N. 318 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 giugno 2006
Ordinanza emessa il 15 giugno 2006 dal tribunale di Ragusa - Sezione distaccata di Vittoria nel procedimento penale a carico di Di Quattro Giombattista Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Violazione del principio d'uguaglianza - Contrasto con il principio di materialita' del reato - Lesione dei principi di personalita' della responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, e 27. Reati e pene - Recidiva - Determinazione della pena in caso di recidiva reiterata - Previsione di un aumento obbligatorio fisso di pena - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Violazione del principio d'uguaglianza - Contrasto con il principio di materialita' del reato - Lesione dei principi di personalita' della responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 99, comma quarto, come modificato dall'art. 4 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, e 27.(GU n.18 del 9-5-2007 )
IL TRIBUNALE Esaminati gli atti del procedimento penale n. 100238/06 r.g.Trib., nei confronti di Di Quattro Giombattista, imputato del delitto previsto e punito dall'art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309/1990 e succ. modif; Ritenuta ammissibile e rilevante nel predetto giudizio la questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., come modificato dall'art. 3, legge n. 251/2005, nella parte in cui prescrive il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art. 99, comma 4, c.p., nonche' dell'art. 99, comma 4, c.p., come modificato dall'art. 4, legge n. 251/2005, nella parte in cui prescrive un aumento obbligatorio e fisso di pena per le ipotesi di recidiva reiterata, O s s e r v a Sulla rilevanza della questione. In data 28 maggio 2006 la Guardia di Finanza di Vittoria ha proceduto all'arresto di Di Quattro Giombattista, poiche' colto nella flagranza del reato di detenzione di sostanze stupefacenti di cui all'art. 73, comma 1-bis, d.P.R. n. 309/1990, come modificato dalla legge n. 49/2006. Lo stesso e' stato individuato all'interno della propria autovettura nella disponibilita' di n. 8 involucri di plastica sigillati, contenenti della sostanza stupefacente di tipo cocaina, di cui sette posti dentro un pacchetto di sigarette ed uno, gia' aperto, nel pianale anteriore lato passeggeri. La vettura, al cui interno si trovava l'imputato, insieme ad altra persona, era parcheggiata in una zona appartata e poco illuminata, e i due soggetti, alla vista degli operanti di p.g., mostrarono un atteggiamento sospetto. L'esito delle analisi effettuate presso il Laboratorio di igiene e profilassi della AUSL di Ragusa ha confermato trattarsi di sostanza stupefacente di tipo cocaina; in particolare, il quantitativo di principio attivo contenuto nel reperto esaminato e' risultato pari a mg. 1243, superiore rispetto alla soglia prevista dalle tabelle relative all'applicazione della legge n. 49/2006, che hanno stabilito i limiti massimi cui fa' riferimento l'art. 73 citato, nella specie mg. 750. Il 30 maggio 2006 si e' svolta l'udienza di convalida dell'arresto del Di Quattro, il quale ha ammesso che la sostanza trovata in suo possesso era sua, ma per un uso esclusivamente personale, essendo assuntore di droga da circa quattro-cinque mesi. Contestualmente alla convalida dell'arresto gli e' stata applicata la misura cautelare dell'obbligo di dimora nel comune di residenza. All'udienza del 6 giugno 2006 il p.m. ha qualificato meglio la gia' contestata recidiva come «recidiva reiterata» e l'imputato ha chiesto la definizione del procedimento nelle forme del rito abbreviato. Quindi, il p.m. ha formulato la richiesta di condanna del Di Quattro ad anni quattro di reclusione ed euro 18.000,00 di multa, ritenendo configurarsi l'ipotesi attenuata ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, equivalente alla contestata recidiva reiterata, ai sensi dell'art. 69, comma 4, c.p., come modificato dall'art. 3, legge n. 251/2005. Ha sollevato contestualmente questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui statuisce il divieto di prevalenza delle circostanza attenuanti sulla ritenuta aggravante ex art. 99, comma 4, c.p., nonche' dell'art. 99, comma 4, c.p., laddove ha previsto un aumento obbligatorio fisso di pena per i recidivi reiterati, per violazione degli artt. 3 e 25 Cost. Il difensore dell'imputato si e' associato alla citata eccezione, facendo riferimento, altresi, alla violazione dell'art. 27 Cost. Cio' premesso, appare evidente la rilevanza della questione di illegittimita' costituzionale sollevata dalle parti nel giudizio a quo. Ed invero, l'imputato e' stato tratto in arresto nella flagranza del reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, come modificato dal d.l. n. 272/2005, convertito nella legge n. 49/2006. Dagli atti acquisiti al fascicolo processuale e' emersa la configurabilita' di tale ipotesi di reato nella forma attenuata prevista e punita dal comma 5 della norma predetta, in ragione sia dei mezzi, delle modalita' e circostanze concrete del fatto che per la qualita' e quantita' della sostanza nella disponibilita' dell'imputato. Il quantitativo rinvenuto, infatti, seppur contenente del principio attivo in misura superiore al limite massimo previsto dalla tabella allegata alla legge n. 49/2006, e', comunque, alquanto modesto, consentendo l'applicazione dell'ipotesi del fatto di lieve entita'. E' stata, altresi', contestata nei confronti del Di Quattro la recidiva reiterata ex art. 99, comma 4, c.p., come modificato dall'art. 4, legge n. 251/2005. Si impone conseguentemente la problematica relativa al giudizio di comparazione tra circostanze, nella specie tra la recidiva reiterata e la circostanza attenuante ad effetto speciale del fatto di lieve entita' ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990. Rileva, a tal riguardo, l'art 69, comma 4, c.p., come sostituito dall'art. 3, legge n. 251/2005, il quale ha statuito il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull'aggravante ex art. 99, comma 4, c.p. L'art. 99, comma 4, c.p., poi, ha introdotto un aumento obbligatorio fisso di pena nel caso di recidiva reiterata. Nella fattispecie concreta il giudizio di bilanciamento tra le circostanze succitate potrebbe condurre, tutt'al piu', all'equivalenza tra le stesse, con applicazione di una pena-base corrispondente nel minimo ad anni sei di reclusione ed euro 26.000 di multa (cfr. art. 73, comma 1-bis, come modificato dalla legge n. 49/2006), evidentemente sproporzionata rispetto alla pena applicabile per l'ipotesi attenuata di cui al quinto comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990, che prevede le pene della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000. Le circostanze di realizzazione del fatto e il quantitativo di sostanza rinvenuto nella disponibilita' materiale del Di Quattro non appaiono tali da giustificare una pena cosi' elevata come quella che sarebbe irrogabile all'esito del giudizio di equivalenza tra l'attenuante di cui al comma 5 dell'art. 73 e l'aggravante della recidiva reiterata, non potendo il giudice operare un giudizio di prevalenza della prima sulla seconda. La riduzione conseguente all'applicazione del rito abbreviato, di natura prettamente processuale, varrebbe solo in parte ad attenuare l'eccessivo rigore sanzionatorio predetto. Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale. Appare prima facie non manifestamente infondata la questione di incostituzionalita' prospettata dalle parti per le ragioni di seguito illustrate. Occorre innanzitutto precisare che l'istituto della recidiva e' stato introdotto nel codice Rocco, alterando parzialmente l'originaria equazione classica pena-reato, con una funzione spiccatamente specialpreventiva, poi attenuata a seguito della novella del 1974, che ha previsto la facoltativita' di aumento di pena ad essa conseguente in un'ottica prevalentemente retribuzionistica. L'applicazione di tale figura nella commisurazione della pena per il fatto commesso consente una valutazione complessiva e unitaria della condotta del reo e della sua personalita', con riguardo, altresi', alla sua piu' accentuata capacita' a delinquere e proclivita' alla «ricaduta» nel delitto desumibile dai precedenti penali esistenti a suo carico, come sancito dall'art. 133 c.p., che, nel fissare i criteri su cui deve fondarsi il potere discrezionale del giudice nella determinazione della sanzione, ha previsto, accanto alla «gravita' del fatto», la «capacita' a delinquere» del soggetto, cosi' consentendo un'analisi della fattispecie di reato nella sua duplice dimensione oggettiva e soggettiva. Tuttavia, non puo' quantificarsi la pena disancorandola dalla gravita' concreta del fatto e relazionandola quasi esclusivamente ad una certa tipologia di autore, nella specie il «recidivo reiterato», ritenuto per cio' solo meritevole di un trattamento sanzionatorio piu' deleterio. Passando alla disamina delle singole norme costituzionali che si assumono violate, e, in primo luogo, dell'art. 3 della Costituzione, lo stesso e' espressione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi. Il principio di uguaglianza non vieta in assoluto discipline differenziate, ma solo discriminazioni irrazionali, ovvero irragionevoli. Esso viene cosi' ad evolversi in quello di ragionevolezza delle leggi, quale suo naturale corollario, che costituisce un limite al potere discrezionale del legislatore, impedendone un esercizio arbitrario, e puo' essere violato allorquando sia prevista una disciplina ingiustificatamente discriminatoria. Tale deve intendersi il trattamento sanzionatorio differenziato riservato ai recidivi reiterati, nei cui confronti e' stato previsto dalla legge n. 251/2005 non soltanto un aumento obbligatorio fisso della pena, ma altresi' il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla ritenuta recidiva in caso di giudizio di bilanciamento tra circostanze. Sono evidenti le conseguenze scaturenti da tale disciplina, ingiustificata e irrazionale, innanzitutto nei riguardi dei soggetti rientranti nell'ambito della stessa categoria di «recidivi reiterati», i quali saranno destinatari del medesimo trattamento sanzionatorio a prescindere dalla loro posizione personale piu' o meno tavorevole, potendo i predetti godere di una sola o di piu' circostanze attenuanti, le quali verrebbero comunque neutralizzate dal divieto di prevalenza delle circostanze medesime sulla ritenuta aggravante soggettiva. E' evidente il rischio di un appiattimento della pena per situazioni completamente diverse, imponendosi al giudice in ogni caso un mero giudizio di equivalenza tra recidiva reiterata e circostanze attenuanti, a prescindere dal numero di queste ultime, con effetti irragionevoli rilevanti. Con particolare riferimento all'attenuante di natura riparatoria di cui all'art. 62, n. 6, c.p., il recidivo non avrebbe alcun interesse ad attivarsi per risarcire o elidere le conseguenze dannose del reato commesso nel caso in cui fosse gia' applicabile in suo favore altra attenuante, non potendo lo stesso fruire di alcun beneficio premiale in ragione del suo comportamento. I recidivi reiterati, poi, sarebbero soggetti ad una pena ben piu' rigorosa rispetto ai recidivi semplici o aggravati a prescindere dalla tipologia e dalla gravita' dei precedenti penali a loro carico. Un'ulteriore concretizzazione della scelta irrazionale e illogica compiuta dal legislatore e' rappresentata dalla disparita' di trattamento sanzionatorio che verrebbe a profilarsi tra il recidivo reiterato che ha agito da solo, commettendo un fatto di lieve entita' ai sensi dell'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, e il recidivo reiterato facente parte di un'organizzazione dedita alla commissione di fatti descritti dal comma 5 della medesima norma. Ed invero, il primo, seppur autore di un reato caratterizzato certamente da un minore disvalore penale, sarebbe punito con una pena edittale ben piu' grave (cfr. art. 73, comma 1-bis, d.P.R.n. 309/1990: reclusione da sei a venti anni e multa da euro 26.000 a euro 260.000) rispetto al secondo (cfr. art. 74, comma 6, d.P.R. cit., che rinvia all'art. 416 c.p.: reclusione da tre a sette anni o da uno a cinque anni). Cio' perche' l'ipotesi prevista dall'art. 74, comma 6, del decreto citato non puo' assimilarsi ad una circostanza attenuante, bensi' costituisce una fattispecie autonoma di reato, come tale sottratta al giudizio di bilanciamento tra circostanze. La contestata violazione degli artt. 25, secondo comma, e 27 Cost. e' anch'essa, ad avviso di questo giudicante, non manifestamente infondata. Ed invero, l'art. 25, comma 2, ha sancito il principio di materialita' del reato, da cui discendono i precetti di offensivita' e di colpevolezza, i quali tutti governano il nostro diritto penale, ad impronta non soggettivistica, e sono conformi al carattere personalistico della Costituzione e della tradizione costituzionalistica liberale. Dalla violazione del principio di materialita' del reato discende, quale conseguenza necessitata, la violazione del principio della personalita' della responsabilita' penale e della correlata funzione rieducativa della pena, contenuti nell'art. 27 Cost. Trattasi, infatti, di disposizioni strettamente connesse tra di loro. In particolare, il principio di materialita' prescrive al legislatore di costruire l'illecito penale come un accadimento esteriore, il cui contenuto di disvalore non si accentri su atteggiamenti interiori. Tale precetto risulterebbe svuotato di ogni contenuto se il giudice, nel commisurare la pena, potesse tener conto esclusivamente di fattori imperniati sull'essenza soggettiva dell'autore del fatto, sulla sua personalita'. Il principio di personalita' della responsabilita' penale fa dipendere la pena dall'esistenza di un fatto colpevole e dalla misura della riprovazione meritata, escludendo che il soggetto possa essere punito maggiormente per esigenze di difesa sociale legate alle sua caratteristiche personali o per ragioni di politica criminale che prescindano dalla responsabilita' per il fatto commesso. L'art. 27 Cost., accanto alla funzione rieducativa della pena, ha previsto l'umanita' della stessa, estrinsecatesi non soltanto in una pena che salvaguardi esteriormente la dignita' e l'integrita' fisica del condannato, ma in una sanzione che sia prima di tutto non desocializzante, ovvero rispondente sia nell'an che nel quantum a stretta necessita'. Una sanzione avvertita come ingiusta da parte di chi la patisce non puo' che risultare da un lato disumana e dall'altro inutile. La necessaria finalizzazione rieducativa della pena, poi, implica che nella sua determinazione in concreto si debba tener conto anche della personalita' del soggetto agente in virtu' di una prognosi personologica, che ne adegui la misura e i contenuti nella prospettiva del reinserimento e del recupero del reo ad un'ordinata convivenza. La previsione di un trattamento sanzionatorio modellato prettamente sul tipo di autore (recidivo reiterato), e solo in minima parte sul fatto di reato commesso, frustra la concezione c.d. polifunzionale della pena, sotto il triplice profilo della prevenzione sia generale che speciale e della funzione retributiva, non essendo la sanzione commisurata all'entita' del fatto, bensi' palesemente ingiusta, e non potendo avvertire, pertanto, ne' il colpevole ne' i consociati il disvalore della condotta criminosa. Alla funzione specialpreventiva e retributiva della pena e' strettamente connesso il principio di proporzionalita', quale limite logico del potere punitivo dello Stato di diritto, insito nel concetto retributivo di pena e costituzionalizzato dagli artt. 3 e 27 Cost., che impongono rispettivamente il trattamento differenziato delle situazioni diverse e l'ineludibile giustizia della pena, intrinseca nel carattere di personalita' della responsabilita' e presupposto logico dell'azione rieducatrice della pena. Gli artt. 69, comma 4, e 99, comma 4, c.p., nel loro rigore applicativo, appaiono in contrasto con la finalita' rieducativa della pena, laddove impediscono al giudice di formulare un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle contestate aggravanti, di escludere l'aumento di pena per effetto della recidiva o di determinare l'aumento suddetto in misura diversa da quella rigidamente prefissata, anche laddove il predetto lo ritenesse possibile e opportuno nell'ottica della richiamata disposizione costituzionale. In particolare, la ratio sottesa all'art. 69 c.p. e' proprio quella di consentire al giudice un apprezzamento pieno e completo della personalita' del colpevole e della condotta illecita, al fine di rendere la pena proporzionata al fatto criminoso. Tale disposizione si riferisce al piano di individualizzazione della pena, affidato ai criteri dell'art. 133 c.p., quale limite di ogni giudizio discrezionale. La limitazione introdotta dalla nuova disciplina, che ha previsto il divieto di prevalenza delle attenuanti e un aumento di pena obbligatorio, e per di piu' fisso, per l'ipotesi di recidiva reiterata, invece, rischia di vulnerare gravemente la possibilita' di pervenire ad una quantificazione della pena realmente aderente all'entita' del fatto e alla personalita' del reo, comprimendo notevolmente la discrezionalita' del giudice nella commisurazione della sanzione applicabile al reo. In particolare, la reintroduzione dell'obbligatorieta' dell'aumento di pena conseguente alla dichiarazione della recidiva reiterata, vigente in epoca anteriore alla riforma del 1974, lasciando tuttavia immutati la genericita' e perpetuita', quali aspetti caratterizzanti gia' da prima tale istituto, ha accentuato la natura preventiva della stessa rispetto a quella retributiva, e ha fatto venir meno il potere discrezionale dell'organo giudicante. E', quindi, attualmente precluso l'accertamento in base agli elementi di cui all'art. 133 c.p., dell'esistenza del collegamento personologico tra l'insensibilita' etica del reo all'obbligo di non violare la legge, da lui dimostrata dopo la condanna, e l'attitudine a commettere nuovi reati, ovvero la valutazione se la ricaduta nel reato de quo sia espressione di tale insensibilita' e attitudine, e, quindi, giustifichi una maggiore punizione. Nel caso di specie, nonostante la risalenza nel tempo dei precedenti penali e la diversa natura dei reati commessi rispetto a quello per cui il Di Quattro e' stato in ultimo arrestato, sara', dunque, preclusa al giudicante la valutazione in ordine all'aumento o meno della pena per effetto della recidiva, cosi' impedendogli di meglio adeguare la sanzione alla concreta gravita' del reato consumato. In conclusione, gli artt. 69, comma 4, e 99, comma 4, c.p., nella loro nuova formulazione, introducendo dei rigidi automatismi, hanno individuato nel recidivo, aggravato o reiterato, un tipo normativo d'autore negativamente connotato, nei cui confronti vige una presunzione legale di pericolosita' fondata sulla genericita' e perpetuita' delle condanne, ragion per cui essi non possono sottrarsi al giudizio di incostituzionalita' nei termini appena illustrati.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., come modificato dall'art. 3, legge n. 251/2005, nella parte in cui prescrive il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art. 99, comma 4, c.p.; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 99, comma 4, c.p., come modificato dall'art. 4, legge n. 251/2005, nella parte in cui prescrive un aumento obbligatorio fisso di pena per le ipotesi di recidiva reiterata; Dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, copia della presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri; Dispone, altresi', che venga data comunicazione, a cura della cancelleria, al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato; Sospende il giudizio in corso. Ragusa-Vittoria, addi' 12 giugno 2006 Il giudice: Scollo 07C0594