N. 477 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 2006
Ordinanza del 9 febbraio 2006 (pervenuta alla Corte costituzionale il 10 ottobre 2006) emessa dal Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia - Sezione distaccata di Chioggia, nel procedimento relativo a F.N. Capacita' giuridica e di agire - Amministrazione di sostegno - Potere d'autorizzare atti di disposizione incidenti sul patrimonio dell'interessato - Attribuzione direttamente al giudice tutelare anche quando, per le condizioni psichiche in cui versa, sia impossibile informare preventivamente il beneficiario e provvedere agli altri previsti adempimenti - Irragionevole diversita' di procedura rispetto alla vendita di beni dell'interdetto (la cui autorizzazione spetta al Tribunale, su parere non vincolante del giudice tutelare) - Esclusione della garanzia della decisione collegiale nei confronti di persona totalmente priva di capacita' naturale residua ed impossibilitata ad esprimere il proprio punto di vista. - Codice civile, artt. 410, 411, primo comma, e 412. - Costituzione, artt. 2, 3, 41 e 42.(GU n.45 del 15-11-2006 )
IL GIUDICE TUTELARE Letti gli atti del proc. n. 8023 RGNC.- 2005; Visto l'originario ricorso per interdizione ex art. 712 c.p.c. e il relativo esito decisorio ex art. 418 c.c; Letto l'elaborato medico-legale depositato dal C.t.u. dott. Marcolin, incaricato da questo giudice tutelare di accertare la attuale condizione psico-fisica della «beneficiaria» F. N., che risulta affiancata da un amministratore di sostegno nominato in via provvisoria dal Tribunale rimettente; Preso atto che il quadro clinico emergente e' di tale gravita' da escludere nella F. qualsiasi capacita' residua non solo di curare i propri interessi, economici e non, ma anche di rapportarsi con se stessa e con gli altri, in quanto affetta da una forma di insufficienza mentale di elevata gravita' (ed esattamente Cerebropatia di origine perinatale) che si e' stabilizzata in guisa irreversibile e che incide negativamente non solo sulle funzioni motorie, oltremodo limitate, ma anche su quelle psichiche superiori del giudizio 1), al punto che la stessa non e' in grado di effettuare nessuna valida operazione mentale e non puo' relazionarsi con l'esterno anche su livelli e per finalita' elementari; Preso atto, in particolare, che la F. «a causa di tale menomazione ha una perdita totale di tutte le funzioni psichiche superiori, manca la consapevolezza della propria deficitarieta' psicofisica ed, ovviamente ed ancor piu', della propria situazione patrimoniale»; Ritenuto in definitiva che tale compromissione delle facolta' motorie e intellettive preclude alla F. da un lato di compiere da se' sola qualsivoglia atto della vita quotidiana, compresi quelli piu' elementari, dall'altra di elaborare, prendere consapevolezza e comunicare all'esterno aspirazioni e bisogni esistenziali; Ritenuto pertanto che la F. non potrebbe in alcun modo esercitare i diritti e le facolta' che la legge introduttiva dell'istituto dell'amministratore di sostegno assicura, in funzione di garanzia e tutela, al beneficiario di tale nuova misura di protezione, in quanto presuppongono un soggetto in qualche modo cosciente di se' e in grado di interloquire, portatore di un proprio punto di vista, con l'ambiente esterno; Ritenuto infatti che la F. non solo e' nell'impossibilita' psico-fisica di comunicare al giudice tutelare e all'amministratore di sostegno i propri bisogni e le proprie aspirazioni, ma non puo' neppure essere informata degli atti giuridici da compiersi ed autorizzarsi nel suo interesse, ne', a maggior ragione, e' in grado di valutarli secondo la propria scala di valori e di esprimere eventuali dissensi; Ritenuto pertanto che la concreta gestione della misura di protezione dell' a-d.s. non puo' nel caso di specie compiutamente conformarsi al modello legale, in alcuni dei suoi piu' qualificanti aspetti e garantisti; Rilevato che l'amministratore provvisorio di sostegno, nella persona di T.A., madre della beneficiaria, ha chiesto a questo g.t. l'autorizzazione alla vendita della quota, parti a 2/15 di un fabbricato sito nel comune di Chioggia, di pertinenza della beneficiaria F. n. e al successivo acquisto, con il prezzo cosi' ricavato, di una quota, pari a 1/6 di altra unita' abitativa, sita in Codevigo, di proprieta' della stessa T. A. e degli altri suoi figli; Ritenuto che tale operazione di vendita e contestuale acquisto, cui seguirebbe il trasferimento della residenza della beneficiaria, attualmente fissata presso la abitazione sita in Chioggia, nell'immobile di Codevigo, e' verosimilmente nell'interesse della beneficiaria, non solo perche' la nuova sistemazione abitativa si sviluppa su un unico piano e ha, per le sue dimensioni ridotte, minori costi di gestione, ma anche perche' la amministratrice potrebbe essere coadiuvata nell'opera di assistenza anche dall'altra figlia F.F. che abita in quel comune; Ritenuto che, secondo una prima interpretazione proposta dalla dottrina, la concessione del provvedimento ex artt. 411 e 374-375 c.c. potrebbe prestarsi, in un caso simile a quello specie, a rilievi di illegittimita', in quanto autorizzerebbe un atto di compravendita verosimilmente invalido, e cosi' ai sensi dell'art. 412 c.c., primo comma, c.c., per sospetta violazione di legge, in particolare delle disposizioni ex art. 410 c.c., nella parte in cui impongono all'amministratore di sostegno di informare preventivamente il beneficiario circa gli atti da compiere, di raccoglierne l'eventuale dissenso e di comunicarlo al g.t.; Rilevato, in particolare, che nel caso di specie tali adempimenti non sono stati eseguiti dall'amministratore provvisorio di sostegno e che, viste le condizioni psichiche in cui versa la beneficiaria, come sopra evidenziate, gli stessi sono sostanzialmente impossibili; Rilevato, tuttavia, che, secondo l'orientamento interpretativo fatto proprio dal Tribunale di Venezia, il provvedimento autorizzatorio pronunciato dal g.t. e perfettamente legittimo anche in concorso tali presupposti di fatto; Ritenuto, pertanto, che sia rilevante, nel caso di specie, la questione di costituzionalita' degli artt. 410, 411, primo comma, e 412 c.c., in relazione agli artt. 2, 3, 41 e 42 della Costituzione, nella parte in cui attribuisco direttamente al g.t., ossia a un organo monocratico, il potere di autorizzare atti di disposizione incidenti sul patrimonio dell'interessato, anche quando, in conseguenza delle condizioni psichiche del beneficiario stesso, sia impossibile informarlo preventivamente e provvedere agli altri adempimenti previsti dall'art. 410 c.c.. Cio' premesso, espone di seguito, le ragioni per le quali ritiene non manifestamente infondata la suddetta questione di costituzionalita'. A) La legge di riforma delle misure di protezione delle persone in tutto o in parte prive di autonomia, n. 6 del 2004, ha non solo modificato in alcuni aspetti qualificanti, collo spezzare la rigida predeterminazione dei relativi contenuti e effetti incapacitanti (art. 427, primo comma c.c.), i tradizionali istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione, ma ha altresi' affiancato a questi ultimi il nuovo istituto dell'amministrazione di sostegno (artt. 404-413 c.c.), misura flessibile, modulabile e modificabile per definizione, il tutto al dichiarato scopo di limitare il meno possibile la capacita' legale di agire del soggetto in difficolta'. In verita', il nuovo istituto non ha del tutto abbandonato quella peculiare tecnica di protezione delle persone prive di autonomia che consiste nell'invalidare ex ante gli atti giuridici, preventivamente ritenuti pregiudizievoli, che l'interessato compia direttamente e da solo, e cosi' attraverso lo strumento della rappresentanza esclusiva e dell'assistenza necessana. Ecco perche', la nomina dell'amministratore di sostegno e' una misura bifronte: da un lato protettiva della persona in tutto o in parte priva di autonomia, cosi' in quanto la mette al riparo da condotte (omissive e/o commissive) pregiudizievoli per i suo interessi, dall'altro potenzialmente lesiva della sua sfera di liberta', se e in quanto le preclude il valido compimento da se' sola di validi atti giuridici. L'a.d.s. ha tuttavia l'ambizione di confinare nei limiti dello stretto necessario il ricorso a questa tecnica incapacitante, mirata a proteggere il soggetto in difficolta' dalla sua stessa azione e ricezione pregiudizievole, e che si ritrova, con effetti piu' estesi, anche nell'interdizione e nell'inabilitazione, dove e' pero' nata soprattutto in funzione di tutela patrimonialistica e di sicurezza dei traffici giuridico-economici. Al contrario, il centro di gravita' permanente del nuovo complesso articolato sistema di protezione, nel quale sono riconfluiti anche l'interdizione e l'inabilitazione, e' ora innanzi tutto la persona e i suoi bisogni, non solo economici. A tal fine, il nuovo istituto dell'ads consente un ampio ricorso alla tecnica della rappresentanza suppletiva, detta anche «procura di sostegno», che senza incapacitare il soggetto in difficolta', puo' proteggerlo dalla sua inazione e omessa reazione pregiudizievole (una tecnica comunque non del tutto indolore e priva di pericoli per la persona, in quanto la espone al rischio di subire gli effetti, patrimoniali e non, di atti giuridici che non ha voluto, ma sono stati decisi da altri). Peraltro, e' anche vero che il nuovo istituto abilita il g.t. a disporre che determinati effetti (come il carattere esclusivo della rappresentanza conferita all'amministratore di sostegno in relazione a determinati atti; la interruzione ex art. 299 c.p.c. dei processo civile di cui gia' fosse parte il beneficiario; la interruzione del termine per proporre le relative impugnazioni ex artt. 325 e 328 c.p.c., ecc), limitazioni (a es. della capacita' processuale) e decadenze previste da disposizioni di legge per l'interdetto e l'inabilitato, si estendano ai beneficiari dell'amministrazione di sostegno, avuto riguardo all'interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Ma solo ove sia necessario, e nella misura in cui e' necessario. In sostanza, il nuovo istituto ha rovesciato la logica precedente che faceva seguire 2) all'effetto interdittivo o inabilitativo, prodotto dalla sentenza costitutiva di interdizione o di inabilitazione pronunciata dal collegio, la misura di protezione vera e propria, e cosi' attraverso la successiva nomina da parte del g.t. di un tutore o di un curatore. Nondimeno, se l'amministrazione di sostegno e' nata come misura di protezione con la minore limitazione possibile della capacita' legale di agire, ossia di un bene giuridico espressione della liberta' della persona (come dimostra il fatto che nel nostro ordinamento l'interdizione puo' anche assumere la veste di sanzione penale accessoria: art. 19, n. 3, c.p.), si deve constatare che alcune prassi applicative rischiano di trasformarla in una tecnica di totale incapacitazione con le minori garanzie e cautele possibili. Queste prassi applicative, che si muovono sulle ali dell'entusiasmo solidaristico, sembrano infatti riproporre una nuova forma di interdizione nella quale non trovano applicazione le cautele e le garanzie gia' previste dalla legge o riconosciute dalla giurisprudenza per l'interdicendo e l'inabilitando (presenza obbligatoria in tutte le fasi del P.M., decisione collegiale, necessita' della difesa tecnica), ma neppure quelle piu' qualificanti previste dalla legge n. 6 del 2004. In particolare, non inciderebbe in alcun modo sulla validita' del procedimento dell'a.d.s. la effettiva possibilita' di acquisire il punto di vista del beneficiario tanto nella fase di attivazione (art. 407, secondo comma, c.c.) quanto nel corso della successiva gestione (artt. 410, secondo comma, c.c.), coll'effetto, coerentemente perseguito e esplicitamente dichiarato, di fare rientrare nell'ambito operativo di tale nuovo istituto anche i soggetti che sono nell'impossibilita' di curare i propri interessi quale riflesso di una gravissima o anche totale compromissione delle facolta' intellettive superiori. Secondo queste prassi applicative, in altri termini, l'obbligo di informare l'interessato e di raccoglierne il punto di vista, e l'eventuale dissenso, sia in ordine all'attivazione della misura di protezione, sia in ordine ai singoli atti gestionali da compiere, compresi gli atti di disposizione patrimoniale, non costituirebbe una conditio sine qua non di validita' della procedura di nomina e dei singoli atti gestionali, tant'e' che l'amministrazione di sostegno si adatterebbe anche ai soggetti che, per effetto della loro infermita' o menomazione psichica, non sono in grado di compiere neppure gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (art. 409 c.c). Orbene; questo G.T. ritiene che una prassi applicativa cosi' congegnata non solo ripropone l'interdizione sotto mentite spoglie, in particolare nella misura in cui preclude alla persona totalmente incapace di intendere e volere il valido compimento da se' sola di ogni atto di ordinaria e straordinaria amministrazione, ma la trasforma addirittura in una brutta copia di quella tradizionale misura incapacitante, e cosi' dal lato delle garanzie e delle cautele. A parte infatti l'assenza fisiologica della decisione collegiale 3), la (ritenuta) non obbligatorieta' della difesa tecnica, la effettiva presenza (ritenuta) non necessaria del p.m. nella fase di attivazione, la (pure ritenuta) superfluita' di una perizia medicolegale (reputata addirittura inopportuna, anche in relazione ai costi economici richiesti), si deve altresi' considerare che una a.d.s. gia' attivata puo' essere modificata dal g.t. in qualsiasi momento successivo; e, proprio a causa di tale sua caratteristica quanto elogiata «flessibilita» «elasticita» «mobilita», anche aggravata a dismisura nei suoi effetti incapacitanti («...o successivamente... »: art. 411, ultimo comma, c.c.). Tutto cio' senza che sia richiesto, secondo tale prassi, sia nella fase di attivazione sia nella fase della gestione o in sede di eventuale modificazione (persino in peius sotto il profilo incapacitante), l'effettivo coinvolgimento del punto di vista del beneficiario, or quando lo stesso e' di fatto impossibile, giacche' esso pure ritenuto nei termini e per le ragioni sopra precisate non necessario. Questo G.T. ritiene che un modello applicativo siffatto, dal quale ogni momento dialettico qualificante e' tendenzialmente espulso, rischia di ridurre l'istituto in parola a soliloquio inquisitorio a fin di bene (esistenziale), e sembra pertanto contrario allo spirito e alla lettera della legge di riforma. Prende tuttavia atto che si tratta dell'orientamento prevalente nella sede giudiziaria nella quale opera, con particolare riferimento alla somministrazione della misura dell'interdizione, siccomre ritenuta, in questa sede, giammai necessaria. 4) Tale diritto «vivente» condiziona pertanto le stesse scelte operative di questo G.T., ivi compreso l'esercizio dei poteri autorizzatori ex artt. 375 e 376 c.c., siccome richiamati dall'art. 411 c.c., nonche' la valutazione dei relativi presupposti legittimanti. B) Il rischio di trasformare l'amministrazione di sostegno nella brutta copia dell'interdizione, e cosi' nel senso che le valutazioni decisorie del g.t. non devono preventivamente confrontarsi con il punto di vista di altri magistrati all'interno di un collegio, ne' con il punto di vista del p.m. (la cui effettiva presenza non e' infatti obbligatoria), ne' con quella di un difensore tecnico, ne' con quella di un medicolegale, ne' infine con quello dello stesso beneficiario, se e in quanto si tratti di soggetto dalle facolta' psichiche completamente compromesse, si puo' in effetti apprezzare anche con riferimento a quegli atti di straordinaria amministrazione particolarmente qualificati che sono gli atti di disposizione patrimoniale. Mentre infatti la vendita dei beni immobili dell'interdetto e' autorizzata dal tribunale in composizione collegiale su parere del g.t., la vendita dei beni immobili del soggetto beneficiario della nuova misura di protezione e' autorizzata direttamente dal giudice Tutelare (art. 411 c.c.), senza che sia neppure necessario, secondo la riferita prassi applicativa, quanto meno in funzione di bilanciamento e compensazione delle cautele non mutuate dal procedimento di interdizione, informare preventivamente l'interessato e raccoglierne il punto di vista, in particolare quando tali adempimenti ex art. 410 c.c. sono di fatto impossibili per le sue conclamate condizioni psichiche. Nei decreti di nomina dell'ads che aderiscono a tale indirizzo viene infatti inserita la clausola finale di salvezza «ove cio' sia possibile». Orbene; la criticita' di questa situazione, ossia la attivazione di una A.di S. a favore di un soggetto totalmente incapace di intendere e volere, o persino tamquam mortuus corpus 5), e che per effetto di tale condizione psichica non puo' essere utilmente informato di un atto di disposizione patrimoniale immobiliare da compiere nel suo interesse, ne' tampoco e' in grado di esprimere un suo punto di vista al riguardo, e' stata avvertita da una accreditata dottrina che ha messo in luce i riflessi che ne possono derivare sulla validita' dell'atto di disposizione e suggerito i possibili rimedi. Secondo la richiamata dottrina, che pure sembra ammettere l'applicabilita' della nuova misura di protezione anche a favore di soggetti con gravissime compromissioni delle facolta' psichiche superiori, potrebbe essere il notaio, in sede di stipula del rogito notarile autorizzato dal g.t., a verificare preventivamente, in linea con quanto previsto dall'art. 47 della legge notarile n. 89/13, disposizione che gli impone di indagare la volonta' delle parti, la corretta formazione del processo decisionale del beneficiario, e a tal fine «ad ascoltarlo, ove capace, ad informarlo del contenuto tecnico dell'atto, a controllare la correttezza delle autorizzazioni ricevute». Secondo questa proposta applicativa «garantista», e cosi' in difetto di una esplicita disposizione della legge notarile, nella quale non e' rinvenibile l'obbligo del professionista di «accertare l'esatto adempimento del dovere di informazione di cui al predetto art. 410 c.c., da parte dell'amministratore di sostegno», il notaio rogante dovrebbe quanto meno disporre «l'inclusione nel corpo dell'atto, ma a fini meramente tuzioristici di apposita dichiarazione dell'amministratore di sostegno, dalla quale, appunto, fa risultare sia il tempestivo adempimento del dovere di informazione sia, in caso contrario, quanto meno, le ragioni del suo inadempimento». Orbene; a meno di non voler attribuire efficacia sanante all'autorizzazione (alla vendita) comunque rilasciata dal g.t., con conseguente esonero di ogni responsabilita' da parte del notaio, si deve ritenere questa proposta non risolutiva del problema che essa stessa segnala. Infatti, l'omesso inadempimento da parte dell'ads dell'obbligo di informare preventivamente il beneficiario e di ogni altro previsto dall'art. 410 c.c., se e in quanto riscontrato dall'ufficiale rogante in sede di stipulazione, porrebbe quest'ultimo di fronte al rischio paralizzante di stipulare un atto invalido. Ne' puo' immaginarsi che sia il notaio a dover accertare se le condizioni psichiche del beneficiario rendevano concretamente possibile l'atto informativo e quelli consequenziali ex art. 410 c.c., ovverosia l'attualita' o meno dell'obbligo condizionato di cui alla surriferita clausola - «ove cio' sia possibile» - contenuta nel decreto di nomina dell'ads. In ogni caso, questo g.t. ritiene che il controllo sulla validita' dell'atto di disposizione patrimoniale, da compiere come nel caso di specie nell'interesse del beneficiario, spetti innanzi tutto all'organo giudiziario che lo autorizza ai sensi dell'art. 411, primo comma, c.c., in quanto la valutazione sottesa all'atto autorizzatorio non riguarda esclusivamente il profilo dell'opportunita', in relazione cioe' all'apprezzamento di quell'interesse, ma ancor prima quello della legalita', come gli impone ex art. 101 della Costituzione la sua natura di organo che e' soggetto e da' attuazione alla legge (ivi comprese le disposizioni di cui agli artt. 410 e 412 c.c.). Sotto questo profilo, prende atto che il Tribunale di Venezia sede centrale fa proprio l'orientamento interpretativo secondo il quale l'art. 412, primo comma, c.c. abilita il g.t. ad autorizzare un atto dispositivo che, sebbene difetti dei presupposti richiesti dall'art. 410 c.c., sia tuttavia nell'interesse del beneficiario e dunque in linea con le finalita' solidaristiche dell'istituto dell'a.di s. Secondo tale prospettiva, infatti, l'art. 410 c.c. non puo' costituire un ostacolo alla protezione della persona secondo le forme previste dal nuovo istituto, giacche', diversamente opinando, si dovrebbe parlare di disposizione apparentemente irragionevole: tale perche', prevedendo nei termini sopra precisati una condizione impossibile, in particolare nei casi in cui l'amministrato ha una totale compromissione delle facolta' intellettive, il giudice tutelare dovrebbe astenersi dall'autorizzare anche un atto che egli reputi nell'interesse dell'amministrato, conseguendone un difetto di protezione della persona. Nondimeno, e' proprio tale inevitabile esito interpretativo a indurre questo giudice a sospettare di incostituzionalita', per verosimile violazione degli 2, 3, 41 e 42 della Costituzione, la disposizione di cui all'art. 411, primo comma, c.c., nella parte in cui, secondo tale interpretazione, consente direttamente al g.t. di autorizzare gli atti di disposizione che sono nell'interesse del beneficiario, allorche' non siano assolutamente possibili gli adempimenti ex art 410 c.c., siccome sanzionati dall'art. 412 c.c.. Tale esito mette infatti in luce un diverso, irragionevole, meccanismo protettivo che, sotto il profilo delle garanzie e cautele a corredo del procedimento autorizzatorio, trova applicazione nel caso di soggetti che, sebbene nelle medesime condizioni di totale compromissione delle facolta' intellettive, si vengano a trovare: gli uni sottoposti all'interdizione, gli altri all'amministrazione di sostegno. In entrambi i casi, infatti, l'organo giudiziario puo' autorizzare atti dispositivi ritenuti nell' interesse della persona priva di capacita' naturale residua, senza che sia di ostacolo a cio' l'impossibilita' di informarla preventivamente per raccoglierne il punto di vista. Nondimeno, mentre l'atto dispositivo che incide sul patrimonio dell'interdetto viene autorizzato dal collegio su parere del g.t., quello che incide sul patrimonio dell'amministrato viene invece e inspiegabilmente autorizzato dal solo g.t., senza che tale minore cautela riscontrabile nella procedura regolata dal combinato disposto degli artt. 411, primo comma, 375 e 376. , c.c., sia compensata dal coinvolgimento preventivo del diretto interessato, e cosi' nei termini pure previsti dall'art. 410 c.c.. Orbene; se e' vero che l'istituto della interdizione e' stato confermato dalla legge n. 6 del 2004 e cosi' pure la procedura autorizzatoria ex artt. 375 e 376 c.c. prevista per la vendita dei beni dell'interdetto, l'interprete non puo' non domandarsi in relazione quali situazioni di fatto e perche' il nuovo complesso e articolato sistema delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia ritiene ancora necessario che tale procedura si articoli in un parere obbligatorio non vincolante formulato dal g.t. e in una decisione collegiale, mentre in altri e' sufficiente la decisione solitaria di quell'organo monocratico. Questo interrogativo, al quale la interpretazione c. detta solidaristica non e' in grado di fornire una risposta, chiama in causa proprio la diversita' di fondo che intercede tra un individuo completamente incapace di intendere e volere e un soggetto che e' invece in grado di interloquire, ancora portatore di un proprio punto di vista critico, con il giudice tutelare. Solo in quest'ultimo caso infatti la decisione dell'organo giudiziario deve fare i conti con le valutazioni del diretto interessato riguardo a cio' che e' bene o male per lui nelle condizioni date, in particolare cosa sia meglio fare o non fare in una certa determinata situazione e nel suo interesse, a es. vendere o non vendere un immobile, e cosi' non solo sotto il profilo strettamente economico, ma anche affettivo, esistenziale, psicologico, medico, logistico, ecc. Nel primo, invece, l'organo giudiziario, e' costretto a decidere quale e' l'interesse della persona totalmente priva di capacita' naturale residua, ossia quello che la cultura liberale chiama il proprio della persona, senza la possibilita' di confrontarsi con altri punti di vista, ad esso esterni, ed e' bene, allora, che la decisione sgorghi da un confronto collegiale, e comunque a piu' voci, nel quale una dialettica tra diverse scale di valori o diverse sensibilita' ed esperienze di vita, possa in qualche modo sopperire a quel vuoto irrimediabile. Ecco perche' tale diversita' nella procedura autorizzatoria, meno garantista nel caso dell'amministrazione di sostegno, verrebbe tuttavia meno se la accertata impossibilita' di attivare gli adempimenti previsti dall'art. 410 c.c., in particolare nel caso di totale o gravissima compromissione delle facolta' mentali del soggetto interessato, integrasse una delle ipotesi nelle quali e' necessaria la misura dell'interdizione, nell'ambito della quale, infatti, l'atto di disposizione puo' essere legittimamente autorizzato anche senza il coinvolgimento dell'interessato, ma con le cautele e garanzie ivi previste (decisione collegiale su parere del g.t.). Tale alternativa interpretativa e i conseguenti esiti decisionali ex art. 413 ult. com. c.c., sono tuttavia qui da escludere in quanto il Tribunale di Venezia-sede centrale aderisce alla tesi secondo la quale: l'amministrazione di sostegno ha un ambito di operativita' pressoche' omnicomprensivo, tale da rendere giammai necessario il ricorso all'interdizione e all'inabilitazione. Non resta pertanto altra via che sollevare la dedotta questione di costituzionalita', nei termini e per le ragioni sopra precisate. 1) Le funzioni psichiche superiori del giudizio, come ricorda l'amicus curiae nel suo elaborato peritale, consistono nel continuo esame dei dati della realta' raffrontati con le proprie motivazioni, i propri valori e progetti esistenziali, e nella conseguente elaborazione di ipotesi di azioni e di decisioni da mettere, poi, in atto. 2) Salvo la nomina di un tutore o curatore provvisorio da parte del tribunale nel corso del procedimento di interdizione/inabilitazione. 3) Salvo la nomina di un amministratore provvisorio da parte del tribunale. 4) Secondo un monitoraggio ufficiale a cura della giunta della Regione Veneto, tra il marzo 2004 e il marzo 2005, risulta che nei tribunali del Triveneto su 1508 istanze esaminate, 927 si sono concluse con un provvedimento di nomina dell'amministratore di Sostegno. Nel Tribunale di Venezia, le istanze presentate sono il 48% del totale, con una percentuale di accoglimento pari a 46% su 48%. 5) Come era stato definito dall'amicur curiae un soggetto il cui caso era stato rimesso dal tribunale alla valutazione finale di questo g.t.
P. Q. M. Visti gli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87. Dichiara la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 410, 411, primo comma, e 412 c.c. in relazione agli artt. 2, 3, 41 e 42 della Carta costituzionale, nella parte in cui consentono direttamente al G.T. di autorizzare atti di disposizione incidenti sul patrimonio dell'interessato, anche quando, come nel caso di specie, in conseguenza delle sue condizioni psichiche, sia impossibile informare preventivamente il beneficiano e provvedere agli altri adempimenti ivi previsti. Sospende, pertanto, il presente giudizio, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, e ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Chioggia, addi' 9 febbraio 2006 Il giudice tutelare: Ciampaglia 06C0995