N. 160 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 luglio 2006

Ordinanza  emessa  il 5 luglio 2006 dalla Corte di appello di Palermo
nel procedimento penale a carico di Castiglione Calogera ed altri

Processo   penale  -  Appello  -  Modifiche  normative  -  Disciplina
  transitoria  -  Impugnazione della parte civile avverso sentenze di
  proscioglimento   -   Preclusione   -  Applicabilita'  della  nuova
  disciplina  ai  procedimenti  in corso - Inammissibilita' immediata
  degli  appelli  gia' proposti (risultando inibito alla parte civile
  il  ricorso per cassazione) - Disparita' di trattamento rispetto al
  pubblico  ministero  e  all'imputato  - Violazione del principio di
  uguaglianza  - Lesione del principio dello svolgimento del processo
  in condizioni di parita' - Violazione del principio di affidamento.
- Legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 3 e 111.
(GU n.14 del 4-4-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Riunita in Camera di consiglio, ha emesso la seguente ordinanza.
    Con  sentenza  emessa  in  data  29  aprile 2004 dal Tribunale di
Agrigento,  in  composizione monocratica, Castiglione Calogera, Hamel
Piero, Vella Basilio e Lombardo Carmelo venivano assolti dai reati di
cui  agli artt. 81 cpv., e 371-bis c.p. loro rispettivamente ascritti
perche' il fatto non sussiste.
    Avverso   la  detta  sentenza  proponevano  appello  il  pubblico
ministero,    per    chiedere    il   riconoscimento   della   penale
responsabilita' dei predetti imputati, e la difesa delle parti civili
costituite  Arnone  Giuseppe,  Legambiente  Nazionale  e  Legambiente
Regionale   per   chiedere  la  condanna  degli  stessi  imputati  al
risarcimento dei danni.
    All'udienza del 31 maggio 2006, a seguito della entrata in vigore
della  legge  26 febbraio 2006, n. 46, recante modifiche al codice di
procedura  penale  in  materia  di  inappellablita' delle sentenze di
proscioglimento,   il   procuratore  generale,  stante  l'intervenuto
decorso   dei   termini   di  prescrizione  in  ordine  ai  reati  in
contestazione, dichiarava di rinunciare alla proposta impugnazione.
    La    difesa    di    parte   civile   sollevava   eccezione   di
incostituzionalita' deducendo il contrasto dell'art. 576 c.p.p., come
modificato  dalla  legge  n. 46/2006  con gli artt. 3, 111 e 24 della
Costituzione.
    Osserva  la  Corte  che a seguito della modifica introdotta dalla
legge  n. 46/2006  la norma di cui all'art. 576 c.p.p., collocata nel
libro  del  codice  di  rito, riguardante le disposizioni generali in
materia  di  impugnazioni,  non  indica  piu'  lo  specifico mezzo di
impugnazione  consentito  alla  parte,  essendo  stato  soppresso  il
richiamo  espresso al «mezzo previsto per il pubblico ministero» che,
nella precedente normativa, costituiva il solo elemento, testuale che
legittimava l'appello della parte civile.
    Sia  in  virtu' di quanto previsto dall'art 568 c.p.p., il quale,
fissando  in  via  generale il principio di tassativita' dei mezzi di
impugnazione,  stabilisce  che  i  provvedimenti  del giudice possono
essere  impugnati  solo  dai  soggetti  e  con  i mezzi espressamente
indicati,  sia  in  forza  della  previsione di cui all'art. 12 delle
disposizioni  sulla  legge  in  generale,  secondo  la  quale  non e'
consentita  una  interpretazione estensiva della legge che vada oltre
il  significato  reso  palese  dal senso proprio delle parole e dalla
intenzione  del  Legislatore,  si  deve  escludere  che oggi la parte
civile   possa  proporre  appello  avverso  la  sentenza,  che  abbia
prosciolto l'imputato.
    Tale  nuova  disciplina,  ai sensi della norma transitoria di cui
all'art. 10,   legge   n. 46/2006   (che   e'  quella  che  viene  in
considerazione  nel  caso  concreto) e' immediatamente applicabile ai
processi   in   corso,   con   l'effetto  di  rendere  immediatanente
inammissibili  anche  gli  appelli  proposti dalla parte civile prima
dell'entrata  in vigore della legge modificatrice, risultando inibito
alla  detta  parte  anche  il  «recupero»  del ricorso per Cassazione
mediante il meccanismo previsto per l'appello del pubblico ministero.
    Ne   deriva,   ad  avviso  del  Collegio,  una  irragionevole  ed
ingiustificata  disparita'  di  trattamento tra pubblico ministero ed
imputato,  da  una parte, e parte civile, dall'altra, con conseguente
violazione  del  principio  di  uguaglianza  di  cui all'art. 3 della
Costituzione e di quello dello svolgimento del processo in condizioni
di parita', sancito dall'art. 111 della Carta fondamentale.
    Vulnerato e' anche il principio dell'affidamento.
    Se  il  danneggiato  si  puo' costituire parte civile e sfruttare
tutte  le  potenzialita'  che,  al momento della sua costituzione, la
legge  gli  mette  a  disposizione, il sistema crea una aspettativa -
valevole  anche nella materia processuale, come affermato dalla Corte
Costituzionale  con  la  sentenza  n. 525/2000 - a percorrere fino in
fondo  la  via prescelta, anche allestendo reazioni capaci di elidere
gli eventuali pregiudizi derivanti da taluni provvedimenti.
    Pertanto, una volta ammessa per il danneggiato la possibilita' di
costituirsi parte civile, pur nel contesto di scelte, che, in un modo
o   nell'altro,   possono   ritornare   di   svantaggio,  sancire  la
inappellabilita'  delle sentenze di proscioglimento appare una scelta
che  si  presta ad obiezioni di irragionevolezza perche', privando la
parte  civile di ogni potere di impugnazione nel merito, la costringe
a  subire  l'efficacia di giudicato della sentenza penale, pur avendo
scelto  di  innestare la sua pretesa di ristoro per i danni derivanti
dalla  commissione  del  reato  in  un  contesto  processuale  che le
conferiva  il  potere  di  appello  (possibilita' che sarebbe rimasta
inalterata  se  avesse  scelto di intraprendere l'azione civile nella
sede propria).
    La  questione  e'  rilevante  nel  procedimento  perche'  dal suo
accoglimento  dipende la possibilita' di effettuare, (sia pure in via
incidentale   e   ai   soli   fini   civilistici)   il   giudizio  di
responsabilita'  degli  imputati  e  conseguentemente  della  pretesa
risarcitoria  della  parte  civile,  in  sede  di  applicazione della
discipina  transitoria della legge n. 46 del 2006, quanto meno, nelle
stesse forme previste per il pubblico ministero senza che possa avere
rilievo  a  questo  riguardo  la  sopravvenuta  rinuncia ai motivi di
impugnazione da parte del procuratore generale.
    Ed  infatti,  osserva la Corte che la parte civile deve ritenersi
legittimata   a   proporre   impugnazione   avverso  la  sentenza  di
proscioglimento   e   a   chiedere  la  condanna  dell'imputato  alle
restituzioni  e  al  risarcimento del danno senza che possa essere di
ostacolo  l'inammissibilita'  o  la  mancanza  della impugnazione del
p.m.,  posto  che  l'art. 576  c.p.p.,  derogando  a quanto stabilito
dall'art. 538  c.p.p.  per  il  giudizio di primo grado, legittima la
detta  parte  non  solo a proporre impugnazione contro la sentenza di
proscioglimento o di assoluzione pronunciata nel giudizio, ma anche a
chiedere  l'affermazione  di  responsabilita' penale dell'imputato ai
soli  effetti  dell'accoglimento  della  domanda di restituzioni o di
risarcimento del danno.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 10  della  legge  20 febbraio
2006,  n. 46,  per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione
nei termini e per le ragioni esposte in motivazione.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale, sospendendo il giudizio in corso.
    Dispone  che la presente ordinanza venga notificata, a cura della
cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Presidenti
dei due rami del Parlamento.
        Palermo, addi' 5 luglio 2006
                        Il Presidente: Luzio
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