N. 373 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 settembre 2006

Ordinanza  emessa  il  13  settembre  2006  dalla Corte di appello di
Torino  nel  procedimento civile promosso da Consiglio Augusto contro
Marcolongo Ennio

Procedimento   civile   -  Spese  processuali  -  Appello  dichiarato
  inammissibile  per  tardiva  proposizione  imputabile  al difensore
  della  parte appellante - Condanna al rimborso delle spese a favore
  della  parte appellata da pronunciarsi, secondo il diritto vivente,
  a  carico  della  parte  appellante  soccombente,  anziche' del suo
  difensore  responsabile  dell'esito  negativo  dell'impugnazione  -
  Omessa  previsione del potere-dovere del giudice di condannare alle
  spese  di  giudizio  il  difensore  resosi  responsabile, per colpa
  grave,   della  tardivita'  e  della  conseguente  inammissibilita'
  dell'impugnazione  proposta  (nella specie, l'appello) - Denunciata
  violazione  dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza sotto i
  profili    della    irrazionale   esenzione   dell'avvocato   dalla
  responsabilita'  per  le spese di giudizio derivante esclusivamente
  da  fatto  proprio, della configurazione di anomala responsabilita'
  oggettiva  del  cliente-consumatore  per  fatto del professionista,
  della  disparita'  di trattamento rispetto alla disciplina prevista
  dall'art. 94 cod. proc. civ. e ad altre categorie di professionisti
  e  della  illogica  attribuzione  della  qualita'  di  difensore al
  professionista  per  difetto sopravvenuto di procura conseguente al
  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  impugnata  -  Denunciata
  violazione del diritto di difesa.
- Codice di procedura civile, artt. 82 e 91.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.21 del 30-5-2007 )
                         LA CORTE DI APPELLO

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella causa iscritta al
R.G.2899/2003  avente  ad  oggetto: condanna alle spese di lite della
parte  soccombente  ex art. 91 c.p.c., promossa da Consiglio Augusto,
con  l'avv.  Carmelo  Sorace appellante, contro Marcolongo Ennio, con
l'avv. Paolo Avagnina, appellato.
                       P r e m e s s o  c h e
    1.  - Con sentenza 1830/05 App. To I.sez. civ. depositata in data
16  novembre  2005,  notificata  in data 21 marzo 2006 al procuratore
domiciliatario  dell'appellante,  passata  in  giudicato  in  data 21
maggio  2006  e'  stata  dichiarata  l'inammissibilita'  dell'appello
proposto  contro  la  sentenza  n. 4421/02  resa  tra  le  parti  dal
Tribunale di Torino.
    2.  -  In  parte  motiva della citata sentenza si e' rilevato che
l'avvocato difensore della parte risultata soccombente in primo grado
ha  presentato tardivamente, contro la sentenza impugnata. un appello
che ben avrebbe potuto proporre nei termini (essendogli stata gia' in
prime  cure  conferita  dal  cliente la procura alle liti per tutti i
gradi  del  giudizio)  ma  che non avrebbe piu' dovuto presentare (in
quanto  oramai  priva  di  qualsivoglia  utilita', essendo passata in
giudicato,  per  il  decorso del termine di impugnazione, la sentenza
appellata, non piu' impugnabile.
    Come  accertato  nella  sentenza  parziale  App.To  1830/05 sopra
citata,  gia'  la  procura  conferita  in  primo  grado  dall'odierno
appellante  allo stesso difensore, che ha proposto l'appello tardivo,
gli  dava  tale l'incarico in ogni fase e grado del processo, ex art.
83,  ult.  comma  c.p.c.  (cfr.  procura  alle liti apposta a margine
dell'atto  di  citazione  in  primo  grado,  che  recita:  «Delego  a
rappresentarmi  e difendermi nel presente giudizio in ogni sua fase e
grado, compresa l'impugnazione ...».
    Nello stesso atto di appello si indica che esso viene proposto in
virtu'  di  «delega a margine dell'atto di citazione 23 giugno 2000»,
richiamata nell'epigrafe della citazione in appello.
    3.  -  Non  sussistono pertanto elementi per addossare alla parte
appellante,  non responsabile per la tardiva instaurazione della lite
in   appello,  il  suo  rigetto  per  inammissibilita',  addebitabile
esclusivamente a negligenza del difensore e non al suo cliente.
    4.  -  A  seguito  della soccombenza si e' statuito, nella citata
sentenza (App. To 1830/05), non sussistere motivi che giustificassero
la  compensazione  tra  le  parti  delle  spese  di  lite,  dovendosi
rimborsare  alla  parte  risultata  vincitrice  le  spese di lite del
gravame,  riconoscendosi  alla  parte vittoriosa il diritto di essere
tenuta  indenne  dalle  spese che ha dovuto affrontare per difendersi
(24 Cost.) in sede di gravame.
    5.  -  La  pronuncia  di  inammissibilita' della domanda registra
infatti  la  soccombenza  totale  ed  effettiva  nei  confronti della
controparte,  risultata vittoriosa (cfr. Cass. civ., sez. I, 28 marzo
2001, n. 442).
    6.  -  Nella  specie  il passaggio in giudicato della sentenza di
primo    grado   non   e'   stato   cagionato   dall'inammissibilita'
dell'impugnazione,  come  avviene,  ad  es.,  nei  casi  di  nullita'
dell'appello o di genericita' dei motivi di gravame: cfr. Cass. civ.,
sez.  III, 25 febbraio 2004, n.  3809; Cass. civ., sez. lav. 3 giugno
2004,  n. 10596),  ma  e' stato esso stesso causa di inammissibilita'
dell'appello,   in   quanto  il  giudicato  precede  la  proposizione
dell'appello.
    7. - Cio' posto, le spese di lite, alla luce del diritto vivente,
dovrebbero  essere poste, per diritto applicato, ex art. 91 c.p.c., a
carico  della parte risultata soccombente e non del suo difensore, in
quanto  questi non assume la qualita' di parte (cfr. Cass. civ., sez.
II;  19  dicembre  2005,  n. 27941;  Cass. civ., sez. I, 19 settembre
2003, n. 13898; Cass. pen., sez. I, 19 marzo 1997, n. 2286).
    8. - La Corte territoriale si e' pertanto posto il quesito se sia
costituzionalmente  legittimo  porre a carico della parte le spese di
lite  ove  - come nella specie - la soccombenza risulti ascrivibile a
tardivita' dell'appello per sua intempestiva, negligente proposizione
da  parte  del  suo  avvocato,  in violazione della normale diligenza
professionale  esigibile  ai  sensi  del secondo comma dell'art. 1176
c.c.,  rispetto  alla  quale  rileva  anche  la  colpa lieve, essendo
inapplicabile   l'art. 2236   c.c.  (cfr.,  ex  multis,  in  tema  di
responsabilita' del notaio, Cass. civ., sez. II, n. 4427; Cass. civ.,
sez.  III,  11  gennaio  2006, n. 264; in tema di responsabilita' del
medico,  Cass. civ., sez. III, 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. civ,
sez. III, 2 febbraio 2005, n. 2042).
    9.  -  L'applicazione  del  principio sancito dall'art. 91 c.p.c.
appare  illogica  e  discriminatoria  nel  caso  in  esame  in cui il
difensore designato ex art. 83, ult. comma, c.p.c. ha dato causa, col
suo   ritardo,  alla  inammissibilita'  dell'appello  e  dunque  alla
soccombenza  della parte appellante. Nella fattispecie la soccombenza
della   parte   appellante  deriva  dunque  da  ragioni  alla  stessa
assolutamente   non   ascrivibili   (tardivita'   della  proposizione
dell'appello)  poiche' causata da intempestiva attivita' defensionale
che esula da ogni determinazione della parte, in quanto dipendente da
scelta propria ed esclusiva del suo difensore.
      10.  -  Questa  Corte  territoriale, ravvisando gli estremi per
sollevare  la  questione di costituzionalita' dell'art. 91 c.p.c., ha
ritenuto corretto, per consentire una piu' compiuta difesa ai patroni
delle   parti   in   ordine  alla  rilevanza  e  alla  non  manifesta
infondatezza  della questione, decidere la lite con sentenza parziale
sull'inammissibilita'  dell'appello e rimettere la causa sul ruolo in
ordine  al  capo  dell'appello  concernente  la questione relativa al
soggetto  (la  parte o il suo difensore) tenuto a pagare le spese del
giudizio del secondo grado. E' stata pertanto disposta la separazione
della  lite  concernente la condanna al pagamento nei confronti della
parte  vittoriosa delle spese del giudizio, con rimessione degli atti
sul  ruolo  in punto spese di lite del gravame, invitando le parti ad
illustrare  le  proprie  ragioni  sulla  questione  e  sui  dubbi  di
legittimita' costituzionale della norma.
    11.  -  Nella  specie  non  viene in esame la responsabilita' del
professionista  ai  fini del ristoro dei danni (per perdita di chance
di vincere la causa) subiti dal cliente, essendo estranea al tema qui
in  discussione  la  questione se, in difetto di tardiva proposizione
dell'impugnazione,  il gravame, ove tempestivamente proposto, sarebbe
risultato  fondato  (cfr.  Cass.  civ.,  sez.  III, 26 febbraio 2002,
n. 2836).  Invero,  nel regolamento delle spese processuali, non puo'
neppure  aver  luogo  il criterio della soccombenza virtuale a carico
della  parte  convenuta  in  giudizio  con  una azione inammissibile,
questione  che  esula  dall'economia  del  processo e che si potrebbe
porre in un distinto, eventuale, separato giudizio.
    12.  -  Cio'  posto,  l'avvocato  dell'appellante  ha  ammesso la
tardivita'  dell'impugnazione  ed  ha dichiarato quanto alle spese di
lite  da  pagare  alla  controparte  risultata  vittoriosa, di essere
coperto  da polizza assicurativa. Ha dedotto che la vigente normativa
non consente di condannare alle spese di lite il difensore, invocando
tale qualita' ed assumendo che la condanna non puo' essere emessa che
nei  confronti della parte assistita. Ha quindi concluso che, in base
all'art. 91 c.p.c. la condanna alle spese dovrebbe essere pronunziata
nei   confronti   del  proprio  cliente,  il  quale,  potrebbe,  poi,
eventualmente  agire  nei  suoi confronti per essere rimborsato delle
spese  di  lite  causate  dalla tardivita' dell'appello e dal cliente
stesso    pagate   alla   controparte;   in   tal   caso   l'avvocato
dell'appellante  ha  esposto  che  avrebbe  a  sua  volta invocato la
copertura assicurativa.
    13.  -  A  parere  di  questa  Corte  territoriale e' evidente la
tortuosita' e logicita' della procedura sopra indicata, che impone al
giudice di condannare alle spese un soggetto qualificato «parte» solo
perche'  conferi'  a suo tempo una procura che non poteva piu' essere
esercitata.  Invero  il  difensore  all'epoca designato non ha svolto
tempestivamente   l'attivita'  nell'ambito  del  processo,  cio'  che
costituisce  suo  specifico  obbligo  (cfr.  Cass.  civ., sez. III, 8
maggio  1993,  n. 5325),  mentre il suo cliente risulta al giudicante
essere  assolutamente  incolpevole  ed  estraneo  alla causazione del
motivo di inammissibilita' dell'appello. A cio' aggiungasi che il far
ricadere   le   conseguenze   della  soccombenza  sulla  cd.  «parte»
assistita,  comporta  il farle assumere una responsabilita' oggettiva
per  gli  atti  del suo difensore. Cio' e' deresponsabilizzante nella
specie  per il suo patrono e rende poi solo eventuale il recupero, da
parte  del cliente, di somme da lui pagate alla controparte per colpa
altrui,   in   conseguenza   diretta   ed   immediata  della  tardiva
proposizione  del  gravame  e  della sua dell'inammissibilita' con la
necessita'   di   sobbarcarsi   l'onere  di  un  altro  giudizio  per
l'esperimento  dei  rimedi previsti in materia di responsabilita' per
colpa professionale.
    14.  -  La questione appare non manifestamente infondata sotto il
profilo  della  irragionevolezza  imponendo  l'art. 91  c.p.c.  nella
lettura  datane  dal diritto vivente, di condannare il cliente (ossia
il  consumatore)  anche  nei  casi  in  cui  la  sua  soccombenza sia
ascrivibile  esclusivamente  a  colpa  del  suo  avvocato  (ossia  il
professionista, di cui deve obbligatoriamente avvalersi nel processo)
che vi ha dato causa. Per diritto applicato, infatti, il difensore e'
parte ai fini delle spese solo ove sia antistatario (cfr. Cass. civ.,
sez.  III,  5  agosto  2005, n. 16597). Nella specie poi non sussiste
alcun  pregiudizio al diritto di difesa dell'avocato del soccombente,
che  si  e'  ampiamente  difeso  sul  punto,  mentre  il cliente, che
dovrebbe,  in  base  alla legge, essere condannato al pagamento delle
spese  di  lite,  causate, come detto, dalla tardivita' dell'appello,
non  risulta  dagli  atti  neppure  essere  informato  sulle  ragioni
dell'intervenuto   rigetto   dell'appello.   Ne'  e'  ragionevolmente
prevedibile  che  lo  sia,  in quanto i clienti-consumatori non hanno
conoscenze  tecniche  adeguate  ed  hanno  difficolta' a giudicare la
qualita'  dei servizi che ricevono [(cfr. relazione della Commissione
europea del 5 settembre 2005 (Com-2005- 405)].
    15. - Le pronunce di rigetto dell'impugnazione per motivi di rito
sono, del resto (anche ove il cliente ne abbia lettura, cosa per vero
insolita),  scarsamente  intelleggibili per un non professionista del
settore,  nella  nozione datane dal diritto vivente (Cass. civ., sez.
I,  25  luglio  2001,  n. 10127;  Cass.  civ., sez. I, 4 aprile 2001,
n. 4946;  Cass.  civ., sez. III, 14 aprile 2000, n. 4843; Cass. civ.,
sez. III, 20 febbraio 2006, n. 2279).
    16. - Diversamente dagli altri professionisti, poi (si pensi alla
figura  del medico, che non gode certo di tali privilegi), l'avvocato
non   ha   nella   specie,   in  quanto  irragionevolmente  esonerato
dall'art. 91  c.p.c.  dall'obbligo  di pagare le spese di lite da lui
solo  causate,  la  responsabilita'  sancita  dall'art. 1176, secondo
comma,  c.c. dell'homo eiusdem generis et condicionis, senza che tale
esenzione   di   responsabilita'   sia   sorretta   da  alcuna  causa
giustificatrice adeguata.
    La   condanna   alle   spese   del   cliente   per   un   rigetto
dell'impugnazione  causato  da comportamento dell'avvocato, configura
anzi  una  sorta di anomala responsabilita' oggettiva del consumatore
per  fatto  del  professionista,  in  netto  contrasto con i principi
enunciati dall'art. 1469-bis c.c.. gia' nella versione anteriore alla
modifica  apportatavi  dalla legge comunitaria n. 526 del 21 dicembre
1999  e  successivamente  dal  d.lgs.n. 206  del  2005.  Tale anomala
responsabilita'  oggettiva  appare operare, all'evidenza, al di fuori
dei  casi  tassativamente  previsti  dalla  legge (ex art. 2051 c.c.,
responsabilita'  dell'albergatore,  2053  c.c.  -  danno da rovina di
edifici - 2054, quarto comma, c.c - responsabilita' per danni causati
da  vizi di costruzione o da difetti di manutenzione di veicoli, 2050
c.c. - responsabilita' per attivita' pericolose).
    17.  -  Del  pari appare sussistere disparita' di trattamento non
sorretta   da  ragionevole  causa  giustificatrice.  Diversa  e  piu'
compiuta  tutela  e'  assicurata  alla  parte soccombente non per sua
colpa  (ed  alla  stessa  parte  vittoriosa)  dall'art. 94 c.p.c. che
contempla  [peraltro  con  carattere di eccezionalita' preclusivo (ex
art. 14  disp.  sulla  legge  in  generale) dell'estensione analogica
della  norma] la possibilita' di condanna personalmente alle spese di
chi - non essendo parte nel processo - rappresenta o assiste le parti
in  giudizio,  in  ipotesi  di ricorrenza di gravi motivi, tra cui e'
configurabile  anche  la  mancanza  di normale prudenza (Cass., civ.,
sez.  I,  20.  marzo  1962,  n. 554).  Si  osserva al riguardo che la
giurisprudenza  della  suprema  Corte  ha  escluso la possibilita' di
condanna  in  proprio del difensore alle spese del giudizio provocate
dalla sua attivita' anche in caso di mancanza di prova di rilascio di
procura  alle  liti,  oltreche'  in caso di invalidita' della stessa.
Secondo  la  consolidata  giurisprudenza  della  suprema  Corte,  «E'
principio  generale  dell'ordinamento quello secondo cui non puo' mai
assumere la qualita' di parte di un atto un soggetto che agisce nella
veste  di rappresentante pur non avendone i poteri...». Pertanto, «il
destinatario   della   pronuncia   sulle  spese...  non  puo'  essere
l'avvocato,  che,  appunto,  non  assume  la  qualita'  di  parte nel
processo»  (Cass.,  sez.  lav.,  5  settembre  2000,  n. 11689;  cfr.
altresi' Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1969, n. 3510).
    18.  - La rilevanza della questione appare evidente, in quanto il
giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della  questione di legittimita' costituzionale sollevata, in difetto
della   quale   dovrebbe   essere   pronunciata   la   condanna   del
cliente-consumatore   imposta  dall'art. 91  c.p.c.,  facendo  dunque
gravare  le  spese  di causa sulla parte che non ne ha alcuna colpa e
cui  non  e' imputabile in alcun modo sul piano eziologico la tardiva
introduzione  della  lite,  ascrivibile  esclusivamente  a negligenza
dell'avvocato  dell'appellante.  Deve rammentarsi che l'avvocato, pur
fornendo  una  prestazione  di  mezzi e non di risultato, e' tenuto a
porre  in  essere atti idonei ad assicurare il conseguimento del loro
scopo  legale  tipico  (nella  specie:  revisio  prioris  istantiae),
derivandoglitale  obbligo  dall'incarico  conferitogli  dal  cliente.
Invero,  dopo  il  passaggio  in giudicato della sentenza, la procura
alle  liti  (pur  persistendo  il rapporto col cliente ad altri fini,
quale ad es., per la notifica di atti al domicilio elettivo) non puo'
piu'  essere dal patrono utilizzata allo scopo di chiedere la riforma
di una sentenza oramai passata in giudicato, avendo esaurito lo scopo
per cui e' stata rilasciata dal cliente.
    19.  -  L'attivita'  del  difensore, in tale contesto, si sarebbe
dovuta  limitare  (per  dovere  di  consiglio sulla portata giuridica
dell'impugnazione)  ad  una  consultazione  col  cliente,  rendendolo
edotto  dell'impossibilita'  di  proporre  appello  per essere oramai
passata in giudicato la sentenza che la parte intendeva impugnare.
    20. - Si pone pertanto il quesito se sia ragionevole e giusto (ex
artt.  3 e 24 Cost.) che le spese di lite, cui ha diritto nel caso in
esame,  la  controparte  che si e' dovuta difendere costituendosi nel
grado  di  appello  e che certo il proprio avvocato lo deve pagare in
ogni  caso, siano poste a carico del cliente-consumatore-appellante e
non  dal  suo  difensore-professionista,  che  le  ha negligentemente
causate.
    21.   -   La   soluzione   imposta  dal  diritto  vivente  appare
irragionevole  poiche' quando la procura alle liti ha esaurito il suo
scopo  l'attivita'  del  difensore  non  puo'  invero ragionevolmente
riverberare  alcun effetto sulla c.d. parte difesa e dovrebbe restare
attivita' di cui, di norma, il professionista - diverso dall'avvocato
- assume (ex artt. 1176 e 2229 c.c.) la esclusiva responsabilita'. Il
professionista  non ha evidentemente piu' il potere, di cui era stato
investito  precedentemente, di difesa, consistente nella specie nella
impugnazione  della  sentenza, quando questa e' passata in giudicato,
onde  appare  insensato  che  la  condanna alle spese del grado di un
appello  che  non si poteva piu' proporre gravi sul suo inconsapevole
cliente.  Il cliente, anzi, benche' la suprema Corte non lo consideri
parte  destinataria  delle statuizioni derivanti dal processo solo in
caso  di  inesistenza  della  procura ad litem (cfr. Cass. civ., sez.
III,  24  gennaio 2003, n. 1115; Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1995,
n. 4462;  Cass.  civ.,  sez.  II,  23  febbraio  1994,  n. 1780), non
dovrebbe ragionevolmente poter assumere la veste di parte neppure nel
presente  giudizio,  in  quanto  era  inibito  (dal  giudicato  della
sentenza  di  primo grado) al suo difensore originariamente designato
per  tutti  i  gradi  del  giudizio, di instaurare successivamente al
giudicato un rapporto processuale in grado di appello.
    22.  -  La questione e' circoscritta al tema se, pur considerando
l'obbligazione  dell'avvocato  di  mezzi  e  non di risultato (tra le
altre,   Cass.   nn. 11612/1990,  10068/1996,  7618/1997;  1286/1998,
10431/2000),  sia  giusta  la persistenza dell'obbligo del cliente di
pagare  un  debito (parcella del legale della controparte) in caso di
grave  incuria,  negligenza,  colpa o inosservanza di disposizioni di
legge da parte del suo patrono.
    23.  -  Impugnare una sentenza passata in giudicato (posto che la
patologia  dei  rapporti  giuridici  su  cui si interviene nelle aule
giudiziarie   puo'   essere   paragonata  alle  patologie  in  ambito
sanitario)  equivale ad effettuare un intervento terapeutico su di un
paziente oramai deceduto.
    24.  -  Invero l'avvocato non puo' impugnare una sentenza passata
in   giudicato,  (a  meno  che  non  ricorrano  gli  estremi  per  la
revocazione).  Allo  stesso  modo,  un  medico non puo' effettuare un
intervento chirurgico su un paziente quando oramai sia morto, (a meno
che  non si tratti di prelievi per trapianti). Nella specie, la morte
del  paziente  ossia  il  passaggio  in  giudicato  della  sentenza e
l'insuscettibilita'  di  censure  contro  tale statuizione), e' stata
causata  dallo stesso professionista che doveva compiere l'intervento
per sottoporre la sentenza alla revisio orioris istantiae.
    25.   -   L'inammissibilita'   dell'appello   per   sua   tardiva
proposizione  e'  poi  per  certo  una  inammissibilita'  insanabile,
correlata  alla  tutela  di  interessi di carattere generale, causata
dalla  inosservanza  di un adempimento prescritto a pena di decadenza
(Cass.  civ., sez. un., 5 aprile 2005, n. 6983; Cass. civ., sez. lav.
12  marzo  2004,  n. 5150;  Cass.  civ.,  sez.  I,  18  luglio  2003,
n. 11227).
    26.  -  Nel caso in esame la questione (chi debba pagare le spese
di  lite  alla  parte  risultata  vincitrice  per  l'inammissibilita'
dell'appello  per  la sua tardivita), atto che solo il difensore puo'
porre  in  essere,  ex  art. 82  c.p.c.  (cfr.  Cass. civ., sez. L, 5
settembre  2000,  n. 11689,  alla  luce  del criterio della diligenza
professionale   media   (cioe'  posta  nell'esercizio  dell'attivita'
esercitata   dal   difensore,  di  preparazione  professionale  e  di
attenzione  media)  ex  art. 1176 c.c., e' stata ampiamente dibattuta
dai  difensori  delle  parti  in  comparsa conclusionale e memorie di
replica.
    27. - Ora appare a questa Corte territoriale irragionevole che in
base  ad  un  atto  assolutamente  inidoneo  a  spiegare qualsivoglia
effetto  per  sopravvenuto  difetto di causa della originaria procura
alle  lite  (ex art. 1418 c.c.), attesa l'autorita' vincolante per le
parti  della  statuizione  non  piu'  impugnabile  che  ha  deciso la
controversia,  il  cliente  dell'avvocato appellante, che non sarebbe
potuto  essere neppure parte nell'appello (per non essere concepibile
prima  ancora  che ammissibile la impugnazione della sentenza dopo il
suo  passaggio  in  giudicato)  -  cosi'  comenel  caso di assenza di
procura  alle  liti,  preclusiva  dei poteri rappresentativi - (Cass.
civ.,  sez.  II,  22  marzo  2001,  n. 4139) sia tuttavia considerato
parte,  ex  art.  91  c.p.c.,  ai  fini  della soccombenza, posto che
l'estinzione della funzione della originaria procura conferita al suo
avvocato  (in  quanto  utilizzata dal patrono per un appello non piu'
esperibile  per  essere  scaduti  i  termini  per proporlo), non pare
potere  ragionevolmente  (ex  art.  3  Cost.)  incidere  sulla valida
instaurazione del rapporto processuale.
    28.  -  In  materia  di disciplina delle spese di lite, per fermo
orientamento  giurisprudenziale,  nel  caso in cui difetti (nel senso
che  non  esista)  la  procura  alle  liti (diversamente da quello di
invalidita'  o  di  nullita' della procura ad litem, provvisoriamente
idonea   a  determinare  l'instaurazione  del  rapporto  processuale)
l'attivita'  del  difensore,  privo  dello  ius  postulandi, non puo'
riverberare alcun effetto sulla parte, ma resta attivita' processuale
di  cui  il legale esclusivamente assume la responsabilita', anche in
ordine  alla  spese  ai  sensi  e per gli effetti dell'art. 91 c.p.c.
(Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1780; Cass. civ., sez. II,
1° luglio 1996, n. 5955; Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1997, n. 3966;
Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2002, n. 13069; Cass. civ., sez. III,
24 gennaio 2003, n. 1115).
    29.    -   Ad   analoghe   conclusioni   si   dovrebbe   peraltro
ragionevolmente   poter   pervenire   -  a  parere  di  questa  Corte
territoriale  - nel caso in cui ricorra il difetto sopravvenuto della
procura alle liti per la quale l'attivita' del difensore non dovrebbe
piu'   spiegare   effetti  nella  sfera  giuridica  del  cliente.  La
fattispecie  appare  analoga  a  quella in cui nessuno ius postulandi
puo'   essere   piu'   esercitato,  in  quanto  lo  vietano  principi
inderogabili che impongono all'avvocato di non iniziare una causa per
la  modifica  di  una statuizione che in base a norme imperative e di
ordine  pubblico, non e' piu' impugnabile, costituendo cio' un limite
perentorio all'esercizio dello ius postulandi.
    30.   -  Appare  pertanto  irragionevole  e  discriminatorio  che
l'avvocato,  che  agisce  quando  non  abbia piu' i poteri propri del
difensore  (e  quindi non solo nell'ipotesi di difetto originario, ma
anche  in  caso  di difetto sopravvenuto di procura alle liti) per il
solo  fatto che fu originariamente designato come difensore, conservi
tale  qualificazione,  non possa assumere la qualita' di parte, e non
possa  essere  condannato  alle  spese  di lite risultate conseguenza
diretta  ed  immediata del suo comportamento, che debbono, secondo il
disposto  dell'art. 91  c.p.c.  per  diritto  vivente, essere poste a
carico  della parte e non del suo difensore. Appare altresi' illogico
attribuire  la  qualita'  di  difensore, ex art. 82 c.p.c., a chi non
puo'  piu' difendere in alcun modo il cliente nel processo di appello
da   lui  tardivamente  instaurato.  Appare  del  pari  illogico  che
nonostante  la tardivita' dell'atto di appello che per la intervenuta
decadenza  impedisce  ogni  attivita' di difesa delle sue ragioni, il
cliente assuma ancora la qualita' di parte nel processo di gravame.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  art. 134 Cost, 1, legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e
23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 82 e 91 c.p.c., per conflitto
con  gli  artt. 3  e 24 Cost., nella parte in cui impediscono che sia
condannato  alle  spese  del giudizio l'avvocato (c.d. difensore) che
abbia con sua esclusiva determinazione causato un processo di appello
impossibile  ed  inutile contro una sentenza immodificabile ed impone
la  condanna  alle  spese  di  lite  della  c.d.  parte (consumatore)
soccombente  e  non del suo c.d. difensore( professionista) che abbia
agito  con colpa grave, ritardando la proposizione dell'impugnazione,
presentata  nonostante  il gia' intervenuto il passaggio in giudicato
della  sentenza  impugnata,  cosi'  causando  l'inammissibilita'  del
gravame.
       Dispone  la  trasmissione  immediata  degli  atti  alla  Corte
costituzionale.
    Manda  alla  cancelleria di notificare la presente ordinanza alle
parti  in causa nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e di
comunicarla ai Presidenti delle due Camere del Parlamento;
    Sospende il giudizio in corso.
        Torino, addi' 23 giugno 2006
                        Il Presidente: Gamba
07C0675