N. 527 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 marzo 2006

Ordinanza   emessa   il   23   marzo   2006   (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il 17 ottobre 2006) dalla Corte di appello di Bologna
nel procedimento penale a carico di Benvenuti Alberto

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento   -   Preclusione,   salvo  nelle  ipotesi  di  cui
  all'art. 603,  comma 2, se la nuova prova e' decisiva - Lesione del
  principio  del  giusto  processo  -  Violazione del principio della
  parita'    delle    parti    -    Contrasto    con   il   principio
  dell'obbligatorieta' dell'azione penale.
- Codice  di procedura penale, art. 593, commi 1 e 2, come sostituiti
  dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46.
- Costituzione, artt. 111, commi primo e secondo, e 112.
(GU n.48 del 6-12-2006 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza, nel procedimento penale
contro Benvenuti Alberto;
    Decidendo   sulla   eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
proposta dal procuratore generale relativamente all'art. 593, primo e
secondo  comma, c.p.p., come modificato dalla legge 20 febbraio 2006,
n. 46,  nella parte in cui esclude che il p.m. possa proporre appello
contro  una  sentenza di proscioglimento dell'imputato (primo comma),
salvo  l'ipotesi  della  sopravvenienza  di  una nuova prova decisiva
(secondo  comma),  per  violazione  degli  artt   3,  111 e 112 della
Costituzione;  rilevato  che  la  questione  sollevata  e' rilevante,
sussistendo   il   requisito  della  indispensabilita'  della  previa
risoluzione   della   questione,   in   riferimento   alla  posizione
dell'imputato  Benvenuti Alberto, nei cui confronti e' stato proposto
appello   dal  procuratore  generale  a  seguito  della  sentenza  di
assoluzione  di  primo  grado,  poiche'  la  Corte,  in  applicazione
dell'art. 10, secondo comma, della legge citata, dovrebbe dichiarare,
con  ordinanza non impugnabile, l'inammissibilita' dell'appello ed in
tal  modo  verrebbe  a privare l'appellante del giudizio di merito di
secondo grado;
    Considerato  che  la  questione  proposta  non  e' manifestamente
infondata per i seguenti motivi.
    1)  Puo'  sussistere  violazione  dell'art. 111,  primo e secondo
comma  della Costituzione, secondo il principio di parita' tra accusa
e  difesa, nel caso in cui la pubblica accusa, in toto soccombente in
primo  grado  nella  sentenza  di  proscioglimento dell'imputato, non
possa  proporre appello, mentre lo possa proporre in caso di parziale
soccombenza;  posto  che nella procedura penale e' previsto un doppio
grado  di giurisdizione di merito, non vi e' piu' parita' delle parti
se una di esse, soccombente, non possa proporre appello, e il p.m. ha
certamente  un  interesse  maggiore  ad  appellare  una  sentenza  di
assoluzione  che  ritiene  ingiusta  piuttosto  che  ad appellare una
sentenza  di  condanna;  la  pubblica  accusa si trova cosi' in netto
svantaggio,  poiche' il ricorso in Cassazione non potra' mai avere la
stessa estensione dell'atto d'appello, che attiene al merito;
    2)  I  primi  due  commi  dell'art. 111  contengono alcune regole
generali  in materia di attivita' giurisdizionali: il giusto processo
e'  incentrato sul contraddittorio delle parti, e se il nostro codice
di procedura penale prevede tre gradi processuali, il principio della
parita'  delle  parti  deve  persistere  nei  tre  gradi,  ed  ogni e
qualsiasi  limitazione in danno di una parte deve essere ragionevole;
la  nozione  di giusto processo ha una «tessitura aperta», poiche' e'
un  concetto  che  racchiude  una  serie  di principi che sono aperti
all'evoluzione  della coscienza e della cultura civile e politica dei
diritti umani, della dottrina e della giurisprudenza; questi principi
hanno  varia  natura,  possono  essere  di  tipo sostanziale, come la
presunzione  di  innocenza  dell'imputato  o  il  diritto  di termini
adeguati per preparare la difesa, oppure di tipo processuale, come il
diritto   alla   parita'   fra   accusa  e  difesa,  oppure  di  tipo
ordinamentale,   come   il  diritto  ad  un  giudice  indipendente  e
imparziale;  tornando  al  diritto  fondamentale  della parita' delle
parti nel processo, la parita' non attiene ai mezzi o agli strumenti,
e  non  attiene  neppure  ai poteri, ma, per essere concreta e reale,
implica  la  reciprocita' di diritti nel processo, ma la reciprocita'
non  puo'  limitarsi  alla  prova,  deve estendersi all'impugnazione;
reciprocita'  vuol  dire  che  se  l'imputato  ha diritto di proporre
appello  contro  una  sentenza  di  condanna,  il  p.m. deve avere il
diritto  di  proporre  appello  contro  una  sentenza di assoluzione,
laddove abbia chiesto la condanna.
    Altrimenti il processo non e' giusto.
    L'art. 111, comma 1, della Costituzione e' destinato ad avere una
funzione     centrale     nell'evoluzione     della    giurisprudenza
costituzionale,    trattandosi   di   disposizione   dalle   indubbie
potenzialita'   espansive.   Il  «giusto  processo»  e'  destinato  a
condizionare  la  fisionomia dei singoli procedimenti giurisdizionali
elaborati  dal  legislatore  ordinario,  quindi anche le modifiche ai
suddetti   procedimenti,   e   costituisce  una  formula  in  cui  si
compendiano  i  principi costituzionali anche per cio' che riguarda i
diritti  di  azione e difesa in giudizio, tra cui il diritto del p.m.
di  proporre  appello;  se  si  ritiene  poi che il legislatore abbia
voluto  introdurre  una  vera e propria clausola generale destinata a
funzionare  come  «norma  di  apertura»  del  sistema  delle garanzie
costituzionali  della  giurisdizione,  si  puo'  concludere che debba
trovare  ingresso  all'interno  di quel sistema qualsiasi principio o
potere  processuale  ritenuto necessario per una effettiva e completa
tutela  delle  ragioni delle parti. Non vi e' dubbio che la rimozione
quasi  totale  del  potere  di  appello  del  solo p.m. abbia effetti
processuali  devastanti  sull'equilibrio  dei diritti delle parti nel
processo.
    Autorevolmente   e'   stato  menzionato  esemplificativamente  in
dottrina il principio del doppio grado di giurisdizione, osservandosi
che, pur essendo detto principio privo di «copertura» costituzionale,
e  pur godendo di un riconoscimento incompleto pure nel sistema della
CEDU,  proprio  attraverso  la  mediazione della clausola del «giusto
processo»  il  principio de quo potrebbe in futuro assumere il valore
di  una  vera  e  propria garanzia costituzionale del processo, se la
Consulta lo riterra' rispondente ad un'istanza eventualmente espressa
in  tal  senso  dall'opinione  pubblica  e/o  da  concrete esperienze
giudiziarie. A parte cio', se il legislatore mantiene il doppio grado
di  giurisdizione  di  merito,  deve assicurare alle parti gli stessi
diritti.
    3)  Puo'  sussistere violazione dell'art. 112 della Costituzione,
sia  con riferimento alle considerazioni svolte nei punti precedenti,
sia  osservando che la soppressione del potere d'appello del p.m., da
ritenere  praticamente  totale per quanto rilevato sulla marginalita'
dell'ipotesi   prospettata   nell'art. 593,   secondo  comma  c.p.p.,
compromette  la  capacita'  della  pubblica  accusa  di far valere la
pretesa punitiva dello Stato, ponendolo in uno stato di inferiorita',
in cui gli e' preclusa la possibilita' di coltivare l'azione punitiva
pubblica  attraverso la richiesta al giudice superiore di riesame dei
fatti  affermati  nella  sentenza  assolutoria,  anche in presenza di
valutazioni  di  merito  assolutamente non condivisibili. L'esercizio
del   potere  d'appello  della  pubblica  accusa  non  e'  altro  che
un'emanazione del principio fissato dall'art. 112 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953,  n. 87, dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 593,  primo  e  secondo comma, c.p.p., come
modificato  dall'art.  1  della  legge  20  febbraio  2006, n. 46, in
relazione  agli  artt.  111  primo  e  secondo  comma,  e  112  della
Costituzione, nei termini di cui alla motivazione.
    Sospende  il  giudizio  in  corso e dispone la trasmissione degli
atti   alla  Corte  costituzionale,  ordinando  alla  cancelleria  di
notificare  la  presente  ordinanza  al  Presidente del Consiglio dei
ministri  e  di  comunicarla  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento.
        Bologna, addi' 23 marzo 2006
                       Il Presidente: Ziccardi
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