N. 476 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 febbraio 2006
Ordinanza del 6 febbraio 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 10 ottobre 2006) emessa dal Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia - Sezione distaccata di Chioggia, nel procedimento relativo a B.R. Capacita' giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Procedimento per la nomina dell'amministratore - Obbligatoria presenza di un difensore tecnico che assista in giudizio il beneficiario - Mancata previsione - Violazione del diritto di difesa - Insufficiente protezione della capacita' legale di agire - Incidenza sulla sfera di liberta' e autodeterminazione del singolo, in cui si esprime la dignita' della persona umana. - Codice civile, artt. 407 e 408; codice di procedura civile, art. 716. - Costituzione, artt. 2, 3 e 24.(GU n.45 del 15-11-2006 )
IL GIUDICE TUTELARE Letto il ricorso introduttivo presentato personalmente da B.U. nato a Cavarzere il 15 ottobre 1938, nell'interesse della sorella B.R., nata a Cavarzere il 17 giugno 1948, e cosi' ai sensi degli artt. 406 e 417 c.c., secondo quanto ritenuto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia (provvedimento 9 novembre 2005) ove l'atto era stato depositato (in data 8 novembre 2005). Rilevato che in detto ricorso viene rappresentata la condizione di invalidita' al 100% nella quale irrimediabilmente versa la B.R., come da allegato verbale di accertamento di visita legale e conseguente certificato (ex legge 5 febbraio 1992, n. 104). Rilevato, in particolare, che la B.R. e' affetta da «Cerebropatia con oligofrenia ed afasia per cui e' totalmente compromessa la vita di relazione e necessita di accompagnamento», sicche' e' verosimilmente necessario somministrare una misura di protezione, trattandosi di persona che non puo' curare i propri interessi. Rilevato che il ricorso introduttivo non e' stato presentato da un legale patrocinatore munito di procura e che dalla lettura degli atti allegati risulta che l'interessata e' priva dell'assistenza di difensore tecnico con il quale stare in giudizio nella presente procedura, e cosi' ai sensi dell'art. 82 c.p.c. Visto il parere del p.m. -- sede, secondo il quale e' necessario che la domanda sia presentata da un difensore tecnico e non direttamente dal privato cittadino o comunque da soggetto non assistito, in quanto, «nonostante l'esistenza di molteplici disposizioni da cui e' possibile ricavare un principio opposto, meritano di essere valorizzati. ... gli spunti normativi da cui si ricava una identita' dogmatica tra il procedimento per interdizione e quello per la nomina di amministratore di sostegno, nel senso che entrambi possano classificarsi procedimenti c.d. a carattere oggettivo, procedimenti, in altre parole, che operano su status del soggetto, intesi quali complesso di diritti fondamentali della persona fisica, e che, come tali, se possono deviare in alcune circostanze dallo schema consueto del procedimento contenzioso civile, comunque ne mantengono il carattere (ad esempio, si veda il disposto dell'art. 720-bis c.p.c., che consente il ricorso in Cassazione per i provvedimenti finali, o quello dell'art. 418, terzo comma c.c., che nel passaggio da interdizione ad amministrazione di sostegno individua una mera trasmissione del procedimento». Ritenuto che la mancata assistenza da parte di un patrocinatore legale col quale stare in giudizio configura verosimilmente una violazione del diritto difesa di B.R., e che tale difetto, non essendo imposta la nomina di un difensore dalle norme istitutive della nuova misura di protezione delle persone prive di autonomia di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 6, pone come rilevante nel caso di specie la questione di legittimita' costituzionale di tali norme, in particolare degli artt. 407 e 408 del c.c. e 716 c.p.c. in relazione agli artt. 2, 3 e 24 della Carta costituzionale. Cio' premesso, espone di seguito le ragioni per le quali ritiene tale questione non solo rilevante nel caso di specie, ma altresi' non manifestamente infondata. A) Questo giudice ritiene opportuno rendere esplicita la sua adesione alla tesi prevalente tra i giudici di merito, secondo la quale la legge n. 6 del 2004 non ha reso del tutto inutile il ricorso agli istituti, da altri ritenuti arcaici e superati, dell'interdizione e dell'inabilitazione. Secondo la tesi qui accolta, una analisi interpretativa sistematica, teleologicamente orientata e non preconcetta della complessa disciplina inserita da tale legge sulle preesistenti norme del codice civile, dimostra che l'ambito di operativita' dell'amministrazione di sostegno non puo' coincidere in nessun caso con quello dell'interdizione e con quello dell'inabilitazione cosi' da consentire la loro disapplicazione. In altri termini, tanto l'interdizione quanto l'inabilitazione conservano un proprio distinto ambito di operativita', che i giudici devono essere in grado di individuare alla luce dei parametri generali della necessita/adeguatezza e della minore invasivita' possibile della misura di protezione da applicare. Ne viene, che non e' consentito loro formulare giudizi di valore sugli istituti legislativi, in definitiva sulla legge stessa, per accordare aprioristicamente la propria preferenza esclusiva all'uno o all'altro, senza tenere conto dei distinti ambiti di operativita'; ma, in un sistema basato sul principio di legalita', nel quale non vi e' spazio per la giurisprudenza abrogatrice, devono sforzarsi di dare contorni piu' precisi a quegli ambiti, in definitiva «distinguere» quando l'interdizione e l'inabilitazione sono ancora necessari, e cosi' sia in generale, secondo una precisa tipizzazione della relativa fattispecie astratta, sia in relazione ai casi concreti da valutare. Secondo il Tribunale di Milano, ad es., la modifica, sia dell'art. 414 c.c., nella parte in cui mantiene l'interdizione per i soggetti che si trovano in condizioni di abitualita' infermita' di mente... quando cio' e' necessario per assicurare la loro adeguata protezione, sia dell'art. 427 c.c., laddove consente di stabilire che taluni atti di ordinaria amministrazione possono essere compiuti dall'interdetto, depongono per una «volonta' legislativa di riconoscere all 'interdizione una valenza di protezione necessaria per tutti i soggetti che, ancorche' in grado di esplicitare capacita' residuali, possano ritenersi adeguatamente protetti, da loro stessi e dagli altri, solo se li si escluda da qualunque capacita' (in cio' si concretizza l'interdizione), nel senso di impedire che si producano effetti giuridici quando si attivano con modalita' non sorrette da valide capacita' intellettive e volitive in tutti gli ambiti (anche non immediatamente prevedibili) da cui possano derivarne pregiudizi riconoscendo loro quei soli ambiti di azione certamente non nocivi» (Tribunale di Milano, sentenza 21 marzo 2005, n. 3289, pubblicata su Altalex). Secondo questa prospettiva (conforme, Trib. di Bologna, 1° dicembre 2005, n. 3107), che supera dunque il falso dilemma interpretazione conservatrice/interpretazione solidaristica, e non si attarda su meri giudizi di valore, «se al fine di garantire la piu' completa protezione della persona incapace, i poteri dell'Amministratore di sostegno devono estendersi, sia a decisioni personali inerenti la cura del soggetto, sia a qualunque tipologia negoziale, con il rischio, tra l'altro, di riportare un elenco incompleto di atti, residuandone altri non previsti che sfuggano agli effetti di annullabilita' di cui agli artt. 409 e 412 c.c. (rimarrebbe sempre l'impugnabilita' ex art 428 c.c., ma subordinata alla prova della malafede dell'altro contraente), e se ci si trova a dover integrare detta misura richiamando, ex art. 411 c.c. e sempre a fini di tutela, disposizioni previste per l'interdetto (quali l'incapacita' di contrarre matrimonio - art. 85 c.c., di testare - art. 591 c.c., di donare - art. 774 c.c.). la sovrapposizione di contenuto dei due istituti di amministrazione di sostegno e di interdizione induce a privilegiare quest'ultimo, che annulla ogni possibilita' di azione del soggetto a suo danno o ne consente un immediato annullamento, riconoscendo alla persona autonomia di azione solo per specifici atti che si palesino nocivi» (ivi). Orbene; anche a prescindere dal consenso che si possa accordare a tale proposta interpretativa, delimitatrice degli ambiti di operativita' dei tre istituti di protezione delle persone in tutto o in parte prive di autonomia (o di altre consimili: come quella del Tribunale di Torino -- ufficio del giudice tutelare, decreto 22 maggio 2004, che, valorizzando le disposizioni di cui agli art. 404, 407, 410 e 411 c.c., sottolinea come il destinatario della misura di sostegno debba conservare, quanto meno in misura ridotta, una propria autonomia e capacita', senza la quale non potrebbe dialogare ne' con il giudice tutelare ne' con l'amministratore di sostegno; come quella del Tribunale di Parma, ufficio del giudice tutelare, decreto 2 aprile 2004, che pone l'accento sulla gravita' della menomazione psichica, quale parametro giustificativo della pronuncia di interdizione; come quella del Tribunale di Catania, decisione 26 ottobre 2004, che argomenta l'esclusione dell'amministrazione di sostegno, in caso di grave compromissione delle facolta' psichiche, da quell'art. 409 c.c. che conclama il persistere della capacita' legale di agire del beneficiario «per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria per l'amministratore di sostegno», e cosi' sul presupposto che, mancando al di fuori di queste aree l'autodeterminazione dell'interessato, non si puo' ricorrere alla nuova meno invasiva misura di protezione, tanto piu' che anche la applicazione degli artt. 406, 407 e 410 c..c dipende dalla conservazione di una qualche residua capacita' decisionale in capo al malestante; come quella del giudice tutelare di Nocera, decreto 8 luglio 2004, per il quale l'amministrazione di sostegno e' da ritenere in re ipsa esclusa se e in quanto il soggetto sia del tutto privo di autonomia psico-fisica; come quella del Tribunale di Ancona -- ufficio del giudice tutelare, decreto 17 marzo 2005, che pone anch'essa l'accento, quale causa preclusiva del ricorso all'amministrazione di sostegno, sulla gravita' della malattia psichica della persona in difficolta', in particolare se sia tale da non consentirle di relazionarsi con il mondo esterno; o come quella del Tribunale di Genova, sent. 13 novembre 2005, che valorizza, al fine di escludere l'amministrazione di sostegno, la circostanza che l'interessato non e' in alcun modo in grado di far valere il proprio punto di vista), si dovra' comunque convenire che la stessa costituisce un concreto esempio della possibilita' di dare un contenuto visibile ai generici criteri della necessita/adeguatezza e minore invasivita', e risponde pertanto alla sollecitazione della stessa Corte costituzionale, or quando il Giudice delle leggi ammonisce che la nuova disciplina affida al giudice il compito di «individuare» l'istituto da applicare (sent. Corte cost. n. 440 del 9 dicembre 2005). Tale proposta infatti non si limita a ripetere, secondo una vuota quanto sterile tautologia, che l'interdizione e' necessaria solo quando e' necessaria, con l'immancabile corollario che l'interdizione e la stessa inabilitazione non sarebbero mai necessarie essendo sempre adeguata e sufficiente l'amministrazione di sostegno, ma si sforza di dare voce a quel muto criterio direttivo, col descrivere i contorni di una vera e propria fattispecie astratta, una fattispecie sotto cui sussumere, di volta in volta, anche in chiave di prevedibilita' e trasparenza delle decisioni del G.T., i singoli casi umani sottoposti al suo vaglio critico. Una proposta, peraltro, che neutralizza il rischio delle disparita' di trattamento in casi analoghi, rischio giocoforza insito in ogni clausola generale, e, nel merito, trova sostenitori anche tra alcuni dei primi commentatori del nuovo sistema di protezione degli incapaci. La dottrina sopra richiamata ha infatti avvertito che, estendendo al massimo l'area dell'incapacita' di agire del beneficiario della nuova misura rispetto agli atti patrimoniali, non solo «si giungerebbe a creare un doppione dell'istituto tradizionale», con l'irragionevole conseguenza di «operare tale estensione in un istituto che e' nato con (ed ha) la vocazione di limitare specificamente e puntualmente la capacita' di agire del destinatario», ma non si terrebbe neppure conto della volonta' del legislatore, quale traspare dall'esame dei lavori parlamentari. In proposito, la stessa ha sottolineato che «il testo in vigore, risultante dalle modifiche apportate dalla Camera ed approvate dal Senato il 22 dicembre 2003, da un lato sopprime l'espressa equiparazione tra beneficiario e interdetto (e inabilitato)», come avveniva invece nel testo dell'art. 411 approvato dalla II Commissione permanente del Senato il 21 dicembre 2001, e, dall'altro, «rovescia esattamente il criterio di applicazione al beneficiario degli effetti, limitazioni o decadenze stabilite per l'interdizione o l'inabilitato; non piu' effetto legale automatico dell'amministrazione di sostegno, derogabile ad opera del giudice, ma effetto rimesso dalla legge alla necessaria mediazione del provvedimento giudiziale». In effetti, non bisogna cadere nell'equivoco di ritenere che il potere di rappresentanza conferito dal giudice tutelare all'amministratore di sostegno in forza dell'art. 405, n. 3, c.c., comporti di per se' una limitazione, ablazione o sospensione della capacita' di agire del beneficiario in relazione agli atti e negozi giuridici cui si riferisce quel conferito potere. Il tenore letterale di questo articolo, che disciplina il contenuto del decreto di nomina dell'amministratore di sostegno e l'oggetto del relativo incarico, attribuendo al g.t. il corrispondente potere di nomina, non autorizza infatti una conclusione del genere. Al contrario, si deve convenire che il potere di rappresentanza, che l'art. 405 c.c. non qualifica in alcun modo, si atteggia quale potere rappresentativo meramente suppletivo, non sostitutivo ne' esclusivo, taluno parla di potere «concorrente», e non preclude al beneficiario il valido compimento da se' solo di quegli stessi atti e negozi, allo stesso modo in cui una procura volontaria non implica alcuna rinuncia alla autonomia o abdicazione della capacita' legale di agire del delegante rispetto al compimento degli atti che sono oggetto della delega conferita al procuratore. E' vero, peraltro, che il giudice tutelare puo' interdire al beneficiario il valido compimento da se' solo degli atti e negozi giuridici oggetto dell'incarico di rappresentanza conferito con il decreto di nomina ex art. 405 c.c., ma cio' richiede l'esercizio dell'ulteriore potere, siccome stabilito dal successivo art. 411, quarto comma, c.c., per cui tale organo giudiziario «puo' disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze previste da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, si estendano al beneficiano di sostegno». E' infatti solo l'esercizio eventuale («puo») di tale potere, discrezionale ma non arbitrario, visto l'obbligo di una specifica motivazione sul punto (art. 411, quarto comma, secondo periodo, c.c.), a imprimere alla rappresentanza conferita all'amministratore di sostegno il carattere dell'esclusivita', avvicinando gli effetti ditale misura di protezione sulla capacita' legale di agire del beneficiano a quelli dell'interdizione 1). Orbene; e' proprio in relazione a tale specifico potere interdittivo, sui presupposti che ne giustificano l'esercizio in funzione di protezione della persona in difficolta' e sulla relativa estensione, ovverosia su quali e quanti atti e negozi giuridici del beneficiano lo stesso possa legittimamente incidere, che si devono distinguere gli ambiti di operativita' dell'interdizione e dell'amministrazione di sostegno. Ed e' proprio sull'ambito di tale estensione, tenuto conto della logica profonda dell'intervento legislativo - «specifico e mirato di limitazione della capacita', diametralmente opposto ad ogni tentazione totalizzante ed ominicomprensiva» -, che si puo' ragionevolmente affermare, con la richiamata dottrina, che «se si intende pervenire alla piu' ampia incapacitazione del soggetto in vista della sua protezione prevalentemente patrimoniale, l'interdizione costituisce ancor oggi lo strumento tipico». B) Per completezza e' opportuno richiamare anche l'opposto orientamento interpretativo, compiutamente esposto nella sentenza n. 2716 del 21 dicembre 2001 del Tribunale ordinario di Venezia -- sede centrale, secondo il quale la legge n. 6/04 ha sostanzialmente reso non piu' necessario il ricorso all'interdizione e addirittura sempre inutile quello all'inabilitazione (anche nell'ipotesi del prodigo), e attribuisce un ambito di operativita' omnicomprensivo all'amministrazione di sostegno. Secondo tale indirizzo, la nuova disciplina, finalizzata alla protezione delle persone in tutto o in parte prive di autonomia, e cosi' attraverso la regolamentazione sistematica e coordinata delle tre misure di protezione dell'interdizione, dell'inabilitazione e dell'amministratore, sancisce che la «capacita' di agire» della persona maggiorenne» debba essere inteso «quale diritto inviolabile della persona umana (cfr. art. 409 Corte costituzionale; art. 2 e 3 della Costituzione), anche se affetta da menomazioni fisiche o psichiche». Sulla base di questa premessa, e di una lettura sistematica delle nuove disposizioni, il collegio ritiene pertanto che tale capacita' e' ora «limitabile, unicamente quando sia indispensabile nell'interesse stesso del non autonomo, sempre nella minore misura possibile (principio di conservazione di cui all'art. 409, primo comma c.c.) e per il minore tempo possibile (espansivita' della capacita' di agire e residualita' dell'incapacita' di agire), con uno strumento il piu' possibile modulabile, modificabile, elastico, revocabile». Secondo questo secondo orientamento, in realta', anche la nuova misura di protezione dell'amministrazione di sostegno puo' avere un effetto incapacitante, ma la limitazione o compressione di quel diritto inviolabile che e' la capacita' di agire, e cosi' attraverso la nomina di un amministratore di pubblica nomina e il conferimento dei relativi poteri, giammai potrebbe riguardare le persone in difficolta' per motivi meramente fisici, all'opposto solo quelle prive di autonomia se e in quanto affette da una infermita' mentale; e anche in tale caso si tratterebbe comunque di un «effetto normativo» indiretto e solo eventuale (ivi). Sotto il primo profilo, infatti, sarebbe contrario allo spirito della legge di riforma ritenere «che tutto l'istituto dell'A.d.S. e' modellato quale strumento incapacitante di ogni beneficiario (e non solo dell'infermo)». Con riguardo al secondo, in particolare, «l'effetto eventuale indirettamente incapacitante previsto dall'art. 409 c.c. che esplicitamente stabilisce l'opposto principio di conservazione della capacita' di agire («il beneficiario conserva la capacita' di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'A.d.S.»), e', appunto, solo un possibile effetto indiretto nient'affatto necessario del decreto del g.t.: effetto previsto direttamente dalla legge (senza che il g.t. debba esplicitamente stabilirlo) ma limitato unicamente agli atti o categorie di atti per cui il g.t. abbia previsto che l'A.d.S. ex art. 405, quinto comma nn. 3 e 4 c.c. debba, tra gli altri compiti, rappresentare in via esclusiva (e non solo alternativa e/o eventuale e/o senza specifiche ed espresse previsioni particolari) il beneficiario; o assisterlo necessariamente (e non eventualmente) nel loro compimento». Tale indiretto e solo eventuale effetto, inoltre, puo' anche essere generalizzato, se cio' e' necessario per proteggere la persona priva di autonomia, ossia compatibilmente con le esigenze oggettive di protezione dello stesso (ivi). Difatti la personalizzazione del provvedimento di nomina dell'amministratore di sostegno, «non impedisce affatto la previsione piu' o meno temporanea di sostituzioni generali o per categorie di atti dell'A.d.S.», ed e' «inutile ogni discussione sulla ammissibilita' di provvedimenti di sostituzione anche esclusiva del beneficiario per singoli atti o per una generalita' di atti giuridico-economici, essendo evidente che il provvedimento personalizzato potra' estendersi fino ai limiti massimi per cui risulti utile nell'interesse del beneficiario in relazione a tutti, ad alcuni, a categorie di atti giuridici (art. 405, quinto comma, n. 3)». In altri termini, secondo questo indirizzo interpretativo, all'amministratore di sostegno, ove necessario e per il tempo necessario, nei termini sopra precisati, possono essere affidati gli stessi generalizzati poteri di rappresentanza esclusiva che competono al tutore. Difatti, «Se in quest'ottica il beneficiario deve essere necessariamente sostituito nel compimento di alcuni o perfino di tutti gli atti giuridicamente rilevanti, anche questo puo' essere legittimato a fare l'A.d.S.». Nondimeno, anche in tal caso, anche quando cioe' si produce questo effetto giuridico (indiretto, non necessario, piu' o meno generalizzato), il procedimento di nomina dell'amministrazione di sostegno mantiene pur sempre la sua natura meramente amministrativa e l'organo ad esso deputato non esercita, ne' e' legittimato ad esercitare alcun accertamento, valutazione o giudizio sulla capacita' di agire del beneficiario (ivi). Difatti, il giudice tutelare «non ha compiti giurisdizionali e/o di accertamento sullo stato di capacita/incapacita' del beneficiario», al punto «che non appare ne' giuridicamente ne' logicamente corretto che il g.t. conferisca, in sede di procedimento ex art. 407 cc, un incarico peritale volto ad accertare la sussistenza di «condizioni di abituale infermita' di mente che... rende incapaci di provvedere ai propri interessi». Ecco perche', conclude il riferito indirizzo, il procedimento di nomina dell'amministrazione di sostegno non richiede in nessun caso il ricorso al patrocinio difensivo obbligatorio e ogni riferimento all'art. 82, secondo comma, c.p.c. e' pertanto fuori luogo (ivi). C) Chi scrive espone di seguito le ragioni del suo articolato dissenso rispetto al surriferito indirizzo interpretativo del Tribunale di Venezia -- sede centrale (indirizzo peraltro disatteso anche dal g.t. della sezione distaccata di Dolo: cfr. ordinanze 20 ottobre 2004 e 25 maggio 2005). In primo luogo, non si comprende su quale dato normativo o presupposto logico si fonderebbe questa riduzione della funzione del g.t. a organo amministrativo che non accerta, non valuta e non giudica, ma si limita a dare quanto gli viene chiesto. E cosi' non solo e non tanto perche', nell'ambito del procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno, da chiunque sia attivato o avviato, il giudice tutelare ha invece il dovere-potere di accertare la sussistenza in punto di fatto del presupposto che giustifica la misura di protezione, ossia la mancanza di autonomia e la relativa causa, se del caso una infermita' o menomazione psico-fisica che, incidendo sulla capacita' di intendere e volere del soggetto non autonomo, impedisce a quest'ultimo di curare i propri interessi, ma anche e soprattutto perche' e' tenuto valutare, sulla base di quella accertata eziologia: 1) se e in che misura conferire all'amministratore di pubblica nomina poteri di rappresentanza esclusiva (non meramente suppletiva) e di assistenza necessaria; 2) se il difetto di autonomia della persona in difficolta' sia tale, in ragione del quadro clinico che lo ha determinato, da richiedere poteri di rappresentanza esclusiva o di assistenza necessaria cosi' estesi e generalizzati, che non possono essere conferiti a un amministratore di sostegno, e si renda pertanto necessario informare della situazione il p.m., perche' promuova un giudizio di interdizione o di inabilitazione. Come ha ribadito in proposito la Corte costituzionale, «il giudice tutelare verifica (in piena autonomia) la sussistenza dei presupposti dell'amministrazione di sostegno», e cosi' anche quando il procedimento gli sia stato trasmesso dal tribunale, previo rigetto del ricorso per interdizione/inabilitazione e nomina di un amministratore di sostegno provvisorio, ai sensi dell'art. 418, comma 3, c.c. (sent. Corte costituzionale n. 440 del 9 dicembre 2005). Ne viene che il Tribunale, che in tal caso ha semplicemente avviato l'amministrazione di sostegno sulla base della sua iniziale e provvisoria valutazione di idoneita' della misura di protezione, non e' abilitato a «imporre» al g.t., mediante tale avvio, l'esito del relativo giudizio; tant'e' che il giudice tutelare, sulla base della sua autonoma e finale valutazione di idoneita', puo' dichiarare cessata la misura e informare di cio' il p.m. perche' promuova nuovamente, se l'organo titolare dell'azione lo ritiene, il procedimento di interdizione o di inabilitazione. Difatti, ben «puo' accadere che l'uno decida di non attivare l'amministrazione di sostegno e l'altro di non dichiarare l'interdizione o l'inabilitazione»; e tale eventuale conflitto o contrasto valutativo va ricomposto, attraverso il meccanismo processuale dell'impugnazione, la cui attivazione chiama in gioco innanzi tutto la responsabilita' dello stesso p.m., nella sua sede naturale. Ossia, innanzi alla Corte di appello. Non si comprende, in secondo luogo, perche' il g.t., nel corso dell'attivita' di accertamento-valutazione della infermita' o menomazione psichica che da' luogo al difetto di autonomia, aftivita' come si e' visto doverosa ed autonoma, non possa avvalersi, secondo il suo prudente apprezzarnento, dell'ausilio della scienza medica, rinunciando a priori, secondo il discutibile principio Iudex peritus sine peritorum 2), agli ampi poteri istruttori conferitigli dall'art. 407 c.c., in forza del quale «Dispone, anche d'ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione». Al riguardo, si puo' anzi ribattere che tali accertamenti medico-legali sono tanto piu' opportuni, in quanto si tratti di accertare il grado di autonomia psichica della persona in difficolta' nella cura dei propri interessi, e in modo mirato se la stessa sia in grado in ragione della sua residua capacita' naturale di: 1) compiere da se' sola, ai sensi dell'art. 409 c.c., gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana; 2) elaborare dentro di se' e prendere consapevolezza delle proprie aspirazioni di vita individuale e sociale; 3) comunicare tali aspirazioni sia al giudice tutelare nel corso del colloquio previsto dall'art. 404 c.c., sia successivamente all'amministratore di sostegno ai sensi dell'art. 410, secondo comma, c.c. 4) percepire e comprendere il significato delle informazioni, relative agli atti da compiere nel suo interesse, che l'amministratore di sostegno e' tenuto a comunicarle tempestivamente prima della loro attuazione; 5) esprimere eventuali dissensi, e dissensi non meramente acritici, al riguardo, secondo quanto garantitole dall'art. 410, secondo comma, c.p.c. In particolare, posto che l'art. 412 c.c. considera invalidi, sanzionandone l'annullabilita', gli atti compiuti dall'amministratore di sostegno in violazione delle disposizioni di legge, e che tra le disposizioni di legge da osservare: vi e' anche quella che impone all'amministratore di sostegno, prima di compiere gli atti a cui e' abilitato dal decreto di nomina, di consultare il beneficiario, raccoglierne l'eventuale dissenso e comunicarlo al g.t., e' del tutto evidente la necessita' di accertare preventivamente se tale consultazione sia davvero possibile e se l'eventuale dissenso del beneficiario sia viziato e in che misura (art. 410 c.c.). Ed ancora, l'accertamento della incapacita' di intendere e volere, doveroso per il g.t. se e in quanto e' la segnalata causa dell'impossibilita' della persona in difficolta' di curare i propri interessi, precostituisce, a favore di questa, la prova del principale presupposto che condiziona, in punto di fatto, il successo di ogni futura causa di annullamento di atti giuridici eventualmente pregiudizievoli che la stessa successivamente porra' in essere (art. 428 c.c.). Anche sotto questo profilo e' pertanto opportuno. In ogni caso, e' lo stesso indirizzo interpretativo sopra richiamato a sostenere che il provvedimento del g.t. o la volonta' dell'A.d.S. non possono mai sostituirsi, nella cura del beneficiario dissenziente, alla volonta' di quest'ultimo, a meno che questa volonta' non sia viziata dalla patologia in atto o da altra patologia psichica, ossia da una «impossibilita' o inadeguatezza di comprensione e volonta»; e cosi' in quanto, ai sensi dell'art. 32 Cost., «nessuno puo' esser obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge». Ed e' questo stesso indirizzo, a precisare, di seguito, che ove invece la volonta' del beneficiano non sia stata espressa e/o non sia esprimibile e anche in quella in cui la sua volonta', «pur apparentemente contraria alla effettuazione dell'intervento o terapia, sia essa stessa viziata da patologia incidente sulla possibilita' di comprensione e/o volizione (ipotesi «qualificata» di «contrasto» e «dissenso» espressamente prevista dall'art. 410, secondo comma, c.c.)», allora, in questi casi «l'A.d.S. potra' ricorrere al g.t. perche' «adotti», con decreto motivato, gli opportuni provvedimenti (art. 410, secondo comma c.c.); o essere lui stesso autorizzato a rappresentare la volonta' del beneficiano e/o a disporre in luogo del beneficiario e nel suo esclusivo interesse». Ne viene, che e' questo stesso indirizzo ad ammettere, al tal fine, al fine cioe' di accertare se la volonta' del beneficiario sia viziata o meno, quello che in generale ha negato, che sia non solo corretta, ma anzi «opportuna per tale valutazione la nomina di C.T.U.». Et de hoc satis. In terzo luogo, non si ritiene condivisibile l'opinione secondo la quale all'amministratore di sostegno possono essere attribuiti poteri generalizzati di rappresentanza e/o assistenza, tanto piu' se si tratta di poteri esclusivi e necessari, ne' l'ulteriore opinione, sopra richiamata, secondo la quale il carattere meramente eventuale dell'effetto incapacitante di tali poteri esclusivi e necessari, ancorche' generalizzati ed estesi, preserva la natura non contenziosa, meramente amministrativa, di tale misura di protezione, escludendo pertanto, e in ogni caso, la necessita' della difesa tecnica. Sotto quest'ultimo profilo, si puo' infatti subito dire che la natura dell'effetto giuridico e dell'oggetto sul quale lo stesso incide non dipendono dalla sua eventualita', ne' dalla sua asserita automaticita', ne' infine dal suo asserito carattere meramente «sospensivo dell'operativita' del principio della capacita' di agire del beneficiario» (ivi); e che bisogna piuttosto guardare a quella natura (ablatoria o limitativa) e a quell'oggetto (la capacita' legale di agire e la sua estensione) per stabilire, in sede interpretativa, se il procedimento e la relativa misura hanno natura giurisdizionale o meno. Orbene; una analisi non formalistica di questa materia (gli atti giuridici compiuti dal beneficiario in violazione di quanto stabilito nel decreto di nomina dell'A.d.S. sono invalidi, ossia annullabili, proprio come gli atti giuridici compiuti dall'interdetto dopo la sentenza costitutiva di interdizione), rende consapevole l'interprete che un provvedimento soggettivamente giurisdizionale che non interviene direttamente sulla capacita' legale di agire di un soggetto, capacita' che formalmente rimane integra, ma comunque incide negativamente, nei casi e nella misura in cui incide, anche solo indirettamente e per riflesso, su tale «diritto inviolabile», imprime giocoforza al procedimento nel corso del quale lo stesso viene somministrato, nei medesimi casi e nella stessa misura, natura oggettivamente giurisdizionale, dovendosi pertanto riconoscere al soggetto che lo subisce il diritto di difendersi compiutamente. E' ben vero, infatti, che la capacita' legale di agire non equivale a capacita' di agire con effetti giuridici, in quanto anche chi e' privo o privato, in tutto o in parte, ditale capacita' puo' operare con efficacia nel mondo giuridico e dei suoi traffici, ponendo in essere atti e negozi giuridici. Ma e' altrettanto vero che, senza tale ulteriore qualita' del soggetto, gli atti e negozi giuridici cui da' luogo sono invalidi, dall'efficacia claudicante, in una parola annullabili, ed e' pertanto a tale effetto finale invalidante che bisogna guardare, comunque sia procurato, anche nella materia che ci occupa, e cosi' a prescindere dalla sua estensione a pochi, a molti o a tutti gli atti giuridici futuri del «beneficiario». Cio' che e' in gioco in definitiva non e' infatti la possibilita' del soggetto di compiere atti e negozi giuridici, ossia la sua qualita' di operatore nel mondo del diritto, ma la sua perdurante possibilita' di compiere atti e negozi giuridici non annullabili. Ma procediamo con ordine. D) La Corte costituzionale, nella sua prima pronuncia in questa materia, sembra ritenere non corretta, ossia non plausibile sotto il profilo ermeneutico, l'interpretazione giurisprudenziale secondo la quale l'autorita' giudiziaria puo' conferire all'amministratore di sostegno il potere di assistere la persona del beneficiano in tutti gli atti di straordinaria amministrazione, si' da integrarne in via necessaria, a pena di invalidita', la volonta' negoziale nella generalita' ditali atti; colla conseguenza che un potere di assistenza generalizzato, ove le condizioni del soggetto in difficolta' siano tali da suggerire la necessita' di un misura di protezione cosi' invasiva, possa essere somministrato soltanto inabilitando l'interessato (sent. n. 440 del 9 dicembre 2005). Il giudice delle leggi sembra inoltre ritenere che ove le condizioni del beneficiario impongono di conferire a un rappresentante legale di pubblica nomina il potere di sostituirlo, a pena di invalidita', in tutti gli atti di straordinaria amministrazione, in tale caso il rappresentante non puo' che assumere la veste del tutore (ivi). La Corte costituzionale ha infatti enunciato il seguente principio: «In nessun caso i poteri dell'amministratore possono coincidere "integralmente" con quelli del tutore e del curatore». Ne viene che l'amministratore di sostegno puo' essere nominato solo quando l'attivita' di assistenza e/o di rappresentanza debba essere limitata, e cosi' nell'interesse del beneficiario, a singoli atti o a ben specificate categorie di atti 3). Tale conclusione ermeneutica e' del resto in linea col principio sancito esplicitamente dalla riforma, principio secondo il quale beneficiario della misura dell'amministrazione di sostegno conserva la piena capacita' per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di pubblica nomina (art. 404 c.c.). Se cosi' e', e la sentenza della corte costituzionale sembra confermarlo, esigendo una puntuale correlazione dei poteri conferiti in sede di nomina dell'amministratore di sostegno alle caratteristiche del caso concreto, il conferimento di un potere di assistenza necessaria o di rappresentanza esclusiva cosi' generalizzato, tale per cui il beneficiario non possa compiere da se' solo validamente alcun atto di straordinaria amministrazione (o addirittura di ordinaria amministrazione), eluderebbe di fatto quel principio, svuotandolo di concreto significato in sede operativa, e con esso la stessa ratio della legge di riforma, col far coincidere nella sostanza la figura dell'amministratore di sostegno con quella di un curatore o addirittura di un tutore. Al contrario tali figure, coi relativi generalizzati poteri di rappresentanza e assistenza, e quella dell'amministratore di sostegno, non sono affatto fungibili. Solo un tutore puo' rappresentare la persona priva di autonomia in tutti gli atti di straordinaria e ordinaria amministrazione 4); e solo un curatore puo' assistere la persona priva di autonomia in tutti gli atti di straordinaria amministrazione 5). Tale assunto trova inoltre puntuale conferma nella disposizione di cui al quarto comma dell'art. 411 c.c., secondo la quale «determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato» possono essere estesi al beneficiario dell'amministrazione di sostegno. Infatti, l'aggettivo «determinati» non significa «tutti», e la sua utilizzazione sta giustappunto a indicare che, nell'intenzione del legislatore, solo alcuni, specifici effetti, limitazioni e decadenze, possono essere estesi, secondo quella logica minimalista e personalizzante come sopra valorizzata dalla Corte costituzionale, anche al beneficiario della nuova misura di protezione. Ne viene, per un verso, come si e' detto, che all'amministratore di sostegno non possono essere conferiti poteri generali di rappresentanza (esclusiva) e assistenza (necessaria), per altro verso, che una persona in difficolta' rispetto alla cura dei propri interessi che, per effetto di un misura di protezione cosi' congegnata, venisse a trovarsi nell'impossibilita' giuridica di compiere da se' sola validamente pressoche' ogni atto di ordinaria o anche solo di straordinaria amministrazione, sarebbe posta di fatto in una condizione di generalizzata incapacita' di agire che non trova alcuna giustificazione nella ratio e nella lettera dell'istituto in esame. Il che vuol dire che l'incapacita' di agire, quale effetto di una misura ablativa disposta dall'autorita' giudiziaria, deve essere esplicitamente dichiarata e direttamente statuita nella sua naturale sede giurisdizionale, che e' quella dell'interdizione e dell'inabilitazione, in concorso dei relativi presupposti, e con le relative garanzie e cautele, e non puo' essere l'effetto riflesso, non dichiarato esplicitamente, ma concretamente perseguito e determinato, del conferimento, a un pubblico amministratore di sostegno, di un incarico di rappresentanza esclusiva o assistenza necessaria arbitrariamente generalizzato. Difatti, i poteri generalizzati di rappresentanza esclusiva e assistenza necessaria che caratterizzano le figure del tutore e del curatore sono la necessaria conseguenza, e in esso trovano giustificazione, di quell'effetto ablatorio che e' tipico dell'interdizione e dell'inabilitazione, ossia di quelle «ben piu' invasive misure» che «attribuiscono uno status di incapacita', estesa per l'inabilitato agli atti di straordinaria amministrazione e per l'interdetto anche a quelli di amministrazione ordinaria». In quei casi, in altri termini, venendosi a trovare in una condizione di dichiarata incapacita' di agire, e cosi' in relazione a tutti gli atti giuridici (di ordinaria e/o straordinaria amministrazione) che sono necessari per la cura dei suoi interessi economici ed esistenziali, il soggetto e' stato privato del potere giuridico di agire validamente in prima persona e necessita pertanto di un essere affiancato da un altro soggetto, di pubblica nomina, che sia in grado di riempire con il proprio agere quel vuoto generalizzato, di sopperire con l'esercizio di poteri di rappresentanza o assistenza altrettanto generali a quel sopravvenuto quanto generalizzato difetto di potere giuridico, in capo alla persona interdetta o inabilitata, che si riassume nella formula dell'incapacita' di agire. Gli e' che l'estensione dei poteri di rappresentanza esclusiva e assistenza necessaria attribuiti al rappresentante di pubblica nomina e' in relazione diretta e necessaria, logica ancor prima che giuridica, con l'estensione della capacita' legale di agire della persona alla quale il primo viene affiancato dall'ordinamento, tanto piu' questa viene compressa tanto piu' quella, e cosi' nell'interesse stesso del beneficiario della misura di protezione, deve essere ampliata (salvo i casi di atti personalissimi che sono preclusi al soggetto senza che nessun altro possa sostituirlo). Sicche', a un potere generalizzato di rappresentanza esclusiva deve corrispondere un difetto generalizzato di capacita' legale di agire nel soggetto rappresentato. Ma nel nostro ordinamento, come si e' visto, e' solo con l'interdizione che un soggetto maggiorenne puo' essere privato del tutto del potere giuridico di agire, in concorso delle relative garanzie difensive; ed e' solo con l'inabilitazione che tale potere puo' essere limitato, con previsione generale, ai soli atti di ordinaria amministrazione. La capacita' di agire non e' infatti una semplice qualita' o qualificazione giuridica della persona, persona che nell'ambito della amministrazione di sostegno non e' neppure formalmente dichiarata incapace come nell'interdizione, ma vera e propria condizione o situazione giuridica tutelabile in giudizio alla stregua di un diritto soggettivo. Tale potere costituisce infatti la pre-condizione soggettiva di validita' degli atti negoziali e giuridici di esercizio dei diritti, in particolare di quelli patrimoniali, che non potrebbero avere pertanto piena tutela, secondo quanto garantito dall'art. 24 della Cost., se alla loro astratta titolarita' non corrispondesse la garanzia giuridica di una loro effettiva piena esercitabilita'. Il diritto strumentale di azione e difesa in giudizio riguarda infatti non solo la astratta titolarita' dei diritti primari, ma si estende anche al loro concreta disponibilita' ed esercitabilita' 6), e cosi' in relazione ai beni della vita al cui godimento sono in definitiva preordinati. Ecco perche', anche nella procedura per la nomina di un amministratore di sostegno si pongono, in relazione al suo inquadramento dogmatico (volontaria giurisdizione o procedimento contenzioso speciale), gli stessi problemi di attivazione della difesa tecnica che sono stati sollevati in relazione al procedimento per interdizione (e inabilitazione). E) In verita', viene sostenuta in dottrina anche la tesi che l'amministrazione di sostegno non incide affatto, limitandola, sulla capacita' legale di agire del soggetto in difficolta', e cosi' da un lato valorizzando la circostanza che il giudice (tutelare) che somministra tale misura e' un organo di volontaria giurisdizione, non gia' giurisdizionale come il giudice dell'interdizione e dell'inabilitazione, dall'altro che oggetto specifico della misura de qua e' semplicemente il conferimento di un incarico, ossia la nomina di un amministratore, senza alcun intervento ablativo o anche solo limitativo sullo status o condizione giuridica del beneficiario (in tal senso, a es., Tribunale Parma, decr. 1707 e 1708, del 2 aprile 2004, in Guida al dir. 2004, n. 20). Secondo questa prospettiva, la nomina dell'amministratore e il conferimento dei relativi poteri puo' solo ampliare la possibilita' del soggetto debole di muoversi nel mondo giuridico, giacche', rimasta formalmente integra la sua capacita' legale, ed essendo invece difficile o impossibile il suo concreto esercizio per cause contingenti, viene affiancato da un altro soggetto di pubblica nomina che, sotto la supervisione del g.t., puo' agire in suo nome e per suo conto, giustappunto al fine di sopperire a quel difetto o difficolta' di esercizio diretto. Tale descrizione dell'istituto in esame, e dei relativi effetti (asseritamente nulli) sul potere giuridico di agire del beneficiario, sembra cogliere nel segno con riferimento a tutte quelle ipotesi nelle quali l'impossibilita' della persona in difficolta' di curare i propri interessi sia indotta da infermita' e menomazioni che non incidono minimamente sulla sua capacita' di intendere e volere (art. 404 c.c.). Nei casi nei quali la difficolta' di esercitare il potere giuridico di agire, e la conseguente impossibilita' di curare i propri interessi, mai potrebbe dare luogo a interdizione o inabilitazione, come in caso di menomazioni o infermita' meramente fisiche, integra essendo invece la capacita' di intendere e volere, non avrebbe infatti alcuna giustificazione una limitazione giuridica della capacita' legale del soggetto. Di piu'. Una limitazione della capacita' legale di agire quale conseguenza di una menomazione o infermita' fisica (o di una infermita' psichica non incidente pero' sulla capacita' naturale di intendere e volere) violerebbe sicuramente il principio costituzionale di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge e il correlato divieto di discriminazioni legate alle condizioni personali del singolo cittadino (art. 3 Cost.). Non vi e' dubbio pertanto che in tali casi la applicazione della misura di protezione in parola non potrebbe mai essere concessa, conferendo poteri rappresentativi, anche solo «concorrenti», a un amministratore di pubblica nomina, se non dietro consenso del diretto interessato. In questi casi, pertanto, la natura meramente amministrativa della misura di protezione che viene somministrata dall'autorita' giudiziaria, non gia' semplicemente nell'interesse, ma con il consenso dell'interessato, e senza alcuna limitazione della sua capacita' legale, esclude in radice la necessita' della difesa tecnica, altrimenti richiesta dall'art. 82, terzo comma, c.p.c. E cosi' non tanto perche' tale disposizione sembra riferirsi ai «giudizi» e in particolare ai giudizi davanti al Tribunale e alla Corte di appello, con apparente esclusione dei procedimenti di volontaria giurisdizione in genere e in particolare dell'attivita' amministrativa soggettivamente giurisdizionale che compete al giudice tutelare, ma in quanto oggetto della delibazione dell'organo giudiziario non e' la maggiore o minore estensione del potere legale del soggetto perfettamente in grado di intendere e volere, bensi' la sua richiesta di essere assistito, in questo senso affiancato, non sostituito, da un rappresentante di pubblica nomina, e cosi' nella cura dei propri interessi. Al contrario, tutte le volte che oggetto sostanziale del procedimento sono situazioni soggettive consistenti in diritti o in status, la tutela delle stesse - ancorche' possa essere realizzata attraverso una semplificazione del procedimento - non puo' prescindere dall'osservanza delle regole in tema di patrocinio delle parti nel giudizio (cfr. Cass. Sez. I civ. del 21 novembre 1989). Sicche', ogni provvedimento e relativo procedimento soggettivamente giurisdizionale abbia a incidere, direttamente o indirettamente, sulla capacita' legale della persona, lo stesso presuppone il riconoscimento delle garanzie difensive legate alla applicazione delle norme in tema di patrocinio difensivo. La questione e' stata delibata dalla Corte di cassazione con riferimento al procedimento per inabilitazione, or quando ha stabilito che tale procedimento «che si conclude con una pronuncia, qualificata espressamente come "sentenza", suscettibile di giudicato - ha per oggetto un accertamento della capacita' di agire che incide sullo status della persona, la cui tutela non puo' prescindere dal rispetto delle norme in tema di patrocinio della parte del giudizio e segnatameme di quella che impone il ministero di un procuratore legalmente esercente». Infatti, «Le peculiarita' di detto procedimento - determinate dalla natura e non disponibilita' degli interessi coinvolti, dalla posizione dei soggetti legittimati a presentare il ricorso e ad impugnare la sentenza, dagli ampi poteri inquisitori del giudice, dalla sua stessa revocabilita', non escludono che esso si configuri come un procedimento contenzioso speciale e resti disciplinato, con le specficazioni ed integrazioni espressamente previste, dalle forme del giudizio contenzioso». «Una chiara indicazione circa la natura del processo in esame» - ha infine argomentato la Corte - «e' peraltro desumibile dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 87 del 1968, che nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 713 c.p.c., nella parte in cui consentiva al presidente del tribunale di rigettare, senza istituire il contraddittorio con la parte istante, la domanda di interdizione o di inabilitazione ove il pubblico ministero ne facesse richiesta, ha inteso garantire che gia' nella fase preliminare ogni soggetto potenzialmente titolare di posizioni contrastanti potesse prospettare le proprie ragioni» (Cass. Sez. I civile, N. 5967 del 1994). In sintesi, e' l'oggetto sostanziale del procedimento, non gia' la sua mera forma, che deve orientare l'interprete nella ricostruzione dell'istituto. Ecco perche' l'indirizzo giurisprudenziale di merito che sostiene la necessita' dell'assistenza di un difensore anche nella procedura di nomina dell'amministratore di sostegno (per tutte, Corte di appello di Milano, n. 346/04), muove innanzi tutto dalla ritenuta omogeneita' di oggetto tra le tre misure di protezione, delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, previste dal nostro ordinamento, in quanto incidenti, sia pure in grado e quantita' diversa, sulla capacita' legale di agire del soggetto. E cosi' in ultima analisi, attesa la invalidita' che, sotto la specie dell'annullabilita', fulmina tutti gli atti che il beneficiato compie violando le disposizioni contenute nel decreto di nomina dell'amministratore di sostegno. La minore invasivita' dell'amministrazione di sostegno sulla sfera di liberta' del soggetto, secondo quanto riconosciuto dalla stessa Corte costituzionale, limita ma non sterilizza infatti la sua natura invasiva, e giustifica quel ragionamento analogico che estende anche al nuovo istituto di protezione le garanzie difensive che sono ormai riconosciute essere corredo necessario del procedimento di interdizione e di inabilitazione. La esegesi operata dalla Cassazione nella sentenza sopra richiamata e i principi che essa ne ha tratto, sono esemplati, dunque, in modo specifico, sugli istituti dell'interdizione e dell'inabilatizione, ma essi hanno un piu' generale valore. La Cassazione ha infatti rilevato che la forma del procedimento, ad es. camerale, non incide, di per se', sulla esigenza del rispetto delle garanzie difensive, in quanto si deve piuttosto guardare all'oggetto sostanziale del procedimento stesso. In particolare, secondo il Supremo Collegio, «l'esigenza della difesa tecnica - che e' disposta innanzi tutto nell'interesse della parte, a tutela dell'effettivita' del suo diritto di azione e di difesa - deve ravvisarsi tutte le volte in cui il processo, ancorche' modellato sul rito della camera di consiglio (cui il legislatore ricorre con frequenza sempre maggiore, per apprezzabili ragioni di speditezza), involga tuttavia la cognizione di vere e proprie controversie di diritti soggettivi, status, la cui risoluzione costituisce attivita' di giurisdizione contenziosa (cfr. Cass., 30 dicembre 1989, n. 5831; Cass. 24 giugno 1989, n. 3099; Cass. 5, agosto 1988, n. 4847). In tali casi, infatti, la parte ad ogni effetto «sta in giudizio», secondo la formula adoperata dall'art. 82, secondo comma, c.p.c., con conseguente applicabilita' di tale disposizione e di quelle successive le quali implicano che i soggetti, nei procedimenti davanti ai tribunali e alle corti d'appello, non possono compiere personalmente alcun atto processuale ma devono essere rappresentate da un procuratore legalmente esercente» (Cass. Sez. I civ. n. 156 del 1996). La giurisprudenza della S. Corte ha in sostanza ritenuto che il procedimento camerale, sul quale e' indubbiamente modellato anche quello di nomina dell'amministrazione di sostegno, costituisce una sorta di contenitore, in cui possono trovare spazio sia provvedimenti di volontaria giurisdizione sia provvedimenti di natura contenziosa, sia pure speciale, se e in quanto idonei a incidere su situazioni giuridiche qualificate. In particolare, dopo avere affermato l'idoneita' della procedura camerale ad essere utilizzata, con i dovuti adattamenti - in tema di contraddittorio, facolta' di prova, ecc. - alla tutela giurisdizionale contenziosa dei diritti soggettivi, la Cassazione ha messo in evidenza che in effetti la giurisdizione camerale, sorta in origine come una attivita' di amministrazione del diritto affidata a organi giurisdizionali, nonche' caratterizzata, sotto il profilo strutturale, dalla revocabilita' e dalla modificabilita' e, sotto quello funzionale, dal non incidere su diritti, e' finita col divenire sempre piu', per effetto delle scelte compiute dal legislatore, «come un contenitore neutro che puo' assicurare, da un lato la speditezza e la concentrazione del procedimento ed essere, dall'altra, rispettosa dei limiti imposti dalla incidenza sulla forma procedimentale della controversia in quanto relativa a diritti o status gode di apposite garanzie costituzionali». (Cass. Sez. Un. Civ. n. 5629 del 1996). Ne' vi puo' essere dubbio, inoltre, che la capacita' legale di agire meriti di essere tutelata in concorso delle relative garanzie difensive, ivi compreso il ricorso obbligatorio alla difesa tecnica 7). E' ben vero che la capacita' legale di agire, intesa come qualita' giuridica generale della persona, preliminare al compimento di atti e comportamenti aventi efficacia giuridica, non costituisce, secondo quanto messo in evidenza dalla dottrina piu' autorevole, una dimensione necessaria per ogni fattispecie polarizzata sulla figura del soggetto-persona, in quanto la legge non richiede per tutti i fatti giuridici umani che il soggetto sia capace di agire, ma ha rilievo solo per quei comportamenti e atti giuridici, negoziali e non, per i quali pone tale qualita' soggettiva con presupposto di validita'. Ed e' altrettanto vero che esistono forme, ovverosia atti e comportamenti, di esercizio dei diritti soggettivi che non la richiedono punto, in quanto non si atteggiano a negozi o ad atti giuridici, e in quanto tali sono improduttivi di effetti nel mondo del diritto. Nondimeno, in relazione alle fattispecie produttive di effetti e alle forme di esercizio dei diritti che per legge presuppongono nel soggetto agente, in quanto operatore giuridico, e in questa accezione particolare soggetto giuridico, la capacita' legale di agire, questa si mostra come «possibilita' o, o se si preferisce «attitudine», se non vero e proprio «potere», di porre in essere validi fatti giuridici e di provocare, secondo la relativa previsione normativa, determinati effetti giuridici non suscettibili di essere annullati. Questa «possibilita» o «attitudine» o «potere», come ha ancora evidenziato la dottrina sopra richiamata, «permette» alla soggettivita' che fa capo alla persona di trovare svolgimento nelle vita delle relazioni giuridiche, e integra, pertanto, una vera e propria «situazione giuridica soggettiva», preliminare e strumentale se si vuole, ma necessariamente influente, in quanto requisito soggettivo della fattispecie, sulla validita' degli atti giuridici del soggetto che ne risulta investito. Di contro, la sua limitazione, e a maggior ragione la sua totale ablazione, pone la persona che ne viene in tutto o in parte privata in uno «stato di menomazione», giacche' non puo' piu' manifestare e far valere compiutamente i propri interessi economici ed esistenziali, mentre la tutela e la garanzia delle sue esigenze, in relazione ai vari beni della vita, finiscono per dipendere da altri. Ecco perche' la capacita' legale d'agire e' un bene giuridico, tale perche' viene attribuito direttamente dall'ordinamento, che impinge in quella sfera di liberta' e autodeterminazione del singolo che la nostra Carta costituzionale tutela quale espressione diretta della dignita' della persona umana. Un valore costituzionale, dunque. certamente ancorato a determinati presupposti che attengono alla maturita' e efficienza psichica della persona e al corrispondente grado di responsabilita', in questo senso non assoluta, o come usa dire la teoria generale del diritto «non privilegiato», tanto piu' in quanto deve fare i conti e venire a compromesso con altri valori, beni diritti costituzionalmente riconosciuti e garantiti, a partire dalla protezione della stessa integrita' psico fisica dell'individuo e da quello della certezza sicurezza e ordinato svolgimento delle relazioni giuridiche, ma, in ogni caso, pure a prescindere dal suo inquadramento dogmatico e dalli relativa terminologia (qualita', situazione, stato, condizione, diritto, ecc.), un bene fondamentale che lo Stato non puo' riprendersi, limitare o sopprimere, ad arbitrio. Di qui, il diritto della persona di agire e difendersi compiutamente in ogni sede di giudizio, contenziosa o camerale che sia, o anche d'altro tipo, nella quale sia comunque messa a rischio questa fondamentale espressione di liberta', e cosi' reagire in modo adeguato alle aggressioni improprie che ad essa abbiano eventualmente a muovere gli altri consociati o lo stesso ordinamento, anche quando prende la forma dello stato-giudice. F) Cio' premesso, questo g.t. rileva che la riforma dell'amministrazione di sostegno non contiene alcuna previsione che consenta di sopperire alla mancata nomina di un difensore tecnico, la cui presenza e' soltanto facoltativa, ma non obbligatoria, in quanto l'art. 716 c.p.c. - applicabile anche all'amministrazione di sostegno, ai sensi del richiamo ad esso operato dall'art. 720-bis c.p.c., introdotto dall'art. 17 della legge n. 6/2004 - abilita anche il beneficiario a stare in giudizio e compiere da solo tutti gli atti del procedimento, come gia' prevedeva per l'interdicendo e l'inabilitando. Si tratta di un difetto che e' oltretutto aggravato dalla circostanza che nel procedimento in questione, contrariamente a quanto avviene nell'interdizione e nell'inabilitazione, l'audizione del beneficiano - cosi' argomentandosi dal mancato rinvio dell'art. 720-bis anche all'art. 715 c.p.c. - non deve necessariamente svolgersi alla presenza del p.m., cioe' dell'organo istituzionalmente deputato alla cura dell'interesse pubblico a che ciascun consociato abbia la protezione di cui necessiti e non sia privato, senza apprezzabile ragione, della capacita' legale di agire di cui dispone. Ovviamente quella esigenza verrebbe meno se, ridimensionata dal punto di vista quantitalivo la portata operativa degli effetti della misura in questione, in relazione al numero e alla tipologia di atti che possono essere oggetto della rappresentanza e assistenza, in sostanza non tutti, la stessa potesse essere ridimensionata, come intende altra parte della dottrina, anche dal punto di vista qualitativo, ove si ritenesse cioe' che i poteri di rappresentanza e assistenza non comprimono la capacita' legale di agire, ma hanno una portata meramente gestionale, che nulla toglie ma da', in quanto nulla sopprime o limita ma aggiunge ed espande, in funzione di protezione piuttosto che di divieto; e un tanto con riferimento non solo alle ipotesi nelle quali l'impossibilita' del soggetto di curare i propri interessi e' indotta da infermita' e menomazioni meramente fisiche, e cosi' per le ragioni sopra evidenziate, ma anche nelle diverse ipotesi nelle quali cio' che difetta nel soggetto, per la compiuta cura e gestione dei propri interessi economici e esistenziali, e' proprio una efficiente capacita' di intendere e volere conseguente a infermita' o menomazione psichica. Non si vede tuttavia come possa essere accolto questo indirizzo interpretativo, e questo per varie ragioni. Se infatti, quale effetto anche solo riflesso dei poteri conferiti all'amministratore di rappresentanza «esclusiva» e assistenza «necessaria», che non a caso l'art. 409 c.c. qualifica ricorrendo a tali aggettivi, al beneficiario viene «interdetto» tout court il compimento di determinati atti di straordinaria amministrazione (e anche di ordinaria amministrazione) o viene «inabilitato» al compimento, da se' solo, di determinati atti di ordinaria amministrazione, e cosi' sotto pena di annullabilita' degli atti compiuti contro tali divieti, allora non si puo' parlare di natura meramente gestionale, additiva e non sottrattiva, di tale misura di protezione. Inoltre, se la legge ritiene di dover specificare che il beneficiano conserva in ogni caso la capacita' di compiere gli atti, evidentemente gestionali, necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (art. 409 c.c.). cio' conferma, in linea peraltro con la finalita' dichiarata della riforma (che e' quella di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacita' di agire le persone prive in tutto o in parte di autonomia: art. 1, legge n. 6/2004), che la nomina dell'amministratore di sostegno e' potenzialmente idonea a limitare la capacita' legale di agire del beneficiario; che in essa e' presente non solo la dimensione «protezione», ma anche la dimensione «divieto». Per non dire, infine, nei termini precisati sub A), del gia' citato art. 411 c.c., laddove consente l'estensione di effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l'interdetto o l'inabilitato, anche al beneficiario dell'amministrazione di sostegno, e cosi' in relazione agli interessi alla cui tutela quelle misure sono preordinate, non necessariamente coincidenti con l'interesse del beneficiario (ivi, ult. comma). La necessita' di assicurare l'assistenza di un difensore, inoltre, verrebbe meno se se fosse possibile attribuire in chiave operativa, alla volonta' e libera autodeterminazione del beneficiario, un potere paralizzante della procedura di nomina dell'amministratore di sostegno, se e in quanto dallo stesso esplicitamente rifiutata, e cosi' non solo nei casi in cui l'impossibilita' di curare autonomamente i propri interessi dipenda da una mera difficolta' di natura fisica, ma anche nei diversi casi, sopra evidenziati, nei quali la stessa e' indotta da infermita' o menomazioni psichiche che incidono sulla sua capacita' di intendere e volere, sebbene in misura minore di quelle che impongono le piu' invasive misure dell'interdizione e dell'inabilitazione. In effetti, da un insieme di disposizioni introdotte dalla legge di riforma (art. 407 c.c.: il giudice deve sentire personalmente la persona per tenere conto delle sue richieste; art. 410 c.c.: l'amministratore di sostegno ha l'obbligo di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e di registrare il suo eventuale dissenso, ecc.) si puo' ricavare la conclusione, e parte della giurisprudenza di merito e' di fatto attestata su questa linea, che il punto di vista del beneficiario dell'amministrazione di sostegno deve essere tenuto costantemente presente nel corso della procedura di nomina e durante tutta la sua gestione successiva, cosicche' tale meno invasiva misura di protezione si attaglierebbe solo ai casi nei quali la residua capacita' naturale del soggetto lo mette in condizione di elaborare dentro di se', in modo ponderato e consapevole, sulla base della propria personale e insindacabile scala di valori, nonche' di comunicare al mondo esterno, razionali scelte di vita. Nondimeno, nessuna chiara previsione normativa lascia intendere che, differenziandosi anche in questo dall'interdizione e l'inabilitazione, la nomina dell'amministratore di sostegno sia subordinata al consenso o al mancato rifiuto del beneficiario (in tal senso: tribunale di Genova - Ufficio del giudice tutelare, decreto 1° marzo 2005). Inoltre, secondo una tesi giurisprudenziale di merito che trova numerosi riscontri decisionali, la stessa dialettica giudice tutelare -- amministatore di sostegno-beneficiario, e in particolare il coinvolgimento effettivo di quest'ultimo nelle singole scelte gestionali, non e' condizione di validita' della procedura e dei singoli atti, negoziali e non, posti in essere per la cura dei suoi interessi, secondo la previsione del decreto di nomina. Non a caso, nei decreti di nomina dei g.t. che accolgono tale orientamento (per tutti: decr. 28 gennaio 2005 del Tribunale di Roma - Ufficio del giudice tutelare), laddove si invita l'amministratore di sostegno a informare preventivamente il beneficiario e a raccoglierne l'eventuale dissenso rispetto a ciascun atto gestionale da compiere nel suo interesse, si rinviene la clausola finale di salvezza «ove cio' sia possibile». In sintesi: la amministrazione di sostegno puo' incidere negativamente, sia pure in misura minore rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, sulla capacita' legale di agire della persona, ossia su un suo fondamentale bene giuridico, e non puo' essere dalla stessa impedita, si' da paralizzare l'intervento invasivo dello Stato-giudice, attraverso una semplice manifestazione di dissenso: di qui la necessita' che anche il destinatario ditale misura, proprio come l'interdicendo e l'inabilitando, sia messo in grado di difendere compiutamente tale situazione giuridica di liberta' attraverso la assistenza di un difensore tecnico phe lo rappresenti obbligatoriamente in giudizio. La legge istitutiva dell'aniministrazione di sostegno, tuttavia, non prevede l'obbligatorieta' di tale presenza, ne' individua il modo di sopperire alla sua assenza, ad es. attraverso la nomina di un difensore d'ufficio. Tali norme, e in particolare gli artt. 407 e 408 c.c. regolanti il procedimento di nomina e 716 c.p.c., sembrano pertanto violare gli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione. La questione, in ogni caso, appare a questo giudice non manifestamente infondata, nonche' rilevante nel caso di specie, nel quale, come si e' visto, il ricorso non e' stato presentato direttamente dal beneficiario, bensi' da uno degli altri soggetti abilitati dall'at. 406 c.c., e l'interessato stesso risulta per tabulas non assistito da difensore. A riprova di cio', e' sufficiente rilevare che, secondo un consistente indirizzo giurisprudenziale di merito che muove dalla tesi della necessita' della difesa tecnica (Tribunale di Livorno - Sez. distaccata di Piombino, decreto 28 aprile 2004; Tribunale di Padova- Sez. I, decreto 21 maggio 2004 e successive conformi; Tribunale di Milano - Sez. IX, 2 marzo 2005, giudice Marini; Corte di appello di Milano, decreto 11 gennaio 2005), l'assenza di un difensore porta quale inevitabile conseguenza la nullita', insanabile e rilevabile d'ufficio, del ricorso introduttivo e di tutti gli conseguenti, attenendo alle regolare costituzione del rapporto processuale (in tal senso, tribunale di Venezia - Sezione distaccata di Dolo, ord. del g.t. del 13 giugno 2005). Ne viene che, nel caso di specie, questo g.t. e' chiamato a decidere in via preliminare se il ricorso introduttivo e' nullo o se lo stesso abbia validamente dato avvio alla procedura di nomina dell'amministratore di sostegno. Nel primo caso, all'interessata non verrebbe pero' assicurata la protezione di cui verosimilmente necessita', mentre nel secondo non le verrebbe compiutamente garantito l'esercizio del diritto di difesa. 1) Probabilmente diverso e' invece il discorso da condurre sull'attivita' di assistenza, attivita' di cui pure l'a.d.s. puo' essere incaricato a norma dell'art. 405, n. 4, c.c. Non si puo' infatti parlare in proposito di assistenza materiale o psicologica, bensi' giuridica, ovverosia di un atto deliberativo della volonta', di volta in volta reso manifesto dall'a.d.s., che deve integrare, ai fini della sua validita', l'atto giuridico o negoziale cui si rifersice, ed e', per tale motivo, assistenza per definizione necessaria. 2) Principio, come e' noto, severamente censurato dalla Corte di cassazione in sede penale, sul presupposto che le valutazioni specialistiche che il giudice trae direttamente dalla sua scienza privata, in ipotesi molto approfondita in una certa maniera, e la conseguente rinuncia all'apporto dello specialista (nel noto caso si trattava di una perizia grafica molto complessa), e cosi' ai fini della decisione, sono direttamente e per la prima volta rese note alle parti nella motifvazione del provvedimento. Le stesse sono pertanto sottratte a una preventiva conoscenza e contestazione tecnica da parte degli interessati, con violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa (la sentenza e la n. 9047 del 1999, V sez. pen.). 3) Secondo i primi commentatori della sentenza della Corte cost. n. 440/2005, questa decisione interpretativa di rigetto, piu' che sancire il carattere residuale dell'interdizione, avrebbe conferito autorevolezza costituzionale all'alternativa interpretativa segnalata dal giudice rimettente, ossia nel senso della applicabilita' dell'A.d.S. alle sole ipotesi di infermita' psichica meno gravi di quelle che giustificano l'interdizione e la stessa inabilitazione, derivandone conseguentemente l'adottabilita', da parte del g.t., di misure limitative dell'autonomia giuridica del soggetto incapace non gia' ad ampio spettro, all'opposto davvero mirate a specifiche categorie di atti se non ad atti singoli. Secondo questo primo commento (in Guida al Diritto del 21 gennaio 2006): «La Corte nella parte motivazione accoglie in parte questa tesi, laddove afferma che "in nessun caso" i poteri dell'amministratore possono coincidere "integralmente" con quelli del tutore o del curatore, lasciando con cio' chiaramente intendere che non e' conforme alla normativa un provvedimento di nomina dell'amministratore che limiti completamente la capacita' del beneficiario, invece di essere puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto». 4) Si tenga peraltro presente che in forza della nuova formulazione dell'art. 427 c.c., l'inabilitato puo' essere autorizzato dal tribunale a compiere da se' solo determinati atti di straordinaria amministrazione. Ne viene una corrispondente limitazione dei poteri di assistenza necessaria dello stesso curatore, secondo una logica di flessibilita' e modulabilita' che mal si concilia con una prassi interpretativa che conferisca all'amministratore di sostegno un potere di assistenza necessaria generalizzato e cosi' piu' ampio di quello dello stesso curatore. 5) Si tenga ancora presente che in forza della nuova formulazione dell'art. 427 c.c., l'interdetto puo' essere autorizzato dal tribunale a compiere da se' solo determinati atti di ordinaria amministrazione. Ne viene una corrispondente limitazione dei poteri rappresentativi dello stesso tutore, secondo una logica di flessibilita' e modulabilita' che non puo' essere contraddetta da una prassi interpretativa che attribuisca all'amministratore di sostegno poteri rappresentativi piu' estesi di quelli dello stesso tutore. 6) Ossia quel «libero esercizio dei diritti» da cui l'art. 75 cpc fa dipendere la stessa capacita' processuale e che viene automaticamente meno per effetto dell'interdizione o dell'inabilitazione (Cass. civ. Sez. III n. 14025/1994). 7) Come ha messo in evidenza la Corte di appello di Milano la nomina dell'amministratore di sostegno da' luogo a «effetti che incidono sulla possibilita' di un soggetto di operare nel mondo giuridico e che coinvolgono situazioni soggettive a contenuto patrimoniale (...) che fanno parte di quel nucleo ristretto di "diritti inviolabili dell'uomo" cui fa rferimento l'art. 2 della Costituzione» mentre, secondo la Corte europea l'art. 8 C.E..D.U. «impone che il provvedimento giurisdizionale volto ad incidere sulla capacita' di un soggetto di operare nel mondo giuridico e, quindi ad influire sulliidentita' della persona, debba essere il risultato di un procedimento in cui operi il principio del contraddittorio» cosi' che la decisione sia tale da «assicurare al destinatario degli effetti del provvedimento la possibilita' di esporre le proprie ragioni e di espletare un controllo pieno sulla legalita' degli atti del procedimento attraverso l'esercizio del diritto di dfesa, che non puo' non essere attuato, vista la natura dei diritti coinvolti, attraverso lo strumento della difesa tecnica» (Corte di appello Milano, ord. 2 marzo 2005).
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87. Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 407 e 408 del c.c. e 716 c.p.c. in relazione agli artt. 2, 3 e 24 della Carta costituzionale. Sospende, pertanto, il presente giudizio, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, e ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Chioggia, addi' 3 febbraio 2006 Il giudice tutelare: Ciampaglia 06C0994