N. 616 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 giugno 2006
Ordinanza emessa il 12 giugno 2006 dal tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di Nefzi Samir Reati e pene - Recidiva - Determinazione della pena in caso di recidiva reiterata - Previsione di un aumento obbligatorio e fisso di due terzi - Parita' di trattamento di situazioni diverse - Irrazionalita' - Violazione del principio di personalita' della responsabilita' penale - Lesione del principio della finalita' rieducativa della pena. - Codice penale, art. 99, comma quarto, modificato dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3 e 27, commi primo, e terzo.(GU n.3 del 17-1-2007 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento a carico di Nefzi Samir, nato in Tunisia l'11 luglio 1971, imputato, nell'ambito del giudizio abbreviato avviato a seguito della convalida di arresto in flagranza, del reato di cui agli artt. 110 c.p. e 73 d.P.R. n. 309/1990, per aver detenuto a fine di cessione un quantitativo di hashish pari a gr. 107,60, sufficiente per la preparazione di circa 320 dosi, e per aver ceduto un quantitativo a tale Panico Tiziana; Rilevato che al predetto e' stata contestata la recidiva reiterata specifica, di cui all'art. 99, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 4 legge n. 251/2005; Atteso che in base all'entita' dei precedenti, pur applicando il criterio di cui all'art. 99 u.c. c.p., l'aumento di pena per la recidiva nel caso di specie, a fronte dell'irrogazione di una pena base pari al minimo, cioe' ad anni sei di reclusione e multa, dovrebbe corrispondere all'intera frazione dei due terzi, pari ad anni quattro, salva la riduzione di cui all'art. 442 c.p.p., essendo peraltro non prospettabile l'applicazione di attenuanti e la formulazione di un giudizio di comparazione; Valutata l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 99, quarto comma c.p., per contrasto con gli artt. 3, 25 e 27 Cost., sollevata dalla difesa dell'imputato; Atteso che in effetti la questione di legittimita' non puo' dirsi manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 27, primo e terzo comma Cost., nei termini che seguono, O s s e r v a 1. - Il legislatore dispone di ampia discrezionalita' nella determinazione delle pene, mentre il giudice deve a sua volta procedere alla determinazione della pena da irrogare in concreto entro i limiti stabiliti e nell'esercizio della sfera di discrezionalita' riservatagli. Ma tanto il legislatore quanto il giudice non possono prescindere dalla considerazione delle finalita' della pena, in primis della necessaria destinazione della sanzione penale alla rieducazione del condannato. Ed invero, a coronamento di una lenta evoluzione interpretativa, la Corte costituzionale ha rilevato nella sentenza n. 313/1990 che, se la pena non puo' non avere un contenuto afflittivo e se ad essa ineriscono caratteri di difesa sociale e di prevenzione generale, tuttavia non puo' in alcun modo pregiudicarsi la finalita' rieducativa espressamente consacrata dall'art. 27, terzo comma Cost., non essendo consentito strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica criminale o privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi d stabilita' e sicurezza. Secondo la Corte costituzionale in pratica la finalita' rieducativa non e' estranea alla legittimazione e alla funzione della pena. La circostanza che, secondo il tenore della norma costituzionale, la pena debba tendere alla rieducazione sta ad indicare una qualita' essenziale di essa nel suo contenuto ontologico, a partire dalla fase della previsione fino a quella della sua estinzione, dovendosi correlare al verbo «tendere» la concreta possibilita' di una divaricazione tra la finalita' e l'adesione ad essa del soggetto da rieducare. In pratica, tutto cio' implica che la finalita' rieducativa rilevi non solo nella fase dell'esecuzione, come affermato in precedenti e anche remote sentenze della Corte costituzionale (si consideri ad es. la sentenza n. 12/1966), ma piu' in generale, in quanto connaturata alla pena, in ogni fase, compresa quella della previsione e della sua irrogazione, dovendosi ritenere che il precetto dell'art. 27, terzo comma Cost. vincoli sia il legislatore sia il giudice della cognizione, prima che il giudice della sorveglianza. Del resto sul piano della disciplina positiva si era concretamente stabilito che la finalita' risocializzante dovesse essere tenuta presente dal giudice gia' in sede di sostituzione della pena detentiva agli effetti degli artt. 53 e segg. legge n. 689/1981, segno evidente di una diretta influenza, per cosi' dire ontologica, della rieducazione e della risocializzazione. 2. - In tale prospettiva si pone il problema di stabilire quali limiti, desumibili dalla Costituzione, il legislatore debba osservare nel determinare la pena irrogabile, anche in relazione al caso della recidiva. E' noto invero come in astratto lo strumento piu' idoneo al conseguimento della finalita' della pena, oltre che il piu' rispettoso del principio di uguaglianza, sia quello della mobilita' della pena, cioe' la predeterminazione di essa entro un limite minimo e un limite massimo (cosi' gia' Corte costituzionale n. 67/1963). Ma piu' in particolare ha avuto modo di rilevare la Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 50/1980) che l'individualizzazione della pena, in modo da tenere conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze dei singoli casi, si pone come naturale attuazione e sviluppo dei principi costituzionali tanto di ordine generale (principio di uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale, tanto piu' che lo stesso principio di legalita' della pena ex art. 25, secondo comma Cost. si inserisce in un sistema, in cui si esige la differenziazione piu' che l'uniformita'. In tale quadro, si e' osservato che ha un ruolo centrale la discrezionalita' giudiziale, nell'ambito dei criteri segnati dalla legge. L'adeguamento della pena ai casi concreti contribuisce cosi' a rendere il piu' possibile personale la responsabilita' penale, in ossequio a quanto previsto dall'art. 27, primo comma Cost., e ad assicurare una pena quanto piu' possibile finalizzata, nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma Cost. Il soddisfacimento di tali presupposti e ditali finalita' costituisce anche uno strumento per l'attuazione dell'uguaglianza di fronte alla pena, intesa come proporzione della pena rispetto alle personali responsabilita' e alle esigenze di risposta che ne conseguono. Ultimo corollario di cio' e' la tendenziale illegittimita' di pene fisse non suscettibili di adeguata modulazione nei casi concreti. Tali affermazioni, espresse a chiare lettere dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 50/1980, sono contenute anche nella sentenza n. 299/1992, nella quale si ribadisce fra l'altro che la determinazione legislativa del minimo e del massimo della pena irrogabile per ciascun tipo di reato non rappresenta solo un limite alla discrezionalita' giudiziale ma costituisce anche un indispensabile parametro legislativo per l'esercizio di essa, in quanto il giudice deve proporzionare la sanzione concreta non al proprio giudizio di disvalore sul fatto-reato, ma alla scala di graduazione individuata dal minimo al massimo edittali. Ma la sentenza n. 299/1992 aggiunge anche, precisando il concetto, che l'individuazione del disvalore oggettivo dei fatti-reato tipici e quindi del loro diverso grado di offensivita' spetta al legislatore, competendo al giudice di valutare la particolarita' del caso singolo onde individualizzare la pena, stabilendo quella adeguata al caso concreto nella cornice posta dai limiti edittali. La Corte costituzionale ha in genere rimesso alla valutazione dei singoli casi il giudizio sulla legittimita' o meno di pene fisse, riservandosi di considerare quali concreti margini di graduabilita' siano riservati al giudice (Corte cost. n. 475/2002 ha percio' respinto le eccezioni di incostituzionalita' sollevate con riguardo alla sanzione pecuniaria fissa prevista dall'art. 291-bis d.P.R. n. 43/1973 in relazione alla residua graduabilita' della pena detentiva). 3. - Sta di fatto pero' che nel caso in cui venga contestata la recidiva reiterata ex art. 99, quarto comma c.p. e non sussista la possibilita' di un congruo giudizio di comparazione (cio' anche prescindendo dal limite, oggi sancito dal riformulato art. 69, quarto comma c.p., alla possibilita' di considerare le attenuanti prevalenti, nonche' dall'ulteriore limite, previsto dal riformulato art. 62-bis c.p., alla possibilita' di individuare circostanze rilevanti agli effetti di una diminuzione di pena, ove si tratti di recidivi reiterati, autori di gravi reati), il giudice, pur disponendo della facolta' di determinare la pena entro i limiti edittali, si trova poi ad irrogare in caso di condanna una pena rigidamente aumentata di due terzi. Ora, l'aumento di pena per la recidiva non puo' trovare la sua giustificazione in altro che nell'esigenza di un'adeguata risposta al reato commesso da chi palesi una particolare proclivita' al delitto. Ma tale risposta si correla a ben guardare ad un profilo soggettivo («inerente alla persona del colpevole») e non oggettivo, cioe' alla personalita' del reo piuttosto che all'offensivita' del fatto-reato. Ed allora la discrezionalita' del legislatore nel determinare i limiti di pena non puo' non trovare un limite nel disposto dell'art. 27, primo comma e soprattutto in quello dell'art. 27, terzo comma Cost., cioe' in quei due parametri che, come rilevato dalla sentenza n. 50/1980, postulano l'individualizzazione del trattamento sanzionatorio. Cio' puo' valere tanto piu' alla luce dei principi enucleati dalla sentenza n. 313/1990 cit., nella quale, come si e' visto, la finalita' rieducativa della pena e' stata considerata come una sua qualita' essenziale e il precetto dettato dall'art. 27, terzo comma Cost. e' stato considerato cogente anche per il legislatore in funzione della necessaria destinazione della pena ad assicurare un trattamento rieducativo individualizzato. Ma in tale quadro la previsione di un aumento rigidamente fissato, correlato ad un profilo di carattere eminentemente soggettivo, sembra porsi in contrasto con la finalita' rieducativa, alla quale la pena deve tendere, in quanto ontologicamente inidoneo ad assicurare una risposta individualizzata, diversa a seconda dei casi e della concreta personalita' del reo. Certamente spetta al legislatore di delimitare i limiti massimi entro i quali l'aumento di pena potrebbe essere fissato, ma non sembra che si possa a tale scopo prevedere un aumento fisso, men che mai un aumento di notevoli proporzioni, destinato fatalmente ad ignorare le peculiarita' di ciascun caso, da presumersi invece sussistenti, ove si consideri che si tratta di apprezzare un dato personologico e non estrinseco, cioe' afferente ai valori sottesi all'incriminazione e all'offensivita' del fatto. L'art. 99, quarto comma c.p., come risultante dalle modifiche, pare dunque in contrasto con l'art. 27, primo comma Cost., nella parte in cui non assicura un trattamento che valga a rendere «personale» la responsabilita' penale, e in contrasto con l'art. 27, terzo comma Cost. nella parte in cui non assicura l'irrogazione di una pena idonea a conseguire la sua tipica finalita' rieducativa. E nel contempo si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. implicando l'irrogazione di trattamenti identici, a fronte di situazioni talvolta anche marcatamente diverse. Cio' appare tanto piu' evidente in tutti i casi in cui siano previsti limiti edittali di per se' elevati e dunque anche nel caso della detenzione illegale e dello spaccio di sostanze stupefacenti, dovendosi vieppiu' considerare le recenti modifiche introdotte dalla legge n. 49/2006 che ha reso assai rigoroso il trattamento sanzionatorio riferito alle c.d. droghe leggere, ormai equiparate a tutte le restanti sostanze stupefacenti. 4. - Ma in relazione all'art. 3 Cost. si profila un'ulteriore ragione di illegittimita' della norma, conseguente alla sua intrinseca irrazionalita'. Infatti lo stesso legislatore ha previsto che nel caso di recidiva semplice l'aumento possa essere di un terzo e nel caso di recidiva specifica o infraquinquennale o durante oppure dopo l'espiazione della pena l'aumento possa essere fino alla meta'. Non si contesta in tale quadro il fatto che l'aumento debba essere obbligatoriamente operato in caso di recidiva reiterata. Ma appare incongrua la determinazione dell'aumento in misura fissa, pari a due terzi, in quanto risulta irrazionale ed illogico che, a fronte della commissione di un ulteriore delitto, magari di modesta entita' e scarsamente rilevante sul piano personologico, sia o meno della stessa indole, si passi automaticamente da un aumento che poteva essere anche di un solo giorno, entro il limite massimo della meta', ad un aumento addirittura di due terzi. 5. - Manifestamente infondata s'appalesa la questione sollevata in rapporto al parametro dettato dall'art. 25 Cost., giacche' le norme in materia di recidiva non si pongono in contrasto con i principi di materialita' e di tipicita', cui quella norma fa riferimento, principi che, come quello di offensivita', vengono salvaguardati dalla previsione della norma incriminatrice e da quella di precisi limiti edittali. 6. - In conclusione si appalesa nella specie rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 4 legge n. 251/2005, per contrasto con gli artt. 3, 27, primo comma e 27, terzo comma Cost.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge n. 87/1953, Dichiara rilevante e non manifestamente infondata per contrasto con gli artt. 3 e 27 primo e terzo comma Cost. la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, quarto comma c.p., come modificato dall'art. 4 legge n. 251/2005, nella parte in cui prevede in caso di recidiva reiterata un aumento obbligatorio e fisso di due terzi. Sospende il processo e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che l'ordinanza, di cui e' data lettura in udienza alle parti, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera e del Senato della Repubblica. Perugia, addi' 12 giugno 2006 Il giudice: Ricciarelli 07C0016