N. 25 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 maggio 2007

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 24 maggio 2007 (della Regione Veneto)

Sanita'  pubblica  -  Servizio  sanitario  nazionale  -  Ripiano  dei
  disavanzi sanitari delle Regioni con efficacia retroattiva mediante
  subentro  statale  -  Stanziamento  di 3.000 milioni di euro per il
  periodo  2001-2005  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  - Lamentata
  irragionevole  penalizzazione  delle  Regioni  virtuose,  incidenza
  nelle  materie  della tutela della salute e del coordinamento della
  finanza pubblica con disposizioni di dettaglio ed autoapplicative e
  con   istituzione  di  finanziamenti  a  destinazione  vincolata  -
  Denunciata   lesione  del  riparto  delle  competenze  legislative,
  lesione  dell'autonomia  finanziaria  delle Regioni, violazione del
  principio  della responsabilita' finanziaria, lesione del principio
  di  eguaglianza,  del  principio  di  buon andamento della pubblica
  amministrazione,  pregiudizio  del  diritto alla salute, violazione
  del principio di leale collaborazione.
- D.L. 20 marzo 2007, n. 23, artt. 1 e 2.
- Costituzione,   artt. 3,   5,   32,  97,  117,  119  e  120;  Legge
  costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 11.
(GU n.22 del 6-6-2007 )
    Ricorso  per  la  Regione  Veneto,  in persona del presidente pro
tempore  della  giunta  regionale, autorizzato mediante deliberazione
della giunta stessa n. 830 del 28 marzo 2007, rappresentata e difesa,
come  da  procura  speciale  a  margine del presente atto, dagli avv.
prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura
regionale  e  Luigi  Manzi  del  Foro  di  Roma,  presso  qust'ultimo
domiciliata in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;

    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri pro tempore
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la  quale  e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi n. 12,
per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per violazione
degli  artt.  3,  32,  97,  117 e 119 Cost., nonche' del principio di
leale  collaborazione,  di  cui  agli  artt. 5 e 120 Cost. e 11 della
legge  costituzionale  18  ottobre 2001, n. 3 - delle norme contenute
negli  artt. 1  e  2  del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante
«Disposizioni   urgenti   per  il  ripiano  selettivo  dei  disavanzi
pregressi nel settore sanitario», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
- serie generale - n. 66 del 20 marzo 2007.

                     F a t t o  e  d i r i t t o

    1.  -  Con  decreto-legge  20  marzo  2007,  n. 23, il Governo ha
introdotto,  nell'ambito  dell'ordinamento  sezionale  relativo  alla
«tutela della salute», «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo
dei disavanzi pregressi nel settore sanitario».
    Piu'   precisamente,   l'esecutivo   nazionale   ha   ritenuto  -
politicamente  e  giuridicamente  -  opportuno  e  conforme a sistema
operare  «in  deroga»  rispetto a precedenti determinazioni normative
regolatrici  della  materia,  e  cio'  alla  scopo  di «concorrere al
ripiano dei disavanzi del Servizio sanitario nazionale per il periodo
2001-2005  nei  confronti delle regioni» che si impegnano ad assumere
le decisioni indicate nel comma 1, lettere a) e b) dell'art. 1.
    Quel   che,   sul  piano  finanziario,  implichino  le  accennate
statuizioni  normative  e'  presto detto: infatti - recita il comma 3
dell'art. 1  -, «per le finalita' di cui al comma 2 e' autorizzata, a
titolo  di  regolazione  debitoria, la spesa di 3.000 milioni di euro
per l'anno 2007» (si tratta di circa 5.800 miliardi di vecchie lire).
E   il   medesimo   comma   prosegue   precisando  che  «le  predette
disponibilita'  finanziarie sono ripartite tra le regioni interessate
con  decreto  del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto
con  il  Ministro  della  salute,  sentito il Ministro per gli affari
regionali  e  le  autonomie  locali, sulla base dei debiti accumulati
fino  al  31 dicembre 2005, della capacita' fiscale regionale e della
partecipazione   delle   regioni   al  finanziamento  del  fabbisogno
sanitario.   Nell'ambito   dei   predetti   piani   di  rientro  sono
disciplinate   le   modalita'   di   monitoraggio   e   di  riscontro
dell'estinzione  dei  debiti.  Alla  relativa  copertura  si provvede
mediante  corrispondente  riduzione  dello  stanziamento iscritto, ai
fini   del  bilancio  triennale  2007-2009,  nell'ambito  dell'unita'
previsionale  di  base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato
di  previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno
2007,  allo  scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo
al Ministero dell'economia e delle finanze».
    2.  -  Dunque,  posta la regola della responsabilita' finanziaria
per le eccedenze di spesa, se ne prescinde, «in deroga» appunto, e si
dispone   circa   la   «regolazione   debitoria»  di  quelle  che  il
decreto-legge  n. 23/2007  qualifica  come  le «Regioni interessate»:
interessate  a  fruire di una solidarieta' senza presupposti e di una
sussidiarieta'  verticale fuori luogo perche' premiano chi sperpera e
puniscono   chi  bene  amministra,  facendo  addirittura  ricadere  -
utilizzando  i  proventi  della  fiscalita'  generale - sul secondo e
sulle relative collettivita' gli eccessi del primo.
    Tant'e'  che la Regione Veneto - d'accordo su cio' con la Regione
Lombardia  -  ha  individuato,  con  singolare nitidezza, «numerosi e
gravi  profili di illegittimita' costituzionale», che vale la pena di
richiamare nella loro letteralita':
        «il  decreto-legge  prevede un meccanismo di subentro statale
diretto  a ripianare i disavanzi sanitari delle regioni con efficacia
retroattiva  introducendo,  di  fatto,  una  sanatoria a favore delle
regioni la cui gestione sanitaria, non improntata a criteri virtuosi,
ha  comportato  i  disavanzi  ora  sanati  dallo Stato; in tale modo,
vengono  penalizzate irragionevolmente quelle regioni, come il Veneto
che,  al  contrario  hanno  posto  in  essere tutte le misure volte a
garantire  il  rispetto dei vincoli previsti dalla normativa statale.
Viene cosi' ad essere palesemente violato il principio di uguaglianza
sancito  dall'art.  3  della  Costituzione,  nonche' il principio del
rispetto  del  buon andamento della pubblica amministrazione previsto
dall'art. 97 del medesimo testo costituzionale;
        il decreto-legge, peraltro, incide pesantemente nella materia
della tutela della salute attribuita dall'art. 117 della Costituzione
alla   competenza   legislativa   delle   regioni   con  disposizioni
autoapplicative   che,   certo,   non   possono   configurarsi  quali
disposizioni di principio;
        il  contenuto  del decreto-legge in oggetto diretto a coprire
in  sanatoria  i  disavanzi  delle  regioni  non virtuose, si pone in
contrasto  anche  con  l'art.  119 della Costituzione che sancisce il
principio della piena responsabilita' finanziaria di cui ciascun ente
deve  farsi  carico  in  relazione  alle  funzioni  per  le  quali e'
competente;
        infine,  non  si  puo'  non  rilevare  che il Governo, con il
decreto-legge  in  esame,  di  fatto  legittima  i comportamenti meno
oculati   di   talune   regioni   pregiudicando  conseguentemente  il
fondamentale   diritto   alla   salute   sancito  dall'art. 32  della
Costituzione;
        in  ogni caso si rileva come il comportamento del Governo sia
irrispettoso  del  principio  di  leale collaborazione con le regioni
atteso  che  nessun accordo e' stato cercato e, tanto meno raggiunto,
tra  tutte  le regioni per giustificare l'intervento statale» (Giunta
regionale,  deliberazione  28 marzo 2007, n. 830, di autorizzazione a
proporre ricorso).
    3.  - Diversamente da quanto e' accaduto in passato, allorche' si
e'  discusso,  prevalentemente  a  livello  teorico  e  su  un  piano
meramente  descrittivo, di modelli, ritenuti piu' o meno appropriati,
relativi  al  se  e  come  attuare  il dettato costituzionale, ora le
questioni  hanno assunto il carattere del confronto dialettico reale,
perche'   generate  da  fattispecie  concrete  che  sembrano  portare
incorporate in se' elementari istanze di giustizia, istanze che hanno
determinato  a suo tempo, ad esempio, le sezioni unite della Corte di
cassazione   ad  affermare  la  risarcibilita'  delle  lesioni  degli
interessi legittimi. La difesa della regione ricorda questo singolare
caso  proprio  perche' il revirement giurisprudenziale fu provocato -
come  e'  espressamente  scritto  nella  sent.  n. 500/1999  -  dalla
constatazione  che  «una  siffatta isola di immunita' e di privilegio
(...)  mal  si concilia con le piu' elementari esigenze di giustizia»
(in Giornale di diritto amministrativo, n. 9/1999, 836).
    Del  resto,  e'  quel  che emerge dalla pura e semplice lettura -
funzionale  alla  contestualizzazione dell'odierno giudizio - di quel
che e' apparso sugli organi di informazione, sui quali si e' scritto,
tra l'altro, cosi':
        «Il Lazio ha appena ricevuto un prestito statale a condizione
di favore di 5,9 miliardi, piu' altri trasferimenti per 2,3 miliardi,
per  ripianare  il  debito  sanitario di 10 miliardi accumulato negli
ultimi  anni all'insaputa dei piu', in cambio dell'ennesimo impegno a
soddisfare un piano di rientro. In termini pro capite, il salvataggio
del  Lazio  e' molto superiore a quello dell'indonesia 1): eppure non
risulta  che  sia  saltata  una  sola  poltrona  nell'amministrazione
pubblica della regione.
    Ogni anno dal 1981 si celebra il rito dei disavanzi della sanita'
pubblica.   Il  fatto  piu'  sorprendente  di  questo  rito  e'  che,
regolarmente,  qualcuno  si  stupisca e gridi allo scandalo. Cio' che
veramente  dovrebbe  meravigliare  e'  che  vi siano ancora parecchie
regioni  virtuose  la  cui  spesa  non  sfora le risorse disponibili»
(cosi',  Perotti,  Un sistema che premia chi peggio amministra, in Il
Sole 24 Ore, 14 aprile 2007).
    In  disparte  ogni  riferimento  a  singole  regioni, che qui non
rileva,  la  frase  finale rende ragione dei perche' la questione qui
posta dalla Regione Veneto riguardi, innanzi tutto, la forma di Stato
della  Repubblica  e,  con  essa,  la corretta tutela e fruizione dei
diritti   costituzionalmente  previsti  e  garantiti,  i  quali  sono
sinallagmaticamente  legati  ai  doveri: per cui - si puo' dire senza
timore  di  essere  smentiti - ogni diritto trova la sua causa in uno
specifico dovere, meglio ancora in un dovere adempiuto, che, nel caso
in  questione, coincide con il corretto adempimento, ceteris paribus,
di   quel   che  il  legislatore  ordinario  e  costituzionale  hanno
stabilito.  E,  tuttavia,  cosi' non e', poiche' le regioni che hanno
generato  un  deficit  «non  hanno  particolari  motivi demografici o
epidemiologici   per   registrare   una   spesa   piu'   alta:  sono,
semplicemente,   piu'   inefficienti  e  scialacquatrici.  Lungi  dal
costruire una forma di solidarieta' nazionale, come qualcuno afferma,
ripianare  i  loro  debiti  significa  quindi premiare chi amministra
peggio la cosa pubblica» (ivi).
    Per  questo motivo elementare, che corrisponde a una sorta di vox
populi  tanto  e'  semplice  e misurabile, «l'effetto ovvio di queste
pratiche  e'  di  incentivare le violazioni future, perfino peggio di
quel che accade con i condoni. Ma c'e' un secondo effetto ancora piu'
pernicioso.   Un   sistema   sanzionatorio   efficace  punirebbe  gli
amministratori locali responsabili degli sforamenti; al contrario, la
pratica dei salvataggi ne fa degli eroi regionali: i politici laziali
possono  dire  ai loro elettori di aver portato a casa 10 miliardi di
euro  gentilmente  regalati  dallo Stato» (ivi). E questo e' quel che
effettivamente si pensa.
    Se  queste  affermazioni  corrispondono  al vero - come vere sono
(perche'  documentate  e  comunque  provate da quel che sta accadendo
proprio  nel  momento  in cui e' in corso di elaborazione il presente
ricorso)  le  inquietudini sociali e istituzionali della Campania, in
cui  si  sono  spese somme enormi per non risolvere il problema dello
smaltimento   dei   rifiuti   urbani  (v.  le  inchieste  di  Report,
ripetutamente  trasmesse  da  RAI  Tre  la  domenica sera) -, c'e' da
chiedersi   -   e   il   Veneto  se  lo  chiede,  doverosamente,  non
polemicamente  - quale e' l'idea di Repubblica, e di «Repubblica, una
e  indivisibile»,  che  codesta  ecc.ma  Corte  ha  sempre idealmente
affermato  (v.,  ad  es., le sent. n. 470/1992 e n. 496/2000), che in
concreto  si materializza nelle determinazioni istituzionali assunte.
Perche' - lo si deve pur concedere e su cio' e' necessario riflettere
-   il  modello  attuato  dal  Governo  attraverso  il  decreto-legge
n. 23/2007  corrisponde,  ne'  piu'  ne'  meno, all'intima struttura,
deformante e discriminante, di quello che Antonio Pedone ha definito,
in  tempi ormai lontani, come il modello degli «evasori e tartassati»
(Pedone, Evasori e tartassati, Il Mulino, Bologna, 1979).
    Si  potrebbe  anche ironizzare, ma lo impedisce la natura grave e
preoccupante  di quel che e' sotteso a questa vicenda, caratterizzata
da una fiera avversione del potere centrale nei confronti del patto e
del dettato costituzionale.
    4. - Per individuare, con chiarezza, i termini del problema, sono
indispensabili  alcune  brevi  premesse:  premesse  che sono scontate
perche' lapalissiane.
    In   primo   luogo,  non  si  deve  dimenticare  che  il  binomio
entrate-spese  (vale  a  dire tutto cio' che concerne, da un lato, il
reperimento delle entrate, qualunque natura e consistenza abbiano, e,
d'altro lato, la decisione e la allocazione delle spese) ha carattere
strumentale,  nel  senso  (si tratta di concetti risaputi) che non si
esaurisce  in  se',  ma  va  sempre  considerato  in  funzione  degli
obiettivi  da  raggiungere,  che  nel  nostro  caso  hanno ad oggetto
situazioni giuridiche soggettive di ordine costituzionale, quali sono
il  diritto alla salute (art. 32) e la tutela della salute (art. 117,
terzo comma).
    In  secondo  luogo,  ancorche'  un  tempo  si fosse di differente
avviso,  essendo plausibile anche per ragioni di carattere ideologico
distinguere  le  azioni  negative  (che si credevano non determinanti
spese)  dalle azioni positive (che comportano un consumo di risorse),
oggi  nessuno  dubita  del  fatto che davvero tutti i diritti costano
(v.,  in  specie,  Antonini,  Dovere  tributario, interesse fiscale e
diritti  costituzionali, Giuffre', Milano, 1996 e Holmes-Sunstein, Il
costo  dei  diritti, Il Mulino, Bologna, 2000), come d'altra parte ha
implicitamente  ammesso,  a  partire  dal 2001, lo stesso legislatore
costituente,  che  ha  affidato,  in  via  esclusiva  allo  Stato, il
potere-dovere - si badi, non il potere soltanto, ma anche il dovere -
di  provvedere  alla  «determinazione  dei  livelli  essenziali delle
prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, secondo comma,
lett. m).
       In   terzo   luogo,  va  tenuta  ben  presente  la  condizione
economico-istituzionale  che  normalmente  si associa alla cosiddetta
crisi  fiscale  dello  Stato, la quale sta a indicare «uno Stato che,
vittima  di apprendisti stregoni che l'hanno indotto a percorrere con
leggerezza  la  strada dell'espansione della spesa pubblica, si trova
di  fronte  a  una  situazione  di  dissesto: sia per la reazione dei
contribuenti  divenuti sempre piu' intolleranti dell'aggravarsi degli
oneri   fiscali;   sia   per  l'evidente  incapacita'  di  assicurare
l'adeguatezza  e  l'efficienza dei servizi pubblici che potrebbero in
qualche  modo  giustificare  l'espansione  della  spesa;  sia  per il
processo di diffusione delle "aspettative crescenti" alimentato dalla
pressione  imitativa dei vari gruppi sociali» (la puntualizzazione e'
di  Caffe',  Prefazione  a  OConnor,  La  crisi  fiscale dello Stato,
Einaudi,  Torino,  1977, IX; v., altresi', Pedone, Evasori, cit., 129
ss.).
    In  quarto luogo, ove si rifletta sulla circostanza che ogni euro
acquisito  e  ogni euro speso bene concorrono, allo stesso modo, alla
tutela  dei  diritti,  e  che cio' riguarda massimamente i diritti di
coloro  che  nella vita sono i meno fortunati, e' facile rilevare che
il   ripiano   di  deficit  attuato  in  modo  indiscriminato,  senza
accertamenti   di   responsabilita',   fa  strame  delle  regole  che
disciplinano  la  piu'  banale  delle  convivenze civili e, con cio',
distrugge,  dalle fondamenta, lo Stato (v., gia', AA.VV., Lo sperpero
del pubblico denaro, Giuffre', Milano, 1965).
    Parafrasando  Ezio  Vanoni,  al  pari  di quello fiscale, si puo'
convenire  che  il  problema  della spesa «non e' solo tecnico, ma e'
problema  morale  e politico, oltreche' economico, giacche' si tratta
di  dare  a ciascuno quello che gli spetta e di creare le basi di una
societa'   onesta,   ben  organizzata  ...»  (cosi',  riferendone  il
pensiero,  De  Mita, La legalita' tributaria, Giuffre', Milano, 1993,
7).  Ma,  a  ben  vedere, l'impugnazione del decreto-legge n. 23/2007
(proprio  la'  dove  questa  lamenta  che  attraverso  la  fiscalita'
generale  e,  quindi, la solidarieta' di tutti i consociati si rimedi
alla  cattiva  gestione  delle  risorse  pubbliche  attuata da pochi)
riguarda  essenzialmente  e  radicalmente il prelievo fiscale, che ne
viene  disarticolato.  Realizzando,  cosi',  il contrario di quel che
auspicava   Vanoni,   secondo   il   quale   «l'imposta  deve  essere
sopportabile,  non  deve  scoraggiare la produzione del reddito e non
deve  diventare  causa  tecnica  dell'evasione; il sistema tributario
deve  fondarsi  sul  rapporto  di  fiducia  e  di  collaborazione fra
amministrazione   e  contribuente.  Non  e'  possibile  risolvere  il
problema  dell'evasione  solo  con  pene  severe. Il segreto - diceva
Vanoni  - sta "nel creare attraverso la persuasione politica e morale
un  clima  nel  quale  si senta che, difendendo la razionale o uguale
applicazione  dei  tributi,  si  difende  non una legge formale dello
Stato,  ma  l'essenza  stessa  della  vita dello Stato"» (De Mita, La
legalita' tributaria, cit., 7-8).
    Il cittadino-contribuente si chiede, sempre piu' spesso: «Perche'
pago?».   Attraverso   fumisterie   giuridiche   e  il  ricorso  alla
letteralita'   dei   combinati   disposti   si  puo'  anche  eludere,
retoricamente,  questa  domanda. Ma non si puo' eludere di certo quel
che  sta  realmente  scritto  in  Costituzione,  che  non e' solo «di
carta»,  e  che, la' dove pone il principio di copertura delle spese,
ovviamente  rinvia  alla  piu'  classica delle tecniche: e', appunto,
quella di incrementare le entrate o di ridurre altre spese. Si tratta
di   una   circostanza  che  chiarisce,  a  scanso  di  equivoci,  le
riflessioni poc'anzi delineate.
    5.  - Onde evitare inutili contestazioni, la difesa della regione
precisa,  innanzi  tutto,  che  le  e'  ben nota la giurisprudenza di
codesto  ecc.mo  Collegio, secondo cui «le regioni sono legittimate a
denunciare  la  violazione  di  norme  costituzionali non relative al
riparto  di  competenze  con  lo  Stato  solo  quando tale violazione
comporti un'incidenza diretta o indiretta sulle competenze attribuite
dalla  Costituzione  alle  regioni stesse (in tal senso, si vedano le
sentenze n. 287 e n. 286 del 2004; n. 303 del 2003)» (sent., 7 luglio
2005,  n. 270,  punto  6 del «Considerato in diritto»). In ogni caso,
ritiene  opportuno  indicare,  in un quadro di sintesi, quali sono le
prerogative  costituzionali  dello  Stato  e  della  regione  ove  si
discorra del caso in questione, che forse non ha precedenti, caso che
va  preso  in esame sia dal punto di vista di cio' che e' stato fatto
sia di cio' che non e' stato fatto.
    (a)  Quanto  allo  Stato,  il  medesimo  deve curare, stando alla
Costituzione,  attraverso  le  proprie  leggi e le conseguenti azioni
concrete,  «l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di solidarieta'
politica,  economica  e sociale» (art. 2); «rimuovere gli ostacoli di
ordine  economico  e  sociale,  che, limitando di fatto la liberta' e
l'eguaglianza  dei  cittadini,  impediscono  il  pieno sviluppo della
persona  umana  e  l'effettiva  partecipazione  di tutti i lavoratori
all'organizzazione  politica, economica e sociale del Paese» (art. 3,
secondo  comma);  realizzare un corretto contemperamento tra unita' e
indivisibilita'  dell'ordinamento  repubblicano  e pluralismo delle e
nelle  istituzioni (art. 5), anche attraverso la concretizzazione del
principio  di responsabilita' (art. 28), in assenza del quale faranno
-  come purtroppo fanno - difetto l'eguale (perche' riguarda «tutti»)
concorso alle spese pubbliche da parte di chi manifesta una capacita'
contributiva  (art. 53)  e  il  buon  andamento  dei  pubblici poteri
(art. 97).
    E'  all'interno  di un simile articolato tessuto di facolta' e di
doveri  che  si  collocano  le  previsioni  attributive di competenze
funzionali,  stando  alle  quali  lo  Stato  ha  potesta' legislativa
esclusiva   in  tema  di  «perequazione  delle  risorse  finanziarie»
(art. 117,  secondo  comma, lett. e) e di «determinazione dei livelli
essenziali  delle  prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
che  devono  essere  garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale»
(art. 117,  secondo  comma,  lett.  m),  per  la tutela dei quali «il
Governo   puo'   sostituirsi   a  organi  delle  regioni»,  ai  sensi
dell'art. 120,  secondo  comma);  mentre  lo  stesso  dispone  di una
potesta'  legislativa  concorrente in materia di «coordinamento della
finanza  pubblica  e del sistema tributario» (art. 117, terzo comma),
da  realizzare  attraverso  appunto la determinazione di «principi di
coordinamento  della  finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario»
(art. 119,  secondo  comma) e l'istituzione di «un fondo perequativo,
senza  vincoli  di destinazione, per i territori con minore capacita'
fiscale per abitante» (art. 119, terzo comma).
    (b)  Quanto  alla  regione, ferma restando l'incidenza su di essa
dei  disposti  di cui agli artt. 2, 3, 5, 28, 53 e 97 per gli aspetti
che  ne  siano  di volta in volta rilevanti, la stessa dispone di una
potesta' legislativa concorrente finalizzata alla tutela della salute
(art. 117,  terzo  comma)  e  di  una  analoga  potesta',  nei limiti
puntualizzati  dalla Corte, per quel che attiene al reperimento delle
risorse finanziare e alle decisioni di spesa (art. 119).
    (c) L'insieme delle citate previsioni definisce un vero e proprio
sistema  di  principi-base,  che  equivalgono ad altrettanti elementi
strutturali  propri  delle  varie  funzioni  pubbliche,  e riparte le
funzioni  medesime  tra i diversi livelli di governo, i quali debbono
quindi  adeguarsi  a cio' che la Costituzione stabilisce in ordine ai
diritti:  ad  esempio, a quel singolare diritto di prestazione che e'
il diritto alla salute.
    Ancorche' sia intervenuta la riforma costituzionale del 2001, che
ha  ampliato  i  confini  dell'originaria  «assistenza  sanitaria  ed
ospedaliera»  parlando  ora l'art. 117, terzo comma, di «tutela della
salute»,  nondimeno si puo' convenire sul fatto che conservano sicura
attualita'  le  seguenti  considerazioni,  svolte  da  codesto ecc.mo
Collegio  nella  sentenza  5  novembre  1984,  n. 245, nella quale si
legge:
        «In  realta',  la  Corte  e'  dell'avviso  che  l'"assistenza
sanitaria ed ospedaliera", sebbene compresa nell'elenco dell'art. 117
Cost.,  non  si  risolva  in una materia pienamente assimilabile agli
altri  settori  di  competenza  regionale:  sia  per  la  particolare
intensita'   dei   limiti   cui  sono  in  tal  campo  sottoposte  la
legislazione  e l'amministrazione delle regioni, sia per le peculiari
forme e modalita' di finanziamento della relativa spesa pubblica, sia
-  soprattutto  -  per  i  tipici  rapporti che l'ordinamento vigente
stabilisce  fra  le  varie  specie di enti ed organismi cooperanti ed
interagenti   nella  materia  medesima.  Sotto  diversi  aspetti,  le
caratteristiche ora accennate hanno anzi incominciato ad evidenziarsi
gia' prima della profonda riforma introdotta dalla legge n. 833/1978.
Sin dalla legge n. 132/1968 sono stati infatti costituiti su tutto il
territorio  nazionale  appositi  enti  ospedalieri, dotati di compiti
testualmente   definiti   esclusivi  e  finanziati  per  mezzo  d'uno
specifico fondo nazionale (cfr. gli artt. 1, primo comma, e 33, legge
cit.).  E'  quindi sopraggiunto il d.l. n. 264/1974 (convertito nella
legge  n. 386  del  medesimo  anno),  che ha istituito a sua volta il
fondo  nazionale  per  l'assistenza  ospedaliera  da ripartire fra le
varie  regioni,  sotto  forma  di  stanziamenti "iscritti in appositi
capitoli  del  bilancio  regionale"  (ex art. 14 ss. d.l. cit.). e un
determinante   passo   verso   l'istituzione  del  previsto  servizio
sanitario  nazionale e' stato poi compiuto dall'art. 32, primo comma,
del  d.P.R.  n. 616/1977,  che  ha  senz'altro attribuito "ai comuni,
singoli  ed  associati,  ai  sensi  dell'art. 118, primo comma, della
Costituzione, tutte le funzioni amministrative relative alla materia"
dell'assistenza  sanitaria  ed  ospedaliera,  ad  eccezione di quelle
"espressamente riservate allo Stato, alle regioni e alle province".
    Rispetto a questi procedimenti normativi, la legge n. 833/1978 ha
tuttavia  complicato  ulteriormente  la  distribuzione  dei ruoli nel
campo sanitario, fissando e distinguendo essenzialmente tre ordini di
competenze:  il  primo  dei  quali  spetta  allo  Stato,  in nome del
principio  di  eguaglianza  di  tutti  i  cittadini nei confronti dei
servizio  (cfr.  gli artt. 3 ss., 47, 48, 51, 53, legge cit.); mentre
il  secondo  s'impernia  sulle  funzioni legislative e programmatorie
affidate  alle  regioni (specialmente in base agli artt. 11, 15, nono
comma,  50  e 55, legge cit.); ed il terzo interessa in sostanza quei
nuovi  organismi  che  sono  le  unita'  sanitarie  locali  (sia pure
concepite  come  "strutture operative" dei comuni), le quali svolgono
tutti  i  compiti residui, disponendo in tal senso d'una indubitabile
autonomia  gestionale e organizzativa. Ne' questo disegno, per quanto
integrato,  derogato  e  corretto  piu' volte dal legislatore statale
(come  gia'  si  notava, nell'affrontare le questioni di legittimita'
costituzionale  concernenti  l'art. 28  della legge n. 730), e' stato
mai  ripensato  in  modo  organico:  che'  anzi lo stesso progetto di
riforma  delle  unita'  sanitarie  locali,  predisposto dal Ministero
della sanita' continua a puntare - in ultima analisi - sull'autonomia
delle  USL  quali  "aziende  speciali"  dei  comuni o delle comunita'
montane».
    Dunque,  la tutela della salute ha un carattere pregnante, sconta
una forte ricaduta del principio costituzionale di eguaglianza - oggi
reso  esplicito  pure  dall'art. 117,  secondo  comma,  lett.  m) - e
implica  -  come  ha  implicato - che il Servizio sanitario nazionale
realizzi   il   principio   universalistico   nell'erogazione   delle
prestazioni.  Tutto  cio'  comporta che sia lo Stato a dover disporre
normativamente,  per  realizzare, non per disattendere, come ha fatto
con  il  d.l.  n. 23/2007,  il  «principio  di  eguaglianza  di tutti
cittadini  nei  confronti  del  servizio» (come si legge nella citata
sent. n. 245/1984).
    D'altra  parte,  cio'  e'  semplicemente  scontato  perche':  o i
cittadini e no, per i quali alcune regioni hanno creato un surplus di
deficit, hanno ottenuto maggiori prestazioni di carattere qualitativo
e  quantitativo,  e il relativo onere e' fatto ricadere su chi non ne
ha  beneficiato  e  magari  ha  mutilato  le proprie esigenze; o tali
cittadini  e  no  non  ne  hanno  ottenute  affatto  di  ulteriori, e
l'eccedenza  di  spesa  e' da addebitare a una gestione non esemplare
delle  risorse, con un aggravio traslato sui cittadini che hanno gia'
dato  in  termini  di solidarieta' e non hanno comunque concorso alla
elezione  dei rappresentanti che hanno speso in modo inefficiente. In
entrambi   i   casi,  lo  Stato  e'  venuto  meno  ai  propri  doveri
costituzionali,  che  esigono  un puntuale rispetto dell'eguaglianza,
qui lesa oltretutto nei modi e con i riflessi accennati sub 3.
    6. - Certo e' che ben altrimenti il legislatore statale ha deciso
quando  ha dettato la disciplina generale della materia «tutela della
salute», alla quale va dedicata una qualche attenzione, allo scopo di
evidenziarne sviluppi e implicazioni, anche con specifico riferimento
alle modalita' di finanziamento della relativa spesa.
    Nell'intento  di dare attuazione all'art. 32, primo comma, Cost.,
per  cui  «La  Repubblica  tutela la salute come fondamentale diritto
dell'individuo  e interesse della collettivita», la legge 23 dicembre
1978,  n. 833, ha istituito il Servizio sanitario nazionale (d'ora in
poi  anche  S.S.N.),  costituito dal «complesso delle funzioni, delle
strutture,  dei  servizi e delle attivita' destinati alla promozione,
al  mantenimento  ed  al  recupero  della salute fisica e psichica di
tutta  la  popolazione  senza distinzione di condizioni individuali o
sociali   e   secondo  modalita'  che  assicurino  l'eguaglianza  dei
cittadini nei confronti del servizio» (art. 1, comma 2).
    L'attuazione di tale servizio, demandata allo Stato, alle regioni
e  agli enti locali territoriali, era finanziata, originariamente, da
uno  specifico  «fondo  sanitario  nazionale»,  il cui importo doveva
venir  iscritto  «annualmente  nel  bilancio dello Stato» (artt. 51 e
53).
    Agli inizi degli anni novanta il Governo tento' un riordino della
disciplina  in  materia  sanitaria  con  il  decreto  legislativo  30
dicembre  1992,  n. 502,  il  quale qualifica le disposizioni in esso
contenute  come  «principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost.»
(art. 19)  e  resta,  ovviamente  nel testo attualmente vigente cosi'
come  modificato  da  interventi  successivi,  il quadro normativo di
riferimento per cio' che attiene alla conformazione del S.S.N.
    In  esso  si  stabilisce  che  «il  Servizio  sanitario nazionale
assicura,   attraverso   risorse   finanziarie  pubbliche  i  livelli
essenziali  e  uniformi  di  assistenza»  (art. 1,  comma  1), la cui
individuazione   «e'  effettuata  contestualmente  all'individuazione
delle  risorse finanziarie destinate al servizio sanitario nazionale,
nel  rispetto  delle compatibilita' finanziarie definite per l'intero
sistema  di finanza pubblica» (art. 1, comma 2) e che, d'altra parte,
spetta  alle  regioni  «far  fronte  con risorse proprie agli effetti
finanziari   conseguenti  all'erogazione  di  livelli  di  assistenza
sanitaria  superiori  a  quelli  uniformi  di  cui  all'art. 1 (...),
nonche'  agli  eventuali disavanzi di gestione delle unita' sanitarie
locali  e  delle  aziende ospedaliere» (art. 13) a fronte di una loro
ampia   competenza   legislativa   e  amministrativa  in  materia  di
assistenza sanitaria ed ospedaliera (art. 2).
    Il decreto prevedeva, nella sua originaria versione, in sostanza,
un sistema di finanziamento cosi' articolato:
        fondo  sanitario  nazionale,  di  parte  corrente  e in conto
capitale,  «alimentato  interamente  da  stanziamenti  a carico dello
Stato»   e   di   «importo   annualmente   determinato   dalla  legge
finanziaria», da ripartirsi tra le regioni (art. 12);
        autofinanziamento  regionale, costituito di «risorse proprie»
delle  regioni  con  le  quali  queste  ultime  dovevano  far  fronte
all'erogazione  di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli
essenziali  e  uniformi  individuati  dallo  Stato,  all'adozione  di
modelli   organizzativi  diversi  da  quelli  minimi  di  indicazione
statuale   e  agli  eventuali  disavanzi  di  gestione  delle  unita'
sanitarie   locali   e  delle  aziende  ospedaliere  con  conseguente
progressivo  esonero  di  interventi  finanziari da parte dello Stato
(art. 13) 2).
    Tuttavia,  proprio  a fronte del summenzionato riconoscimento, da
parte   dell'ordinamento,   di   una  sempre  piu'  ampia  competenza
decisionale organizzativa in capo alle regioni in materia sanitaria e
sulla  base  del principio del c.d. «parallelismo fra responsabilita'
di  disciplina  e  di  controllo  e responsabilita' finanziaria» piu'
volte riaffermato anche da codesto ecc.mo Collegio 3), il legislatore
nazionale  ha  deciso,  agli  inizi  del 2000, di intervenire in modo
incisivo sul summenzionato sistema di finanziamento del S.S.N.
    Cosi',  con  il  decreto  legislativo  18  febbraio  2000,  n. 56
(Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'art. 10
della  legge 13 maggio 1999, n. 133), il fondo sanitario nazionale e'
stato   soppresso   e   si  e'  deciso  di  compensare  la  rilevante
sopravvenuta  mancanza  di  una  fonte di finanziamento attraverso la
previsione  di  compartecipazioni  regionali  ai  tributi  statali  e
l'istituzione di un fondo perequativo nazionale.
    Sulla  stessa  scia  si  e'  posta,  in  seguito,  la  previsione
dell'art. 83,   comma   4,  della  legge  23  dicembre  2000,  n. 388
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato.  Legge  finanziaria  2001), con la quale si e' previsto
spetti alle singole regioni provvedere alla copertura degli eventuali
disavanzi  di gestione, attivando nella misura necessaria l'autonomia
impositiva  secondo  modalita' e procedure prestabilite. Le norme che
si   occupavano   di   queste  modalita'  procedimentali  sono  state
modificate 4) dal d.l. 18 settembre 2001, n. 347.
    Quest'ultimo  provvedimento governativo, poi convertito in legge,
con  modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, all'art. 4,
comma  3,  tuttora  vigente,  conferma  il  principio  per  cui  «gli
eventuali  disavanzi  di  gestione  accertati  o stimati nel rispetto
dell'accordo  Stato-regioni  di cui all'art. 1, comma 1, sono coperti
dalle  regioni  con  le modalita' stabilite da norme regionali» ossia
mediante  «misure  di  compartecipazione  alla  spesa  sanitaria, ivi
inclusa   l'introduzione  di  forme  di  corresponsabilizzazione  dei
principali  soggetti che concorrono alla determinazione della spesa»,
«variazione  dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul
reddito  delle  persone fisiche o altre misure fiscali previste dalla
normativa vigente» e/o «altre misure idonee a contenere la spesa, ivi
inclusa  l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei
farmaci».
    A  sanzione  del  fondamentale principio di responsabilita' delle
regioni per la gestione del servizio sanitario, l'art. 40 della legge
28  dicembre  2001, n. 448 (Legge finanziaria 2002) ha previsto, poi,
una riduzione del finanziamento dello Stato a danno delle regioni non
adempienti  alle  prescrizioni  in  materia  di  misure organizzative
stabilite  nell'accordo Stato-regioni per l'anno 2001, e, con d.l. 15
aprile 2002, n. 63, questa previsione e' stata estesa anche agli anni
2002, 2003 e 2004 (art. 4).
    Successivamente,  con  legge  27  dicembre  2002,  n. 289  (Legge
finanziaria  2003),  all'art. 29, comma 2, veniva ampliato lo spettro
degli   adempimenti   previsti   per   l'accesso   delle  regioni  al
finanziamento   statale  e,  al  contempo,  si  decideva  di  ridurre
temporaneamente  le  entrate  regionali  sospendendo  gli  effetti di
eventuali aumenti delle addizionali IRPEF e delle maggiorazioni IRAP.
Tale  riduzione veniva prorogata anche al 2004 dal disposto dell'art.
2,  comma 21, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria
2004).
    Grazie  alla  successiva  legge  finanziaria, ossia alla legge 30
dicembre  2004,  n. 311  (Legge finanziaria 2005) le addizionali, con
riguardo al settore sanitario, venivano sbloccate (art. 1, comma 175)
per  divenire  addirittura  automatiche.  L'art. 1,  comma  174,  del
provvedimento  legislativo  in  esame,  infatti, a tutt'oggi, dispone
che,  qualora  dal  monitoraggio  trimestrale  dovesse  emergere  uno
«squilibrio» economico-finanziario, la regione adotti i provvedimenti
necessari  e  che,  ove  questo  non  dovesse  avvenire  e si dovesse
evidenziare  comunque  un disavanzo di gestione nel quarto trimestre,
il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  diffidi  la  regione a
provvedere  entro  il  30 aprile  dell'anno successivo. Nell'ipotesi,
poi, di perdurante inadempimento della regione, e' dato al presidente
della  regione,  quale commissario ad acta, il compito di determinare
gli aumenti dell'addizionale IRPEF e le maggiorazioni IRAP, aumenti e
maggiorazione  che  sono destinate a scattare automaticamente e nella
misura massima in caso di inerzia del presidente.
    La legge finanziaria per il 2005 ha fissato pure i nuovi tetti di
spesa  per  il  triennio 2005-2007, ma, al contempo, ha previsto, «in
deroga a quanto stabilito dall'art. 4, comma 3, del d.l. 18 settembre
2001,  n. 347  (...)»,  il  concorso  dello  Stato  «al  ripiano  dei
disavanzi dei S.S.N. per gli anni 2001, 2002 e 2003».
    A  partire  dalla legge finanziaria del 2004, nella quale cio' e'
avvenuto  per  la  prima  volta  dopo  la  riforma del Titolo V della
Costituzione, il legislatore statale ha stanziato fondi per ripianare
il  disavanzo sanitario delle regioni, pur subordinando espressamente
l'accesso  a questi finanziamenti alla stipula di apposite intese fra
Stato  e regioni finalizzate - almeno negli intenti - a migliorare la
qualita' del servizio erogato e a contenere la dinamica dei costi 5).
    Cosi', con l'art. 1, commi 279, 280 e 281 della legge 23 dicembre
2005,   n. 266  (Legge  finanziaria  2006)  lo  Stato  ha  deciso  di
concorrere al ripiano dei disavanzi regionali per gli anni 2002, 2003
e  2004  con una somma di 2.000 milioni di euro, la cui erogazione e'
subordinata  all'«adozione, da parte delle regioni, dei provvedimenti
di copertura del residuo disavanzo posto a loro carico per i medesimi
anni»,   all'intesa  su  uno  schema  di  piano  sanitario  nazionale
2006-2008   e  alla  stipula  di  un  accordo  Stato-Regione  per  il
contenimento dei tempi di attesa.
    Per  il triennio 2007-2009, poi, l'art. 1, comma 796, della legge
27  dicembre  2006,  n. 296 (Legge finanziaria 2007), ha istituito un
fondo  complessivo  di  2.550  milioni  di  euro da ripartirsi tra le
regioni  interessate  da  elevati  disavanzi,  il cui accesso risulta
subordinato   alla   sottoscrizione   di  un  accordo  con  lo  Stato
comprensivo di un piano di rientro.
    Questa  la  situazione  fino all'entrata in vigore del d.l. n. 23
del  2007,  che, a soli tre mesi di distanza dall'ultima finanziaria,
prevede  un  ulteriore  stanziamento di ben 3.000 milioni di euro per
ripianare  i  disavanzi  sanitari  delle «Regioni interessate» per il
periodo 2001-2005.
    7.  -  Tenuto  conto  dei  parametri  indicati nella delibera che
autorizza  la  presentazione  dell'odierno  ricorso,  vale la pena di
riconsiderare,    per   linee   essenziali,   il   quadro   normativo
costituzionale di riferimento.
    Sembra  inevitabile  ricordare  per  primo  proprio  il parametro
costituzionale che di tutta la complessa vicenda in esame costituisce
forse il faro-guida, ossia l'art. 32, primo comma, Cost., per cui «la
Repubblica  tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo
e  interesse  della  collettivita',  e  garantisce cure gratuite agli
indigenti».
    Dunque,  il  compito  di  tutelare  il  bene della salute, inteso
complessivamente   come  benessere  psico-fisico  della  persona,  di
qualunque  persona  senza  discriminazione  di  sorta (in conformita'
all'art. 3  Cost.),  diritto  fondamentale dell'uomo (art. 2 Cost.) e
interesse  della  collettivita',  e'  rimesso  alla Repubblica. Ma la
Repubblica,   ai   sensi   dell'art. 114  Cost.,  primo  comma,  come
modificato  dalla  legge  costituzionale  18  ottobre 2001, n. 3, «e'
costituita  dai  comuni,  dalle province, dalle citta' metropolitane,
dalle  regioni  e dallo Stato» ed e', pertanto, necessario analizzare
se  e quale ruolo la Costituzione abbia riservato a questa pluralita'
di attori nel perseguimento del fine di cui all'art. 32 Cost.
    Si  tratta di un settore che, gia' prima della riforma dei Titolo
V,   era   pervenuto,  almeno  sotto  il  profilo  dell'assistenza  e
dell'organizzazione    sanitaria,    ad    un   elevato   «tasso   di
regionalizzazione»  -  come si e' tentato di rilevare ripercorrendo i
principali  interventi  normativi in materia di S.S.N. e per il quale
il  legislatore  costituzionale  del  2001  ha previsto un'articolata
ripartizione  del  potere  legislativo  e amministrativo. Da un lato,
infatti,  ha  consolidato  e potenziato il ruolo centrale conquistato
dalle  regioni,  inserendo  nell'elenco  delle  materie di competenza
concorrente  di  cui  all'art. 117,  terzo comma, nelle quali «spetta
alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione
dei  principi  fondamentali,  riservata allo Stato», la «tutela della
salute».  Dall'altro,  pero',  ha  assicurato allo Stato il potere di
intervenire   incisivamente,   esercitando   la   propria  competenza
legislativa  esclusiva,  in  materia  di  «profilassi internazionale»
(art. 117,   secondo   comma,   lettera  p),  «tutela  dell'ambiente»
(art. 117,   secondo   comma,  lettera  s),  ma  soprattutto  con  la
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio   nazionale»   (art. 117,   secondo   comma,   lettera m).
L'inserimento  nel secondo comma dell'art. 117 di una tale previsione
«attribuisce  al  legislatore  statale  un fondamentale strumento per
garantire  il mantenimento di una adeguata uniformita' di trattamento
sul  piano  dei  diritti  di  tutti  i  soggetti,  pur  in un sistema
caratterizzato   da  un  livello  di  autonomia  regionale  e  locale
decisamente  accresciuto»  (cosi', Corte cost., sent., 27 marzo 2003,
n. 88),  importante  specialmente  nel  settore sanitario in cui, fin
dall'istituzione  del  S.S.N.  si parla di «livelli delle prestazioni
sanitarie che devono essere, comunque, garantite a tutti i cittadini»
(nell'art. 53  della  legge  23 dicembre  1978, n. 833) e di «livelli
essenziali  e  uniformi  di  assistenza  definiti dal piano sanitario
nazionale»  (nell'art. 1  del  d.lgs.  30 dicembre 1992, n. 502, come
modificato nel 1999) 6).
    Ma,   «nel  sistema  di  assistenza  sanitaria  -  delineato  dal
legislatore  fin dall'emanazione della legge di riforma sanitaria, 23
dicembre  1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale)
-  l'esigenza  di  assicurare  la  universalita' e la completezza del
sistema  assistenziale del nostro Paese si e' scontrata, e si scontra
ancora   attualmente,   con   la   limitatezza  delle  disponibilita'
finanziarie che annualmente e' possibile destinare, nel quadro di una
programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e
sociale,  al  settore  sanitario»  (cfr. Corte cost., sent., 8 maggio
2007,  n. 162, riprendendo Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 111;
e   Corte   cost.,   sent.,   15  febbraio  2000,  n. 59),  cosicche'
sostanzialmente  la  spesa  sanitaria  non  puo'  concretamente esser
rapportata  al  suo  costo,  ma  alle  disponibilita'  della  finanza
pubblica  (cfr.  Corte cost., sent., 31 dicembre 1986, n. 296). Tanto
chiarito,  allora,  e'  necessario ammettere, soprattutto verificando
con  quale  costanza la materia sanitaria si trovi disciplinata nelle
leggi  finanziarie, che la competenza concorrente tra Stato e regioni
a proposito di «coordinamento della finanza pubblica» svolge un ruolo
di  primaria  importanza  anche in questo settore, soprattutto ove si
discuta  di  spesa  e  disavanzi  di gestione (si veda, in proposito,
Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98).
    Proseguendo   nel   ragionamento,   si  deve  annoverare  tra  le
disposizioni  costituzionali di sicuro rilievo in materia di sanita',
quella  di  cui  all'art. 119.  Quest'ultima, infatti, riconosce agli
enti  che  compongono la Repubblica, ma in particolare per quanto qui
interessa,  a  Stato e regioni, autonomia finanziaria di entrata e di
spesa  e  disegna  il  sistema  di  finanziamento delle funzioni loro
attribuite,  limitando  drasticamente la possibilita' per lo Stato di
disporre  fondi di finanziamento a favore delle autonomie regionali e
locali.
    Dal  punto  di  vista dell'attuazione concreta della tutela della
salute di cui all'art. 32 Cost., i protagonisti di cui sopra operano,
nel  rispetto  del  principio  di  sussidiarieta'  (art. 118  Cost.),
mediante il S.S.N., ossia, in sostanza per il tramite di un complesso
apparato  amministrativo  soggetto,  tra  gli  altri,  ai principi di
imparzialita'  e,  soprattutto,  buon  andamento previsti all'art. 97
Cost.,  buon  andamento che - come e' noto - si articola nei principi
corollari di efficienza, efficacia ed economicita'.
    Si  puo'  affermare,  dunque,  che,  a  seguito della riforma del
Titolo V, la nostra Carta costituzionale disegna un sistema sanitario
di  stampo  federale (federale ha qui un significato vastissimo), nel
quale  il  centro  procede alla determinazione dei livelli essenziali
delle  prestazioni  da  assicurare  su  tutto  il  territorio e si fa
garante  del  coordinamento della finanza pubblica ponendo i principi
fondamentali,  mentre  alle  autonomie e' riconosciuta una competenza
legislativa  che,  concedendo ora la «tutela della salute» e non piu'
la  mera  «assistenza  ospedaliera»,  e' «assai piu' ampia rispetto a
quella  precedente»  7)  e  alla  quale  si  accompagna  il potere di
organizzare  il servizio modellandolo sulla base delle esigenze della
popolazione  e,  di  conseguenza, la responsabilita' delle risorse da
impiegare  e  impiegate.  Per  un principio la cui validita' non puo'
esser  messa  in dubbio dopo la riforma del 2001, ma del quale non si
discuteva  neppure  in  passato  8),  infatti,  la responsabilita' di
disciplina   e  organizzazione  deve  viaggiare  parallelamente  alla
responsabilita' finanziaria.
    Il  tutto,  ovviamente,  data  la  delicatezza della materia e la
complessita'    dello    scenario   delle   competenze   legislative,
amministrative  e  finanziarie articolato su piu' livelli di governo,
all'insegna   della   massima   attuazione  del  principio  di  leale
collaborazione  di  cui  agli  artt. 5  e  120 Cost. e 11 della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
    8.  -  Se ora si coordina il quadro costituzionale vigente con il
complesso   di   disposizioni   che  disciplinano  il  S.S.N.  e,  in
particolare,  il  suo  finanziamento,  appare  chiaro  che  spetta  a
ciascuna  regione,  nell'ambito  delle  proprie accresciute potesta',
assicurati  gli  standard  minimi delle prestazioni determinati dallo
Stato e rispettati i principi di coordinamento della finanza pubblica
dettati  da quest'ultimo, disciplinare e organizzare l'erogazione del
servizio  sanitario  all'interno  del  proprio  territorio secondo il
principio  di buon andamento, finendo con l'essere responsabile delle
risorse finanziarie impiegate e da impiegarsi.
    Questo  l'intento  del legislatore nazionale quale traspare dalla
disciplina  posta  con  riferimento al S.S.N. e al suo finanziamento.
Questo quanto richiesto dal dettato della Costituzione vigente.
    Consapevole  di  quanto ad essa imposto dal sistema normativo, la
Regione  Veneto,  in  questi  anni,  anche  se  con molte difficolta'
derivanti dalla perdurante inattuazione del c.d. federalismo fiscale,
ha  informato  tutti  i  propri interventi nel delicato settore della
sanita' (sia quelli di natura normativa, sia quelli piu' propriamente
attinenti   l'organizzazione   e  il  coordinamento  della  complessa
macchina  amministrativa  che  materialmente  eroga  il  servizio)  a
criteri  di  efficacia,  efficienza,  economicita',  insomma  di buon
andamento  e  di  responsabilita'. Il risultato e' sotto gli occhi di
tutti:   un  servizio  sanitario  tra  i  primi  per  qualita'  delle
prestazioni e il dato, faticosamente conseguito, di non esser gravati
da disavanzi di gestione.
    Con  sorpresa  la  regione ricorrente ha accolto l'emanazione del
decreto  20  marzo  2007,  n. 23,  con il quale lo Stato ha deciso di
concorrere  al  ripiano  del  disavanzo  del  S.S.N.  per  il periodo
2001-2005  per  alcune  regioni,  stanziando l'ingente somma di 3.000
milioni  di  euro  per  il  solo  2007, la quale va ad aggiungersi ai
perspicui  finanziamenti  tutti  operati  allo  stesso scopo e a piu'
riprese,  a  partire  dalla  legge  30  dicembre  2004, n. 311 (Legge
finanziaria  per il 2005), con le successive manovre finanziarie fino
a  quella recentissima di cui alla legge 27 dicembre 2006, n. 296. Il
tutto  in  cambio  dell'ennesimo  impegno  a  soddisfare  un piano di
rientro o, comunque, a reperire maggiori risorse finanziarie.
    Lo  Stato,  dunque,  chiede  -  rectius  -  impone  alle  regioni
«virtuose», nelle quali la spesa sanitaria non ha ecceduto le risorse
disponibili  grazie allo sforzo congiunto di attuare una legislazione
responsabile   e   un'organizzazione   dell'apparato   amministrativo
rispettoso  del  principio di buon andamento, di «sanare» pro parte i
debiti di regioni che, ignorando le prescrizioni ordinamentali, hanno
speso  piu' del dovuto per l'erogazione non di un qualunque servizio,
bensi' del servizio con il quale la Repubblica tutela il diritto alla
salute  e  lo  fa con una disciplina che il ricorrente ritiene lesiva
della   propria  autonomia  e  costituzionalmente  illegittima  sotto
molteplici  profili,  gia'  delineati  nella  piu'  ampia prospettiva
ordinamentale  e  di  seguito riassunti alla luce dei puntuali motivi
del ricorso prospettati dalla giunta regionale.
    8.1.  -  La  disposizione  di cui all'art. 1 del decreto-legge 20
marzo  2007,  n. 23  viola, innanzitutto, il riparto delle competenze
legislative disegnato dall'art. 117 Cost.
    Si  e' detto come, in materia sanitaria e di relativa spesa, allo
Stato  spetti,  ai  sensi  dell'art. 117  Cost. nel testo attualmente
vigente,  una  potesta' legislativa esclusiva per quanto attiene alla
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e  sociali»  e  la  competenza a porre i principi
fondamentali   nell'ambito   della   «tutela   della  salute»  e  del
«coordinamento   della   finanza   pubblica»,   materie  di  potesta'
legislativa concorrente tra Stato e regione.
    Ora,  risulta  di  tutta evidenza che l'intervento legislativo di
cui   all'articolo   impugnato   non   puo'  sussumersi  nella  prima
fattispecie  astratta, ossia quella di competenza esclusiva, perche',
come  codesto  giudice delle leggi ha gia' osservato, i conflitti che
sorgano in materia di interventi di ripiano dei disavanzi di gestione
del  S.S.N.  vanno  valutati «nel quadro della competenza legislativa
regionale  concorrente  in  materia  di  salute  (...) e specialmente
nell'ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento
della spesa, al cui rispetto sono tenute regioni e province autonome»
(cfr.  Corte cost., sent. 21 marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent. 27
gennaio 2005, n. 36).
    Giova,  pero',  a  questo proposito rilevare che le previsioni di
cui  all'articolo  che si censura non possono in alcun modo definirsi
«principi  fondamentali»,  giacche' tali possono essere ritenuti solo
le  disposizioni  normative  che  esprimono la consapevole scelta del
legislatore  di  disciplinare  un  determinato  settore ponendo delle
norme  di maggiore astrattezza rispetto a quelle poi adottabili dalle
regioni  e in grado di orientare i futuri interventi regionali 9). La
disciplina  impugnata  si  segnala,  invece,  per  il  suo  carattere
minuzioso, dettagliato, autoapplicativo, dal momento che indica quali
regioni   e   secondo   quali   modalita'  potranno  beneficiare  del
finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari.
    Nella  denegata  e  assolutamente  inopinata  ipotesi  per cui si
intendesse  riconoscere  alla  disposizione  in esame il carattere di
«principio»,   poi,   si   dovrebbe   ritenere   che,  tramite  essa,
l'ordinamento     abbia     recepito    la    regola    dell'assoluta
deresponsabilizzazione degli enti regionali.
    Ma cosi' non puo' essere e non e'.
    Si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo giudice voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  del  d.l.  20 marzo 2007, n. 23 per
contrasto con l'art. 117 Cost.
    8.2.  - La disposizione in esame, poi, viola anche il disposto di
cui all'art. 119 Cost.
    Chiarito  che  la norma va collocata, come si e' detto, a cavallo
tra  la  materia  «tutela  della  salute» e quella del «coordinamento
della  finanza  pubblica»  e  che  entrambe  le suddette materie sono
annoverate  nell'elenco  di  cui  al  terzo  comma  dell'art. 117  e,
pertanto,  relativamente  ad  esse,  la  Costituzione ha previsto una
potesta'  legislativa concorrente tra Stato, al quale e' riservata la
determinazione  dei  principi  fondamentali,  e  regioni,  alle quali
spetta  una  piena  capacita'  di  porre  la disciplina ulteriore, e'
necessario  richiamare  con  un  cenno  il contenuto della previsione
legislativa.
    Con l'art. 1 del d.l. n. 23/2007, lo Stato finanzia, mediante uno
stanziamento  di  3.000  milioni  di  euro  per  il solo 2007, alcune
regioni onde ripianare il loro disavanzo di gestione.
    Secondo   il  costante  orientamento  di  codesta  ecc.ma  Corte,
l'art. 119  Cost.,  pero',  non  consente  allo  Stato di istituire e
disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata ne' nelle materie
di  potesta'  legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.),
ne'  nelle  materie  di  potesta' legislativa residuale della regione
(art. 117,  quarto  comma,  Cost.), sia che questi fondi prevedano la
diretta   attribuzione   di   risorse  a  regioni,  province,  citta'
metropolitane  o comuni (Corte cost., sent. 23 dicembre 2003, n. 370;
Corte  cost.,  sent.  16  gennaio  2004, n. 16; Corte cost., sent. 29
gennaio  2004,  n. 49),  sia che prevedano la diretta attribuzione di
risorse  a  soggetti  privati,  persone  fisiche  o giuridiche (Corte
cost., sent. 29 dicembre 2004, n. 423; Corte cost., sent. 18 febbraio
2005,  n. 77;  Corte cost., sent. 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost.,
sent.  24 marzo 2006, n. 118), poiche' «il ricorso a finanziamenti ad
hoc  rischierebbe  di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo,
di  ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni
e degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi
governati  centralmente  a quelli legittimamente decisi dalle regioni
negli  ambiti  materiali  di  propria competenza» (cosi' Corte cost.,
sent.  16 gennaio 2004, n. 16). E cio' vale anche se il finanziamento
riguarda  non  il  Veneto  come  beneficiario,  ma  come «coobbligato
solidale» sul piano passivo.
    Nel   contesto   dell'art. 119   Cost.,  infatti,  sono  previste
solamente  due  tipologie  di  fondi: (i) un fondo perequativo, senza
vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale
per  abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate
e  tributi  propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali
riferibile  al  proprio  territorio (art. 119, secondo comma, Cost.),
serve  a  finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a
regioni  ed  enti  locali  (art. 119,  quarto  comma,  Cost.)  e (ii)
«risorse   aggiuntive»   ed   «interventi   speciali»  in  favore  di
determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine
di  «promuovere  lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale,  (...)  rimuovere  gli  squilibri economici e sociali, (...)
favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della  persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»
(art. 119, quinto comma, Cost.).
    In  ordine a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha
precisato  che  essi  «non solo debbono essere aggiuntivi rispetto al
finanziamento  integrale  (...)  delle funzioni spettanti ai comuni o
agli  altri  enti,  e  riferirsi  alle finalita' di perequazione e di
garanzia  enunciate  nella  norma  costituzionale, o comunque a scopi
diversi  dal  normale  esercizio  delle  funzioni,  ma debbono essere
indirizzati  a  determinati comuni o categorie di comuni (o province,
citta'  metropolitane,  regioni)»  e che «l'esigenza di rispettare il
riparto  costituzionale  delle  competenze  legislative  fra  Stato e
regioni  comporta  altresi' che, quando tali finanziamenti riguardino
ambiti   di  competenza  delle  regioni,  queste  siano  chiamate  ad
esercitare   compiti   di  programmazione  e  di  riparto  dei  fondi
all'interno  del  proprio  territorio»  (cosi'  Corte cost., sent. 16
gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent. 8 giugno 2005, n. 222).
    Codesto  ecc.mo  Collegio  ha riconosciuto, inoltre, che lo Stato
puo'  istituire  e  disciplinare fondi a destinazione vincolata nelle
materie  di  sua  competenza  legislativa esclusiva (in questo senso,
Corte  cost.,  sent.,  16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 29
gennaio 2004, n. 49).
    Si  potrebbe  sostenere,  allora, in senso contrario a quanto qui
affermato,  che la norma di cui si discute si inquadri nella potesta'
legislativa  esclusiva  dello Stato in materia di «determinazione dei
livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»
(art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.).
    Tuttavia,  la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte - come si e'
visto  -  ha  ritenuto  che  i  conflitti  che  sorgano in materia di
interventi  di  ripiano  dei  disavanzi di gestione del S.S.N. vadano
valutati   «nel   quadro   della   competenza  legislativa  regionale
concorrente  in materia di salute (...) e specialmente nell'ambito di
quegli  obiettivi  di finanza pubblica e di contenimento della spesa,
al  cui rispetto sono tenute regioni e province autonome» (cfr. Corte
cost.,  sent.,  21  marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent., 27 gennaio
2005, n. 36).
    Alla  luce  di  quanto  esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del
d.l. 20 marzo 2007, n. 23 per contrasto con l'art. 119 Cost.
    8.3.  -  Ma,  stando  alle deduzioni svolte nella prima parte del
ricorso,  nella quale sono state delineate alcune premesse essenziali
circa  il  costo  dei  diritti,  la loro copertura, l'incidenza della
solidarieta'  e  dell'eguaglianza  (di cui c'e' una indiscutibile eco
nell'art. 117,   secondo  comma,  lett.  m),  Cost.),  con  specifico
riferimento  a  quel  particolare  diritto  di  prestazione che e' il
diritto  di  salute,  ne  deriva,  davvero de plano, l'illegittimita'
dell'atto  normativo  impugnato, il quale risulta, non solo dal punto
di  vista  della  competenza a porre una disciplina (come si e' detto
sub  8.1  e  8.2),  ma pure sotto il profilo sostanziale (vale a dire
della  tutela  accordata  a  ciascuno dall'art. 32 Cost.) contrario a
sistema.  E  lo  e',  appunto,  la' dove pregiudica, disconoscendo il
principio  di responsabilita' finanziaria, qualita' e quantita' delle
prestazioni  rese dalla Regione Veneto attraverso proprie ASL e ULSS,
le  quali  hanno,  in  sede  di attuazione della pregressa normativa,
ottemperato  alla  legge  non  dilatando  oltre  il lecito le proprie
azioni  concrete,  mentre  ora  sono  chiamate a concorrere, a motivo
della  natura  delle  risorse  che lo Stato destinera' al ripiano dei
deficit    ottenute   attraverso   la   fiscalita'   generale,   alla
sopportazione  degli  oneri  generali  di  una  spesa inefficiente ed
eccessiva.  Cio',  oltretutto,  contraddicendo  la legislazione dello
Stato  che  pone a carico delle regione che ha «sforato» l'obbligo di
«rientrare»   all'interno   dei   parametri  che  sono  misura  della
ragionevolezza  dell'operato  astratto e concreto dei vari livelli di
governo.
    Dunque,  la  discriminazione  irragionevole genera disuguaglianza
(in  violazione  dell'art. 3  Cost.) e quest'ultima mortifica il buon
andamento  del  S.S.N.  (art. 97  Cost.),  incidendo sui diritto alla
salute  (art. 32  Cost.)  di  chi  risiede  nel Veneto. Anche perche'
l'elargizione prescinde da qualunque forma di controllo.
    Pertanto, si chiede che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare
l'illegittimita'  costituzionale  del  d.l. 20 marzo 2007, n. 23, per
contrasto con gli artt. 3, 32 e 97 Cost.
          1) Presa a termine di paragone dall'articolista.
          2)  La  Corte  costituzionale, con sentenza 28 luglio 1993,
          n. 355,  ha  dichiarato l'illegittimita' costituzionale del
          comma 1 del suddetto articolo 13, nella parte in cui, nello
          stabilire  l'esonero  immediato  e  totale  dello  Stato da
          interventi  finanziari  volti  a  far fronte a disavanzi di
          gestione  delle  unita'  sanitarie  locali  e delle aziende
          ospedaliere,  non  prevede un'adeguata disciplina diretta a
          rendere  graduale  il  passaggio  e  la  messa a regime del
          sistema  di  finanziamento  previsto  dallo  stesso decreto
          legislativo n. 502 del 1992 in esame.
          3)  Quest'espressione  si  ritrova,  tra le altre, in Corte
          cost., sent., 28 luglio 1993, n. 355.
          4)  Come  ha  rilevato  anche  codesta  Corte nella sent. 7
          novembre 2003, n. 334.
          5)  Tutte  queste condizioni di accesso al riparto - sembra
          opportuno  rilevare in questa sede - sono state ritenute da
          codesto  ecc.mo  giudice conformi a Costituzione, avendo il
          medesimo  fatto  perno  sul  rilevante  ruolo  svolto,  nel
          sistema   vigente   e  pur  nella  perdurante  inattuazione
          dell'art. 119 Cost., proprio dalle regioni nella gestione e
          nel finanziamento dei Servizio sanitario nazionale, che non
          permetterebbe piu' di «attribuire esclusivamente allo Stato
          la  causa  dei  deficit  dei  servizio  sanitario»  (cosi',
          recentemente, in Corte cost., 21 marzo 2007, n. 98).
          6)  Poiche',  con  riguardo  ai  livelli  essenziali  delle
          prestazioni,  non  si  puo'  parlare  di  «materia»  ma  di
          «competenza  del  legislatore  statale  idonea ad investire
          tutte  le  materie, rispetto alle quali il legislatore deve
          poter  porre  le  norme  necessarie per assicurare a tutti,
          sull'intero   territorio   nazionale,   il   godimento   di
          prestazioni garantite» (cosi' Corte cost., sent., 26 giugno
          2002,  n. 282),  la previsione di cui all'art. 117, secondo
          comma,  lettera  m),  Cost.  puo' tradursi in un pericoloso
          limite  alla  potesta' legislativa regionale. Per questo e'
          piu'  che  mai  opportuno che la fissazione di tali livelli
          sia  adottata  mediante  procedure  nelle  quali le regioni
          vengano  coinvolte. Sul punto, Corte cost., sent., 27 marzo
          2003, n. 88.
          7)  In tal senso Corte cost., sent., 8 maggio 2007, n. 162.
          Ma  gia'  prima,  Corte  cost.,  sent., 2006, n. 134; Corte
          cost.,  sent.,  7 luglio 2005, n. 270 e Corte cost., sent.,
          26 maggio 2002, n. 282.
          8)  Gia'  nella sentenza di codesta ecc.ma Corte, 28 luglio
          1993, n. 355, ad esempio, proprio con riguardo alla materia
          sanitaria,   si   trova  affermato  quanto  segue:  «Questi
          principi   -  e,  in  particolare,  quello  concernente  il
          parallelismo   fra   responsabilita'  di  disciplina  e  di
          controllo  e responsabilita' finanziaria - non sono, certo,
          contrari  a  Costituzione,  ma,  se  mai,  interpretano  lo
          spirito    del    requisito   di   efficienza,   e   quindi
          dell'equilibrio finanziario, valevole, a norma dell'art. 97
          della  Costituzione,  anche  per  il  sistema  pubblico  di
          assistenza sanitaria nel suo complesso». Cfr., anche, Corte
          cost.,  sent.,  18 giugno 1991, n. 283; Corte cost., sent.,
          28  luglio  1995,  n. 416  e Corte cost., sent., 5 novembre
          1984, n. 245.
          9)  Sul  punto  si  rinvia  a Corte cost., sent. 7 novembre
          1995, n. 482 del 1995 e a Corte cost., sent. 16 marzo 2001,
          n. 65.
                              P. Q. M.
    Voglia  l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita'
costituzionale  del  d.l. 20 marzo 2007, n. 23, recante «Disposizioni
urgenti  per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore
sanitario»,  pubblicato  nella  Gazzetta Ufficiale - serie generale -
n. 66  del  20 marzo 2007, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117,
119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione, di cui agli
artt. 5  e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3.
        Padova-Roma, addi' 15 maggio 2007
  Avv. Prof. Mario Bertolissi - Avv. Ezio Zanon - Avv. Luigi Manzi
07C0721