N. 81 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 settembre 2006
Ordinanza emessa il 11 settembre 2006 dal tribunale amministrativo regionale della Sicilia - Sez. staccata di Catania - sul ricorso proposto da comune di Scicli contro Commissario ad acta c/o Assessorato regionale famiglia, politiche sociali e delle autonomie locali ed altri. Giustizia amministrativa - Controversie relative alla legittimita' delle ordinanze e dei conseguenziali provvedimenti commissariali adottati in tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225 - Competenza, in via esclusiva, in primo grado, attribuita al Tribunale amministrativo regionale del Lazio - sede di Roma - Irragionevole deroga al principio della competenza del Tribunale amministrativo regionale della Regione in cui il provvedimento e' destinato ad avere incidenza - Violazione del diritto di difesa e del principio del giudice naturale - Violazione del principio del decentramento territoriale della giurisdizione amministrativa - Violazione della norma statutaria che attribuisce al Tribunale amministrativo regionale Sicilia le controversie di interesse regionale. - Decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245, art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, introdotti dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21. - Costituzione, artt. 3, 24, 25 e 125; Statuto della Regione Siciliana, art. 23.(GU n.10 del 7-3-2007 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza ai sensi dell'art. 23, comma 2, legge n. 87/1953 sul ricorso n. 1321/06/R.G. proposto da comune di Scicli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Dorotea Alfano, con domicilio eletto in Catania, via Milano n. 25, presso l'avv. Corrado Garofalo; Contro commissario ad acta nominato con decreto n. 73 in data 23 gennaio 2006 del commissario delegato per l'emergenza idrica, Presidente della Regione Siciliana non costituito in giudizio; Ministero dell'interno in persona del Ministro pro tempore; Presidenza della Regione Siciliana in persona del Presidente pro tempore; Commissario delegato pro tempore per l'emergenza idrica, tutti rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria; Autorita' d'Ambito dell'A.T.O. di Ragusa in persona del legale rappresentante pro tempore c/o la Provincia regionale di Ragusa, non costituita in giudizio, per l'annullamento: della delibera n. 1 del 27 febbraio 2006 del commissario ad acta ad oggetto: «Revoca delibera di consiglio comunale n. 139 del 13 febbraio 2006. Approvazione schema atto costitutivo, statuto e convenzione per la costituzione della societa' mista per la gestione del 5.1.1.»; dell'atto di diffida e messa in mora del 16 febbraio 2006 (prot. n. 4575) ad oggetto: «Schema atto costitutivo, statuto e convenzione per la costituzione della societa' mista per la gestione del 5.1.1. «con il quale il commissario ad acta pur preso atto della delibera del consiglio comunale n. 139 del 13 ottobre 2005 ha diffidato invece il c.c. ad approvare entro cinque giorni il suddetto schema, avvertendo che in mancanza si sarebbe sostituito al predetto organo ai fini dell'adempimento; del decreto del Commissario delegato per l'emergenza idrica, n. 73 del 23 gennaio 2006, prot. n. 701 ad oggetto «Intervento sostitutivo per la definizione degli adempimenti previsti dal d.P.R. reg. 7 agosto 2001, n. 209 - convenzione per la gestione del Servizio idrico integrato e relativo Disciplinare tecnico; nonche' dell'O.M. (Ministero dell'interno) n. 3189/2002 e di tutti gli atti presupposti e consequenziali. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Designato relatore per la camera di consiglio dell'8 giugno 2006 il referendario Maria Stella Boscarino; Sentiti gli avvocati delle parti, come da verbale; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o Il comune ricorrente espone che, in applicazione della legge n. 36 del 5 gennaio 1994 (legge Galli) recepita nella regione Siciliana dalla legge regionale n. 10/1999 (art. 69), sono state istituite le c.d. - Autorita' d'Ambito», costituite dagli Enti locali ricadenti in un determinato territorio aventi il compito di provvedere all'organizzazione del «Servizio idrico integrato» nei vari ambiti territoriali ottimali di riferimento - A.T.O. specificamente individuati per la Sicilia con d.P.R. reg. n. 114 del 16 maggio 2000 e n. 16 del 29 gennaio 2002. In data 10 luglio 2002 e' stato costituito L'Ambito Territoriale Ottimale di Ragusa, la cui proposta del Piano d'ambito e' stata approvata dall'Assemblea dell'A.T.O. in data 20 dicembre 2002. In data 16 settembre 2003 sono stati approvati dall'Assemblea dell'A.T.O. la convenzione di gestione ed il relativo Disciplinare tecnico. Ai fini della gestione del servizio, gli enti locali del predetto Ambito in sede di Conferenza dei Sindaci si orientavano per la scelta di una gestione in forma societaria-mista, approvando lo schema dell'atto costitutivo, dello statuto e della convenzione di gestione. Tuttavia, tale formula non soddisfaceva la collettivita' che manifestava vivo dissenso avverso tale forma di gestione, sicche' in data 13 ottobre 2005 il consiglio comunale di Scicli, con delibera n. 139, non approvava lo schema dell'atto costitutivo, dello statuto e di tutti gli atti connessi. Ma in data 13 dicembre 2005 il commissario delegato per l'emergenza idrica diffidava il consiglio comunale, che pure si era pronunciato espressamente sul punto, a ratificare l'operato della conferenza dei Sindaci; quindi con successivo decreto n. 73 del 23 gennaio 2006, nell'esercizio di poteri sostitutivi e derogatori, nominava il commissario ad acta il quale provvedeva ad emettere gli atti impugnati. Il ricorso e' stato notificato in data 27 aprile 2006, ed e' stata fissata la Camera di consiglio dell'8 giugno 2006 per la trattazione della domanda cautelare. Si sono costituite in giudizio le P.A. intimate, ad eccezione dell'A.T.O., eccependo che il d.l. 30 novembre 2005, n. 245, convertito con modificazioni dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21, all'art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, ha disposto che con riguardo alle vicende relative alle situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 225/1992, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei conseguenti provvedimenti commissariali spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. La questione della competenza e' rilevata d'ufficio e decisa con sentenza succintamente motivata, prima di qualsiasi decisione anche se attinente alla fase cautelare. Le amministrazioni hanno eccepito, quindi, la sopravvenuta incompetenza del Tribunale amministrativo regionale adito, in favore della competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio - Sede di Roma -, tenuto conto che oggetto del ricorso e' anche il decreto del Commissario delegato per l'emergenza idrica n. 73 del 23 gennaio 2006, nonche' l'O.M. n. 3189/2002, provvedimenti emessi ai sensi delle sopra indicate disposizioni. Nella Camera di consiglio del giorno 8 giugno 2006 il ricorso e' passato in decisione. D i r i t t o Il Collegio, chiamato a decidere sulla domanda cautelare di sospensione dell'esecuzione degli atti impugnati, deve affrontare la questione relativa alla competenza inderogabile del Tribunale amministrativo regionale del Lazio a conoscere della vicenda introdotta dalla legge n. 21/2006 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 23 del 28 gennaio 2006, che, all'art. 3, per quel che qui rileva dispone: ... omissis ... «2-bis. In tutte le situazioni di emergenza dichiarate ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992, n. 225, la competenza di primo grado a conoscere della legittimita' delle ordinanze adottate e dei consequenziali provvedimenti commissariali spetta in via esclusiva, anche per l'emanazione di misure cautelari, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma. 2-ter. Le questioni di cui al comma 2-bis, sono rilevate d'ufficio. Davanti al giudice amministrativo il giudizio e' definito con sentenza succintamente motivata ai sensi dell'art. 26, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni, trovando applicazione i commi 2 e seguenti dell'art. 23-bis della stessa legge. 2-quater. Le norme di cui ai commi 2-bis e 2-ter si applicano anche ai processi in corso. L'efficacia delle misure cautelari adottate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2-bis permane fino alla loro modifica o revoca da parte del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, cui la parte interessata puo' riproporre il ricorso». Osserva il collegio che la fattispecie in esame e' attratta nell'applicazione della citata legge n. 21/2006, art. 3. Il collegio, pertanto, ritenendola rilevante ai fini della decisione da assumere in ordine alla predetta trasmissione degli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio e non manifestamente infondata, solleva questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 3, e segnatamente del comma 2 nelle sottonumerazioni bis, ter, quater, come sara' esposto nei seguenti paragrafi e come gia' fatto in ordine ad altre fattispecie per la cui decisione e' venuta in rilievo la medesima norma sia dallo stesso tribunale (Tribunale amministrativo regionale Sicilia, I, ord. n. 90 del 7 marzo 2006) sia dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana (Ord. n. 368/2006 del 18 maggio 2006). I) La rilevanza della questione ai fini della decisione da assumere e' di tutta evidenza. Il collegio sarebbe tenuto, sulla base della normativa sopravvenuta - ove non dubitasse della incostituzionalita' di essa e quindi non ritenesse necessario investire il giudice delle leggi della relativa questione - a trasmettere gli atti al Tribunale amministrativo regionale Lazio. II) Circa la non manifesta infondatezza e le ragioni che fanno sospettare le norme in esame di incostituzionalita', osserva il collegio che la normativa introdotta dal legislatore con l'art. 3, comma 2, da bis a quater, della legge n. 21/2006, contrasta innanzitutto con l'art. 125 della Costituzione, e segnatamente con il principio della articolazione su base regionale degli organi statali di giustizia amministrativa di primo grado ivi espressa («Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica») che implica il rilievo e la garanzia costituzionale della sfera di competenza dei singoli organi predetti. Non appaiono, all'evidenza, manifeste o comunque sufficienti ragioni logiche o di coerenza istituzionale per derogare a tale sfera di competenze costituzionalmente garantita nella materia di cui trattasi quando, come nel caso in esame, le singole situazioni di emergenza hanno rilievo spiccatamente locale con conseguente efficacia locale dei relativi provvedimenti adottati dai soggetti delegati alla cura delle varie situazioni emergenziali, anche se (arg. ex art. 2, comma 1, lett. «c» della legge n. 225/1992, richiamato dall'art. 5 comma 1, legge cit.) essi sono adottati per fare fronte a situazioni che «per intensita' ed estensione debbono essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari». III) Anzi, sotto questo aspetto, la norma e' altresi' contraddittoria ed irrazionale in quanto sottopone al medesimo trattamento processuale situazioni disparate e differenti tra di loro. In questo quadro, l'art. 5, comma 1 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, richiama, ai fini della applicazione dell'intera disposizione normativa, i casi in cui (ex art. 2 comma 1 lett. «c» della legge n. 225/1992) sia necessario fare fronte con mezzi e poteri straordinari alle calamita' naturali, catastrofi o gli altri eventi che richiedano tale intervento per intensita' ed estensione. La previsione di cui alla legge n. 21/2006 radica la competenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio in tutti i casi in cui sia dichiarato lo stato di emergenza ai sensi del comma 1 dell'art. 5 appena citato e quindi con esclusione dei casi di intervento di protezione civile per gli eventi che possano essere affrontati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria (art. 2 lett. «a») e di quelli che richiedano intervento coordinato di questi ultimi (art. 2 lett. «b»). Quindi, il sistema della Protezione civile e' articolato in vari livelli di intervento, contraddistinti dal corrispondente grado di ampiezza della situazione emergenziale. Quindi per ogni tipologia territoriale e «qualitativa» della situazione di emergenza e' chiamato ad intervenire in merito il «livello» di governo piu' vicino alla concreta dimensione delle comunita' colpite e della natura dell'emergenza, quindi secondo un chiaro criterio di sussidiarieta' e senza escludere - funzionalmente e residualmente, che determinate funzioni siano «trasversali» ossia comprendano le competenze di piu' amministrazioni o livelli di governo. A fronte di questa multiformita' possibile di manifestazioni concrete dell'esercizio del potere, la regola generale di ripartizione delle competenze delineata dagli artt. 2 e ss. della legge Tribunale amministrativo regionale appresta una tutela coerente con l'art. 125 della Costituzione: derogando ad essa, l'art. 3 della legge n. 21/2006, contraddittoriamente ed immotivatamente assegna ex lege rilevanza nazionale a qualsiasi controversia insorga nell'esercizio del potere di protezione civile, facendo leva solo sulla necessita' che esso presupponga l'intervento extra ordinem e quindi a dispetto dell'articolazione del potere previsto dalla legge n. 225/1992, posto che assegna la competenza funzionale a conoscere delle relative questioni al Tribunale amministrativo regionale Lazio (e quindi spinge l'interprete a dover ritenere che il legislatore abbia cristallizzato una valutazione di rilevanza nazionale di qualsiasi questione inerente la Protezione civile, richieda interventi extra ordinem). Appare utile rilevare, in questa sede, come la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia espressamente riconosciuto che: con l'art. 5 della legge n. 225 del 1992, e' attribuito al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di emergenza in ipotesi di calamita' naturali, ed a seguito della dichiarazione di emergenza, e per fare fronte ad essa, lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri o, su delega, il Ministro dell'interno possano adottare ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, nel rispetto dei principi generali dell'ordinato giuridico; l'art. 107, comma 1, lettere b) e c), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), a sua volta, chiarisce che tali funzioni hanno rilievo nazionale, escludendo che il riconoscimento di poteri straordinari e derogatori della legislazione vigente possa avvenire da parte di una legge regionale; queste ultime due previsioni, inoltre, sono gia' stata ritenute dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 2003) come espressive di un principio fondamentale della materia della protezione civile, sicche' deve ritenersi che esse delimitino il potere normativo regionale, anche sotto il nuovo regime di competenze legislative delineato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione). Alla luce di quanto sopra ricordato, la Corte ha dichiarato illegittimo l'art. 4, comma 4, della legge della Regione Campania n. 8 del 2004, nella misura in cui essa ha attribuito al Sindaco di Napoli i poteri commissariali dell'ordinanza n. 3142 del 2001 del Ministro dell'interno, dopo la scadenza della emergenza alla cui soluzione tale ordinanza era preordinata, in quanto in contrasto con l'art. 117, terzo comma, della Costituzione (Corte cost. n. 82/2005). Tale ragionamento comporta che, in relazione alla legge n. 225/1992 ed all'art. 107, comma 1, lettere b e c d.lgs. n. 112/1998, possiedono rilievo nazionale «solamente» il potere di dichiarare lo stato di emergenza e quello, distinto dal primo seppure ad esso finalisticamente connesso, di derogare a norme dell'ordinamento. Ne consegue dunque che, sotto questo profilo, la norma in esame e' irragionevole per contraddittorieta' e disparita' di trattamento processuale, poiche' utilizza lo stesso trattamento per situazioni del tutto differenti quanto ad ambito territoriale e livello e qualita' degli interessi pubblici coinvolti, nonche' per contrasto con l'art. 117 della Costituzione, poiche' implicitamente, finisce per attribuire rilievo nazionale anche alle questioni riservate alla competenza regionale. IV) Ancora, l'aggravio della tutela giurisdizionale, soprattutto ove, come nella specie, esso non sia giustificato da una effettiva natura accentrata (o dall'efficacia estesa a tutto il territorio) dei provvedimenti sui quali deve esercitarsi la cognizione del Tribunale amministrativo regionale Lazio, comporta indubbia violazione dell'art. 24 della Costituzione, in particolare della possibilita' di tutela dei propri diritti ed interessi enunciata al primo comma; detta tutela ne risulta minorata, per la evidente maggiore difficolta' di esercitare le relative azioni presso il Tribunale amministrativo regionale del Lazio piuttosto che presso gli organi giurisdizionali localmente istituiti. L'aggravio appare piu' che evidente in una controversia quale quella in esame, di carattere assolutamente e spiccatamente locale. V) Altri profili di incostituzionalita' vanno ravvisati, inoltre, nella violazione del principio del giusto processo di cui all'art. 111 della Costituzione e del principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa, che, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta, nella parte della disciplina in questione (comma 2-quater), che consente una riforma dei provvedimenti assunti, in sede cautelare, nei giudizi pendenti, e cio' ad opera di un organo giurisdizionale pariordinato a quelli di provenienza (trattasi di giudici tutti di primo grado, il Tar del Lazio non essendo un «super-Tar»). Cosi' facendo, in sostanza, il Legislatore ha introdotto un rimedio inedito, che non e' di secondo grado e che finisce per costituire un doppione del gia' espletato giudizio (cautelare) di primo grado, senza alcuna possibilita' di inquadramento tra i rimedi noti e tipizzati (appello, revocazione, reclamo). Atteso che il principio del doppio grado di giudizio nella giustizia amministrativa, sia in sede cautelare sia in sede di merito, riceve garanzia costituzionale dall'art. 125 della Carta (cfr. Corte cost., sentenza n. 8 del 1982), si configura un ulteriore profilo di violazione di detta norma. Viene infatti ad essere introdotto, per le controversie introdotte avanti al Tribunale amministrativo regionale locale, un anomalo percorso che stravolge l'ordinario iter giudiziario. La regola e' che ad un giudizio di primo grado segua, ove la parte soccombente appelli, un giudizio di secondo grado, sia che si tratti di giudizio cautelare, sia che si tratti di giudizio di merito; giammai e' prevista una doppia pronuncia sulla stessa materia da parte di due diversi giudici di primo grado, uno dei quali abilitato a riformare la decisione del primo giudice. Orbene, ad avviso del collegio, siffatta disciplina integra altresi' violazione del principio del «giusto processo», di cui all'art. 111, comma primo, della medesima Carta («La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»). Infatti, la parte soccombente nel giudizio cautelare verrebbe ad essere fornita di uno strumento giurisdizionale anomalo e atipico a tutela della propria (legittima, ma da esercitare in modi conformi ai principi costituzionali) aspirazione ad ottenere una pronuncia favorevole in secondo grado (che deve tuttavia essere un vero giudizio di secondo grado, e non, si ribadisce, un inedito duplicato del giudizio di primo grado). Cio' comporterebbe altresi' una evidente violazione del principio del ne bis in idem, che, se pure non espressamente contemplato dalla Carta costituzionale, deve ritenersi corollario del medesimo generale principio del «giusto processo» teste' richiamato. VI) Da ultimo, secondo un aspetto diverso che si riconnette al tema del giudice naturale, la norma in esame viola l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia (legge costituzionale n. 2 del 26 febbraio 1948) a norma del quale: «Gli organi giurisdizionali centrali avranno in Sicilia le rispettive sezioni per gli affari concernenti la regione. Le Sezioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti svolgeranno altresi' le funzioni rispettivamente, consultive e di controllo amministrativo e contabile. I magistrati della Corte dei conti sono nominati, di accordo, dai Governi dello Stato e della regione. I ricorsi amministrativi, avanzati in linea straordinaria contro atti amministrativi regionali, saranno decisi dal Presidente della Regione sentite le Sezioni regionali del Consiglio di Stato». Tale norma e' stata «interpretata» dall'art. 5 del d.lgs. 6 maggio 1948 n. 654, contenente norme per l'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio di Stato nella Regione Sicilia, il quale prevede che il Consiglio di Giustizia esercita le attribuzioni devolute dalla legge al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale nei confronti di atti e provvedimenti definitivi «dell'amministrazione regionale e delle altre autorita' amministrative aventi sede nel territorio della regione». Osserva il Collegio che gia' con «la sentenza della Corte cost. in data 12 marzo 1975 n. 61, dichiarando l'illegittimita' costituzionale delle limitazioni poste dall'art. 40 legge 6 dicembre 1971 n. 1034 alla competenza del Tribunale amministrativo regionale Sicilia, e' stato ritenuto che siano state a quest'ultimo conferite tutte le controversie d'interesse regionale considerate tali dall'art. 23, comma 1, d.l. 15 maggio 1946 n. 455, comprendendosi in tale categoria le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale ovvero concernenti pubblici dipendenti in servizio nella regione siciliana» (Consiglio Stato, sez. VI, 26 luglio 1979, n. 595). Quindi la legge n. 21/2006, in esame, e' costituzionalmente illegittima anche nella sua parte in cui, in violazione dell'art. 23 dello Statuto regionale, sia nella sua formulazione letterale, che nella interpretazione pacifica che di esso ha maturato la giurisprudenza, anche costituzionale, riserva al Consiglio di Giustizia Amministrativa ed in primo grado al Tribunale amministrativo regionale Sicilia, la competenza a conoscere circa le controversie sorte da impugnazione di atti amministrativi di autorita' centrali aventi effetti limitati al territorio regionale. VII) Per tute le esposte considerazioni, deve sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125 e 24 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia. Deve pertanto essere disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della predetta questione di legittimita' costituzionale, sospendendosi il giudizio sia cautelare che di merito instaurato con il ricorso in epigrafe, fino alla restituzione degli atti da parte della medesima Corte.
P. Q. M. Solleva, ritenutala rilevante e non manifestamente infondata, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2-bis, comma 2-ter, comma 2-quater, legge n. 21/2006, per contrasto con gli artt. 3, 125 e 24 della Costituzione e per contrasto con l'art. 23 dello Statuto della Regione Sicilia. Dispone, a norma dell'art. 23/2 legge n. 87/1953, l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Il giudizio sia cautelare che di merito resta sospeso sino alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale. Manda alla segreteria di notificare copia della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Catania, in Camera di consiglio, in data 8 giugno 2006. Il Presidente: Zingales L'estensore: Boscarino 07C0246