N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2006

Ordinanza  emessa  il 24 maggio 2006 dalla Corte di appello di Trento
nel procedimento penale a carico di Mullaliu Dritan

Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita' per il
  pubblico  ministero  di  proporre  appello  contro  le  sentenze di
  proscioglimento   -   Preclusione   (salvo  nelle  ipotesi  di  cui
  all'art. 603,   comma 2,   se   la   nuova  prova  e'  decisiva)  -
  Inammissibilita' dell'appello proposto prima dell'entrata in vigore
  della novella - Lesione del principio di parita' tra le parti.
- Codice  di  procedura penale, art. 593, come modificato dall'art. 1
  della legge 20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46,
  art. 10, comma 2.
- Costituzione, art. 111, comma secondo.
(GU n.12 del 21-3-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  processo  di cui a
margine.
    Letti  gli  atti relativi all'appello proposto dal P.M. di Trento
avverso  la  sentenza  del  25  gennaio  2006  con  cui il G.u.p. del
Tribunale  di  Trento  assolveva  Muilaliu  Dritan dal reato di falsa
testimonianza perche' il fatto non sussiste;

                            O s s e r v a

    Nelle more del giudizio e' entrata in vigore la legge 20 febbraio
2006,  n. 46,  il  cui  articolo 1, comma 2 ha riformulato l'art. 593
c.p.p.  stabilendo  che  il p.m. puo' appellare contro le sentenze di
proscioglimento  nella  sola  ipotesi  che  dopo il giudizio di primo
grado  sopravvengano o siano scoperte nuove prove aventi il requisito
della  decisivita',  ed  il  cui  art. 10,  comma  2,  stabilisce che
l'appello  proposto  dal  p.m.  contro la sentenza di proscioglimento
prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  dev'essere  dichiarato
inammissibile.
    La  novella,  limitando  la facolta' di appello alla sola ipotesi
marginale   e  di  rarissima  verificazione  teste'  specificata,  ha
praticamente  soppresso  il  potere  del  p.m. di appellare contro le
sentenze di proscioglimento.
    Ritiene  peraltro  la  Corte  che le anzidette disposizioni della
nuova  legge creino una evidente disparita' di trattamento tra p.m. e
imputato,  laddove  si  nega  soltanto  al  primo  la possibilita' di
chiedere  un  controllo  di  merito  sulla  decisione  difforme dalle
proprie aspettative, e che tale asimmetria tra accusa e difesa sembri
travalicare  i  limiti  fissati dal secondo comma dell'art. 111 della
Costituzione,  a  norma  del  quale  «ogni  processo  si  svolge  nel
contraddittorio delle parti, in condizioni di parita».
    L'appello  nasce storicamente e si giustifica giuridicamente come
rimedio per correggere nel merito l'erronea decisione del giudice. Il
giudice   puo'   sbagliare  con  pari  probabilita'  sia  condannando
l'innocente  che assolvendo il colpevole, e l'interesse pubblico alla
punizione  del  reo  e' meritevole di tutela tanto quanto l'interesse
dell'imputato   all'affermazione   della  propria  innocenza.  Appare
pertanto   indubitabile   che   una   disciplina   che   preveda   un
contraddittorio  dimidiato  -  in  cui  l'imputato  soccombente  puo'
appellare,  mentre  il  pubblico  accusatore  non  puo' farlo, con la
conseguenza   che   gli   eventuali  errori  di  fatto,  in  caso  di
assoluzione,  diventano  irrimediabili  - istituisca un'irragionevole
disuguaglianza fra le parti necessarie del processo penale.
    E'  noto che la Corte costituzionale con piu' decisioni (sentenza
n. 363/1991  e  ordinanze  successive,  tra  cui  la  n. 421/2001) ha
affermato  che  il  limite  all'appello  del  pubblico  ministero nel
giudizio  abbreviato stabilito dall'art. 443 c.p.p.( inappellabilita'
delle  sentenze  di  condanna che non modificano il titolo del reato)
non contrasta con i canoni di ragionevolezza e non viola il principio
della  parita' delle parti sia perche' costituisce il «corrispettivo»
in  funzione  premiale  (unitamente  alla riduzione della pena) della
rinunzia al dibattimento da parte dell'imputato attraverso un'opzione
processuale  che  favorisce una piu' rapida definizione dei processi,
sia  perche'  in  presenza  di  una  sentenza di condanna comunque il
pubblico ministero ha realizzato la pretesa punitiva fatta valere nel
processo,  rimanendo  peraltro  intatta  la  facolta' di impugnazione
delle  sentenze  di  assoluzione  e  delle  sentenze  di condanna che
modificano il titolo del reato pronunziate nel giudizio abbreviato.
    Le  ragioni  giustificative  dei limiti, peraltro contenuti, alla
facolta'  di  appello del pubblico ministero nel giudizio abbreviato,
ritenute  valide  dalla  Corte  costituzionale, sono pero' totalmente
inesistenti   nella   nuova  formulazione  dell'art. 593  c.p.p.  che
disciplina  l'appello  in  generale.  La  drastica  limitazione della
facolta'  di  appellare  le  sentenze  di assoluzione per il pubblico
ministero,  comparabile  nella  sostanza  ad  un  divieto  totale  di
appello,   costituisce   una   radicale  mutilazione  delle  facolta'
processuali  della  parte  pubblica,  facolta'  che invece permangono
sostanzialmente  integre  per  l'imputato,  che  non  ha interesse ad
appellare  le  sentenze  di  assoluzione e conserva piena facolta' di
appellare le sentenze di condanna.
    A  tale pesante disparita' di trattamento tra la parte pubblica e
l'imputato   non   corrisponde   alcuna   «contropartita»  sul  piano
processuale  o  sostanziale che giustifichi il diverso trattamento ed
escluda il carattere discriminatorio della disposizione.
    Si  ritiene pertanto non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  delle  sopracitate  disposizioni di legge per contrasto
con l'art. 111, secondo comma della Costituzione.
    Si  ritiene altresi' che la questione sia rilevante perche' dalla
sua  soluzione  dipende la decisione di questa Corte di esaminare nel
merito l'appello del p.m. o di dichiararlo inammissibile.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e
non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   degli   artt. 593   c.p.p.  (cosi'  come  modificato
dall'art. 1  della legge 20 febbraio 2006, n. 46) e 10, comma 2 della
medesima  legge  per  violazione  dell'art. 111,  secondo comma della
Costituzione, nei termini e per i motivi esposti.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale,  e  sospende  il  giudizio  in  corso ed i termini di
prescrizione del reato.
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata
ai   Presidenti   della  Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della
Repubblica.
        Trento, addi' 24 maggio 2006
                       Il Presidente: Garribba
07C0315