N. 411 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 gennaio 2007

Ordinanza  emessa  il  24  gennaio 2007 dal tribunale aniministrativo
regionale  per  la  Puglia  -  Bari,  sul  ricorso  proposto  da Elia
Benedetto contro A.U.S.L. Bari/4 ed altri

Giustizia  amministrativa - Ricorso straordinario al Presidente della
  Repubblica  -  Previsione dell'ammissibilita' anche contro gli atti
  amministrativi emessi dalla P.A. nell'ambito di un rapporto di tipo
  privatistico,  assoggettati  alla  disciplina  di diritto comune ed
  attribuiti alla cognizione del giudice ordinario - Irragionevolezza
  -   Esclusione   in   radice   dei  valori  di  buon  andamento  ed
  imparzialita'  quali  presupposti  per l'ammissibilita' del rimedio
  del ricorso straordinario.
- D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 8.
- Costituzione, artt. 3 e 97.
Giustizia  amministrativa - Ricorso straordinario al Presidente della
  Repubblica  -  Controversie  relative ad atti amministrativi emessi
  dalla  P.A.  nell'ambito  di  un  rapporto  di  tipo  privatistico,
  assoggettati  alla  disciplina di diritto comune ed attribuiti alla
  cognizione  del  giudice  ordinario  -  Ricorso  in opposizione dei
  controinteressati - Onere per il ricorrente di depositare l'atto di
  costituzione  in  giudizio  nella cancelleria del giudice ordinario
  competente,  anziche' del giudice amministrativo e prosecuzione del
  giudizio  stesso  secondo  le  norme di codice di procedura civile,
  anziche'  del  Titolo III del Testo unico delle leggi sul Consiglio
  di  Stato,  approvato  con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e
  del regolamento di procedura, approvato con regio decreto 17 agosto
  1907, n. 642 - Violazione del principio del giudice naturale.
- D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 10, primo comma.
- Costituzione, art. 25, primo comma.
Giustizia  amministrativa - Ricorso straordinario al Presidente della
  Repubblica - Ricorso in opposizione dei controinteressati - Obbligo
  per  il giudice amministrativo di rimessione degli atti al ministro
  competente   per   l'istruzione   dell'affare   pure   in  caso  di
  inammissibilita' del ricorso in sede giurisdizionale per difetto di
  giurisdizione - Violazione del principio del giudice naturale.
- D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, art. 10, secondo comma.
- Costituzione, art. 25, primo comma.
(GU n.22 del 6-6-2007 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1910 del 2006
proposto da Elia Benedetto, rappresentato e difeso dall'avv. Fabrizio
Lofoco ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in Bari alla via
P. Fiore, 14;
    Contro,  l'A.U.S.L.  BA/4,  in persona del Direttore Generale pro
tempore,   rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Giovanni  Colella  ed
elettivamente  domiciliata  presso  lo  stesso  in  Bari al Lungomare
Starita, 6; la Regione Puglia, in persona del Presidente pro tempore,
non  costituita  nel presente giudizio e nei confronti di Michele Pio
De Michele, non costituito nel presente giudizio, per l'annullamento,
previa  sospensiva,  della delibera del direttore generale della AUSL
BA/4,  nr. 425 del 2 marzo 2006, unitamente alla nota provvedimentale
della  medesima AUSL BA/4, prot. 5875 del 15 marzo 2006, pervenuta al
ricorrente  in  data  23 marzo  2006,  con  la  quale  la  AUSL  BA/4
ricostruiva  il  rapporto di lavoro con il ricorrente e deliberava la
titolarita'  dello  stesso  ad  essere  inquadrato  - ai soli effetti
giuridici - quale dirigente medico I livello, fascia A - Psichiatria,
presso  il S.I.M. di Bitonto, dalla data della sentenza del Consiglio
di  Stato in S.G. - Sez. V, - n. 762/04 del 28 febbraio 2004, nonche'
per   l'accertamento   del   diritto  del  dott.  Benedetto  Elia  al
riconoscimento dell'inquadramento ai fini giuridici della qualita' di
dirigente  medico  I livello, fascia A - Psichiatria, presso il S.IM.
di  Bitonto  (BA),  dalla  data della delibera n. 504 del 31 dicembre
1994,  (e  non dalla sentenza del c.d.s. del 28 febbraio 2004) con la
quale  l'Azienda  U.S.L.  BA/4,  in  pretesa applicazione della legge
regionale  del  30 luglio  1990,  n. 34  e  successive integrazioni e
modificazioni, lo aveva erroneamente e illegittimamente inquadrato in
soprannumero  nonche'  ancora  per  l'accertamento  del  diritto  del
ricorrente  ad  ottenere  dalla  AUSL  BA/4  tutte le somme di denaro
rivenienti  dall'intercorso  e  tuttora in essere rapporto di lavoro;
somme  che  sono state destinate erroneamente al dott. Michele Pio De
Michele, nel corso degli anni 1994-2006, e che invece dovevano essere
attribuite al ricorrente.
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio dell'Amministrazione
intimata;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,  alla  Camera  di  consiglio  del  10 gennaio  2007, il
referendario, dott. Raffaele Greco;
    Uditi  l'avv.  Lofoco  per  il  ricorrente  e  l'avv. Colella per
l'Amministrazione;
    Vista  l'ordinanza n. 13 del 10 gennaio 2007, con la quale questa
sezione  ha  sospeso  il giudizio, anche nella fase cautelare, per la
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Ritenuto in fatto e considerato in dirtto quanto segue.

                                Fatto

    Il  dott.  Benedetto  Elia,  assistente  medico  dipendente della
U.S.L.  BA/4  (gia'  BA/8),  ha impugnato gli atti in epigrafe meglio
indicati con ricorso straordinario al Capo dello Stato.
    In  tale sede, egli ha rievocato la complessa vicenda relativa al
pregresso contenzioso intercorso con l'Amministrazione in ordine alla
sua  posizione  professionale:  vicenda iniziata con un primo ricorso
(nr.  783/1995)  proposto  innanzi  a  questo  tribunale  avverso  la
delibera  del  30 dicembre 1995, n. 504, con la quale, ai sensi della
l.r.  Puglia  30 luglio  1990,  n. 34,  era  stato  disposto  il  suo
inquadramento    in   soprannumero   nei   nominativi   regionali   e
l'inquadramento   del   dott.   De  Michele  Michele  Pio,  anch'egli
assistente  medico,  nell'unico  posto vacante; contestualmente, egli
aveva  gravato  anche  la  delibera n. 848 dell'8 maggio 1992, con la
quale   veniva   riconosciuto   al   dott.   De  Michele  il  diritto
all'inquadramento nei ruoli nominativi regionali ai sensi della legge
20 maggio 1985, n. 207.
    Con  un  secondo  ricorso (n. 8/1997), il dott. Elia impugnava la
deliberazione  del  direttore generale della A.U.SL. BA/4 n. 4726 del
23 agosto  1996,  di  approvazione  della  graduatoria  del  concorso
riservato,  per  titoli  ed  esami,  per  la copertura di un posto di
coadiutore  sanitario  presso  il  S.I.M.  di Bitonto, nella quale il
dott.  De  Michele  si  era  classificato al primo posto, e lo stesso
ricorrente   al   secondo,   nonche'  la  deliberazione  n. 5216  del
30 settembre 1996, di nomina del De Michele a coadiutore sanitario.
    Con  sentenza  n. 131  del  1998,  questo Tribunale accoglieva il
primo  ricorso  e  respingeva  il secondo, decisione avverso la quale
l'Elia interponeva appello.
    Con decisione n. 762 del 28 febbraio 2004, il Consiglio di Stato,
rilevato  che al dott. De Michele non era applicabile l'art. 14 della
legge  n. 207/1985  in  quanto  non  in  possesso  dei  requisiti per
l'inquadramento,  essendo  stato egli inquadrato solo in applicazione
delle normativa speciali di cui alle ll.rr. n. 34/1990 e 27/1994, che
l'unico  medico  ad  avere  titolo ad occupare il posto di coadiutore
sanitario  era  il dott. Elia, il quale era anche il solo che avrebbe
potuto  partecipare  alla  procedura  concorsuale,  in  accoglitnento
dell'appello annullava gli atti impugnati.
    In esecuzione di tale pronuncia, il data 23 marzo 2006 l'A.U.S.L.
BA/4  notificava  al  ricorrente  la  delibera del direttore generale
n. 425  del  2 marzo  2006, in una alla nota provvedimentale prot nr.
5875  datata  15 marzo  2006,  con  cui  si affermava il pieno titolo
dell'Elia  ad essere inquadrato ai soli effetti giuridici in qualita'
di  dirigente  medico  I  Livello - fascia A - Psichiatria, presso il
S.I.M.  di  Bitonto, a far data dalla sentenza dei Consiglio di stato
innanzi  citata;  contestizalmente, veniva disposto il recupero delle
somme erroneamente erogate in favore del dott. De Michele.
    Avverso  tali  ultimi  provvedimenti,  il  ricorrente nel ricorso
straordinario ha dedotto i seguenti profili di illegittimita':
        Eccesso   di  potere  per  illogicita'  e  contraddittorieta'
manifesta  nonche' dispaiita' di trattamento. erronea presupposizione
di  fatto  e di diritto, ingiustizia manifesta; Eccesso di potere per
sviamento   e   violazione   del   giusto   procedimento;  Violazione
dell'ordine del giudice amministrativo; Violazione dell'art. 3, legge
n. 241/1990 ed eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione;
erroneamente  l'amministrazione  fa  decorrere  gli effetti giuridici
dell'inquadramento  dalla data della sentenza del Consiglio di Stato,
senza  tener conto del fatto che era stata la stessa Amministrazione,
attraverso  l'illegittima  gestione  del  concorso,  a  precludere al
ricorrente la vittoria nello stesso, e pertanto dovendo la decorrenza
necessariamente   retrodatare  all'anno  1994  (anno  in  cui  veniva
illegittimamente  nominato in ruolo il dott. De Michele), atteso che:
a)  la pronuncia giurisdizionale aveva dichiarato illegittimo in nuce
l'operato  dell'Amministrazione,  rilevando  che  il  Di  Michele non
avrebbe  potuto  neanche  partecipare alla selezione; b) ali medesima
selezione avrebbe potuto partecipare solo il ricorrente, che pertanto
la   avrebbe   certamente   vinta;  c)  in  ogni  caso,  gli  effetti
dell'annullamento giurisdizionale avrebbero dovuto operare ex tunc, e
non  ex  nunc;  d) le somme recuperate dal dott. De Michele avrebbero
dovuto  essere  destinate  al  dott. Elia, laddove invece l'impugnata
delibera  nulla  disponeva  al  riguardo;  e)  la  medesima  delibera
risultava  adottata dopo due anni dalla sentenza, con ulteriore grave
nocumento  per  il  ricorrente;  infine, non era stata addotta alcuna
motivazione  a  sostegno  delle determinazioni adottate sulla diversa
decorrenza dell'inquadramento;
        Eccesso di potere per violazione del principio di affidamento
del  cittadino  nell'azione  della  p.a.  di  buon  andamento e buona
amministrazione;    eccesso   di   potere   per   sviamento   erronea
presupposizione  di  fatto  ingiustizia  ed illogicita' manifesta: al
ricorrente spettava il compenso non percepito per tutto il tempo (ben
12  anni)  in  cui  era  stato  ingiustamente  privato  del  posto di
dirigente  medico,  con  la  carriera  conseguentemente  bloccata,  e
pertanto  il  dott.  De  Michele  avrebbe  dovuto restituire le somme
percepite  dal  1994,  e  non  dal  1996,  come erroneamente ritenuto
dall'amministrazione;
        Eccesso di potere per violazione del principio di affidamento
del  cittadino  nell'azione  della  p.a.  di  buon  andamento e buona
amministrazione;   eccesso   di   potere   per   sviamento,   erronea
presupposizione   di  fatto,  ingiustizia  ed  illogicita'  manifesta
illegittimamente  l'Amministrazione  ha  retrodatato  i  soli effetti
giuridici  dell'inquadramento  del  ricorrente,  e  non  anche quelli
economici,  atteso  che  le somme restituite dal dott. De Michele non
potranno  essere trattenute dall'Amministrazione, la quale le avrebbe
certamente erogate in favore del ricorrente.
    Il    ricorrente   ha   chiesto   pertanto   l'annullamento   dei
provvedimenti impugnati, previa sospensione della loro efficacia.
    Con  atto  notificato  il  12 settembre  2006, l'A.U.S.L. BA/4 ha
proposto  opposizione, chiedendo la trasposizione del procedimento in
sede giurisdizionale.
    Il  ricorrente  ha pertanto depositato innanzi a questo Tribunale
in   data   5 dicembre  2006  atto  di  costituione  notificato  alle
controparti  il 10 novembre antecedente, eccependo in via preliminare
il  difetto  di  giurisdizione  del  giudice  amministrativo e quindi
chiedendo  il ritorno del prooedimento innanzi al Capo dello Stato, e
comunque   nel  merito  riportandosi  integralmente  alle  censure  e
richieste articolate nel ricorso straordinario.
    L'A.U.S.L.  BA/4  si  e'  costituita  in data 8 gennaio 2007, con
articolato atto nel quale ha replicato alle eccezioni ed alle censure
di   parte   ricorrente,   chiedendo   la  reiezione  del  ricorso  e
dell'istanza cautelare.
    Alla camera di consiglio del 10 gennaio 2006, fissata per l'esame
della   domanda   incidentale  di  sospensiva,  questa  sezione,  con
oridnanza  nr. 10/07,  ha disposto la sospensione del giudizio, anche
ai  fini cautelari, dovendo sollevarsi eccezione di costituzionalita'
in relazione all'art. 10 del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199.

                               Diritto

    1.  - La questione di legittimita' costituzionale che il Collegio
intende sollevare attiene, piu' precisamente agli attt. 8 e 10, commi
primo  e  secondo, del d.P.R. 24 novembre 1971, nr. 1199, in tema del
ricorso straordinario al Capo dello Stato.
    Ai  sensi dell'art. 23, comma secondo, della legge 11 marzo 1953,
nr.   87,   detta   questione   appare  certamente  rilevante  e  non
manifestamente  infondata,  per  le  ragioni  che  appresso  verranno
esposte.
    2.  - Con riguardo al profilo della rilevanza della questione, va
anzi  tutto  rilevato  come  sia  difficilmente  contestabile  che la
controversia  in esame, avente ad oggetto un atto di inquadramento di
dipendente  di  una  A.U.S.L.,  non appartenga alla giurisdizione del
giudice  amministrativo,  trattandosi  di  controversia in materia di
pubblico impiego devoluta al giudice ordinario in funzione di giudice
del lavoro, ai sensi dell'art. 63, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
    E,  difatti,  il  ricorrente,  nel  costituirsi  innanzi a questo
Tribunale a seguito di richiesta di trasposizione del ricorso in sede
giurisdizionale,  ha eccepito'. il difetto di giurisdizione chiedendo
la  rimessione  degli.  atti  all'autorita'  amministrativa  ai sensi
dell'art. 10, comma secondo, d.P.R. n. 1199/1971.
    A  fronte  di tale emergenza, non appaiono codivisibili i rilievi
dell'Amministrazione,  che  assume  in contrario la sussistenza della
giurisdizione  di  questo  Tribunale,  sul  duplice  rilievo  che  la
controversia  in  oggetto  atterrebbe  a  vicende  relative  ad epoca
anteriore alla «privatizzazione» dell'impiego pubblico, e che in ogni
caso  l'intervenuto  esperimento  del  ricorso  straordinario al Capo
dello  Stato  radicherebbe  la cognizione del giudice amninistrativo,
dal  momento  che innanzi a quest'ultimo sarebbe stato impugnabile il
provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo contenzioso,
ove  questo  fosse  proseguito.  Quanto  al primo rilievo, e' agevole
replicare   che,   in   base  alla  normativa  transitoria  contenuta
nell'art. 69,  comma  settimo,  d.lgs. n. 165/2001, l'attinenza della
controversia  a  periodo  anteriore al 30 giugno 1998 non costituisce
l'unico  presupposto  del permanere della giurisdizione esclusiva del
giudice  amministrativo,  occorrendo  anche  l'ulteriore  presupposto
processuale  dell'essere  stata  la medesima controversia proposta, a
pena   di   decadenza,   entro   il   15 settembre  2000  (cio'  che,
all'evidenza, non ricorre nel caso che occupa).
    In  ordine  al  secondo rilievo, va anzi tutto osservato che esso
non  e'  completamente  esatto, dovendo tenersi conto sia della norma
limitatrice di cui all'ultimo comma dell'art. 10 d.P.R. n. 1199/1971,
che  per  le  parti  le  quali  abbiano  partecipato  al procedimento
amministrativo  contenzioso  conseguente al ricorso straordinario, in
ossequio  al principio di alternativita' tra ricorso amministrativo e
ricorso  giurisdizionale,  limita  la possibilita' di impugnazione ai
soli    vizi   di   forma   o   procedurali   sia   dell'orientamento
giurisprudenziale che, sulla base dell'identico principio, esclude in
ogni  caso  che  con l'impugnazione del decreto decisorio del ricorso
straordinario  possano  essere iproposte questioni gia' esaminate dal
Consiglio  di  Stato  in  sede consultiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV,
21 ottobre 1983, n. 722).
    Peraltro,  l'avviso  di  parte  resistente  da ultimo richiemato,
introducendo  l'idea che possa essere la stessa scelta di proporre il
ricorso  straordinario  a «radicare» definitivamente la giurisdizione
del    giudice   aimministrativo,   apre   la   via   ai   dubbi   di
costituzionalita' che verranno meglio appresso esplicitati.
    Tanto  premesso,  la  sicura insussistenza della giurisdizione di
questo  Tribunale,  contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, non
vale   ad   escludere   la   rilevanza   dei   suindicati   dubbi  di
costituzionalita', ma anzi ne costituisce essa stessa il fondamento.
    Infatti, un primo problema concerne le determinazioni da assumere
in   conseguenza  del  ritenuto  difetto  di  giurisdizione,  dovendo
procedersi,  sulla base della normativa attualmente in vigore (e come
chiesto  dallo  stesso ricorrente), a rimessione degli atti presso la
sede  amministrativa  contenziosa,  con la conseguente impossibilita'
che la controversia possa essere conosciuta dal giudice che per legge
avrebbe  giurisdizione  su  di  essa (ossia, il giudice ordinario); i
dubbi si riverberano altresi' sulla stessa proponibilita' del rimedio
del  ricorso  straordinario  per  controversie  del tipo di quella in
oggetto.
    3.  -  Venendo dunque al profilo della non manifesta infondatezza
della  questione,  occorre richiamare brevemente i principi elaborati
dalla  Corte Costituzionale in ordine al fondamento dell'istituto del
ricorso straordinario al Capo dello Stato.
    Al  riguardo  la  Corte,  investiti  di questioni di legittimita'
costituzionale  prospettate  con riguardo a profili diversi da quelli
che in questa sede vengono all'attenzione, ha piu' volte affermato la
legittimita'  costituzionale  del  ricorso  straordinario  in  quanto
rimedio  straordinario  e  sui  generis, avente natura contenziosa ma
certamente  non  giurisdizionale,  ed al tempo stesso non costituente
espressione    di    amministrazione    attiva,    contro   eventuali
illegittimita'  di  atti  amministrativi  definitivi  che  i  singoli
interessati   possono   evitare   con  iddica  spesa,  senza  bisogno
dell'assistenza   tecnico-legale   e  con  beneficio  di  termini  di
presentazione  del  ricorso  particolarmente  ampi (cfr. Corte cost.,
13 marzo 2001, ord. n. 56).
    Piu'  specificamente, nell'evidenziare come l'istituto in oggetto
non possa considerarsi un mero residuo degli antichi poteri di grazia
riconosciuti  al  Capo dello Stato come vertice dell'Amministrazione,
la  Corte  ha  osservato:  «La  permanenza  attuale  di  una  ragione
giustificativa   di   tale   istituto  non  sta,  dunque,  nella  sua
improbabile natura di appello al sovrano o al vertice amministrativo.
Sta piuttosto nel fatto che il ricorso straordinario costituisce, per
la  pubblica  amministrazione,  un  mezzo ulteriore di garanzia della
legalita  e dell'impaizialita' della propria azione - che, insieme al
buon  andamento,  sono pur sempre i valori costituzionali supremi cui
deve  ispirarsi  l'attivita' amministrativa - e, per i cittadini come
ha  gia'  detto  questa  Corte  (sentenza  n. 78/1966), uno strumento
aggiuntivo,  rispetto  a quelli ordinari di tutela dei propri diritti
soggettivi   e   interessi  legittimi,  la  cui  adeguata  protezione
rappresenta  un  valore  altrettanto  primario  e, in un certo senso,
speculare  rispetto a quelli precedentemente ricordati» (Corte cost.,
31 dicembre 1986, ord. n. 298).
    Risulta  evidente,  pertanto,  che  il  fondamento costituzionale
dell'istituto  e'  stato  individuato  nei  principi generali di buon
andamento  ed  imparzialita'  ex  art.  97  Cost., il cui riflesso e'
rappresentato dalla possibilita' che gli stessi interessati, a tutela
delle proprie posizioni soggettive, possano chiedere alla stessa p.a.
il  riesame  di  atti  che esa ha adottato: donde la riconducibilita'
dell'intera materia dei ricorsi amministrativi, secondo un'autorevole
dottrina,  alla  autotutela  aministrativa (o, come altri preferisce,
alla autodichia della p.a.).
    Se  questo  e'  vero,  ad avviso del Collegio non e' eludibile il
problema  della  latitudine di applicabilita' del rimedio de quo: se,
cioe',  esso  possa  essere indistintamente esperito contro qualunque
atto  purche'  proveniente  da  una amministrazione pubblica ovvero -
come  sembra  piu'  coerente,  stante  il  suo  stretto legame con il
controllo  istituzionale sul corretto esercizio dei pubblici poteri -
soltanto in relazione a quegli atti adottati nell'esercizio di poteri
autoritativi.
    Il  problema non era sfuggito alla giurisprudenza piu' risalente,
che  aveva infatti escluso l'ammissibilita' del ricorso straordinario
avverso atti emessi dalla p.a. jure privatorum, e come tali destinati
ad incidere su posizioni soggettive del privato tutelabili dinanzi al
giudice  ordinario  (cfr.  Cons.  Stato,  sez.  III,  14 giugno 1972,
n. 684).
    Tuttavia, fino a tempi abbastanza recenti la questione non si era
posta  con  particolare  urgenza,  stante  la  relativa chiarezza del
riparto   di   giurisdizione   tra   giudice   ordinario   e  giudice
amministrativo,   la   sostanziale   indifferenza  delle  ipotesi  di
giurisdizione  esclusiva  (non  si  dubita,  infatti,  che il ricorso
straordinario sia proponibile a tutela sia di interessi legittimi che
di  diritti soggettivi), e soprattutto l'assenza di rilevanti settori
di materie la cui cognizione era devoluta in via esclusiva al giudice
ordinario:  residuavano  quei  soli casi di giurisdiziope del giudice
ordiio  ritenuti  derogatori  rispetto ai principi generali, e quindi
attribuitivi  di  competenze speciali o riservate (p. es., in materia
di  sanzioni  amminstrative), per i quali si escludeva in assoluto la
proponibilita'   del  rimedio  de  quo  (cfr.  Cons.  Stato  sez.  I,
24 novembre 1999, n. 929).
    La  situazione  e' profondamente mutata dopo la «privatizzazione»
del  pubblico  impiego,  operata  inizialmente  col d.lgs. 3 febbraio
1993,  n. 29,  nel  cui  ambito  l'intero  settore,  salvo  marginali
eccezioni, e' stato riportato sotto disciplina di diritto comune, non
dubitandosi  oggi,  pertanto,  che all'interno di esso la p.a. adotti
atti  privatistici  (o paritetici); correlativamente, controversie in
materia,  come  gia' rilevato, sono state devolute alla giurisdizione
del giudice ordinario.
    A   fronte   di   cio',   si  e'  riproposto  il  problema  della
impugnabilita'  di  tali atti con ricorso straordinario al Capo dello
Stato,  se  cioe'  la  nozione  di  «atti  definitivi»,  con la quale
l'art. 8,  d.P.R. n. 1199/1971 individua gli atti che possono formare
oggetto  di  tale  rimedio,  debba  essere  intesa  in  senso  ampio,
comprensivo   di   qualsiasi   atto   promanante   da   una  pubblica
amministrazione,  ovvero  limitata  a quei soli atti che, costituendo
espressione   di   poteri   autoritativi   soggiacciono  ai  principi
costituzionali  di  buon  andamento  e  dell'imparzialita' ex art. 97
Cost.
    Nel  primo  senso si e' orientata la giurisprudenza del Consiglio
di  Stato, che ha piu' volte affermato la proponibilita' generale del
ricorso  straordinario,  ove  non espressamente inibito da specifiche
norme  di  legge,  anche  nei  confronti  di  atti soggettivamente ed
oggettivamente  amministrativi  la  cui  cognizione  e'  devoluta  al
giudice  ordinario,  trattandosi  di  strumento di difesa a carattere
generale    istituzionalmente    indifferente    al   riparto   della
giurisdizione  (cfr.  Cons.  Stato,  ad  gen. 10 giugno 1999, n. 7, e
29 maggio 1997, n. 72; Sez. I, 16 febbraio 2000, n. 3).
       La   conclusione   e'   sorretta   da  un  duplice  ordine  di
argomentazioni:  da  un lato, l'ormai diffuso riconoscimento anche in
capo  al  giudice amministrativo poteri di accertamento in materia di
diritti  soggettivi, tali da non consentire di limitarne strettamente
la cognizione all'impugnazione di un atto; per altro verso, la sempre
piu' ampia adozione di moduli privatistici da parte della p.a. per il
perseguimento  delle  proprie finalita', tale da rendere necessaria -
come   riconosciuto   da   buona   parte   della   dottrina  e  della
giurisprudenza,  anche  costituzionale - una nozione «neutra» di atto
amministrativo,   idonea  a  ricomprendere  anche  quegli  atti  solo
soggettivamente  amministrativi  dei  quali  la  p.a.  si vale per il
perseguimento dei propri obiettivi.
    Pertanto,  la  giurisprudenza  prevalente  e'  oggi  nel senso di
ammettere  l'esperibilita'  del  ricorso  straordinario al Capo dello
Stato  in  relazione  a  controversie  rientranti nella giurisdizione
ordinaria, come quella che occupa, tutte le volte in cui l'atto della
p.a.,  indipendentemente  dal  suo  regime giuridico formale, risulti
direttamente  e  immediatamente finalizzato alla cura di un interesse
pubblico  specifico  (cfr.  Cons.  Stato,  sez.  III,  18 marzo 2003,
n. 3298; Comm. spec., 5 febbraio 2001, n. 471).
    E'  opinione  del  Collegio  che di questo orientamento vada oggi
verificata  la  compatibiita' costituzionale, specie dopo che la piu'
recente  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  ha  nuovamente
esaltato;   come   elemento   decisivo  ai  fini  del  riparto  della
giurisdizione   tra   giudice  ordinario  e  giudice  amministrativo,
l'esistenza  o  meno di un atto che sia espressione dei poteri tipici
autoritativi della p.a. (cfr. Corte cost., 6 luglio 2004, n. 204).
    Alla  luce  di  tale  insegnamento,  va rimeditata l'affermazione
secondo  cui  il  ricorso  straordinario  sarebbe  sempre  e comunque
indifferente al riparto della giurisdizione.
    In  primo  luogo, appare non del tutto conferente il parallelismo
tra la cognizione di rapporti privatistici in sede straordinaria e le
azioni  di  accertamento  inerenti  ad analoghi rapporti oggi ammesse
dinanzi  al  giudice  amministrativo:  infatti,  e' evidente che tali
azioni attengono alla sfera della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo,   laddove   e'  lo  stesso  legislatore  a  devolvere
espressamente a tale giudice, nell'ambito di una particolare materia,
la  cognizione  anche  delle questioni afferenti a diritti soggettivi
(anche  su  tale  punto  giova richiamare l'arresto della Corte sopra
citato,  secondo cui per «particolari materie» ai sensi dell'art. 103
Cost.,  devono  intendersi in ogni caso quelle materie caratterizzate
da profondo intreccio fra diritti soggettivi e interessi legittimi).
    Trattasi,  con  ogni  evidenza, di contesto totalmente diverso da
quello  in  cui  s'inseriscono le controversie del tipo di quella che
occupa,  laddove  non  solo non e' devoluta al giudice amministrativo
alcuna  cognizione  in  materia di diritti, ma, all'opposto, sussiste
una riserva esclusiva di giurisdizione a favore del giudice ordinario
(giurisdizione che, come meglio si dira' appresso, verrebbe ad essere
fatalmente    ed   irreversibilmente   vulnerata   dalla   ipotizzata
proponibilita' del ricorso straordinario).
    In   secondo   luogo,  vi  e'  nella  giurispridenza  piu'  sopra
richiamata  evidente  salto  logico,  laddove dalla constatazione che
anche  atti  solo  soggettivametne amministrativi possono oggi essere
impiegati per perseguire finalita' pubbliche si passa ad ammettere in
maniere  generale  ed  onnicomprensiva  la proponibilita' del ricorso
straordinario  avverso  tatti gli atti privatistici emessi dalla p.a.
nell'ambito del rapporto d'impiego.
    Al  contrario, e' la logica stessa dell'argomentazione ad imporre
una netta distinzione tra gli atti con cui, quale che ne sia la forma
giuridica,    vengono   effettivamente   realizzati   gli   obiettivi
individuati   dal  legislatore,  e  gli  atti  invece  avente  natura
meramente   privatistica,   come  tali  finalizzati  unicamente  alla
regolamentazione dei rapporto d'impiego (quelli che, con terminologia
risalente, si sarebbero definiti «atti di gestione»).
    Tale  e',  indubbiamente,  l'atto odiemamente impugnato, adottato
dopo  che  una  precedente  pronuncia  definitiva  aveva affermato il
diritto  del ricorrente all'inquadramento nel posto messo a concorso,
e  del quale egli oggi contesta la decorrenza giuridica ed economica,
venendo   quindi   all'attenzione   unicamente   il   suo   interesse
privatistico    alla   retrodatazione   dell'inquadramento   medesimo
(escluso, dunque, ogni profilo di rilievo pubblicistico).
    In  relazione  a  siffatti  atti,  l'assenza di ogni esercizio di
poteri autoritativi e correlativamente la non finalizzazione di essi,
direttamente  o  indirettamente, ad alcun interesse pubblico, esclude
in  radice  che possano venire in gioco i valori di buon andamento ed
imparzialita'  ex  art. 97 Cost.: pertanto, viene meno il presupposto
stesso  su  cui  si  fonda  l'ammissibilita'  del rimedio del ricorso
straordinario,  siccome  espressione  del  principio di autotutela (o
autodichia) dell'amministrazione.
    In   altri  termini,  l'interpretazione  qui  criticata  assimila
irragionevolmente  fattispecie  profondamente diverse, giacche' nelle
prime,   e   non   nelle   seconde,  la  proponibiliti'  del  rimedio
amministrativo contenzioso trova il proprio fondamento costituzionale
nei principi di cui all'art. 97.
    Pertanto,  l'art. 8,  primo  comma,  d.P.R.  n. 1199/1971  appare
incostituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost, nella parte
in   cui  consente  il  ricorso  straordinario  al  Presidente  della
Repubblica  anche  contro  gli  atti amministrativi emessi dalla p.a.
nell'ambito  di  un  rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla
disciplina  di  diritto  comune  ed  attribuiti  alla  cognizione del
giudice  ordinario,  ai  quali  sia  estraneo l'esercizio di pubblici
poteri.
    4.  -  Laddove  la  questione  sopra  proposta  dovesse ritenersi
infondata,   e  dunque  si  ribadisse  l'ammissibilita'  del  ricorso
straordinario  anche  avverso atti privatistici, si porrebbe un serio
problema  di  costituzionalita'  dell'art. 10, primo e secondo comma,
d.P.R. n. 1199/1971.
    E' appena il caso di precisare come la giurisprudenza della Corte
costituzionale  ammetta la proposizione di piu' questioni distinte di
costituzionalita',  a patto che le stesse non siano proposte in forma
alternativa,  ma  in  via  logicamente  subordinata,  di modo che dal
rigetto  della prima consegua inevitabilmente il porsi della seconda,
e cosi' via (cfr. Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188).
    Cio' premesso, il Collegio rileva che, ove si superassero i dubbi
di   costituzionalita'   dell'art. 8,   d.P.R.   n. 1199/1971  teste'
prospettati,  s'imporrebbe necessariamente - cosi' come espressamente
chiesto  da  parte ricorente - la rimessione degli atti all'autorita'
amministrativa   ai   sensi   dell'art. 10,   secondo  comma,  d.P.R.
n. 1199/1971.
    Tale  disposizione,  secondo  l'opinione  prevalente,  disciplina
l'unica   ipotesi   di   regressione   del  procedimento  dalla  sede
giurisdizionale  a  quella  amministrativa  contenziosa, e secondo un
certo  indirizzo giurisprudenziale puo' applicarsi non solo quando il
ricorso  sia inammissibile in sede giurisdizionale per motivi formali
o  procedurali (p. es. tardivita' dell'atto di trasposizione, difetto
di  notifica o mancanza di elementi essenziali), ma anche nel caso di
difetto  di  giurisdizione  del  giudice  amministrativo  (cfr. Cons.
Stato, sez. IV, 19 dicembre 2003, n. 8354, e 2 maggio 1994, n. 374).
    Ad avviso del Collegio, anche questo orientamento va rivisto alla
luce dei principi che si sono piu' sopra enunciati.
    Ed  invero,  laddove il legislatore abbia previsto la devoluzione
di    una    controversia   ad   un   determinato   giudice,   appare
incostituzionale  per  contrasto  col  principio del giudice naturale
(art. 25, primo comma, Cost.) ogni disposizione che consenta a taluna
delle  parti  di sottrarla a detto giudice e attribuirla ad autorita'
giudiziaria diversa.
    Tanto premesso, il primo comma dell'art. 10, d.P.R. n. 1199/1971,
per ragioni evidentemente legate alla genesi storica dell'istituto ed
alla  sua  stretta  connessione  con  il controllo dell'esercizio dei
poteri  autoritativi  della p.a., prevede che, in caso di opposizione
dei  controinteressati,  il  ricorrente  che  intenda  insistere  nel
ricorso  «deve depositare nella segreteria del giudice amministrativo
competente,  nel termine di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto
di  opposizione,  l'atto di costitzione in giudizio»: pertantanto, il
legislatore   ha  individuato  nel  giudice  amministrativo  il  solo
possibile «destinatario» della trasposizione del ricorso.
    Se  cio'  e' vero, risulta evidente che per controversie del tipo
di  quella  che  occupa, pacificamente rientranti nella giurisdizione
del   giudice   ordinario,.   l'eventuale  proposizione  del  ricorso
straordinario  al  Presidente  della  Repubblica avrebbe l'effetto di
sottrarle  definitivamente  ed  irreversibilmente  alla cognizione di
detto  giudice,  senza  che  cio' sia giustificato da alcuna espressa
disposizione  di  legge  derogatoria della giurisdizione ne' da alcun
principio di rango costituzionale.
    Infatti,   a   fronte   del  ricorso  straordinario,  alle  parti
controinteressate   ed  all'amministrazione  che  ha  emanato  l'atto
resterebbe   unicamente   l'alternativa   tra   resistere   in   sede
aniministrativa  contenziosa  e  chiedere  la  trasposizione  in sede
giurisdizionale,  cio' che potrebbe pero' avvenire unicamente dinanzi
al  giudice  amministrativo;  in  alcun  modo  esse potrebbero essere
giudicate  dal  loro giudice naturale precostitaito per legge (ossia,
dal giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro).
    Tale  definitivo  «dirottamento»  della  controversia  dalla sede
giurisdizionale  sua  propria,  per effetto della semplice scelta del
ricorrente  di  procedere  con ricorso straordinario anziche' per via
giudiziale, non appare certamente autorizzata dalla norma ex art. 10,
che  non  contempla  alcuna  deroga  alla giurisdizione ordinaria (e,
anzi,  per quanto si e' detto deve la sua formulazione ad un'epoca in
cui la questione nemmeno si poneva).
    La  deroga  non  appare  altresi' giustificata da alcun superiore
principio   o  valore  costituzionale:  infatti,  per  quanto  si  e'
ampiamente  esposto  sub  3,  si  presuppone che nei casi del tipo di
quello  che  viene  all'attenzione  non  vi  e'  alcuna  esigenza  di
salvaguardare  il buon andamento e l'imparzialita' della p.a. ex art.
97 Cost.
    Correlativamente,   la  disposizione  di  cui  al  secondo  comma
dell'art. 10  non  puo' considerarsi applicabile anche all'ipotesi in
cui   il   giudice   amministrativo   ritenga   carente   la  propria
giurisdizione,  dal  momento  che anche in questo caso la regressione
del  procedimento  alla  fase amministrativa contenziosa sottrarrebbe
definitivamente  la  controversia al giudice ordinario, frustrando la
volonta'  espressamente  manifestata dalla controparte di trattazione
della stessa in sede giurisdizionale, con tutte le garanzie connesse;
in  tale  ipotesi,  l'art. 25,  primo  comma, Cost. impone che a tale
parte  sia  lasciata  la possibilita' di essere giudicata dal giudice
precostituito per legge.
    In    definitiva,    l'art. 10,    d.P.R.   n. 1199/1971   appare
incostituzionale  per  contrasto  con  l'art. 25,  primo comma, Cost.
sotto i seguenti profili:
        quanto al primo comma, nella parte in cui non prevede, per le
controversie  relative  ad  atti  amministrativi  emessi  dalla  p.a.
nell'ambito  di  un  rapporto di tipo privatistico, assoggettati alla
disciplina  di  diritto  comune  ed  attribuiti  alla  cognizione del
giudice  ordinario,  ai  quali  sia  estraneo l'esercizio di pubblici
poteri, che a seguito dell'opposizione il ricorrente, qualora intenda
insistere  nel  ricorso,  debba  depositare l'atto di costituzione in
giudizio nella cancelleria del giudice ordinario competente, anziche'
in quella del giudice amministrativo, e che il giudizio segua in sede
giurisdizionale  secondo  le  norme  del  codice di procedura civile,
anziche'  del titolo III del testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato,  approvato  con  regio  decreto  26 giugno 1924, n.1054, e del
regolamento di procedura, approvato con regio decreto 17 agosto 1907,
n. 642;
        quanto  al  secondo  comma, nella parte in cui prevede che il
giudice  amministrativo dispone la rimessione degli atti al ministero
competente  per  l'istruzione dell'affare anche qualora riconosca che
il  ricorso  e'  inammissibile in sede giurisdizionale per difetto di
giurisdizione.
    5.   -  Alla  luce  dei  rilievi  fin  qui  esposti  s'impone  la
sospensione  del  giudizio  con  trasmissione  degli  atti alla Corte
costituzionale   per   la   risoluzione   delle   questioni   innanzi
prospettate.
    Resta  riservata  al definitivo ogni ulteriore questione in rito,
nel merito e sulle spese.
                              P. Q. M.
    Non  definitivamente  pronunciando sul ricorso in epigrafe, visti
gli  artt. 134  della  Costituzione,  1  della legge costituzionale 9
febbraio  1948,  n. 1,  23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; dichiara
rilevante e non manifestamente infondata:
        in  relazione  agli  articoli  3  e  97 Cost, la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  8,  d.P.R. n. 1199 del 1971,
nella  parte  in  cui consente il ricorso straordinario al Presidente
della  Repubblica  anche  contro gli atti amministrativi emessi dalla
p.a  nell'ambito  di  un  rapporto di tipo privatistico, assoggettati
alla  disciplina  di diritto comune ed attribuiti alla cognizione del
giudice  ordinario,  ai  quali  sia  estraneo l'esercizio di pubblici
poteri;
        in relazione all'art. 25, primo comma, Cost., la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 10, primo comma, d.P.R. n. 1199
del  1971,  nella  parte  in  cui  non  prevede,  per le controversie
relative  ad  atti amministrativi emessi dalla p.a. nell'ambito di un
rapporto  di  tipo  privatistico,  assoggettati  alla  disciplina  di
diritto  comune  ed attribuiti alla cognizione del giudice ordinario,
ai  quali  sia  estraneo l'esercizio di pubblici poteri che a seguito
dell'opposizione   il   ricorrente,  qualora  intenda  insistere  nel
ricorso,  debba  depositare  l'atto di costituzione in giudizio nella
cancelleria  del giudice ordinario competente, anziche' in quella del
giudice   amministrativo,   e   che   il   giudizio   segua  in  sede
giurisdizionale  secondo  le  norme  del  codice di procedura civile,
anziche'  del titolo III del testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato,  approvato  con  regio  decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e del
regolamento di procedura, approvato con regio decreto 17 agosto 1907,
n. 642;
        in relazione all'art. 25, primo comma, Cost., la questione di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 10,  secondo  comma,  d.P.R.
n. 1199  del  1971,  nella  parte  in  cui  prevede  che  il  giudice
amministrativo   dispone   la  rimessione  degli  atti  al  ministero
competente  per  l'istruzione dell'affare anche qualora riconosca che
il  ricorso  e'  inammissibile in sede giurisdizionale per difetto di
giurisdizione.
    Ordina   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale.
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria della sezione la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in causa e al Presidente del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle Camere
dei deputati e del Senato della Repubblica.
    Riserva  alla  decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in
rito, in merito e in ordine alle spese.
    Cosi'  deciso  in  Bari, nella Camera di consiglio del 10 gennaio
2007.
                     Il Presidente: Mangialardi
Il referendario estensore: Greco
07C0718