N. 391 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 2006
Ordinanza emessa il 30 gennaio 2006 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Fartoza Mohamed Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Violazione del principio di ragionevolezza per la parita' di trattamento di situazioni diverse e la disparita' di trattamento di situazioni analoghe - Lesione del principio della funzione rieducativa della pena - Violazione del principio della responsabilita' penale personale. - Codice penale, art. 69, comma quarto, modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3 e 27.(GU n.21 del 30-5-2007 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento penale n. 1579/07 r.g. trib. a carico di Fartoza Mohamed, imputato del reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, «perche' deteneva a fine di spaccio gr. 23,045 netti di hashish, da cui sono ricavabili 38 singole dosi medie sostanza stupefacente. In Roma il 15 gennaio 2007. Con la recidiva reiterata infraquinquennale», all'udienza del 30 gennaio 2007 ha pronunciato la seguente ordinanza. Ritiene il tribunale che ricorrano le condizioni di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 per sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, codice penale, come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 99, quarto comma, c.p., stabilisce il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione. La questione appare invero rilevante, non potendo il giudizio essere definito indipendentemente dalla questione di legittimita' costituzionale della norma in questione, e non manifestamente infondata. Quanto alla rilevanza della questione, si osservi quanto segue. In data 16 gennaio 2007 Fartoza Mohamed veniva tratto in arresto dinanzi a questo tribunale per la convalida e il successivo giudizio direttissimo in relazione al reato descritto in epigrafe. Convalidato l'arresto, all'udienza successiva l'imputato, a mezzo del proprio difensore, avanzava richiesta di definizione del giudizio con il rito abbreviato e il tribunale disponeva in conformita'. Indi, le parti concludevano come riportato a verbale. Ebbene, va premesso, anzitutto, che sussistono agli atti del procedimento sufficienti elementi per potersi pervenire al giudizio di penale responsabilita' dell'imputato per il fatto in addebito. Riveste rilevanza, al riguardo, quanto distintamente notato dai militari in ordine alla condotta tenuta nel frangente dal Fartoza (visto dapprima incidere con una lama qualcosa che aveva in mano, quindi avvicinarsi e parlare con un giovane, quest'ultimo datosi a precipitosa fuga mentre stava estraendo delle banconote dal portafogli non appena avvedutosi della presenza dei militari, infine disfarsi di tre frammenti di hashish che teneva in mano) e l'esito della perquisizione disposta a carico dello stesso, trovato in possesso di un ulteriore frammento di hashish celato all'interno dei pantaloni della tuta che indossava. Cio' premesso, ricorrono pero', ad avviso del giudicante, le condizioni per ricondurre il fatto in esame alla fattispecie di cui al quinto comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990. Cio', in particolare, in considerazione del modesto dato ponderale e della qualita' della sostanza rinvenuta nella disponibilita' dei Fartoza - dall'analisi tossicologica e' risultato che i quattro frammenti contengono gr. 23 di sostanza resinosa con il principio) attivo dell'hashish nella misura del 4,0% circa, dalla quale e' possibile ricavare 38 singole dosi medie -, dati, questi, che indubbiamente evidenziano la contenuta offensivita' della condotta e consentono agevolmente di ricondurre l'episodio ad un fenomeno di piccolo spaccio. Conforta tali conclusioni il possesso da parte dell'imputato di un semplice tagliaunghie e di appena 120,00 euro, trattandosi di circostanze rivelatrici della dedizione ad un commercio su scala ridotta. In proposito, va sottolineato che non sussistono dubbi, ad avviso di questo tribunale, circa la natura di circostanza della cosiddetta «ipotesi lieve». Al riguardo, la suprema Corte di cassazione a sezioni unite ha gia' da tempo affermato che detta ipotesi normativa configura non una fattispecie autonoma di reato, ma una circostanza attenuante ad effetto speciale, essendo essa correlata ad elementi (i mezzi, le modalita', le circostanze dell'azione, la qualita' e la quantita' delle sostanze) che non mutano, nell'obbiettivita' giuridica e nella struttura, le fattispecie previste dai primi commi dell'articolo, ma - conformemente del resto a quanto sempre ritenuto dal supremo Collegio in presenza di espressioni normative relative ai «fatti di lieve entita» - attribuiscono ad esse solo minore valenza offensiva e grado di pericolosita' (cfr. sul punto, Cass.. sez. un., 31 maggio 1991, Parisi; nonche' Cass. n. 38879 del 29 settembre 2005; Cass. n. 20556 del 24 febbraio 2005; Cass., sez. un., n. 17 del 21 giugno 2000). Detto principio, costantemente seguito dalla successiva giurisprudenza di legittimita', conserva intatta la sua validita', non essendone mutati i presupposti argomentativi di fondo, anche a seguito dei successivi interventi normativi incidenti sul Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope (d.P.R. n. 309 del 1990), sino all'ultimo, costituito dalla legge 21 febbraio 2006, n. 29. Quest'ultima novella rafforza, anzi, il suddetto convincimento, laddove elimina in radice l'argomento letterale utilizzato dai fautori della tesi contraria, desumibile dal disposto del previgente art. 90, d.P.R. n. 309 del 1990, il quale stabiliva, in tema di sospensione dell'esecuzione della pena detentiva, che «la stessa disposizione si applica per i reati previsti dall'art. 73, comma 5 ...». Ebbene, il menzionato art. 90, nella sua nuova formulazione, non contiene piu' il predetto equivoco riferimento ai «reati» di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990; mentre, per altro verso, rimane fermo l'argomento di segno opposto, desumibile dalla lettera dell'art. 380, secondo comma. lett. h), c.p.p., come sostituito dall'art. 2 d.l. n. 247 del 1991, convertito in legge n. 314 del 1991, il quale definisce espressamente come «circostanza» la fattispecie prevista dal quinto comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. Dal fatto che trattasi di circostanza attenuante discende che essa e' soggetta all'obbligatorio giudizio di comparazione di cui all'art. 69, quarto comma, c.p. con le circostanze di segno opposto eventualmente ritenute, tra le quali pacificamente rientra la recidiva (circostanza inerente la persona del colpevole). Ora, atteso che indubbiamente ricorrono nel caso in esame gli estremi della contestata recidiva specifica, e infraquinquennale di cui all'art. 99, comma 4 c.p. - l'imputato risulta infatti gravato da due precedenti penali specifici per i quali ha riportato condanna con sentenze del Tribunale di Modena in data 31 ottobre 2003, divenuta irrevocabile il 9 dicembre 2003, e del Tribunale di Verona in data 11 marzo 1999, divenuta irrevocabile il 15 ottobre 1999 - e che il novellato art. 69, comma quarto c.p. consente unicamente il giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti in termini di equivalenza, ne consegue dunque che, ritenuta l'equivalenza tra la recidiva contestata e la ritenuta circostanza attenuante di cui all'art. 73, quinto comma, d.P.R. n. 309/1990, la pena da infliggersi all'imputato (salva la diminuente del rito) puo' essere solo quella prevista dal comma 1 della medesima norma (ai sensi di quanto previsto dall'art. 69, comma 3 c.p.), determinata dal legislatore, nel minimo, in anni sei di reclusione e 26.000,00 euro di multa. Da qui la rilevanza della questione prospettata, consentendo il giudizio di prevalenza della circostanza attenuante del fatto di lieve entita' sulla recidiva contestata - giudizio consentito dall'art. 69 c.p. anche per quanto riguarda le circostanze ad effetto speciale - la comminazione di una pena contenuta nei limiti edittali previsti dal quinto comma in luogo di quella, assai piu' aspra, prevista dal primo comma. Venendo al profilo della non manifesta infondatezza della questione proposta, ritiene il Tribunale che l'attuale formulazione dell'art. 69, comma 4 c.p., nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 99, quarto comma, c.p., stabilisce il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, dia luogo ad una violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione. Si osservi che tra i caratteri che la pena deve possedere secondo la Costituzione vi e' quello della proporzionalita' rispetto alla gravita' del fatto. Tale principio, cardine della moderna cultura giuridica e limite logico del potere punitivo nello Stato di diritto, e' insito nel concetto retributivo di pena (il male subito costituisce il corrispettivo del male inflitto se ed in quanto sia a questo proporzionato) ed e' costituzionalizzato dagli artt. 3 e 27, primo e terzo comma Cost., che impongono, rispettivamente, il trattamento differenziato delle situazioni diverse e l'ineludibile giustizia della pena, intrinseca nel carattere personale della responsabilita' e presupposto dell'azione rieducatrice della pena. Concetto, quello della proporzionalita', che impone al legislatore la previsione di pene edittali graduate in relazione ad una scala di gravita' dei reati (gravita' determinata dal rango dei beni, dal grado e dalla quantita' dell'offesa, dal tipo di colpevolezza) e la concreta graduabilita' da parte del giudice della misura della pena edittale in relazione ad una scala di gravita' delle ipotesi ricomprese nella fattispecie legale. Solo una pena proporzionata all'offesa e' in grado di assolvere alla sua composita funzione retributiva, intimidatrice e rieducativa e di armonizzarsi con i principi costituzionali di eguaglianza, della responsabilita' personale e del finalismo rieducativo della pena, laddove invece una pena sproporzionata lede tanto il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), che implica un pari trattamento degli eguali ma anche una diversificazione dei distinti e che si traduce per il legislatore in un imperativo di ragionevolezza in ordine alle differenziazioni e alle equiparazioni operate, quanto il principio della personalita' della pena (art. 27, primo comma Cost.), che impone, tra l'altro, che la pena sia adeguata, nella specie e nella quantita', anche alle condizioni personali dell'agente, quanto infine il principio che impone (nel triplice momento legislativo, giudiziario ed esecutivo) l'individualizzazione della pena in funzione delle esigenze specialpreventivo-risocializzative del soggetto (art. 27, terzo comma Cost.), sacrificando l'irragionevole durezza della sanzione il singolo a supposte superiori esigenze collettive di stabilita' e difesa sociale. Il giudizio di comparazione fra circostanze e' uno degli istituti finalizzati a consentire, nel momento della decisione giudiziaria, di rendere la pena adeguata, nella qualita' e nella misura, alla gravita' del fatto e alla personalita' del suo autore (la finalita' e' proprio «quella di apprezzare la personalita' del colpevole e la vera entita' del fatto onde conseguire il perfetto adattamento della pena al caso concreto», Cass., sez. IV, 28 giugno 2005, n. 30432, P.G. Milano in proc. Matti), sicche' la negazione di un completo giudizio di comparazione tra circostanze di segno opposto finisce per omogeneizzare il trattamento di situazioni anche profondamente diverse e per pregiudicare, oltre che la stessa efficacia generalpreventiva della pena (che presuppone a sua volta l'adeguatezza della sanzione, poiche' la pena, se troppo severa, puo' essere addirittura criminogena, istigando alla ribellione e alla solidarieta' con il reo, trasformato in vittima), anche la funzione rieducativa cui essa deve tendere, assolta solo calibrando la pena sulla personalita' e i bisogni risocializzativi dell'autore. E cio' in modo particolare allorquando il divieto di prevalenza riguardi le circostanze attenuanti ad effetto speciale, concepite dal legislatore con la previsione di pene assai piu' miti proprio per conferire speciale rilievo alla ridotta offensivita' del fatto. Nel caso in esame, ritiene il tribunale che il novellato art. 69 c.p., nella parte in cui prevede che la circostanza soggettiva della persona del colpevole consistente nell'avere riportato piu' condanne penali non consenta il giudizio di prevalenza delle ritenute circostanze attenuanti, possa dare luogo ad una irragionevole sproporzione tra il trattamento sanzionatorio applicabile e la concreta gravita' del reato e della colpevolezza. Specie in ipotesi di reato come quella di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in cui assai marcata e' la differenza nel trattamento tra fattispecie ordinaria e attenuata, il divieto di prevalenza finisce per neutralizzare la portata sanzionatoria della circostanza ad effetto speciale con la conseguenza di omogeneizzare il trattamento di situazioni profondamente diverse (il narcotrafficante di rilevanti partite di stupefacente contemplato dal comma primo e l'occasionale cedente di qualche modesta dose del quinto comma). Precludere il giudizio di prevalenza conduce in effetti ad applicare la medesima risposta sanzionatoria a condotte di gravita' estrema e condotte di gravita' modestissima e ad autori dalle personalita' del tutto diverse. Si pensi, a quest'ultimo riguardo, all'uniformita' sanzionatoria che si produce in forza della norma in commento con riferimento a imputati ritenuti meritevoli di una pluralita' di attenuanti e imputati ai quali sia riconosciuta una sola circostanza attenuante; a recidivi per reati c.d. «bagatellari» o comunque di modesta gravita' e recidivi per reati gravissimi: a recidivi per reati assai risalenti nel tempo e recidivi per reati recentemente consumati. Tali sono i motivi per cui appare rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' dell'art. 69, quarto comma, codice penale, come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 99, quarto comma, c.p., stabilisce divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, codice penale, come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 99, quarto comma, c.p., stabilisce divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute circostanze aggravanti, per violazione degli artt. 3 e 27 della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza, di cui e' data lettura in udienza alle parti, sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed altresi' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Roma, addi' 30 gennaio 2007 Il giudice: Steidl 07C0697