N. 661 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 giugno 2006
Ordinanza del 1 giugno 2006 (pervenuta alla Corte Costituzionale il 30 novembre 2006) emessa dalla Corte dei conti- Sezione giurisdizionale per la Regione Abruzzo - L'Aquila, nei giudizi riuniti sui conti resi dal Tesoriere del Comune di Chieti (San Paolo Banca dell'Adriatico S.p.A.) ed altro. Corte dei conti - Controllo contabile giurisdizionale sugli enti locali - Limitazione al solo conto della gestione di cassa dei tesorieri e non anche all'intera gestione dell'ente e, in particolare, sul merito giuridico ed economico delle poste di bilancio - Irragionevolezza - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria - Lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla Corte dei conti in tema di controllo sulla gestione degli enti locali - Violazione dei principi del raccordo della finanza statale con quella degli enti locali. - Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 93, comma 2. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 11, comma secondo, 103, comma secondo, e 119. Corte dei conti - Controllo contabile giurisdizionale sugli enti locali - Trasmissione alle competenti Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti del solo conto della gestione di cassa del tesoriere e non anche dell'intera gestione dell'ente - Irragionevolezza - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria - Lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla Corte dei conti in tema di controllo sulla gestione degli enti locali - Violazione dei principi del raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali. - Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 226. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 11, comma secondo, 103, comma secondo, e 119. Corte dei conti - Controllo contabile giurisdizionale sugli enti locali - Abrogazione dell'art. 310, comma 4, del r.d. n. 383/1934 (con conferma implicita dell'abrogazione dell'art. 226 del r.d. n. 297/1911) che demandava al giudice contabile la pronuncia sul conto sia del tesoriere che dell'Ente, ed in particolare sul merito giuridico e contabile delle poste di bilancio - Irragionevolezza - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla normativa comunitaria - Lesione delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla Corte dei conti in tema di controllo sulla gestione degli enti locali - Violazione dei principi del raccordo della finanza statale con quella degli enti territoriali. - Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 274. - Costituzione, artt. 3, primo comma, 11, comma secondo, 103, comma secondo, e 119.(GU n.5 del 31-1-2007 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale sui giudizi di conto, iscritti ai nn. 16114/G.C.E.L - 16115/G.C.E.L - 16117/G.C.E.L - 16118/GCEL e 16119/G.C.E.L. del registro di segreteria ed aventi ad oggetto i conti giudiziali, relativi agli esercizi 1998, 1999, 2000, 2001 e 2002 del Tesoriere del Comune di Chieti, per i quali e' disposta la riunione ai sensi dell'art. 274 c.p.c.; Uditi, nella pubblica udienza in data 5 aprile 2006, il magistrato relatore, dott. Giacinto Dammicco ed il rappresentante del pubblico ministero dott. Eugenio Musumeci; Esaminati gli atti ed i documenti. Rilevato in fatto Con relazione n. 234 del 21 settembre 2005 il magistrato relatore sul conto del Tesoriere del Comune di Chieti ha chiesto al presidente della sezione che fosse rimesso al Collegio il giudizio sul conto del tesoriere del comune per l'esercizio 1998, mediante iscrizione a ruolo ai sensi dell'art. 30 del r.d. 13 agosto 1933. Con decreto presidenziale datato 4 ottobre 2005 l'udienza e' stata fissata ad oggi 5 aprile 2006, dandone comunicazione agli interessati in uno alla relazione del predetto magistrato. Le risultanze della suddetta relazione sono le seguenti: nel Titolo I delle entrate risultano residui attivi conservati e stanziamenti definitivi di bilancio pari a Lire 33.060.343.385 e riscossioni pari a Lire 20.840.924.061; nel Titolo II delle entrate risultano residui conservati pari a Lire 25.329.215.910 e riscossioni pari a Lire 1.367.729.410, stanziamenti definitivi di bilancio pari a Lire 29.894.503.834 e riscossioni pari a Lire 503.626.421; nel Titolo III delle entrate risultano residui conservati pari a Lire 7.874.976.193 e riscossioni pari a Lire 4.221.540.220, stanziamenti definitivi di bilancio pari a Lire 9.563.756.465 e riscossioni pari a Lire 4.543.305.543; nel Titolo IV delle entrate risultano residui conservati pari a Lire 25.329.215.910 e riscossioni pari a Lire 1.367.729.410, stanziamenti definitivi di bilancio pari a Lire 24.810.034.795 e riscossioni pari a Lire 1.779.926.650; nel Titolo V delle entrate risultano residui conservati pari a Lire 17.481.678.382 e riscossioni pari a Lire 1.989.695.940; non risulterebbero riscosse svariate voci di bilancio, ed in particolare proventi da locazione, oneri di urbanizzazione, proventi da parcheggi, proventi da impianti sportivi, proventi del servizio acquedotto; il Collegio dei Revisori ha invitato l'Amministrazione a prestare particolare attenzione alle posizioni morose, ha rilevato ritardi nella riscossione dei crediti, ritardi derivanti in buona parte dalla scarsa attenzione prestata dai dirigenti responsabili dei singoli servizi che si sarebbero dovuti attivare in maniera adeguata; in sede di adozione della deliberazione di approvazione del rendiconto, sono state espresse da un consigliere comunale riserve sulla reale consistenza dei residui attivi ed e' stata diffidata l'amministrazione comunale di Chieti ad utilizzare l'avanzo di amministrazione, con richiesta alla Corte dei conti di quantificare il relativo danno. Nelle relazioni del competente magistrato riguardanti gli altri esercizi, oltre analoghe risultanze, sono inoltre emerse le seguenti criticita': per il 1999 (relazione n. 235/05) si sono registrati inviti del Collegio dei Revisori a limitare le consulenze esterne e a procedere al recupero di canoni di locazione, e sono stati avanzate in consiglio comunale riserve sulla reale consistenza dei residui attivi e sull'equilibrio di bilancio; per il 2000 (relazione n. 236/05) in sede di consiglio comunale e' stato segnalata la necessita' di una adeguata ricognizione dei residui attivi, sulla loro entita' ed incidenza percentuale rispetto agli accertamenti, e sulla loro natura prevalente di crediti inesigibili in quanto assai risalenti; per il 2001 (relazione n. 237/05), oltre alle perplessita' sulla esigibilita' dei residui attivi espresse in sede di consiglio comunale, si e' rilevata la forte incidenza dei 23 miliardi di lire di residui passivi; per il 2002 (relaz. 238/05), oltre alle criticita' relative ai residui gia' rilevate negli esercizi precedenti, e' stato precisato che il rendiconto della gestione e' stato approvato con il verbale di deliberazione del Commissario ad acta (seduta 21 novembre 2003). Il magistrato relatore ha chiesto la remissione al collegio anche dei conti per tutti questi altri esercizi. E' seguito per ciascuno, in data 4 ottobre 2005, il pedissequo decreto presidenziale di fissazione d'udienza per oggi. Non constano successive allegazioni documentali o deduzioni provenienti dall'ente locale o dal tesoriere. Nell'udienza in data odierna il rappresentante del pubblico ministero ha preso atto delle anomalie evidenziate negli atti del giudizio, riservando alla Procura eventuali seguiti di competenza in ordine alla esistenza di eventuali fattispecie di resposabilita' a carico degli amministratori, al momento della remissione alla Procura medesima degli atti in questione e concordando peraltro con i dubbi, sollevati nella relazione, di costituzionalita' dell'intervenuta normativa che, avendo limitato la pronuncia alla sola gestione di cassa, preclude oggi al giudice contabile di accertare la effettivita' del risultato di gestione. D i r i t t o 1. - Preliminarmente viene disposta la riunione dei giudizi 16114/GCEL, 16115/GCEL, 16117/GCEL, 16118/GCEL e 16119/GCEL ai sensi dell'art. 274 c.p.c., per evidenti motivi di connessione, trattandosi dei conti di cinque esercizi consecutivi del medesimo tesoriere ed ente locale. 2. - I molteplici profili di criticita' nella gestione finanziaria del Comune di Chieti, nella misura in cui si riflettono in anomalie, riscontrate in sede di revisione nel conto del tesoriere, sono apparsi in sede di remissione al Collegio ed anche in sede di valutazione da parte di quest'ultimo, meritevoli di approfondimento e considerazione. Non e' possibile superare, in assenza di ulteriori chiarimenti dall'ente locale e in mancanza di approfondimenti istruttori da parte di questa sezione, i dubbi espressi dal magistrato relatore, che sembrano trovare riscontro nella documentazione depositata e nella discussione consiliare, evidenziandosi: a) un'allarmante consistenza dei residui attivi, risalenti per di piu' ad esercizi lontani; b) il costante e rilevante ripetersi di iscrizione di debiti fuori bilancio, da finanziarsi con l'avanzo di amministrazione, quale esposto nel conto; 3) l'ingente ammontare di pagamenti per interessi passivi e spese giudiziarie; 4) il crescere del fondo di cassa, rispetto al quale andrebbe accertato se siano stati effettuati, come per legge e nei tempi dovuti, i pagamenti; 5) la mancata previsione o il mancato accantonamento prudenziale di fondi atti a finanziare il reintegro del capitale delle societa' a partecipazione pubblica deficitarie; 6) la circostanza che il Comune di Chieti ha gia' affrontato, pochi anni or sono il procedimento di dissesto finanziario. Nell'occasione il collegio non puo' fare a meno dal rilevare come, sulla scorta di diverse istruttorie espletate nella regione, numerose amministrazioni fanno ricorso al mantenimento in bilancio di somme rilevanti di residui attivi, datati nel tempo, alla iscrizione in bilancio di entrate notevolmente sopravalutate (donde si spiega il forte scostamento tra accertamenti e riscossioni), al rinvio della registrazione dell'impegno per spese gia' effettuate o commissionate, al rinvio dei pagamenti per spese invece gia' impegnate, sia con l'intento di rispettare le limitazioni imposte dal legislatore nazionale nelle leggi finanziarie e nei provvedimenti c.d. taglia-spese, sia per dar luogo ad un avanzo di cassa che, assommato alla gestione dei residui attivi, determini un risultato di amministrazione positivo, con il quale si finanzia la spesa fuori bilancio, spesso di natura corrente. 3. - Cio' premesso, il collegio ricorda che, a seguito della entrata in vigore dell'art. 58 della legge n. 142/1990, recepito dal T.U. n. 267/2000, art. 93, comma 2, l'oggetto del presente giudizio e' stato limitato al conto del tesoriere (che rappresenta solo una parte e per di piu' quella di mera esecuzione del conto di bilancio dell'Ente, che e' invece un bilancio misto, di competenza e di cassa) e cio' ha precluso tra l'altro, a questo giudice l'accertamento sul merito giuridico e contabile delle poste di bilancio e la pronuncia sulla effettivita' del risultato finale di bilancio, diversamente da quanto consentiva l'abrogata legislazione, e segnatamente l'art. 226 del regolamento di esecuzione della legge comunale e provinciale approvato con r.d. 12 febbraio 1911, n. 297 - sulla base del bilancio consuntivo - che veniva depositato alla Corte in uno al conto del tesoriere ai sensi dell'art. 310, comma 4, abrogato dall'art. 274 del d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000. Cio' rende quindi la pronuncia di questo giudice nella materia largamente inadeguata anche sotto l'aspetto della verifica del rispetto dei principi di universalita', integrita' e veridicita' del bilancio, nonche' del rispetto delle regole poste con le leggi finanziarie in relazione al patto di stabilita' interno. Il Collegio non ignora che con sentenza n. 378 del 16 ottobre 1996 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 58, comma 2, e 64, comma 1, della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 97, primo e secondo comma, e 103, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia. Ma - alla stregua di una rilettura delle argomentazioni svolte dal Giudice delle leggi alla luce delle radicale riforme intervenute successivamente alla pubblicazione della stessa e dunque dell'innovato quadro normativo - sembra a questo giudice che la questione possa ed anzi debba riprospettarsi, non apparendo manifestamente infondata, ed in relazione all'allarme che si sta diffondendo presso l'opinione pubblica sulla realta' dei conti pubblici. A tale riguardo occorre rilevare: a) la norma di cui all'art. 46 della legge n. 142 del 1990 che sottoponeva al sindacato di legittimita' il bilancio preventivo e il conto consuntivo da parte del comitato regionale di controllo, la cui verifica comprendeva non solo la legittimita' degli atti di gestione, ma la loro coerenza interna e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonche' con i documenti giustificativi allegati alle stesse e' stato abrogato; b) e' residuato il solo controllo rimesso al collegio dei revisori, il quale e' organo interno dell'Ente e non provvisto dei necessari requisiti di autonomia dal potere politico che possano far ritenere la pur importante funzione avulsa da condizionamenti diversi. Se e' vero che la legge pone a carico dei revisori l'obbligo di referto al consiglio comunale o provinciale su gravi irregolarita' di gestione con contestuale denuncia ai competenti organi giurisdizionali ove si configurino ipotesi di responsabilita', e che l'art. 1, comma 3, della legge n. 20 del 1994, stabilisce che qualora la prescrizione del diritto al risarcimento del danno sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia tali disposizioni possono al piu' valere come richiamo alle responsabilita' dei singoli, ma non a corrispondere alla richiesta avanzata in questo e negli altri giudizi da parte degli stessi amministratori o da componenti l'opposizione (preoccupati di trovare la cassa vuota quando vengano chiamati a rispettare gli impegni assunti dinanzi agli elettori) che richiedono una pronuncia «accertativa» delle risultanze di bilancio, con eventuale modifica degli stessi - sicuramente da condursi in contraddittorio con l'amministrazione sulla base del novellato art. 111 Cost., cosi' come la legge consentiva prima del 1990. Con cio' non si intende sminuire l'importante ruolo svolto dal collegio dei revisori, la cui attivita' non puo' che essere propedeutica e necessaria ai fini del definitivo accertamento del giudice contabile, ma semplicemente far rilevare il maggior grado di affidabilita' di cui gode la Corte per Costituzione, che, per la sua posizione di indipendenza dal Governo, come e' dimostrato in questo giudizio ed in quello relativo al Comune di Scanno anch'esso rimesso per il giudizio di costituzionalita', dal fatto che sono gli stessi componenti del consiglio comunale o capi di amministrazione a chiedere al giudice contabile, anziche' ai revisori, la pronuncia sulla gestione. Cio' attesta l'esistenza, in questo nuovo assetto istituzionale e politico, di una rafforzata domanda di certezza sulla consistenza dei fondi realmente disponibili, che solo un'istituzione a cio' espressamente delegata dalla Costituzione con l'art. 103 e' legittimata a soddisfare, quale giudice competente «in materia di contabilita' pubblica». Va notato, per incidens, che analoga esigenza si pone per i conti dello Stato, come e' dimostrato dalla proposta avanzata da qualche parte politica di una nuova autorita' sui conti, senza pensare che per Costituzione a tali funzioni e' delegata, appunto, la Corte dei conti, di cui va recuperata la funzione accertativa, ridotandola degli strumenti necessari; c) non esiste conflitto o duplicazione di interventi rispetto all'azione di responsabilita' rimessa al Procuratore regionale, il quale agisce per individuare specifiche responsabilita' a carico di soggetti per i danni da essi prodotti (e tra i quali non si fanno rientrare i danni c.d. finanziari), in quanto mentre il giudizio di responsabilita' conduce alla condanna per il danno arrecato in relazione a comportamento gravemente colposi o dolosi, la pronuncia sul conto non e' finalizzata che ad accertare la veridicita' di alcuni dati fondamentali della gestione. Anche alla luce dell'art. 111 novellato, e' escluso che in questa sede possa essere elevate responsabilita' a carico di amministratori o dipendenti, in quanto si verte, ad una corretta lettura delle norme e della piu' autorevole dottrina, nell'ambito di una giurisdizione oggettiva, il cui risultato finale e' e non puo' che essere una «pronuncia di regolarita», e dunque una verifica sull'affidabilita' di dati, ponendosi quale strumento di garanzia per gli amministratori, nell'alternanza dei ruoli maggioranza-opposizione; d) ne' sussiste duplicazione di funzioni, nel contesto del rinnovato sistema dei controlli, rispetto alla istituzione della sezione della Corte dei conti, alla quale il legislatore (art. 13 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 786, come modificato dalla legge di conversione 26 febbraio 1982, n. 51, Disposizioni in materia di finanza locale), ha affidato il compito di riscontro sulla gestione finanziaria degli enti locali nell'intero contesto della finanza pubblica, pur nelle accresciute competenze previste dalla legge finanziaria 2006 (legge n. 266/2005 art. 1, commi 266 e segg.), che, tra l'altro, al comma 168, demanda alla stessa una «specifica pronuncia» in ordine «a comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, attribuendo ad essa poteri di mera "vigilanza" sull'adozione da parte dell'Ente locale di misure correttive». Il risultato di tale attivita' tuttavia si concretizza sostanzialmente in un «referto», che e' cosa ben diversa da quella accertativa svolta nella sede giurisdizionale, attraverso un istituto di cui inesattamente si denuncia il superamento. In questa, attraverso una procedura preliminare che appare moderna ed agile (perche' conduce di norma ad un decreto di regolarita', emesso su conforme proposta del magistrato istruttore e del procuratore regionale) e garantista perche' in caso di contestazioni si apre una fase collegiale, nel rispetto del principio del contraddittorio, si perviene ad una rapida pronuncia sulla attendibilita' dei dati esposti e in definitiva sulla correttezza di una gestione del bilancio conforme ai «principi fondamentali» che sono presenti nell'ordinamento e che, ai sensi della lettera f) dell'art. 2, comma 4, legge 5 giugno 2003, n. 131, sono in procinto di essere oggetto di apposito decreto legislativo. Cio' costituisce un momento insopprimibile di garanzia di correttezza della gestione, come lo stesso giudice delle leggi ebbe modo di affermare in piu' occasioni (vedi infra); e) e' d'uopo ricordare che, anteriormente alla sentenza della Corte costituzionale n. 55 del 1966, il conto del tesoriere dei comuni e delle province veniva sottoposto al giudizio dei consigli di prefettura, previa approvazione da parte del consiglio comunale o provinciale, ai sensi dell'art. 310, quarto comma, del testo unico della legge comunale e provinciale n. 383 del 1934. Il giudizio sul rendiconto degli enti locali aveva allora ad oggetto non soltanto la gestione del tesoriere, ma anche il conto consuntivo dell'ente locale, e riguardava, pertanto, sia i fatti di gestione della tesoreria, sia i fatti di gestione degli amministratori. A seguito di tale sentenza, la competenza passo' alle competenti sezioni del contenzioso contabile della Corte dei conti, ma si affermo' in via meramente giurisprudenziale un orientamento secondo cui la stessa Corte avrebbe potuto far valere, attraverso una chiamata in giudizio iussu iudicis, la eventuale responsabilita' patrimoniale degli amministratori. E' fin troppo evidente che tale giurisprudenza non ha oggi piu' fondamento alla luce dei principi innovativi introdotti con l'art. 111 della Costituzione, per cui il giudizio deve essere limitato alla sola pronuncia oggettiva sulla affidabilita' del risultato finanziario; f) come istituto di giurisdizione oggettiva, il giudizio in questione puo' essere ritenuto strumento fondamentale di garanzia della certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestione e anzi che interferire con le funzioni della oggi denominata sezione delle autonomie verrebbe a costituire importante strumento di supporto e completamento della sua funzione, in quanto il referto di questa si baserebbe su dati resi piu' affidabili dall'intervenuta pronuncia di regolarita', che auspicabilmente dovrebbe avere luogo in termini estremamente ristretti. Del resto questa e' anche la chiara volonta' espressa dal legislatore che ha introdotto il termine quinquennale per la relativa pronuncia (art. 1 della legge n. 20/1994). 4. - Sulla base delle predette considerazioni sembra a questo giudice che si possa riproporre, alla luce anche delle prospettate riforme federaliste e costituzionali, la questione di costituzionalita' delle norme che hanno ristretto l'intervento del giudice contabile nella materia alla sola gestione di cassa. Infatti, la sottrazione del conto consuntivo al giudizio necessario di conto appare in contrasto anche con l'art. 103, secondo la lettura a questo data dalla Corte costituzionale (nelle sentenze nn. 68/1971; 63/1973; 114/1974; 129/1981; 185/1982; 189/1984; 1007/1988) e dalla Corte di cassazione (per tutte cfr. ss.uu. sentenze nn. 2616/1968; 3375/3384 del 19 luglio 1989); entrambe, infatti, hanno affermato da un parte che la norma predetta, nel riservare alla Corte dei conti le materie di contabilita' pubblica, sotto l'aspetto oggettivo, ne ha confermato la nozione tradizionalmente accolta, comprensiva del giudizio di responsabilita' e del giudizio di conto, e dall'altra che questo costituisce insopprimibile momento di garanzia della correttezza della gestione degli amministratori degli enti locali a tutela dei contribuenti. In particolare, nella sentenza n. 114 citata si afferma che e' principio generale del nostro ordinamento il necessario assoggettamento del pubblico denaro (proveniente dalla generalita' dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni) al giudizio necessario di conto; infatti «a nessun ente gestore di mezzi di provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia comunque maneggio di denaro e valori di proprieta' dell'ente e' consentito sottrarsi alla garanzia costituzionale della correttezza della gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto giudiziale». Tali principi sono stati confermati con la sentenza n. 1007/1988 citata della Corte costituzionale che ha ritenuto illegittimo l'art. 122, primo comma, del d.l. del presidente della regione siciliana del 29 ottobre 1955, n. 6, convalidato con l.r. 15 marzo 1963, n. 16, per contrasto con l'art. 103, nella parte in cui si attribuiva al consiglio comunale il potere di deliberare in conto consuntivo con effetti sostitutivi della decisione della Corte dei conti: da tale sentenza si evince in maniera chiara che cio' che deve essere sottoposto a giudizio e' non solo il conto di cassa, ma il conto consuntivo, e cio' corrisponde ad un «principio fondamentale dello Stato di diritto» recepito dall'art. 103. 5. - In piu', vi e' un altro motivo per rilevare la non manifesta infondatezza di un conflitto rinnovato tra i principi ivi confermati e la scelta legislativa di limitare la cognizione al conto del tesoriere a legislazione vigente non vi sono altre opzioni adeguatamente praticabili per dare seguito ai rilievi formulati con riferimento a profili che, appartenendo solo per riflesso al conto del tesoriere, impongono piu' specificamente al conto finanziario dell'Ente, dato che risulta mutato il quadro complessivo della disciplina dei controlli per la finanza locale, quale si e' determinata a seguito di interventi legislativi medio tempore intervenuti, segnatamente quelli connessi alle leggi Bassanini non ultima la abolizione dei CO.RE.CO. Ma a fronte di una diminuita estensione e intensita' dei controlli, si registra per adverso una acuita necessita' di tenere in regola i conti della finanza locale, derivante non solo dalla contingente criticita' della situazione economica nazionale, quanto anche dall'assunzione del nostro Paese di vincoli e impegni particolarmente rigorosi a livello nazionale e in sede internazionale o piu' propriamente sovranazionale in relazione all'adesione dell'Italia all'Unione Europea e alla Moneta Unica. Sotto il primo aspetto, non si puo' non richiamare alla memoria la portata innovativa della disciplina introdotta con la legge costituzionale n. 3 del 2001 nella materia finanziaria e la successiva normazione primaria in tale ambito. Basti considerare che l'art. 29 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 ha disciplinato il patto di stabilita' interno per gli enti territoriali. Tale normativa ha infatti disposto che ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica, ciascuna regione a statuto ordinario, ciascuna provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti concorre alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica - per il triennio 2003-2005 (adottati con l'adesione al patto di stabilita' e crescita, nonche' alla condivisione delle relative responsabilita) - con il rispetto delle disposizioni normative emanate in virtu' e per effetto dei principi fondamentali che sottendono il coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117 e 119, secondo comma, della Costituzione. Basti considerare, in questa sede, che e' statuito che il disavanzo finanziario, di ciascuna provincia e di ciascun Comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti, non puo' essere superiore a quello risultante dall'applicazione, al corrispondente disavanzo finanziario del penultimo anno precedente, di una percentuale di variazione definita, per ciascuno degli anni considerati, dalla legge finanziaria. Ad esempio, in prima applicazione, per l'anno 2005, la percentuale era fissata nel 7,8 per cento rispetto al 2003. Questa stringente disciplina affida fondamentali compiti di verifica di raggiungimento di tali obiettivi, nell'ambito degli enti locali, non ad organi esterni bensi' al Collegio dei Revisori. In piu' occasioni, anche da parte della Ragioneria generale dello Stato e' stato posto l'accento sull'esigenza del rispetto dei principi di cui all'art. 119 della Costituzione, secondo il quale «Comuni, province, citta' metropolitane e regioni ... possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese d'investimento». E' precisamente in considerazione delle norme ricavabili dall'art. 119 Cost. che il raccordo della finanza statale con quella degli Enti territoriali che occorre dimensionare correttamente le funzioni attribuite ad organi terzi ed esterni, quali la Corte dei conti, non solo e non tanto in funzione di deterrenza verso le patologie o di sanzione, ma specificamente di garanzia (per lo Stato e per gli amministratori locali) della veridicita' e dell'attendibilita' delle poste in bilancio, in assenza delle quali l'attuazione dell'art. 119 Cost. appare impratibabile. Ma la riforma del titolo V della Costituzione, se per un verso riconosce la piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle regioni e degli enti locali, per l'altro, attribuisce espresso rilievo ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, che, nell'ambito della politica di bilancio sono costituiti da regole sui saldi, alle quali si connette anche la previsione di sanzioni. I vincoli derivanti dalla appartenenza all'Unione economica monetaria comportano l'attribuzione a livello statale della responsabilita' in ordine sia alla determinazione degli obiettivi finanziari validi per il complesso delle amministrazioni pubbliche, sia al conseguimento dei saldi prefissati e, in generale, al rispetto delle regole stabilite dal Trattato CE e dal Patto di stabilita' e crescita. Il rispetto di tutti questi vincoli, in un quadro di potenziamento delle autonomie territoriali, non puo' ragionevolmente essere realizzato con una gestione accentrata, statale, di tipo imperativo. A conferma di cio' e' recentemente intervenuta la pronuncia con la quale la Corte costituzionale ha giustamente affermato (Sent. n. 417/2005) l'illegittimita' di disposizioni statuali che intervengano con «tagli» nella finanza Regionale rapportati a singole voci di spesa. La natura di bilancio misto del conto di gestione dell'ente, la impossibilita' di rilevare gli impegni o gli accertamenti, non essendo inseriti nel conto del Tesoriere, anche per la verifica di obblighi imposti normativamente allo stesso (rispetto dei limiti di pagamento, limiti alle anticipazioni di tesoreria etc.) oltre che gli scostamenti anomali tra riscossioni ed accertamenti o ritardi od omissioni di pagamenti al fine di creare artificialmente un avanzo di cassa tale da influenzare il risultato di amministrazione (anche attraverso la allocazione fuori del bilancio di spese cui non si puo' far fronte) rende le citate norme limitative contrastanti con ogni principio di ragionevolezza e quindi con l'art. 3 della Costituzione, dato che il conto del tesoriere e' solo la parte esecutiva del bilancio. 6. - Cio', ad avviso del Collegio, comporta la necessita' di riespandere alla sua fisiologica area di cognizione lo specifico strumento del giudizio di conto, che appare strumento compatibile con l'assetto delle autonomie sia sotto il profilo funzionale (provenendo dal potere giurisdizionale) sia sotto quello territoriale (grazie al radicale decentramento attuato dalla Corte dei conti nell'ultimo decennio). Ne' puo' ritenersi equivalente l'attribuzione con l'art. 7, comma 7, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (recante disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3) alla Corte dei conti della funzione di referto (arricchita con le accresciute competenze conferite dalla legge finanziaria del 2006, artt. 166 e seguenti) in ordine agli andamenti complessivi della finanza locale ed al rispetto del patto di stabilita' e dei vincoli U.E. Sia poi sufficiente accennare che l'assenza di sanzioni (come e' stato anche recentemente sottolineato da autorevole dottrina) sembra legittimare in molti casi le amministrazioni a non tener conto dei rilievi formulati. E d'altro canto forse non e' un caso che la sanzione prevista dall'art. 248, comma 5 del citato decreto legislativo n. 267/2000 per gli amministratori ritenuti responsabili del dissesto finanziario non risulta sia mai stata applicata: verosimilmente cio' discende anche dalla presenza dei limiti introdotti nel giudizio di conto in questione; senza considerare che sembra rispondere maggiormente a criteri di ragionevolezza l'esigenza di prevenire il dissesto attraverso la verifica delle violazioni della normativa contabile nel loro maturarsi. Anche sotto tale profilo si evidenzia il contrasto con l'art. 3 della Costituzione di una normativa che, mentre vuol sanzionare il dissesto, preclude alla Corte dei conti la possibilita' di verificare le poste di bilancio esercizio per esercizio, rettificando, se del caso, il risultato di amministrazione. 7. - Riassumendo le suesposte considerazioni, non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme limitative della giurisdizione della Corte dei conti sui conti giudiziali quali attualmente vigenti a seguito della sostanziale trasfusione delle disposizioni della legge n. 142/1990 nel T.U. 267 del 2000. Cio' contrasta, come gia' ampiamente illustrato supra, con il principio della non arbitrarieta' e irragionevolezza dell'operato del legislatore ordinario (art. 3 Cost.); con il rispetto degli impegni assunti nei confronti delle organizzazioni sopranazionali alle quali lo Stato italiano ha aderito (art. 11 Cost.); con il rispetto sostanziale del limite minimo, posto al legislatore anche nell'esercizio di una sua legittima interpositio, nella modulazione delle attribuzioni costituzionalmente attribuite alla Corte dei conti (art. 103 Cost.); con i principi del raccordo della finanza statale con quella degli Enti territoriali (art. 119 Cost.).
P. Q. M. Nel giudizio sui conti in epigrafe indicati, visti gli artt. 134 della Costituzione, I della lege costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e della legge 11 marzo 1953, n. 87, sospende il giudizio medesimo e solleva d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 93, comma 2 del T.U. approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 - nella parte in cui limita il giudizio di conto alla gestione del Tesoriere - e del successivo art. 226 - nella parte in cui prevede la trasmissione alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, ai fini del giudizio, del solo conto della propria gestione di cassa - nonche' dell'art. 274 dello stesso decreto - nella parte in cui abroga l'art. 310, comma 4, del r.d. 3 marzo 1934, n. 383 (confermando implicitamente l'abrogazione dell'art. 226 del r.d. n. 297 del 1911 disposta con l'art. 64, comma 1, della legge n. 142/1990) che demandava al giudice contabile la pronuncia sul conto sia dell'Ente che del tesoriere, ed in particolare del merito giuridico e contabile delle poste di bilancio - in relazione agli artt. 3, primo comma, 11, secondo comma, 103 secondo comma e 119 della Costituzione. Dispone che a cura della segreteria, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale. Ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza sia notificata al tesoriere, al Sindaco del Comune di Chieti, all'ufficio del Procuratore regionale per l'Abruzzo, alla Procura generale della Corte dei conti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri, e comunicata a Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deliberato in l'Aquila nella Camera di consiglio del 5 aprile 2005. Il Presidente: Minerva L'estensore: Dammicco 07C0073