ogni futura causa di annullamento di atti giuridici eventualmente
pregiudizievoli  che  la  stessa  successivamente  porra'  in  essere
(art. 428 c.c.).
    Anche sotto questo profilo e' pertanto opportuno.
    In  ogni  caso,  e'  lo  stesso  indirizzo  interpretativo  sopra
richiamato  a  sostenere  che il provvedimento del g.t. o la volonta'
dell'A.d.S.  non possono mai sostituirsi, nella cura del beneficiario
dissenziente,  alla  volonta'  di  quest'ultimo,  a  meno  che questa
volonta' non sia viziata dalla patologia in atto o da altra patologia
psichica,   ossia   da   una   «impossibilita'   o  inadeguatezza  di
comprensione  e  volonta»;  e  cosi' in quanto, ai sensi dell'art. 32
Cost.,  «nessuno  puo'  esser obbligato ad un determinato trattamento
sanitario se non per disposizione di legge».
    Ed  e'  questo stesso indirizzo, a precisare, di seguito, che ove
invece la volonta' del beneficiano non sia stata espressa e/o non sia
esprimibile   e  anche  in  quella  in  cui  la  sua  volonta',  «pur
apparentemente   contraria   alla   effettuazione  dell'intervento  o
terapia,  sia  essa  stessa  viziata  da  patologia  incidente  sulla
possibilita'  di comprensione e/o volizione (ipotesi «qualificata» di
«contrasto»   e   «dissenso»  espressamente  prevista  dall'art. 410,
secondo  comma,  c.c.)»,  allora,  in  questi  casi  «l'A.d.S. potra'
ricorrere  al  g.t.  perche'  «adotti»,  con  decreto  motivato,  gli
opportuni  provvedimenti (art. 410, secondo comma c.c.); o essere lui
stesso  autorizzato a rappresentare la volonta' del beneficiano e/o a
disporre in luogo del beneficiario e nel suo esclusivo interesse».
    Ne  viene,  che  e'  questo stesso indirizzo ad ammettere, al tal
fine,  al fine cioe' di accertare se la volonta' del beneficiario sia
viziata  o  meno,  quello che in generale ha negato, che sia non solo
corretta,  ma  anzi  «opportuna  per  tale  valutazione  la nomina di
C.T.U.».
    Et de hoc satis.
    In  terzo  luogo, non si ritiene condivisibile l'opinione secondo
la  quale  all'amministratore  di  sostegno possono essere attribuiti
poteri  generalizzati di rappresentanza e/o assistenza, tanto piu' se
si  tratta di poteri esclusivi e necessari, ne' l'ulteriore opinione,
sopra  richiamata,  secondo la quale il carattere meramente eventuale
dell'effetto  incapacitante  di  tali  poteri  esclusivi e necessari,
ancorche'   generalizzati   ed   estesi,   preserva   la  natura  non
contenziosa,  meramente amministrativa, di tale misura di protezione,
escludendo  pertanto,  e  in  ogni  caso,  la necessita' della difesa
tecnica.
    Sotto  quest'ultimo  profilo,  si puo' infatti subito dire che la
natura  dell'effetto  giuridico  e  dell'oggetto  sul quale lo stesso
incide  non  dipendono dalla sua eventualita', ne' dalla sua asserita
automaticita',  ne'  infine  dal  suo  asserito  carattere  meramente
«sospensivo  dell'operativita' del principio della capacita' di agire
del  beneficiario»  (ivi);  e che bisogna piuttosto guardare a quella
natura  (ablatoria  o  limitativa)  e  a  quell'oggetto (la capacita'
legale  di  agire  e  la  sua  estensione)  per  stabilire,  in  sede
interpretativa,  se il procedimento e la relativa misura hanno natura
giurisdizionale o meno.
    Orbene;  una analisi non formalistica di questa materia (gli atti
giuridici compiuti dal beneficiario in violazione di quanto stabilito
nel  decreto  di nomina dell'A.d.S. sono invalidi, ossia annullabili,
proprio  come  gli  atti  giuridici  compiuti dall'interdetto dopo la
sentenza costitutiva di interdizione), rende consapevole l'interprete
che   un   provvedimento   soggettivamente  giurisdizionale  che  non
interviene  direttamente  sulla  capacita'  legale  di  agire  di  un
soggetto,  capacita'  che  formalmente  rimane  integra,  ma comunque
incide  negativamente,  nei  casi e nella misura in cui incide, anche
solo  indirettamente  e  per riflesso, su tale «diritto inviolabile»,
imprime  giocoforza  al  procedimento  nel  corso del quale lo stesso
viene  somministrato, nei medesimi casi e nella stessa misura, natura
oggettivamente  giurisdizionale,  dovendosi  pertanto  riconoscere al
soggetto che lo subisce il diritto di difendersi compiutamente.
    E'  ben  vero,  infatti,  che  la  capacita'  legale di agire non
equivale  a capacita' di agire con effetti giuridici, in quanto anche
chi  e'  privo  o privato, in tutto o in parte, ditale capacita' puo'
operare  con  efficacia  nel  mondo  giuridico  e  dei suoi traffici,
ponendo in essere atti e negozi giuridici.
    Ma  e'  altrettanto  vero  che, senza tale ulteriore qualita' del
soggetto,  gli  atti  e negozi giuridici cui da' luogo sono invalidi,
dall'efficacia claudicante, in una parola annullabili, ed e' pertanto
a  tale effetto finale invalidante che bisogna guardare, comunque sia
procurato,  anche  nella materia che ci occupa, e cosi' a prescindere
dalla  sua  estensione  a pochi, a molti o a tutti gli atti giuridici
futuri del «beneficiario».
    Cio' che e' in gioco in definitiva non e' infatti la possibilita'
del  soggetto  di  compiere  atti  e  negozi  giuridici, ossia la sua
qualita'  di  operatore  nel  mondo del diritto, ma la sua perdurante
possibilita' di compiere atti e negozi giuridici non annullabili.
    Ma procediamo con ordine.
    D)  La  Corte costituzionale, nella sua prima pronuncia in questa
materia,  sembra ritenere non corretta, ossia non plausibile sotto il
profilo  ermeneutico,  l'interpretazione giurisprudenziale secondo la
quale  l'autorita'  giudiziaria  puo' conferire all'amministratore di
sostegno  il  potere di assistere la persona del beneficiano in tutti
gli  atti  di straordinaria amministrazione, si' da integrarne in via
necessaria,  a  pena  di  invalidita',  la  volonta'  negoziale nella
generalita'   ditali   atti;  colla  conseguenza  che  un  potere  di
assistenza   generalizzato,   ove   le  condizioni  del  soggetto  in
difficolta'  siano  tali  da  suggerire la necessita' di un misura di
protezione   cosi'  invasiva,  possa  essere  somministrato  soltanto
inabilitando l'interessato (sent. n. 440 del 9 dicembre 2005).
    Il  giudice  delle  leggi  sembra  inoltre  ritenere  che  ove le
condizioni   del   beneficiario   impongono   di   conferire   a   un
rappresentante  legale di pubblica nomina il potere di sostituirlo, a
pena   di   invalidita',   in   tutti   gli   atti  di  straordinaria
amministrazione, in tale caso il rappresentante non puo' che assumere
la veste del tutore (ivi).
    La   Corte   costituzionale  ha  infatti  enunciato  il  seguente
principio:  «In  nessun  caso  i  poteri  dell'amministratore possono
coincidere "integralmente" con quelli del tutore e del curatore».
    Ne  viene  che  l'amministratore di sostegno puo' essere nominato
solo  quando  l'attivita'  di  assistenza e/o di rappresentanza debba
essere  limitata,  e cosi' nell'interesse del beneficiario, a singoli
atti o a ben specificate categorie di atti 3).
    Tale  conclusione ermeneutica e' del resto in linea col principio
sancito  esplicitamente  dalla  riforma,  principio  secondo il quale
beneficiario  della  misura dell'amministrazione di sostegno conserva
la  piena  capacita'  per  tutti  gli  atti  che  non  richiedono  la
rappresentanza      esclusiva      o      l'assistenza     necessaria
dell'amministratore di pubblica nomina (art. 404 c.c.).
    Se  cosi'  e',  e  la  sentenza della corte costituzionale sembra
confermarlo,  esigendo una puntuale correlazione dei poteri conferiti
in    sede   di   nomina   dell'amministratore   di   sostegno   alle
caratteristiche  del  caso  concreto, il conferimento di un potere di
assistenza   necessaria   o   di   rappresentanza   esclusiva   cosi'
generalizzato, tale per cui il beneficiario non possa compiere da se'
solo  validamente  alcun  atto  di  straordinaria  amministrazione (o
addirittura  di  ordinaria amministrazione), eluderebbe di fatto quel
principio,  svuotandolo  di concreto significato in sede operativa, e
con  esso  la stessa ratio della legge di riforma, col far coincidere
nella  sostanza  la figura dell'amministratore di sostegno con quella
di un curatore o addirittura di un tutore.
    Al  contrario  tali  figure, coi relativi generalizzati poteri di
rappresentanza   e   assistenza,   e  quella  dell'amministratore  di
sostegno, non sono affatto fungibili.
    Solo  un  tutore puo' rappresentare la persona priva di autonomia
in  tutti gli atti di straordinaria e ordinaria amministrazione 4); e
solo  un  curatore  puo'  assistere  la persona priva di autonomia in
tutti gli atti di straordinaria amministrazione 5).
    Tale  assunto  trova inoltre puntuale conferma nella disposizione
di   cui  al  quarto  comma  dell'art. 411  c.c.,  secondo  la  quale
«determinati   effetti,   limitazioni   o   decadenze,   previsti  da
disposizioni  di  legge  per  l'interdetto  o  l'inabilitato» possono
essere estesi al beneficiario dell'amministrazione di sostegno.
    Infatti,  l'aggettivo  «determinati»  non significa «tutti», e la
sua  utilizzazione  sta  giustappunto a indicare che, nell'intenzione
del  legislatore,  solo  alcuni,  specifici  effetti,  limitazioni  e
decadenze, possono essere estesi, secondo quella logica minimalista e
personalizzante  come  sopra  valorizzata dalla Corte costituzionale,
anche al beneficiario della nuova misura di protezione.
    Ne  viene, per un verso, come si e' detto, che all'amministratore
di   sostegno   non  possono  essere  conferiti  poteri  generali  di
rappresentanza  (esclusiva)  e  assistenza  (necessaria),  per  altro
verso,  che  una persona in difficolta' rispetto alla cura dei propri
interessi   che,  per  effetto  di  un  misura  di  protezione  cosi'
congegnata,  venisse  a  trovarsi  nell'impossibilita'  giuridica  di
compiere  da se' sola validamente pressoche' ogni atto di ordinaria o
anche  solo  di straordinaria amministrazione, sarebbe posta di fatto
in una condizione di generalizzata incapacita' di agire che non trova
alcuna  giustificazione  nella ratio e nella lettera dell'istituto in
esame.
    Il che vuol dire che l'incapacita' di agire, quale effetto di una
misura  ablativa  disposta  dall'autorita'  giudiziaria,  deve essere
esplicitamente  dichiarata e direttamente statuita nella sua naturale
sede    giurisdizionale,    che   e'   quella   dell'interdizione   e
dell'inabilitazione,  in  concorso dei relativi presupposti, e con le
relative  garanzie  e  cautele, e non puo' essere l'effetto riflesso,
non   dichiarato   esplicitamente,   ma  concretamente  perseguito  e
determinato,  del  conferimento,  a  un  pubblico  amministratore  di
sostegno,  di  un  incarico  di rappresentanza esclusiva o assistenza
necessaria arbitrariamente generalizzato.
    Difatti,  i  poteri  generalizzati  di rappresentanza esclusiva e
assistenza  necessaria  che caratterizzano le figure del tutore e del
curatore   sono   la   necessaria  conseguenza,  e  in  esso  trovano
giustificazione,   di   quell'effetto   ablatorio   che   e'   tipico
dell'interdizione  e  dell'inabilitazione,  ossia di quelle «ben piu'
invasive misure» che «attribuiscono uno status di incapacita', estesa
per  l'inabilitato  agli  atti di straordinaria amministrazione e per
l'interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria».
    In  quei  casi,  in  altri  termini,  venendosi  a trovare in una
condizione di dichiarata incapacita' di agire, e cosi' in relazione a
tutti   gli   atti   giuridici   (di   ordinaria   e/o  straordinaria
amministrazione)  che  sono  necessari per la cura dei suoi interessi
economici  ed  esistenziali,  il soggetto e' stato privato del potere
giuridico  di agire validamente in prima persona e necessita pertanto
di un essere affiancato da un altro soggetto, di pubblica nomina, che
sia   in   grado   di  riempire  con  il  proprio  agere  quel  vuoto
generalizzato,   di   sopperire   con   l'esercizio   di   poteri  di
rappresentanza  o assistenza altrettanto generali a quel sopravvenuto
quanto  generalizzato  difetto  di  potere  giuridico,  in  capo alla
persona  interdetta  o  inabilitata,  che  si  riassume nella formula
dell'incapacita' di agire.
    Gli  e' che l'estensione dei poteri di rappresentanza esclusiva e
assistenza necessaria attribuiti al rappresentante di pubblica nomina
e'  in  relazione  diretta  e  necessaria,  logica  ancor  prima  che
giuridica,  con  l'estensione  della  capacita' legale di agire della
persona  alla quale il primo viene affiancato dall'ordinamento, tanto
piu' questa viene compressa tanto piu' quella, e cosi' nell'interesse
stesso  del  beneficiario  della  misura  di  protezione, deve essere
ampliata  (salvo  i  casi di atti personalissimi che sono preclusi al
soggetto senza che nessun altro possa sostituirlo).
    Sicche',  a  un  potere generalizzato di rappresentanza esclusiva
deve  corrispondere  un  difetto generalizzato di capacita' legale di
agire nel soggetto rappresentato.
    Ma  nel  nostro  ordinamento,  come  si  e'  visto,  e'  solo con
l'interdizione  che  un  soggetto maggiorenne puo' essere privato del
tutto  del  potere  giuridico  di  agire,  in concorso delle relative
garanzie  difensive;  ed e' solo con l'inabilitazione che tale potere
puo'  essere  limitato,  con  previsione  generale,  ai  soli atti di
ordinaria amministrazione.
    La  capacita'  di  agire  non  e' infatti una semplice qualita' o
qualificazione giuridica della persona, persona che nell'ambito della
amministrazione  di  sostegno  non  e' neppure formalmente dichiarata
incapace  come  nell'interdizione,  ma  vera  e  propria condizione o
situazione  giuridica  tutelabile  in  giudizio  alla  stregua  di un
diritto soggettivo.
    Tale  potere  costituisce infatti la pre-condizione soggettiva di
validita'  degli atti negoziali e giuridici di esercizio dei diritti,
in  particolare  di  quelli  patrimoniali,  che  non potrebbero avere
pertanto  piena  tutela,  secondo quanto garantito dall'art. 24 della
Cost.,  se  alla  loro  astratta  titolarita'  non  corrispondesse la
garanzia giuridica di una loro effettiva piena esercitabilita'.
    Il  diritto  strumentale  di azione e difesa in giudizio riguarda
infatti  non  solo la astratta titolarita' dei diritti primari, ma si
estende  anche al loro concreta disponibilita' ed esercitabilita' 6),
e  cosi'  in  relazione  ai  beni della vita al cui godimento sono in
definitiva preordinati.
    Ecco   perche',  anche  nella  procedura  per  la  nomina  di  un
amministratore   di   sostegno   si  pongono,  in  relazione  al  suo
inquadramento  dogmatico  (volontaria  giurisdizione  o  procedimento
contenzioso  speciale),  gli  stessi  problemi  di  attivazione della
difesa  tecnica che sono stati sollevati in relazione al procedimento
per interdizione (e inabilitazione).
    E)  In  verita',  viene  sostenuta  in dottrina anche la tesi che
l'amministrazione  di sostegno non incide affatto, limitandola, sulla
capacita'  legale di agire del soggetto in difficolta', e cosi' da un
lato  valorizzando  la  circostanza  che  il  giudice  (tutelare) che
somministra tale misura e' un organo di volontaria giurisdizione, non
gia'    giurisdizionale   come   il   giudice   dell'interdizione   e
dell'inabilitazione, dall'altro che oggetto specifico della misura de
qua  e' semplicemente il conferimento di un incarico, ossia la nomina
di  un  amministratore,  senza alcun intervento ablativo o anche solo
limitativo  sullo  status o condizione giuridica del beneficiario (in
tal  senso,  a  es., Tribunale Parma, decr. 1707 e 1708, del 2 aprile
2004, in Guida al dir. 2004, n. 20).
    Secondo  questa  prospettiva,  la nomina dell'amministratore e il
conferimento  dei  relativi poteri puo' solo ampliare la possibilita'
del  soggetto  debole  di  muoversi  nel  mondo  giuridico, giacche',
rimasta  formalmente  integra  la  sua  capacita'  legale, ed essendo
invece  difficile  o  impossibile il suo concreto esercizio per cause
contingenti, viene affiancato da un altro soggetto di pubblica nomina
che, sotto la supervisione del g.t., puo' agire in suo nome e per suo
conto, giustappunto al fine di sopperire a quel difetto o difficolta'
di esercizio diretto.
    Tale  descrizione  dell'istituto in esame, e dei relativi effetti
(asseritamente nulli) sul potere giuridico di agire del beneficiario,
sembra  cogliere  nel  segno  con  riferimento a tutte quelle ipotesi
nelle quali l'impossibilita' della persona in difficolta' di curare i
propri  interessi  sia  indotta  da  infermita' e menomazioni che non
incidono  minimamente  sulla  sua  capacita'  di  intendere  e volere
(art. 404 c.c.).
    Nei  casi  nei  quali  la  difficolta'  di  esercitare  il potere
giuridico  di  agire,  e  la  conseguente  impossibilita' di curare i
propri   interessi,   mai   potrebbe  dare  luogo  a  interdizione  o
inabilitazione,  come  in  caso di menomazioni o infermita' meramente
fisiche,  integra  essendo invece la capacita' di intendere e volere,
non  avrebbe infatti alcuna giustificazione una limitazione giuridica
della capacita' legale del soggetto.
    Di piu'.
    Una limitazione della capacita' legale di agire quale conseguenza
di  una menomazione o infermita' fisica (o di una infermita' psichica
non  incidente  pero' sulla capacita' naturale di intendere e volere)
violerebbe sicuramente il principio costituzionale di eguaglianza dei
cittadini   davanti   alla   legge   e   il   correlato   divieto  di
discriminazioni   legate   alle   condizioni  personali  del  singolo
cittadino (art. 3 Cost.).
    Non  vi e' dubbio pertanto che in tali casi la applicazione della
misura  di  protezione  in  parola  non potrebbe mai essere concessa,
conferendo  poteri  rappresentativi,  anche  solo «concorrenti», a un
amministratore di pubblica nomina, se non dietro consenso del diretto
interessato.
    In  questi  casi,  pertanto,  la  natura meramente amministrativa
della  misura  di  protezione  che viene somministrata dall'autorita'
giudiziaria,   non  gia'  semplicemente  nell'interesse,  ma  con  il
consenso  dell'interessato,  e  senza  alcuna  limitazione  della sua
capacita'  legale,  esclude  in  radice  la  necessita'  della difesa
tecnica, altrimenti richiesta dall'art. 82, terzo comma, c.p.c.
    E  cosi'  non tanto perche' tale disposizione sembra riferirsi ai
«giudizi»  e  in  particolare  ai giudizi davanti al Tribunale e alla
Corte  di  appello,  con  apparente  esclusione  dei  procedimenti di
volontaria  giurisdizione  in  genere e in particolare dell'attivita'
amministrativa soggettivamente giurisdizionale che compete al giudice
tutelare,   ma   in  quanto  oggetto  della  delibazione  dell'organo
giudiziario  non e' la maggiore o minore estensione del potere legale
del  soggetto perfettamente in grado di intendere e volere, bensi' la
sua  richiesta  di  essere assistito, in questo senso affiancato, non
sostituito,  da  un  rappresentante di pubblica nomina, e cosi' nella
cura dei propri interessi.
    Al   contrario,  tutte  le  volte  che  oggetto  sostanziale  del
procedimento  sono  situazioni soggettive consistenti in diritti o in
status,  la  tutela  delle stesse - ancorche' possa essere realizzata
attraverso   una   semplificazione   del   procedimento  -  non  puo'
prescindere  dall'osservanza delle regole in tema di patrocinio delle
parti nel giudizio (cfr. Cass. Sez. I civ. del 21 novembre 1989).
    Sicche',    ogni    provvedimento    e    relativo   procedimento
soggettivamente  giurisdizionale  abbia  a  incidere,  direttamente o
indirettamente,  sulla  capacita'  legale  della  persona,  lo stesso
presuppone  il  riconoscimento  delle  garanzie difensive legate alla
applicazione delle norme in tema di patrocinio difensivo.
    La  questione  e'  stata  delibata  dalla Corte di cassazione con
riferimento   al   procedimento  per  inabilitazione,  or  quando  ha
stabilito  che  tale procedimento «che si conclude con una pronuncia,
qualificata  espressamente come "sentenza", suscettibile di giudicato
-  ha per oggetto un accertamento della capacita' di agire che incide
sullo  status  della  persona, la cui tutela non puo' prescindere dal
rispetto delle norme in tema di patrocinio della parte del giudizio e
segnatameme  di  quella  che  impone  il  ministero di un procuratore
legalmente esercente».
    Infatti,  «Le  peculiarita'  di  detto procedimento - determinate
dalla  natura  e  non disponibilita' degli interessi coinvolti, dalla
posizione  dei  soggetti  legittimati  a  presentare  il ricorso e ad
impugnare  la  sentenza,  dagli  ampi poteri inquisitori del giudice,
dalla  sua  stessa revocabilita', non escludono che esso si configuri
come  un  procedimento contenzioso speciale e resti disciplinato, con
le  specficazioni ed integrazioni espressamente previste, dalle forme
del giudizio contenzioso».
    «Una  chiara indicazione circa la natura del processo in esame» -
ha  infine  argomentato  la  Corte  -  «e'  peraltro desumibile dalla
pronuncia   della  Corte  costituzionale  n. 87  del  1968,  che  nel
dichiarare   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 713  c.p.c.,
nella  parte  in  cui  consentiva  al  presidente  del  tribunale  di
rigettare,  senza  istituire il contraddittorio con la parte istante,
la  domanda  di  interdizione  o  di  inabilitazione  ove il pubblico
ministero  ne  facesse  richiesta, ha inteso garantire che gia' nella
fase  preliminare  ogni soggetto potenzialmente titolare di posizioni
contrastanti  potesse  prospettare  le proprie ragioni» (Cass. Sez. I
civile, N. 5967 del 1994).
    In  sintesi,  e' l'oggetto sostanziale del procedimento, non gia'
la   sua   mera   forma,   che   deve  orientare  l'interprete  nella
ricostruzione dell'istituto.
    Ecco perche' l'indirizzo giurisprudenziale di merito che sostiene
la  necessita'  dell'assistenza di un difensore anche nella procedura
di  nomina  dell'amministratore  di  sostegno  (per  tutte,  Corte di
appello  di  Milano,  n. 346/04),  muove innanzi tutto dalla ritenuta
omogeneita' di oggetto tra le tre misure di protezione, delle persone
prive  in  tutto  o  in  parte  di  autonomia,  previste  dal  nostro
ordinamento,  in  quanto  incidenti,  sia  pure  in grado e quantita'
diversa, sulla capacita' legale di agire del soggetto.
    E  cosi'  in  ultima analisi, attesa la invalidita' che, sotto la
specie dell'annullabilita', fulmina tutti gli atti che il beneficiato
compie  violando  le  disposizioni  contenute  nel  decreto di nomina
dell'amministratore di sostegno.
    La  minore  invasivita'  dell'amministrazione  di  sostegno sulla
sfera  di  liberta'  del  soggetto, secondo quanto riconosciuto dalla
stessa  Corte costituzionale, limita ma non sterilizza infatti la sua
natura invasiva, e giustifica quel ragionamento analogico che estende
anche  al nuovo istituto di protezione le garanzie difensive che sono
ormai  riconosciute  essere  corredo  necessario  del procedimento di
interdizione e di inabilitazione.
    La   esegesi   operata  dalla  Cassazione  nella  sentenza  sopra
richiamata  e  i  principi  che  essa  ne  ha tratto, sono esemplati,
dunque,   in  modo  specifico,  sugli  istituti  dell'interdizione  e
dell'inabilatizione, ma essi hanno un piu' generale valore.
    La  Cassazione ha infatti rilevato che la forma del procedimento,
ad  es. camerale, non incide, di per se', sulla esigenza del rispetto
delle  garanzie  difensive,  in  quanto  si  deve  piuttosto guardare
all'oggetto sostanziale del procedimento stesso.
    In  particolare,  secondo  il Supremo Collegio, «l'esigenza della
difesa  tecnica  - che e' disposta innanzi tutto nell'interesse della
parte,  a  tutela  dell'effettivita'  del  suo diritto di azione e di
difesa - deve ravvisarsi tutte le volte in cui il processo, ancorche'
modellato  sul  rito  della  camera  di consiglio (cui il legislatore
ricorre  con  frequenza  sempre maggiore, per apprezzabili ragioni di
speditezza),  involga  tuttavia  la  cognizione  di  vere  e  proprie
controversie  di  diritti  soggettivi,  status,  la  cui  risoluzione
costituisce  attivita'  di  giurisdizione  contenziosa  (cfr.  Cass.,
30 dicembre  1989,  n. 5831;  Cass. 24 giugno 1989, n. 3099; Cass. 5,
agosto  1988,  n. 4847).  In  tali  casi,  infatti,  la parte ad ogni
effetto «sta in giudizio», secondo la formula adoperata dall'art. 82,
secondo   comma,  c.p.c.,  con  conseguente  applicabilita'  di  tale
disposizione  e  di  quelle  successive  le  quali  implicano  che  i
soggetti,   nei  procedimenti  davanti  ai  tribunali  e  alle  corti
d'appello,  non possono compiere personalmente alcun atto processuale
ma   devono   essere   rappresentate  da  un  procuratore  legalmente
esercente» (Cass. Sez. I civ. n. 156 del 1996).
    La  giurisprudenza  della S. Corte ha in sostanza ritenuto che il
procedimento  camerale,  sul  quale  e' indubbiamente modellato anche
quello  di  nomina  dell'amministrazione di sostegno, costituisce una
sorta di contenitore, in cui possono trovare spazio sia provvedimenti
di  volontaria giurisdizione sia provvedimenti di natura contenziosa,
sia  pure  speciale,  se  e in quanto idonei a incidere su situazioni
giuridiche qualificate.
    In  particolare, dopo avere affermato l'idoneita' della procedura
camerale  ad essere utilizzata, con i dovuti adattamenti - in tema di
contraddittorio,    facolta'   di   prova,   ecc.   -   alla   tutela
giurisdizionale  contenziosa dei diritti soggettivi, la Cassazione ha
messo  in evidenza che in effetti la giurisdizione camerale, sorta in
origine  come una attivita' di amministrazione del diritto affidata a
organi  giurisdizionali,  nonche'  caratterizzata,  sotto  il profilo
strutturale,  dalla  revocabilita'  e  dalla modificabilita' e, sotto
quello  funzionale,  dal  non  incidere  su  diritti,  e'  finita col
divenire   sempre   piu',  per  effetto  delle  scelte  compiute  dal
legislatore,  «come  un contenitore neutro che puo' assicurare, da un
lato  la  speditezza  e la concentrazione del procedimento ed essere,
dall'altra, rispettosa dei limiti imposti dalla incidenza sulla forma
procedimentale  della  controversia  in  quanto  relativa a diritti o
status  gode  di  apposite  garanzie costituzionali». (Cass. Sez. Un.
Civ. n. 5629 del 1996).
    Ne'  vi  puo'  essere dubbio, inoltre, che la capacita' legale di
agire  meriti  di essere tutelata in concorso delle relative garanzie
difensive,  ivi  compreso il ricorso obbligatorio alla difesa tecnica
7).
    E'  ben  vero  che  la  capacita'  legale  di  agire, intesa come
qualita'  giuridica generale della persona, preliminare al compimento
di  atti e comportamenti aventi efficacia giuridica, non costituisce,
secondo  quanto messo in evidenza dalla dottrina piu' autorevole, una
dimensione  necessaria  per ogni fattispecie polarizzata sulla figura
del  soggetto-persona,  in  quanto  la legge non richiede per tutti i
fatti  giuridici  umani  che  il  soggetto sia capace di agire, ma ha
rilievo  solo  per  quei  comportamenti e atti giuridici, negoziali e
non,  per  i  quali  pone tale qualita' soggettiva con presupposto di
validita'.
    Ed  e'  altrettanto  vero  che  esistono  forme, ovverosia atti e
comportamenti,  di  esercizio  dei  diritti  soggettivi  che  non  la
richiedono  punto,  in  quanto  non  si atteggiano a negozi o ad atti
giuridici,  e  in  quanto tali sono improduttivi di effetti nel mondo
del diritto.
    Nondimeno,  in relazione alle fattispecie produttive di effetti e
alle  forme  di esercizio dei diritti che per legge presuppongono nel
soggetto agente, in quanto operatore giuridico, e in questa accezione
particolare  soggetto giuridico, la capacita' legale di agire, questa
si  mostra  come «possibilita' o, o se si preferisce «attitudine», se
non  vero  e  proprio  «potere»,  di  porre  in  essere  validi fatti
giuridici  e  di provocare, secondo la relativa previsione normativa,
determinati effetti giuridici non suscettibili di essere annullati.
    Questa  «possibilita»  o  «attitudine» o «potere», come ha ancora
evidenziato   la   dottrina   sopra   richiamata,   «permette»   alla
soggettivita'  che  fa capo alla persona di trovare svolgimento nelle
vita  delle  relazioni  giuridiche,  e  integra, pertanto, una vera e
propria  «situazione giuridica soggettiva», preliminare e strumentale
se  si  vuole,  ma  necessariamente  influente,  in  quanto requisito
soggettivo  della  fattispecie,  sulla validita' degli atti giuridici
del soggetto che ne risulta investito.
    Di  contro, la sua limitazione, e a maggior ragione la sua totale
ablazione,  pone  la persona che ne viene in tutto o in parte privata
in  uno  «stato di menomazione», giacche' non puo' piu' manifestare e
far   valere   compiutamente   i   propri   interessi   economici  ed
esistenziali,  mentre  la tutela e la garanzia delle sue esigenze, in
relazione ai vari beni della vita, finiscono per dipendere da altri.
    Ecco  perche'  la  capacita' legale d'agire e' un bene giuridico,
tale  perche'  viene  attribuito  direttamente  dall'ordinamento, che
impinge  in quella sfera di liberta' e autodeterminazione del singolo
che  la  nostra Carta costituzionale tutela quale espressione diretta
della dignita' della persona umana.
    Un   valore   costituzionale,   dunque.   certamente  ancorato  a
determinati  presupposti  che  attengono  alla maturita' e efficienza
psichica  della persona e al corrispondente grado di responsabilita',
in  questo senso non assoluta, o come usa dire la teoria generale del
diritto  «non privilegiato», tanto piu' in quanto deve fare i conti e
venire    a    compromesso    con    altri   valori,   beni   diritti
costituzionalmente   riconosciuti   e   garantiti,  a  partire  dalla
protezione  della  stessa integrita' psico fisica dell'individuo e da
quello   della   certezza  sicurezza  e  ordinato  svolgimento  delle
relazioni  giuridiche,  ma,  in ogni caso, pure a prescindere dal suo
inquadramento  dogmatico  e  dalli  relativa  terminologia (qualita',
situazione,  stato,  condizione, diritto, ecc.), un bene fondamentale
che  lo  Stato  non  puo'  riprendersi,  limitare  o  sopprimere,  ad
arbitrio.
    Di   qui,   il  diritto  della  persona  di  agire  e  difendersi
compiutamente  in  ogni  sede di giudizio, contenziosa o camerale che
sia,  o  anche d'altro tipo, nella quale sia comunque messa a rischio
questa  fondamentale espressione di liberta', e cosi' reagire in modo
adeguato alle aggressioni improprie che ad essa abbiano eventualmente
a  muovere gli altri consociati o lo stesso ordinamento, anche quando
prende la forma dello stato-giudice.
    F)   Cio'   premesso,   questo   g.t.   rileva   che  la  riforma
dell'amministrazione  di  sostegno non contiene alcuna previsione che
consenta di sopperire alla mancata nomina di un difensore tecnico, la
cui  presenza e' soltanto facoltativa, ma non obbligatoria, in quanto
l'art. 716   c.p.c.   -   applicabile  anche  all'amministrazione  di
sostegno,  ai  sensi  del  richiamo ad esso operato dall'art. 720-bis
c.p.c., introdotto dall'art. 17 della legge n. 6/2004 - abilita anche
il beneficiario a stare in giudizio e compiere da solo tutti gli atti
del   procedimento,   come   gia'   prevedeva  per  l'interdicendo  e
l'inabilitando.
    Si  tratta  di  un  difetto  che  e'  oltretutto  aggravato dalla
circostanza  che  nel  procedimento  in  questione,  contrariamente a
quanto  avviene  nell'interdizione e nell'inabilitazione, l'audizione
del   beneficiano   -   cosi'   argomentandosi   dal  mancato  rinvio
dell'art. 720-bis    anche    all'art. 715    c.p.c.   -   non   deve
necessariamente  svolgersi  alla presenza del p.m., cioe' dell'organo
istituzionalmente  deputato  alla  cura dell'interesse pubblico a che
ciascun  consociato  abbia  la  protezione di cui necessiti e non sia
privato,  senza apprezzabile ragione, della capacita' legale di agire
di cui dispone.
    Ovviamente  quella  esigenza verrebbe meno se, ridimensionata dal
punto  di vista quantitalivo la portata operativa degli effetti della
misura  in questione, in relazione al numero e alla tipologia di atti
che  possono  essere  oggetto  della  rappresentanza e assistenza, in
sostanza  non  tutti,  la  stessa potesse essere ridimensionata, come
intende  altra  parte  della  dottrina,  anche  dal  punto  di  vista
qualitativo,  ove si ritenesse cioe' che i poteri di rappresentanza e
assistenza  non comprimono la capacita' legale di agire, ma hanno una
portata  meramente  gestionale,  che  nulla  toglie ma da', in quanto
nulla  sopprime  o  limita  ma  aggiunge  ed  espande, in funzione di
protezione  piuttosto  che di divieto; e un tanto con riferimento non
solo alle ipotesi nelle quali l'impossibilita' del soggetto di curare
i  propri  interessi e' indotta da infermita' e menomazioni meramente
fisiche,  e  cosi'  per  le ragioni sopra evidenziate, ma anche nelle
diverse  ipotesi  nelle  quali  cio' che difetta nel soggetto, per la
compiuta   cura   e   gestione   dei  propri  interessi  economici  e
esistenziali,  e'  proprio  una  efficiente  capacita' di intendere e
volere conseguente a infermita' o menomazione psichica.
    Non  si  vede tuttavia come possa essere accolto questo indirizzo
interpretativo, e questo per varie ragioni.
    Se   infatti,  quale  effetto  anche  solo  riflesso  dei  poteri
conferiti   all'amministratore   di   rappresentanza   «esclusiva»  e
assistenza  «necessaria»,  che  non  a caso l'art. 409 c.c. qualifica
ricorrendo  a tali aggettivi, al beneficiario viene «interdetto» tout
court   il   compimento   di   determinati   atti   di  straordinaria
amministrazione  (e  anche  di  ordinaria  amministrazione)  o  viene
«inabilitato»  al  compimento,  da  se'  solo, di determinati atti di
ordinaria amministrazione, e cosi' sotto pena di annullabilita' degli
atti  compiuti  contro  tali  divieti,  allora non si puo' parlare di
natura  meramente  gestionale,  additiva  e  non sottrattiva, di tale
misura di protezione.
    Inoltre,  se  la  legge  ritiene  di  dover  specificare  che  il
beneficiano  conserva in ogni caso la capacita' di compiere gli atti,
evidentemente  gestionali,  necessari  a soddisfare le esigenze della
propria  vita  quotidiana  (art. 409  c.c.).  cio' conferma, in linea
peraltro  con la finalita' dichiarata della riforma (che e' quella di
tutelare,  con  la  minore  limitazione  possibile della capacita' di
agire  le  persone  prive  in  tutto o in parte di autonomia: art. 1,
legge  n. 6/2004),  che  la nomina dell'amministratore di sostegno e'
potenzialmente  idonea  a  limitare  la capacita' legale di agire del
beneficiario;  che  in  essa  e'  presente  non  solo  la  dimensione
«protezione», ma anche la dimensione «divieto».
    Per  non  dire,  infine,  nei  termini precisati sub A), del gia'
citato  art. 411  c.c.,  laddove  consente  l'estensione  di effetti,
limitazioni  o  decadenze,  previsti  da  disposizioni  di  legge per
l'interdetto     o     l'inabilitato,     anche    al    beneficiario
dell'amministrazione di sostegno, e cosi' in relazione agli interessi
alla  cui  tutela quelle misure sono preordinate, non necessariamente
coincidenti con l'interesse del beneficiario (ivi, ult. comma).
    La   necessita'  di  assicurare  l'assistenza  di  un  difensore,
inoltre,  verrebbe  meno  se  se fosse possibile attribuire in chiave
operativa,    alla   volonta'   e   libera   autodeterminazione   del
beneficiario,  un  potere  paralizzante  della  procedura  di  nomina
dell'amministratore   di  sostegno,  se  e  in  quanto  dallo  stesso
esplicitamente   rifiutata,   e  cosi'  non  solo  nei  casi  in  cui
l'impossibilita'  di  curare autonomamente i propri interessi dipenda
da  una mera difficolta' di natura fisica, ma anche nei diversi casi,
sopra  evidenziati,  nei  quali  la stessa e' indotta da infermita' o
menomazioni psichiche che incidono sulla sua capacita' di intendere e
volere,  sebbene  in  misura  minore  di quelle che impongono le piu'
invasive misure dell'interdizione e dell'inabilitazione.
    In  effetti, da un insieme di disposizioni introdotte dalla legge
di  riforma  (art. 407 c.c.: il giudice deve sentire personalmente la
persona   per  tenere  conto  delle  sue  richieste;  art. 410  c.c.:
l'amministratore   di   sostegno   ha   l'obbligo   di  informare  il
beneficiario  circa  gli  atti  da  compiere  e  di registrare il suo
eventuale  dissenso,  ecc.)  si puo' ricavare la conclusione, e parte
della giurisprudenza di merito e' di fatto attestata su questa linea,
che  il  punto  di  vista  del  beneficiario  dell'amministrazione di
sostegno  deve  essere  tenuto costantemente presente nel corso della
procedura  di  nomina  e  durante  tutta  la sua gestione successiva,
cosicche'  tale  meno  invasiva misura di protezione si attaglierebbe
solo  ai casi nei quali la residua capacita' naturale del soggetto lo
mette  in  condizione di elaborare dentro di se', in modo ponderato e
consapevole, sulla base della propria personale e insindacabile scala
di  valori,  nonche' di comunicare al mondo esterno, razionali scelte
di vita.
    Nondimeno,  nessuna  chiara previsione normativa lascia intendere
che,   differenziandosi   anche   in   questo   dall'interdizione   e
l'inabilitazione,  la  nomina  dell'amministratore  di  sostegno  sia
subordinata al consenso o al mancato rifiuto del beneficiario (in tal
senso: tribunale di Genova - Ufficio del giudice tutelare, decreto 1°
marzo 2005).
    Inoltre,  secondo  una tesi giurisprudenziale di merito che trova
numerosi riscontri decisionali, la stessa dialettica giudice tutelare
--  amministatore  di  sostegno-beneficiario,  e  in  particolare  il
coinvolgimento   effettivo   di  quest'ultimo  nelle  singole  scelte
gestionali,  non  e'  condizione  di  validita' della procedura e dei
singoli  atti,  negoziali e non, posti in essere per la cura dei suoi
interessi, secondo la previsione del decreto di nomina.
    Non  a  caso,  nei  decreti di nomina dei g.t. che accolgono tale
orientamento  (per tutti: decr. 28 gennaio 2005 del Tribunale di Roma
-  Ufficio  del giudice tutelare), laddove si invita l'amministratore
di   sostegno   a  informare  preventivamente  il  beneficiario  e  a
raccoglierne  l'eventuale dissenso rispetto a ciascun atto gestionale
da  compiere  nel  suo  interesse,  si rinviene la clausola finale di
salvezza «ove cio' sia possibile».
    In   sintesi:   la  amministrazione  di  sostegno  puo'  incidere
negativamente,  sia pure in misura minore rispetto all'interdizione e
all'inabilitazione,  sulla  capacita'  legale di agire della persona,
ossia  su un suo fondamentale bene giuridico, e non puo' essere dalla
stessa  impedita,  si'  da  paralizzare  l'intervento  invasivo dello
Stato-giudice, attraverso una semplice manifestazione di dissenso: di
qui  la  necessita'  che anche il destinatario ditale misura, proprio
come l'interdicendo e l'inabilitando, sia messo in grado di difendere
compiutamente  tale  situazione  giuridica  di liberta' attraverso la
assistenza    di    un   difensore   tecnico   phe   lo   rappresenti
obbligatoriamente in giudizio.
    La  legge istitutiva dell'aniministrazione di sostegno, tuttavia,
non prevede l'obbligatorieta' di tale presenza, ne' individua il modo
di  sopperire  alla  sua  assenza,  ad es. attraverso la nomina di un
difensore d'ufficio.
    Tali  norme,  e in particolare gli artt. 407 e 408 c.c. regolanti
il procedimento di nomina e 716 c.p.c., sembrano pertanto violare gli
artt. 2, 3 e 24 della Costituzione.
    La   questione,  in  ogni  caso,  appare  a  questo  giudice  non
manifestamente  infondata,  nonche' rilevante nel caso di specie, nel
quale,  come  si  e'  visto,  il  ricorso  non  e'  stato  presentato
direttamente  dal  beneficiario,  bensi'  da uno degli altri soggetti
abilitati  dall'at.  406  c.c.,  e  l'interessato  stesso risulta per
tabulas non assistito da difensore.
    A  riprova  di  cio',  e'  sufficiente  rilevare  che, secondo un
consistente  indirizzo  giurisprudenziale  di  merito che muove dalla
tesi  della  necessita'  della difesa tecnica (Tribunale di Livorno -
Sez.  distaccata  di  Piombino,  decreto 28 aprile 2004; Tribunale di
Padova-  Sez.  I,  decreto  21  maggio  2004  e  successive conformi;
Tribunale di Milano - Sez. IX, 2 marzo 2005, giudice Marini; Corte di
appello  di  Milano,  decreto  11  gennaio  2005),  l'assenza  di  un
difensore porta quale inevitabile conseguenza la nullita', insanabile
e  rilevabile  d'ufficio,  del  ricorso  introduttivo  e di tutti gli
conseguenti,   attenendo  alle  regolare  costituzione  del  rapporto
processuale  (in tal senso, tribunale di Venezia - Sezione distaccata
di Dolo, ord. del g.t. del 13 giugno 2005).
    Ne  viene  che,  nel  caso  di  specie, questo g.t. e' chiamato a
decidere  in via preliminare se il ricorso introduttivo e' nullo o se
lo  stesso  abbia  validamente  dato  avvio  alla procedura di nomina
dell'amministratore di sostegno.
    Nel  primo caso, all'interessata non verrebbe pero' assicurata la
protezione  di  cui verosimilmente necessita', mentre nel secondo non
le  verrebbe  compiutamente  garantito  l'esercizio  del  diritto  di
difesa.
          1)  Probabilmente diverso e' invece il discorso da condurre
          sull'attivita'   di   assistenza,  attivita'  di  cui  pure
          l'a.d.s.  puo'  essere  incaricato  a  norma dell'art. 405,
          n. 4,  c.c.  Non  si  puo'  infatti parlare in proposito di
          assistenza   materiale  o  psicologica,  bensi'  giuridica,
          ovverosia  di un atto deliberativo della volonta', di volta
          in volta reso manifesto dall'a.d.s., che deve integrare, ai
          fini  della sua validita', l'atto giuridico o negoziale cui
          si  rifersice,  ed  e',  per  tale  motivo,  assistenza per
          definizione necessaria.
          2)  Principio,  come  e'  noto, severamente censurato dalla
          Corte  di cassazione in sede penale, sul presupposto che le
          valutazioni specialistiche che il giudice trae direttamente
          dalla sua scienza privata, in ipotesi molto approfondita in
          una  certa  maniera,  e la conseguente rinuncia all'apporto
          dello specialista (nel noto caso si trattava di una perizia
          grafica  molto complessa), e cosi' ai fini della decisione,
          sono direttamente e per la prima volta rese note alle parti
          nella   motifvazione  del  provvedimento.  Le  stesse  sono
          pertanto   sottratte   a   una   preventiva   conoscenza  e
          contestazione  tecnica  da  parte  degli  interessati,  con
          violazione  del principio del contraddittorio e del diritto
          di difesa (la sentenza e la n. 9047 del 1999, V sez. pen.).
          3)  Secondo i primi commentatori della sentenza della Corte
          cost.   n. 440/2005,  questa  decisione  interpretativa  di
          rigetto,   piu'   che   sancire   il   carattere  residuale
          dell'interdizione,    avrebbe    conferito    autorevolezza
          costituzionale all'alternativa interpretativa segnalata dal
          giudice  rimettente,  ossia  nel senso della applicabilita'
          dell'A.d.S.  alle  sole ipotesi di infermita' psichica meno
          gravi di quelle che giustificano l'interdizione e la stessa
          inabilitazione,         derivandone        conseguentemente
          l'adottabilita',  da  parte  del g.t., di misure limitative
          dell'autonomia  giuridica del soggetto incapace non gia' ad
          ampio  spettro,  all'opposto  davvero  mirate  a specifiche
          categorie  di  atti  se non ad atti singoli. Secondo questo
          primo  commento  (in Guida al Diritto del 21 gennaio 2006):
          «La  Corte nella parte motivazione accoglie in parte questa
          tesi,  laddove  afferma  che  "in  nessun  caso"  i  poteri
          dell'amministratore  possono coincidere "integralmente" con
          quelli  del  tutore  o  del  curatore,  lasciando  con cio'
          chiaramente intendere che non e' conforme alla normativa un
          provvedimento  di  nomina  dell'amministratore  che  limiti
          completamente  la  capacita'  del  beneficiario,  invece di
          essere puntualmente correlato alle caratteristiche del caso
          concreto».
          4)  Si  tenga  peraltro  presente  che in forza della nuova
          formulazione  dell'art. 427 c.c., l'inabilitato puo' essere
          autorizzato   dal   tribunale   a   compiere  da  se'  solo
          determinati atti di straordinaria amministrazione. Ne viene
          una  corrispondente  limitazione  dei  poteri di assistenza
          necessaria  dello  stesso  curatore,  secondo una logica di
          flessibilita'  e  modulabilita' che mal si concilia con una
          prassi  interpretativa che conferisca all'amministratore di
          sostegno un potere di assistenza necessaria generalizzato e
          cosi' piu' ampio di quello dello stesso curatore.
          5)  Si  tenga  ancora  presente  che  in  forza della nuova
          formulazione  dell'art. 427  c.c., l'interdetto puo' essere
          autorizzato   dal   tribunale   a   compiere  da  se'  solo
          determinati atti di ordinaria amministrazione. Ne viene una
          corrispondente limitazione dei poteri rappresentativi dello
          stesso  tutore,  secondo  una  logica  di  flessibilita'  e
          modulabilita'  che  non  puo'  essere  contraddetta  da una
          prassi interpretativa che attribuisca all'amministratore di
          sostegno poteri rappresentativi piu' estesi di quelli dello
          stesso tutore.
          6)  Ossia  quel  «libero  esercizio  dei  diritti»  da  cui
          l'art. 75  cpc fa dipendere la stessa capacita' processuale
          e    che    viene    automaticamente   meno   per   effetto
          dell'interdizione  o  dell'inabilitazione  (Cass. civ. Sez.
          III n. 14025/1994).
          7)  Come ha messo in evidenza la Corte di appello di Milano
          la  nomina  dell'amministratore  di  sostegno  da'  luogo a
          «effetti  che incidono sulla possibilita' di un soggetto di
          operare  nel  mondo  giuridico e che coinvolgono situazioni
          soggettive  a  contenuto patrimoniale (...) che fanno parte
          di quel nucleo ristretto di "diritti inviolabili dell'uomo"
          cui  fa  rferimento  l'art.  2  della Costituzione» mentre,
          secondo  la Corte europea l'art. 8 C.E..D.U. «impone che il
          provvedimento   giurisdizionale  volto  ad  incidere  sulla
          capacita'  di un soggetto di operare nel mondo giuridico e,
          quindi  ad  influire  sulliidentita'  della  persona, debba
          essere  il  risultato  di  un  procedimento in cui operi il
          principio  del  contraddittorio» cosi' che la decisione sia
          tale  da  «assicurare  al  destinatario  degli  effetti del
          provvedimento la possibilita' di esporre le proprie ragioni
          e  di  espletare  un  controllo pieno sulla legalita' degli
          atti del procedimento attraverso l'esercizio del diritto di
          dfesa, che non puo' non essere attuato, vista la natura dei
          diritti  coinvolti,  attraverso  lo  strumento della difesa
          tecnica» (Corte di appello Milano, ord. 2 marzo 2005).
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    Dichiara  la  rilevanza  e  la  non  manifesta infondatezza della
questione  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 407 e 408 del
c.c.  e  716  c.p.c.  in  relazione  agli artt. 2, 3 e 24 della Carta
costituzionale.
    Sospende, pertanto, il presente giudizio, dispone la trasmissione
degli  atti  alla  Corte  costituzionale,  e ordina che, a cura della
cancelleria,  la  presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata al Presidente del Senato
della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati.
        Chioggia, addi' 3 febbraio 2006
                   Il giudice tutelare: Ciampaglia
06C0994