N. 411 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 2007
Ordinanza emessa il 24 gennaio 2007 dal tribunale aniministrativo regionale per la Puglia - Bari, sul ricorso proposto da Elia Benedetto contro A.U.S.L. Bari/4 ed altri Giustizia amministrativa - Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - Previsione dell'ammissibilita' anche contro gli atti amministrativi emessi dalla P.A. nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla disciplina di diritto comune ed attribuiti alla cognizione del giudice ordinario - Irragionevolezza - Esclusione in radice dei valori di buon andamento ed imparzialita' quali presupposti per l'ammissibilita' del rimedio del ricorso straordinario. - D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 8. - Costituzione, artt. 3 e 97. Giustizia amministrativa - Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - Controversie relative ad atti amministrativi emessi dalla P.A. nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla disciplina di diritto comune ed attribuiti alla cognizione del giudice ordinario - Ricorso in opposizione dei controinteressati - Onere per il ricorrente di depositare l'atto di costituzione in giudizio nella cancelleria del giudice ordinario competente, anziche' del giudice amministrativo e prosecuzione del giudizio stesso secondo le norme di codice di procedura civile, anziche' del Titolo III del Testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e del regolamento di procedura, approvato con regio decreto 17 agosto 1907, n. 642 - Violazione del principio del giudice naturale. - D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 10, primo comma. - Costituzione, art. 25, primo comma. Giustizia amministrativa - Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica - Ricorso in opposizione dei controinteressati - Obbligo per il giudice amministrativo di rimessione degli atti al ministro competente per l'istruzione dell'affare pure in caso di inammissibilita' del ricorso in sede giurisdizionale per difetto di giurisdizione - Violazione del principio del giudice naturale. - D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 10, secondo comma. - Costituzione, art. 25, primo comma.(GU n.22 del 6-6-2007 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1910 del 2006 proposto da Elia Benedetto, rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio Lofoco ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Bari alla via P. Fiore, 14; Contro, l'A.U.S.L. BA/4, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanni Colella ed elettivamente domiciliata presso lo stesso in Bari al Lungomare Starita, 6; la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore, non costituita nel presente giudizio e nei confronti di Michele Pio De Michele, non costituito nel presente giudizio, per l'annullamento, previa sospensiva, della delibera del direttore generale della AUSL BA/4, nr. 425 del 2 marzo 2006, unitamente alla nota provvedimentale della medesima AUSL BA/4, prot. 5875 del 15 marzo 2006, pervenuta al ricorrente in data 23 marzo 2006, con la quale la AUSL BA/4 ricostruiva il rapporto di lavoro con il ricorrente e deliberava la titolarita' dello stesso ad essere inquadrato - ai soli effetti giuridici - quale dirigente medico I livello, fascia A - Psichiatria, presso il S.I.M. di Bitonto, dalla data della sentenza del Consiglio di Stato in S.G. - Sez. V, - n. 762/04 del 28 febbraio 2004, nonche' per l'accertamento del diritto del dott. Benedetto Elia al riconoscimento dell'inquadramento ai fini giuridici della qualita' di dirigente medico I livello, fascia A - Psichiatria, presso il S.IM. di Bitonto (BA), dalla data della delibera n. 504 del 31 dicembre 1994, (e non dalla sentenza del c.d.s. del 28 febbraio 2004) con la quale l'Azienda U.S.L. BA/4, in pretesa applicazione della legge regionale del 30 luglio 1990, n. 34 e successive integrazioni e modificazioni, lo aveva erroneamente e illegittimamente inquadrato in soprannumero nonche' ancora per l'accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere dalla AUSL BA/4 tutte le somme di denaro rivenienti dall'intercorso e tuttora in essere rapporto di lavoro; somme che sono state destinate erroneamente al dott. Michele Pio De Michele, nel corso degli anni 1994-2006, e che invece dovevano essere attribuite al ricorrente. Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla Camera di consiglio del 10 gennaio 2007, il referendario, dott. Raffaele Greco; Uditi l'avv. Lofoco per il ricorrente e l'avv. Colella per l'Amministrazione; Vista l'ordinanza n. 13 del 10 gennaio 2007, con la quale questa sezione ha sospeso il giudizio, anche nella fase cautelare, per la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ritenuto in fatto e considerato in dirtto quanto segue. Fatto Il dott. Benedetto Elia, assistente medico dipendente della U.S.L. BA/4 (gia' BA/8), ha impugnato gli atti in epigrafe meglio indicati con ricorso straordinario al Capo dello Stato. In tale sede, egli ha rievocato la complessa vicenda relativa al pregresso contenzioso intercorso con l'Amministrazione in ordine alla sua posizione professionale: vicenda iniziata con un primo ricorso (nr. 783/1995) proposto innanzi a questo tribunale avverso la delibera del 30 dicembre 1995, n. 504, con la quale, ai sensi della l.r. Puglia 30 luglio 1990, n. 34, era stato disposto il suo inquadramento in soprannumero nei nominativi regionali e l'inquadramento del dott. De Michele Michele Pio, anch'egli assistente medico, nell'unico posto vacante; contestualmente, egli aveva gravato anche la delibera n. 848 dell'8 maggio 1992, con la quale veniva riconosciuto al dott. De Michele il diritto all'inquadramento nei ruoli nominativi regionali ai sensi della legge 20 maggio 1985, n. 207. Con un secondo ricorso (n. 8/1997), il dott. Elia impugnava la deliberazione del direttore generale della A.U.SL. BA/4 n. 4726 del 23 agosto 1996, di approvazione della graduatoria del concorso riservato, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di coadiutore sanitario presso il S.I.M. di Bitonto, nella quale il dott. De Michele si era classificato al primo posto, e lo stesso ricorrente al secondo, nonche' la deliberazione n. 5216 del 30 settembre 1996, di nomina del De Michele a coadiutore sanitario. Con sentenza n. 131 del 1998, questo Tribunale accoglieva il primo ricorso e respingeva il secondo, decisione avverso la quale l'Elia interponeva appello. Con decisione n. 762 del 28 febbraio 2004, il Consiglio di Stato, rilevato che al dott. De Michele non era applicabile l'art. 14 della legge n. 207/1985 in quanto non in possesso dei requisiti per l'inquadramento, essendo stato egli inquadrato solo in applicazione delle normativa speciali di cui alle ll.rr. n. 34/1990 e 27/1994, che l'unico medico ad avere titolo ad occupare il posto di coadiutore sanitario era il dott. Elia, il quale era anche il solo che avrebbe potuto partecipare alla procedura concorsuale, in accoglitnento dell'appello annullava gli atti impugnati. In esecuzione di tale pronuncia, il data 23 marzo 2006 l'A.U.S.L. BA/4 notificava al ricorrente la delibera del direttore generale n. 425 del 2 marzo 2006, in una alla nota provvedimentale prot nr. 5875 datata 15 marzo 2006, con cui si affermava il pieno titolo dell'Elia ad essere inquadrato ai soli effetti giuridici in qualita' di dirigente medico I Livello - fascia A - Psichiatria, presso il S.I.M. di Bitonto, a far data dalla sentenza dei Consiglio di stato innanzi citata; contestizalmente, veniva disposto il recupero delle somme erroneamente erogate in favore del dott. De Michele. Avverso tali ultimi provvedimenti, il ricorrente nel ricorso straordinario ha dedotto i seguenti profili di illegittimita': Eccesso di potere per illogicita' e contraddittorieta' manifesta nonche' dispaiita' di trattamento. erronea presupposizione di fatto e di diritto, ingiustizia manifesta; Eccesso di potere per sviamento e violazione del giusto procedimento; Violazione dell'ordine del giudice amministrativo; Violazione dell'art. 3, legge n. 241/1990 ed eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione; erroneamente l'amministrazione fa decorrere gli effetti giuridici dell'inquadramento dalla data della sentenza del Consiglio di Stato, senza tener conto del fatto che era stata la stessa Amministrazione, attraverso l'illegittima gestione del concorso, a precludere al ricorrente la vittoria nello stesso, e pertanto dovendo la decorrenza necessariamente retrodatare all'anno 1994 (anno in cui veniva illegittimamente nominato in ruolo il dott. De Michele), atteso che: a) la pronuncia giurisdizionale aveva dichiarato illegittimo in nuce l'operato dell'Amministrazione, rilevando che il Di Michele non avrebbe potuto neanche partecipare alla selezione; b) ali medesima selezione avrebbe potuto partecipare solo il ricorrente, che pertanto la avrebbe certamente vinta; c) in ogni caso, gli effetti dell'annullamento giurisdizionale avrebbero dovuto operare ex tunc, e non ex nunc; d) le somme recuperate dal dott. De Michele avrebbero dovuto essere destinate al dott. Elia, laddove invece l'impugnata delibera nulla disponeva al riguardo; e) la medesima delibera risultava adottata dopo due anni dalla sentenza, con ulteriore grave nocumento per il ricorrente; infine, non era stata addotta alcuna motivazione a sostegno delle determinazioni adottate sulla diversa decorrenza dell'inquadramento; Eccesso di potere per violazione del principio di affidamento del cittadino nell'azione della p.a. di buon andamento e buona amministrazione; eccesso di potere per sviamento erronea presupposizione di fatto ingiustizia ed illogicita' manifesta: al ricorrente spettava il compenso non percepito per tutto il tempo (ben 12 anni) in cui era stato ingiustamente privato del posto di dirigente medico, con la carriera conseguentemente bloccata, e pertanto il dott. De Michele avrebbe dovuto restituire le somme percepite dal 1994, e non dal 1996, come erroneamente ritenuto dall'amministrazione; Eccesso di potere per violazione del principio di affidamento del cittadino nell'azione della p.a. di buon andamento e buona amministrazione; eccesso di potere per sviamento, erronea presupposizione di fatto, ingiustizia ed illogicita' manifesta illegittimamente l'Amministrazione ha retrodatato i soli effetti giuridici dell'inquadramento del ricorrente, e non anche quelli economici, atteso che le somme restituite dal dott. De Michele non potranno essere trattenute dall'Amministrazione, la quale le avrebbe certamente erogate in favore del ricorrente. Il ricorrente ha chiesto pertanto l'annullamento dei provvedimenti impugnati, previa sospensione della loro efficacia. Con atto notificato il 12 settembre 2006, l'A.U.S.L. BA/4 ha proposto opposizione, chiedendo la trasposizione del procedimento in sede giurisdizionale. Il ricorrente ha pertanto depositato innanzi a questo Tribunale in data 5 dicembre 2006 atto di costituione notificato alle controparti il 10 novembre antecedente, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e quindi chiedendo il ritorno del prooedimento innanzi al Capo dello Stato, e comunque nel merito riportandosi integralmente alle censure e richieste articolate nel ricorso straordinario. L'A.U.S.L. BA/4 si e' costituita in data 8 gennaio 2007, con articolato atto nel quale ha replicato alle eccezioni ed alle censure di parte ricorrente, chiedendo la reiezione del ricorso e dell'istanza cautelare. Alla camera di consiglio del 10 gennaio 2006, fissata per l'esame della domanda incidentale di sospensiva, questa sezione, con oridnanza nr. 10/07, ha disposto la sospensione del giudizio, anche ai fini cautelari, dovendo sollevarsi eccezione di costituzionalita' in relazione all'art. 10 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199. Diritto 1. - La questione di legittimita' costituzionale che il Collegio intende sollevare attiene, piu' precisamente agli attt. 8 e 10, commi primo e secondo, del d.P.R. 24 novembre 1971, nr. 1199, in tema del ricorso straordinario al Capo dello Stato. Ai sensi dell'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, nr. 87, detta questione appare certamente rilevante e non manifestamente infondata, per le ragioni che appresso verranno esposte. 2. - Con riguardo al profilo della rilevanza della questione, va anzi tutto rilevato come sia difficilmente contestabile che la controversia in esame, avente ad oggetto un atto di inquadramento di dipendente di una A.U.S.L., non appartenga alla giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di controversia in materia di pubblico impiego devoluta al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, ai sensi dell'art. 63, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. E, difatti, il ricorrente, nel costituirsi innanzi a questo Tribunale a seguito di richiesta di trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, ha eccepito'. il difetto di giurisdizione chiedendo la rimessione degli. atti all'autorita' amministrativa ai sensi dell'art. 10, comma secondo, d.P.R. n. 1199/1971. A fronte di tale emergenza, non appaiono codivisibili i rilievi dell'Amministrazione, che assume in contrario la sussistenza della giurisdizione di questo Tribunale, sul duplice rilievo che la controversia in oggetto atterrebbe a vicende relative ad epoca anteriore alla «privatizzazione» dell'impiego pubblico, e che in ogni caso l'intervenuto esperimento del ricorso straordinario al Capo dello Stato radicherebbe la cognizione del giudice amninistrativo, dal momento che innanzi a quest'ultimo sarebbe stato impugnabile il provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo contenzioso, ove questo fosse proseguito. Quanto al primo rilievo, e' agevole replicare che, in base alla normativa transitoria contenuta nell'art. 69, comma settimo, d.lgs. n. 165/2001, l'attinenza della controversia a periodo anteriore al 30 giugno 1998 non costituisce l'unico presupposto del permanere della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, occorrendo anche l'ulteriore presupposto processuale dell'essere stata la medesima controversia proposta, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000 (cio' che, all'evidenza, non ricorre nel caso che occupa). In ordine al secondo rilievo, va anzi tutto osservato che esso non e' completamente esatto, dovendo tenersi conto sia della norma limitatrice di cui all'ultimo comma dell'art. 10 d.P.R. n. 1199/1971, che per le parti le quali abbiano partecipato al procedimento amministrativo contenzioso conseguente al ricorso straordinario, in ossequio al principio di alternativita' tra ricorso amministrativo e ricorso giurisdizionale, limita la possibilita' di impugnazione ai soli vizi di forma o procedurali sia dell'orientamento giurisprudenziale che, sulla base dell'identico principio, esclude in ogni caso che con l'impugnazione del decreto decisorio del ricorso straordinario possano essere iproposte questioni gia' esaminate dal Consiglio di Stato in sede consultiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 1983, n. 722). Peraltro, l'avviso di parte resistente da ultimo richiemato, introducendo l'idea che possa essere la stessa scelta di proporre il ricorso straordinario a «radicare» definitivamente la giurisdizione del giudice aimministrativo, apre la via ai dubbi di costituzionalita' che verranno meglio appresso esplicitati. Tanto premesso, la sicura insussistenza della giurisdizione di questo Tribunale, contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, non vale ad escludere la rilevanza dei suindicati dubbi di costituzionalita', ma anzi ne costituisce essa stessa il fondamento. Infatti, un primo problema concerne le determinazioni da assumere in conseguenza del ritenuto difetto di giurisdizione, dovendo procedersi, sulla base della normativa attualmente in vigore (e come chiesto dallo stesso ricorrente), a rimessione degli atti presso la sede amministrativa contenziosa, con la conseguente impossibilita' che la controversia possa essere conosciuta dal giudice che per legge avrebbe giurisdizione su di essa (ossia, il giudice ordinario); i dubbi si riverberano altresi' sulla stessa proponibilita' del rimedio del ricorso straordinario per controversie del tipo di quella in oggetto. 3. - Venendo dunque al profilo della non manifesta infondatezza della questione, occorre richiamare brevemente i principi elaborati dalla Corte Costituzionale in ordine al fondamento dell'istituto del ricorso straordinario al Capo dello Stato. Al riguardo la Corte, investiti di questioni di legittimita' costituzionale prospettate con riguardo a profili diversi da quelli che in questa sede vengono all'attenzione, ha piu' volte affermato la legittimita' costituzionale del ricorso straordinario in quanto rimedio straordinario e sui generis, avente natura contenziosa ma certamente non giurisdizionale, ed al tempo stesso non costituente espressione di amministrazione attiva, contro eventuali illegittimita' di atti amministrativi definitivi che i singoli interessati possono evitare con iddica spesa, senza bisogno dell'assistenza tecnico-legale e con beneficio di termini di presentazione del ricorso particolarmente ampi (cfr. Corte cost., 13 marzo 2001, ord. n. 56). Piu' specificamente, nell'evidenziare come l'istituto in oggetto non possa considerarsi un mero residuo degli antichi poteri di grazia riconosciuti al Capo dello Stato come vertice dell'Amministrazione, la Corte ha osservato: «La permanenza attuale di una ragione giustificativa di tale istituto non sta, dunque, nella sua improbabile natura di appello al sovrano o al vertice amministrativo. Sta piuttosto nel fatto che il ricorso straordinario costituisce, per la pubblica amministrazione, un mezzo ulteriore di garanzia della legalita e dell'impaizialita' della propria azione - che, insieme al buon andamento, sono pur sempre i valori costituzionali supremi cui deve ispirarsi l'attivita' amministrativa - e, per i cittadini come ha gia' detto questa Corte (sentenza n. 78/1966), uno strumento aggiuntivo, rispetto a quelli ordinari di tutela dei propri diritti soggettivi e interessi legittimi, la cui adeguata protezione rappresenta un valore altrettanto primario e, in un certo senso, speculare rispetto a quelli precedentemente ricordati» (Corte cost., 31 dicembre 1986, ord. n. 298). Risulta evidente, pertanto, che il fondamento costituzionale dell'istituto e' stato individuato nei principi generali di buon andamento ed imparzialita' ex art. 97 Cost., il cui riflesso e' rappresentato dalla possibilita' che gli stessi interessati, a tutela delle proprie posizioni soggettive, possano chiedere alla stessa p.a. il riesame di atti che esa ha adottato: donde la riconducibilita' dell'intera materia dei ricorsi amministrativi, secondo un'autorevole dottrina, alla autotutela aministrativa (o, come altri preferisce, alla autodichia della p.a.). Se questo e' vero, ad avviso del Collegio non e' eludibile il problema della latitudine di applicabilita' del rimedio de quo: se, cioe', esso possa essere indistintamente esperito contro qualunque atto purche' proveniente da una amministrazione pubblica ovvero - come sembra piu' coerente, stante il suo stretto legame con il controllo istituzionale sul corretto esercizio dei pubblici poteri - soltanto in relazione a quegli atti adottati nell'esercizio di poteri autoritativi. Il problema non era sfuggito alla giurisprudenza piu' risalente, che aveva infatti escluso l'ammissibilita' del ricorso straordinario avverso atti emessi dalla p.a. jure privatorum, e come tali destinati ad incidere su posizioni soggettive del privato tutelabili dinanzi al giudice ordinario (cfr. Cons. Stato, sez. III, 14 giugno 1972, n. 684). Tuttavia, fino a tempi abbastanza recenti la questione non si era posta con particolare urgenza, stante la relativa chiarezza del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, la sostanziale indifferenza delle ipotesi di giurisdizione esclusiva (non si dubita, infatti, che il ricorso straordinario sia proponibile a tutela sia di interessi legittimi che di diritti soggettivi), e soprattutto l'assenza di rilevanti settori di materie la cui cognizione era devoluta in via esclusiva al giudice ordinario: residuavano quei soli casi di giurisdiziope del giudice ordiio ritenuti derogatori rispetto ai principi generali, e quindi attribuitivi di competenze speciali o riservate (p. es., in materia di sanzioni amminstrative), per i quali si escludeva in assoluto la proponibilita' del rimedio de quo (cfr. Cons. Stato sez. I, 24 novembre 1999, n. 929). La situazione e' profondamente mutata dopo la «privatizzazione» del pubblico impiego, operata inizialmente col d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nel cui ambito l'intero settore, salvo marginali eccezioni, e' stato riportato sotto disciplina di diritto comune, non dubitandosi oggi, pertanto, che all'interno di esso la p.a. adotti atti privatistici (o paritetici); correlativamente, controversie in materia, come gia' rilevato, sono state devolute alla giurisdizione del giudice ordinario. A fronte di cio', si e' riproposto il problema della impugnabilita' di tali atti con ricorso straordinario al Capo dello Stato, se cioe' la nozione di «atti definitivi», con la quale l'art. 8, d.P.R. n. 1199/1971 individua gli atti che possono formare oggetto di tale rimedio, debba essere intesa in senso ampio, comprensivo di qualsiasi atto promanante da una pubblica amministrazione, ovvero limitata a quei soli atti che, costituendo espressione di poteri autoritativi soggiacciono ai principi costituzionali di buon andamento e dell'imparzialita' ex art. 97 Cost. Nel primo senso si e' orientata la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha piu' volte affermato la proponibilita' generale del ricorso straordinario, ove non espressamente inibito da specifiche norme di legge, anche nei confronti di atti soggettivamente ed oggettivamente amministrativi la cui cognizione e' devoluta al giudice ordinario, trattandosi di strumento di difesa a carattere generale istituzionalmente indifferente al riparto della giurisdizione (cfr. Cons. Stato, ad gen. 10 giugno 1999, n. 7, e 29 maggio 1997, n. 72; Sez. I, 16 febbraio 2000, n. 3). La conclusione e' sorretta da un duplice ordine di argomentazioni: da un lato, l'ormai diffuso riconoscimento anche in capo al giudice amministrativo poteri di accertamento in materia di diritti soggettivi, tali da non consentire di limitarne strettamente la cognizione all'impugnazione di un atto; per altro verso, la sempre piu' ampia adozione di moduli privatistici da parte della p.a. per il perseguimento delle proprie finalita', tale da rendere necessaria - come riconosciuto da buona parte della dottrina e della giurisprudenza, anche costituzionale - una nozione «neutra» di atto amministrativo, idonea a ricomprendere anche quegli atti solo soggettivamente amministrativi dei quali la p.a. si vale per il perseguimento dei propri obiettivi. Pertanto, la giurisprudenza prevalente e' oggi nel senso di ammettere l'esperibilita' del ricorso straordinario al Capo dello Stato in relazione a controversie rientranti nella giurisdizione ordinaria, come quella che occupa, tutte le volte in cui l'atto della p.a., indipendentemente dal suo regime giuridico formale, risulti direttamente e immediatamente finalizzato alla cura di un interesse pubblico specifico (cfr. Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2003, n. 3298; Comm. spec., 5 febbraio 2001, n. 471). E' opinione del Collegio che di questo orientamento vada oggi verificata la compatibiita' costituzionale, specie dopo che la piu' recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha nuovamente esaltato; come elemento decisivo ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, l'esistenza o meno di un atto che sia espressione dei poteri tipici autoritativi della p.a. (cfr. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204). Alla luce di tale insegnamento, va rimeditata l'affermazione secondo cui il ricorso straordinario sarebbe sempre e comunque indifferente al riparto della giurisdizione. In primo luogo, appare non del tutto conferente il parallelismo tra la cognizione di rapporti privatistici in sede straordinaria e le azioni di accertamento inerenti ad analoghi rapporti oggi ammesse dinanzi al giudice amministrativo: infatti, e' evidente che tali azioni attengono alla sfera della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, laddove e' lo stesso legislatore a devolvere espressamente a tale giudice, nell'ambito di una particolare materia, la cognizione anche delle questioni afferenti a diritti soggettivi (anche su tale punto giova richiamare l'arresto della Corte sopra citato, secondo cui per «particolari materie» ai sensi dell'art. 103 Cost., devono intendersi in ogni caso quelle materie caratterizzate da profondo intreccio fra diritti soggettivi e interessi legittimi). Trattasi, con ogni evidenza, di contesto totalmente diverso da quello in cui s'inseriscono le controversie del tipo di quella che occupa, laddove non solo non e' devoluta al giudice amministrativo alcuna cognizione in materia di diritti, ma, all'opposto, sussiste una riserva esclusiva di giurisdizione a favore del giudice ordinario (giurisdizione che, come meglio si dira' appresso, verrebbe ad essere fatalmente ed irreversibilmente vulnerata dalla ipotizzata proponibilita' del ricorso straordinario). In secondo luogo, vi e' nella giurispridenza piu' sopra richiamata evidente salto logico, laddove dalla constatazione che anche atti solo soggettivametne amministrativi possono oggi essere impiegati per perseguire finalita' pubbliche si passa ad ammettere in maniere generale ed onnicomprensiva la proponibilita' del ricorso straordinario avverso tatti gli atti privatistici emessi dalla p.a. nell'ambito del rapporto d'impiego. Al contrario, e' la logica stessa dell'argomentazione ad imporre una netta distinzione tra gli atti con cui, quale che ne sia la forma giuridica, vengono effettivamente realizzati gli obiettivi individuati dal legislatore, e gli atti invece avente natura meramente privatistica, come tali finalizzati unicamente alla regolamentazione dei rapporto d'impiego (quelli che, con terminologia risalente, si sarebbero definiti «atti di gestione»). Tale e', indubbiamente, l'atto odiemamente impugnato, adottato dopo che una precedente pronuncia definitiva aveva affermato il diritto del ricorrente all'inquadramento nel posto messo a concorso, e del quale egli oggi contesta la decorrenza giuridica ed economica, venendo quindi all'attenzione unicamente il suo interesse privatistico alla retrodatazione dell'inquadramento medesimo (escluso, dunque, ogni profilo di rilievo pubblicistico). In relazione a siffatti atti, l'assenza di ogni esercizio di poteri autoritativi e correlativamente la non finalizzazione di essi, direttamente o indirettamente, ad alcun interesse pubblico, esclude in radice che possano venire in gioco i valori di buon andamento ed imparzialita' ex art. 97 Cost.: pertanto, viene meno il presupposto stesso su cui si fonda l'ammissibilita' del rimedio del ricorso straordinario, siccome espressione del principio di autotutela (o autodichia) dell'amministrazione. In altri termini, l'interpretazione qui criticata assimila irragionevolmente fattispecie profondamente diverse, giacche' nelle prime, e non nelle seconde, la proponibiliti' del rimedio amministrativo contenzioso trova il proprio fondamento costituzionale nei principi di cui all'art. 97. Pertanto, l'art. 8, primo comma, d.P.R. n. 1199/1971 appare incostituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost, nella parte in cui consente il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica anche contro gli atti amministrativi emessi dalla p.a. nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla disciplina di diritto comune ed attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, ai quali sia estraneo l'esercizio di pubblici poteri. 4. - Laddove la questione sopra proposta dovesse ritenersi infondata, e dunque si ribadisse l'ammissibilita' del ricorso straordinario anche avverso atti privatistici, si porrebbe un serio problema di costituzionalita' dell'art. 10, primo e secondo comma, d.P.R. n. 1199/1971. E' appena il caso di precisare come la giurisprudenza della Corte costituzionale ammetta la proposizione di piu' questioni distinte di costituzionalita', a patto che le stesse non siano proposte in forma alternativa, ma in via logicamente subordinata, di modo che dal rigetto della prima consegua inevitabilmente il porsi della seconda, e cosi' via (cfr. Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188). Cio' premesso, il Collegio rileva che, ove si superassero i dubbi di costituzionalita' dell'art. 8, d.P.R. n. 1199/1971 teste' prospettati, s'imporrebbe necessariamente - cosi' come espressamente chiesto da parte ricorente - la rimessione degli atti all'autorita' amministrativa ai sensi dell'art. 10, secondo comma, d.P.R. n. 1199/1971. Tale disposizione, secondo l'opinione prevalente, disciplina l'unica ipotesi di regressione del procedimento dalla sede giurisdizionale a quella amministrativa contenziosa, e secondo un certo indirizzo giurisprudenziale puo' applicarsi non solo quando il ricorso sia inammissibile in sede giurisdizionale per motivi formali o procedurali (p. es. tardivita' dell'atto di trasposizione, difetto di notifica o mancanza di elementi essenziali), ma anche nel caso di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 2003, n. 8354, e 2 maggio 1994, n. 374). Ad avviso del Collegio, anche questo orientamento va rivisto alla luce dei principi che si sono piu' sopra enunciati. Ed invero, laddove il legislatore abbia previsto la devoluzione di una controversia ad un determinato giudice, appare incostituzionale per contrasto col principio del giudice naturale (art. 25, primo comma, Cost.) ogni disposizione che consenta a taluna delle parti di sottrarla a detto giudice e attribuirla ad autorita' giudiziaria diversa. Tanto premesso, il primo comma dell'art. 10, d.P.R. n. 1199/1971, per ragioni evidentemente legate alla genesi storica dell'istituto ed alla sua stretta connessione con il controllo dell'esercizio dei poteri autoritativi della p.a., prevede che, in caso di opposizione dei controinteressati, il ricorrente che intenda insistere nel ricorso «deve depositare nella segreteria del giudice amministrativo competente, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, l'atto di costitzione in giudizio»: pertantanto, il legislatore ha individuato nel giudice amministrativo il solo possibile «destinatario» della trasposizione del ricorso. Se cio' e' vero, risulta evidente che per controversie del tipo di quella che occupa, pacificamente rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario,. l'eventuale proposizione del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avrebbe l'effetto di sottrarle definitivamente ed irreversibilmente alla cognizione di detto giudice, senza che cio' sia giustificato da alcuna espressa disposizione di legge derogatoria della giurisdizione ne' da alcun principio di rango costituzionale. Infatti, a fronte del ricorso straordinario, alle parti controinteressate ed all'amministrazione che ha emanato l'atto resterebbe unicamente l'alternativa tra resistere in sede aniministrativa contenziosa e chiedere la trasposizione in sede giurisdizionale, cio' che potrebbe pero' avvenire unicamente dinanzi al giudice amministrativo; in alcun modo esse potrebbero essere giudicate dal loro giudice naturale precostitaito per legge (ossia, dal giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro). Tale definitivo «dirottamento» della controversia dalla sede giurisdizionale sua propria, per effetto della semplice scelta del ricorrente di procedere con ricorso straordinario anziche' per via giudiziale, non appare certamente autorizzata dalla norma ex art. 10, che non contempla alcuna deroga alla giurisdizione ordinaria (e, anzi, per quanto si e' detto deve la sua formulazione ad un'epoca in cui la questione nemmeno si poneva). La deroga non appare altresi' giustificata da alcun superiore principio o valore costituzionale: infatti, per quanto si e' ampiamente esposto sub 3, si presuppone che nei casi del tipo di quello che viene all'attenzione non vi e' alcuna esigenza di salvaguardare il buon andamento e l'imparzialita' della p.a. ex art. 97 Cost. Correlativamente, la disposizione di cui al secondo comma dell'art. 10 non puo' considerarsi applicabile anche all'ipotesi in cui il giudice amministrativo ritenga carente la propria giurisdizione, dal momento che anche in questo caso la regressione del procedimento alla fase amministrativa contenziosa sottrarrebbe definitivamente la controversia al giudice ordinario, frustrando la volonta' espressamente manifestata dalla controparte di trattazione della stessa in sede giurisdizionale, con tutte le garanzie connesse; in tale ipotesi, l'art. 25, primo comma, Cost. impone che a tale parte sia lasciata la possibilita' di essere giudicata dal giudice precostituito per legge. In definitiva, l'art. 10, d.P.R. n. 1199/1971 appare incostituzionale per contrasto con l'art. 25, primo comma, Cost. sotto i seguenti profili: quanto al primo comma, nella parte in cui non prevede, per le controversie relative ad atti amministrativi emessi dalla p.a. nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla disciplina di diritto comune ed attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, ai quali sia estraneo l'esercizio di pubblici poteri, che a seguito dell'opposizione il ricorrente, qualora intenda insistere nel ricorso, debba depositare l'atto di costituzione in giudizio nella cancelleria del giudice ordinario competente, anziche' in quella del giudice amministrativo, e che il giudizio segua in sede giurisdizionale secondo le norme del codice di procedura civile, anziche' del titolo III del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n.1054, e del regolamento di procedura, approvato con regio decreto 17 agosto 1907, n. 642; quanto al secondo comma, nella parte in cui prevede che il giudice amministrativo dispone la rimessione degli atti al ministero competente per l'istruzione dell'affare anche qualora riconosca che il ricorso e' inammissibile in sede giurisdizionale per difetto di giurisdizione. 5. - Alla luce dei rilievi fin qui esposti s'impone la sospensione del giudizio con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione delle questioni innanzi prospettate. Resta riservata al definitivo ogni ulteriore questione in rito, nel merito e sulle spese.
P. Q. M. Non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; dichiara rilevante e non manifestamente infondata: in relazione agli articoli 3 e 97 Cost, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 8, d.P.R. n. 1199 del 1971, nella parte in cui consente il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica anche contro gli atti amministrativi emessi dalla p.a nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla disciplina di diritto comune ed attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, ai quali sia estraneo l'esercizio di pubblici poteri; in relazione all'art. 25, primo comma, Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, primo comma, d.P.R. n. 1199 del 1971, nella parte in cui non prevede, per le controversie relative ad atti amministrativi emessi dalla p.a. nell'ambito di un rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla disciplina di diritto comune ed attribuiti alla cognizione del giudice ordinario, ai quali sia estraneo l'esercizio di pubblici poteri che a seguito dell'opposizione il ricorrente, qualora intenda insistere nel ricorso, debba depositare l'atto di costituzione in giudizio nella cancelleria del giudice ordinario competente, anziche' in quella del giudice amministrativo, e che il giudizio segua in sede giurisdizionale secondo le norme del codice di procedura civile, anziche' del titolo III del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e del regolamento di procedura, approvato con regio decreto 17 agosto 1907, n. 642; in relazione all'art. 25, primo comma, Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, secondo comma, d.P.R. n. 1199 del 1971, nella parte in cui prevede che il giudice amministrativo dispone la rimessione degli atti al ministero competente per l'istruzione dell'affare anche qualora riconosca che il ricorso e' inammissibile in sede giurisdizionale per difetto di giurisdizione. Ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della segreteria della sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle Camere dei deputati e del Senato della Repubblica. Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese. Cosi' deciso in Bari, nella Camera di consiglio del 10 gennaio 2007. Il Presidente: Mangialardi Il referendario estensore: Greco 07C0718