N. 610 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 maggio 2006

Ordinanza   emessa   il   18   maggio   2006  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il 24 novembre 2006) dalla Corte di appello di Torino
nel procedimento penale a carico di Ramello Eraldo

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento  -  Preclusione,  al  di fuori delle ipotesi di cui
  all'art. 603,  comma 2,  e sempre che la nuova prova sia decisiva e
  il   giudice   in   via   preliminare   disponga   la  rinnovazione
  dell'istruttoria  dibattimentale  -  Inammissibilita'  dell'appello
  proposto prima dell'entrata in vigore della novella - Contrasto con
  il  principio  di  ragionevolezza  -  Violazione  del  principio di
  parita' delle parti.
- Codice  di  procedura  penale,  art. 593,  comma 2, come sostituito
  dall'art. 1  della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio
  2006, n. 46, art. 10, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.3 del 17-1-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel procedimento penale
contro Ramello Eraldo, nato a Bruscengo l'8 novembre 1930, assolto in
primo  grado  con  sentenza  in  data 20 gennaio 2003 pronunciata dal
tribunale di Torino, Sez. dist. Chiaesso, sentenza contro la quale il
p.m. ha proposto appello.
    Sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata dal
procuratore generale, sentite le parti, la Corte osserva.
    1. - Viene proposta questione di legittimita' costituzionale:
        dell'art. 593,  comma 2, c.p.p., come sostituito dall'art. l,
legge  20  febbraio  2006,  n. 46, nella parte in cui non consente al
pubblico    ministero    di   appellare   contro   le   sentenze   di
proscioglimento, al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 603, comma
2,  c.p.p.  e sempre che la nuova prova sia decisiva ed il giudice in
via    preliminare    disponga   la   rinnovazione   dell'istruttoria
dibattimentale;
        e dell'art. 10, comma 2, della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
nella  parte  in  cui  stabilisce che l'appello contro un sentenza di
proscioglimento proposto dal pubblico ministero prima dell'entrata in
vigore  della  legge  medesima  viene  dichiarato  inammissibile  con
ordinanza non impugnabile.
    2.  -  La  questione  e' rilevante nel presente processo, poiche'
questa  Corte  di appello dovrebbe dichiarare inammissibile l'appello
proposto  dal  p.m.,  in  applicazione della disposizione transitoria
dell'art. l0,  comma 2, legge 20 febbraio 2006, n. 46, trattandosi di
appello proposto prima dell'entrata in vigore di detta legge.
    3. - La questione non e' manifestamente infondata, in quanto:
        la  Costituzione  stabilisce,  al  primo  periodo del secondo
comma  dell'art. 111,  che  il processo si svolge nel contraddittorio
delle  parti,  in  condizioni  di parita', davanti a giudice terzo ed
imparziale.
    La  condizione  di  parita'  riconosciuta  alle  parti  non  puo'
intendersi  limitata  alla  fase anteriore alla pronuncia del giudice
giacche',  sia  per comune nozione che per quanto stabilito nel primo
comma del citato art. 111, il termine «processo» indica l'intero iter
attraverso  il  quale  si attua la giurisdizione, fino alla pronuncia
definitiva.
    Poiche'  nel  processo  agiscono  parti  portatrici  di interessi
contrapposti,  la  Costituzione  disciplina dunque come la legge deve
regolamentare l'attribuzione alle parti delle facolta' per far valere
ed eventualmente farsi vedere accogliere le loro pretese.
    Nel  processo  penale  il  p.m.  esercita la pretesa punitiva che
discende   direttamente   dal   principio  costituzionale  (art. 112)
dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale.  L'imputato resiste a tale
pretesa,   ed   esercita  il  diritto,  anch'esso  costituzionalmente
garantito (art. 24, 25, 27), di veder dichiarata la propria innocenza
«o,  se  colpevole, di vedersi irrogata una sanzione equa conforme al
principio di cui all'art. 27.3».
    L'art. 593  c.p.p.,  come  sostituito  dall'art. 1 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46,  nel  primo  comma  prevede  che  il  p.m.  e
l'imputato  possono  appellare contro le sentenze di condanna, mentre
nel  secondo  comma  consente  a  dette  parti di appellare contro le
sentenze   di   proscioglimento   soltanto   nelle   ipotesi  di  cui
all'art. 603,  comma 2, c.p.p. ed a condizione che la nuova prova sia
decisiva  - stabilendo altresi' che il giudice, se in via preliminare
non dispone la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, dichiara
inammissibile l'appello.
    E  per  gli  appelli  proposti prima dell'entrata in vigore della
legge  n. 46/2006,  l'art. 10,  comma  2  della  stessa legge neppure
prevede  la suddetta deroga alla inammissibilita' dell'appello contro
la sentenza di proscioglimento.
    Benche'  le  citate  norme riguardino sia il p.m. che l'imputato,
cio'  solo  «in  apparenza»  rispetta  il principio costituzionale di
parita'  delle  parti,  essendo  del tutto evidente che, in relazione
alle loro contrapposte pretese, la sentenza di proscioglimento ha una
portata  assolutamente  diversa, poiche' stabilisce la soccombenza di
quella del primo e la vittoria di quella del secondo.
    Per  altro  verso,  di  fronte  ad  una sentenza di condanna, che
respinge  la  pretesa  dell'imputato  di  veder dichiarata la propria
innocenza  (e, almeno sotto l'aspetto essenziale, accoglie la pretesa
del  p.m.), l'imputato conserva il diritto di appellare - fatta salva
la  gia' preesistente eccezione di cui all'ultimo comma dell'art. 593
c.p.p.   -,   senza   alcuna  limitazione,  ed  in  specie  senza  la
rilevantissima  condizione di dedurre ex art. 603, comma 2 c.p.p. una
nuova prova decisiva.
    Tenuto  conto  delle  contrapposte  pretese  delle  parti,  e pur
considerata  la  diversita'  delle  funzioni  dalle stesse svolte nel
processo,  non si ravvisa razionalita' e coerenza, ne' attuazione del
principio  costituzionale  di  parita'  (effettiva,  e  non  soltanto
apparente), tra il riconoscimento all'imputato condannato del diritto
incondizionato di appellare e la preclusione per l'accusa di servirsi
dello  stesso  rimedio  in  caso  di  proscioglimento,  se  non  alla
strettissima condizione sopra indicata.
    Pertanto,  deve  ritenersi - o, quantomeno, non e' manifestamente
infondato  ritenere  - che le norme in questione violano il principio
sancito dall'art. 111, secondo comma, della Costituzione.
    Allo stesso modo, non pare infondato ravvisare un contrasto anche
col  parametro costituzionale della «ragionevolezza», quale si ricava
dall'art. 3 della Costituzione.
    Invero, nessun criterio di ragione ne' alcuna peculiare finalita'
riconosciuta dal legislatore appaiono giustificare una disciplina che
squilibra fortemente i rapporti tra accusa e difesa.
    E la irragionevolezza della introdotta riforma emerge anche sotto
un  altro  profilo. Invero, posto che, nel gia' ricordato «apparente»
rispetto  del  principio  di  parita',  il  p.m.  e  l'imputato  sono
accomunati  nel  diritto di appellare contro le sentenze di condanna,
appare  privo  di  razionale  giustificazione  riconoscere al p.m. il
potere  di  appellare  di fronte ad errori «marginali» della sentenza
(di  condanna),  ed  invece  negarglielo (salvo la limitata eccezione
prevista  nel  comma  2  del «nuovo» art. 593 c.p.p.) di fronte a ben
piu' «sostanziali» errori della sentenza (di proscioglimento).
    Ne'  vale  obiettare  che  altre riforme hanno gia' nel corso del
tempo  ristretto  le  facolta' processuali del p.m. rispetto a quelle
riconosciute all'imputato e che tali riforme hanno superato il vaglio
di  costituzionalita'.  E'  qui il caso di richiamare la formulazione
dell'art. 443.3  c.p.p.  (che  esclude  la possibilita' di appello da
parte  del  p.m.  della sentenza di condanna pronunciata a seguito di
giudizio  abbreviato,  anche  dopo l'eliminazione del presupposto del
consenso  del  p.m.  al  rito  ex  legge n. 479/1999) ritenuta non in
contrasto con la norma costituzionale dell'art. 111 dalla Corte cost.
con  ordinanza  n. 421/2001.  Ma  i motivi che la Corte aveva posto a
fondamento  della  propria  pronuncia  non appaiono estensibili anche
alla riforma attuale; e cio' per piu' ragioni:
        trattandosi  di  giudizio abbreviato, la Corte costituzionale
ha,  in  sostanza, ritenuto che la rinuncia da parte dell'imputato ad
altro  dei  principi  cardine del giusto processo (il contraddittorio
nella  raccolta delle prove) giustifica l'asimmetria che l'art. 443.3
c.p.p.  produce  nel  sottrarre  al  p.m. la facolta' di appellare la
sentenza di condanna a seguito di abbreviato;
        il  predetto  restringimento delle facolta' di appello per il
p.m.  ha  come  presupposto la pronuncia di una sentenza di condanna,
che  e'  pur  sempre realizzazione del principio dell'obbligatorieta'
dell'azione  penale  (restando  frustrata  soltanto  la  sua  pretesa
relativa  al  trattamento  sanzionatorio, pretesa che non e' di rango
costituzionale  e che dunque puo' ben soccombere innanzi all'esigenza
costituzionale di brevita' del processo);
        sostanzialmente differente e' la situazione di diritto in cui
si  cala  la  riforma  di  cui al legge n. 46/2006, perche', in primo
luogo,  sottrae al p.m. la possibilita' di appellare (salvo l'ipotesi
di   cui   s'e'   detto)  contro  sentenze  di  proscioglimento,  che
costituiscono  la negazione della pretesa punitiva da lui impersonata
per  conto  dello  Stato;  in  secondo  luogo,  la riforma si applica
indifferentemente  a  tutti i tipi di giudizio, sicche' la introdotta
«asimmetria»  non  trova  alcuna giustificazione che sia riconnessa a
istituti  deflattivi  in  cui  rinunce  dell'imputato  comportino  il
risultato apprezzabile della definizione piu' sollecita del processo.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 593,  comma  2, del codice di
procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio
2006, n. 46, nella parte in cui non consente al pubblico ministero di
appellare  contro  le  sentenze  di proscioglimento al di fuori delle
ipotesi  di cui all'art. 603, comma 2, stesso codice, e sempre che la
nuova prova sia decisiva ed il giudice in via preliminare disponga la
rinnovazione  dell'istruttoria  dibattimentale; nonche' dell'art. 10,
comma  2,  della  predetta  legge  n. 46 del 2006, nella parte in cui
stabilisce  che  l'appello  contro  un  sentenza  di  proscioglimento
proposto  dal  pubblico  ministero prima dell'entrata in vigore della
legge  medesima  viene  dichiarato  inammissibile  con  ordinanza non
impugnabile; in riferimento agli artt. 3 e 111 della Costituzione.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale.
    Sospende  il  giudizio  in  corso e i termini di prescrizione del
reato.
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  e sia comunicata ai Presidenti della Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica.
        Torino, 18 maggio 2006
                        Il Presidente: Witzec
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