N. 452 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 luglio 2006

Ordinanza emessa il 4 luglio 2006 dal tribunale dei minorenni di Roma
nel procedimento relativo alla minore V. M. A.

Straniero  -  Espulsione  amministrativa  -  Provvedimento  espulsivo
  riguardante  i  genitori di un minore per il quale il Tribunale dei
  minorenni  stia procedendo per accertare la sussistenza dello stato
  di abbandono - Richiesta da parte del Questore di previo nulla osta
  del Tribunale dei minorenni stesso - Mancata previsione - Incidenza
  su  diritto  fondamentale  della  persona  - Violazione di obblighi
  internazionali  -  Incidenza  sul  diritto  di difesa - Lesione del
  principio  di  tutela  della famiglia - Violazione dei principi del
  giusto processo.
- Decreto  legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3, come
  sostituito  dall'art. 12,  comma 1, lett. a), della legge 30 luglio
  2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 2, 10, 24, 30 e 111.
Straniero  -  Espulsione amministrativa - Trattenimento nel centro di
  permanenza temporanea della madre di prole di eta' inferiore ai tre
  anni con lei convivente o, in subordine, della madre nel primo anno
  di  vita  del figlio - Esclusione - Mancata previsione - Violazione
  del   principio   di   uguaglianza   per  ingiustificata  deteriore
  disciplina  rispetto  all'applicazione della misura cautelare della
  custodia  in  carcere  di  madre con prole di eta' inferiore ai tre
  anni  per  la  quale  debbono  sussistere  esigenze  cautelari  «di
  eccezionale rilevanza».
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 14.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.24 del 20-6-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Nella  Camera  di  consiglio del 30 giugno 2006 ha pronunciato la
presente  ordinanza  nel  giudizio aperto d'ufficio in data 15 maggio
2006  ai  sensi degli art. 8 e ss. della legge 4 maggio 1983 n. 184 e
successive modifiche per accertare lo stato di abbandono della minore
V.  M.  A.,  nata  a Roma il 1° maggio 2006, figlia di V. D. e R. M.,
entrambi  cittadini  di  nazionalita'  romena, nati rispettivamente a
Cugir  il  13 giugno l972 il padre e a Tarnaveni il 22 settembre 1986
la madre;
    Premesso  in  fatto che veniva segnalata il giorno 12 maggio 2005
la  presenza  di  M.  R.,  con  la figlia di pochi giorni in braccio,
intenta, ormai da diverse ore e sotto il sole, a chiedere l'elemosina
in piazza Argentina a Roma; entrambi i genitori venivano fermati e la
neonata trasferita immediatamente in ospedale;
        al  momento  del  ricovero  in ospedale la bambina, che aveva
appena  dodici  giorni,  risultava  affetta  da  una  «crisi di apnea
prolungata  e  cianosi»,  secondo  quanto  riportato  nella relazione
clinica del Dipartimento di Neonatologia dell'Ospedale Bambin Gesu';
        a  seguito del trasferimento in questura, il giorno 13 maggio
2005   ad   entrambi  i  genitori  e'  stato  notificato  decreto  di
espulsione,  mentre  per  la  sola  madre  e'  stato  contestualmente
disposto  il trattenimento presso il centro di permanenza temporanea,
dove  tuttora si trova, ai sensi dell'art. 14 del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina   dell'immigrazione   e   norme   sulla  condizione  dello
straniero), con la duplice motivazione della «necessita' di procedere
ad  accertamenti  supplementari  in ordine alla sua identita» e della
«indisponibilita' del vettore o altro mezzo di trasporto idoneo»;
        con  decreto presidenziale del 15 maggio 2005 veniva disposta
l'apertura  d'ufficio  del giudizio per l'accertamento dello stato di
abbandono  della  minore  ai  sensi  dell'art. 8  e ss. della legge 4
maggio  1983,  n. 184 e successive modifiche, sospesa la potesta' dei
genitori e disposto il collocamento della minore in struttura idonea;
        con  successiva nota l'Ufficio Immigrazione della Questura di
Roma  ha  chiesto  a  questo  tribunale  di  conoscere se «nulla osti
all'espulsione  della  straniera  o  se,  al  contrario,  si vogliano
impartire diverse disposizioni»;
        con  decreto  emesso  in  data  19 maggio 2006 ai sensi dell'
art. 10  comma  quarto  della  legge  4  maggio  1983 il tribunale ha
«confermato la sospensione dalla potesta' dei genitori e la nomina di
tutore  provvisorio,  l'affidamento della minore al servizio sociale,
precisando  l'incarico  al  servizio  affidatario  di  effettuare  il
collocamento in struttura idonea unitamente alla madre;
        nel  corso  del procedimento sono stati sentiti i genitori ed
entrambi  hanno  chiesto  di  riprendere  con  se'  la figlia per far
ritorno con lei in Romania;
        e'  stata data comunicazione al consolato della Romania della
pendenza del presente giudizio;
        con  atto  del  15  giugno  2006  il p.m. ha formulato parere
favorevole  alla  pronuncia  «di  non luogo a provvedere se il nucleo
familiare  dimostri la reale intenzione di far rientro in Romania ove
dichiarano di poter usufruire di condizioni familiari migliori».
    Cio'  premesso sugli elementi di fatto salienti della vicenda, ad
esito  della discussione nella Camera di consiglio del 30 giugno 2006
ritiene  il  tribunale  che  per le ragioni che seguono sussistano in
primo luogo concorrenti profili di illegittimita' costituzionale, con
riferimento  agli  artt. 2,  10, 24, 30 e 111 della Costituzione, del
comma 3  dell'art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
come  sostituito dall'art. 12 comma 1, lett. a) della legge 30 luglio
2002   n. 189,   recante  modifiche  alla  normativa  in  materia  di
immigrazione e di asilo, nella parte in cui non prevede che, prima di
eseguire  l'espulsione, il questore debba richiedere il nulla osta al
tribunale  per  i  minorenni  quando  destinatario  del provvedimento
espulsivo  sia il genitore di un minore per il quale il tribunale sta
procedendo per accertare la sussistenza dello stato di abbandono.
    Quanto alla rilevanza della eccezione di legittimita', osserva il
Collegio che proprio in ragione della sequenza dei fatti descritta in
precedenza,  la  mancata  previsione della necessita' del nulla osta,
con la conseguente impossibilita' per questo tribunale di disporre la
provvisoria  sospensione  dell'esecuzione del provvedimento espulsivo
in  ragione delle esigenze processuali che originano dal giudizio per
l'accertamento  dell'abbandono  della  minore,  determina conseguenze
dirette  ed  attuali  sul giudizio in corso, impedendo lo svolgimento
degli  approfondimenti  istruttori indispensabili per pervenire ad un
esito decisorio adeguatamente motivato.
    Solo  la  sospensione  del  provvedimento  espulsivo  infatti, ad
avviso  del  Collegio,  consentirebbe  lo  svolgimento,  in  un lasso
temporale  adeguato  e con la necessaria partecipazione dei genitori,
degli   approfondimenti   istruttori   richiesti   nel  giudizio  per
l'accertamento dello stato di abbandono.
    Quanto invece alla non manifesta infondatezza della questione, va
osservato  che secondo l'attuale disciplina espressa dall'art. 13 del
decreto  legislativo 25 luglio 1998 n. 286 il provvedimento espulsivo
e' sempre immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o a
impugnativa  da  parte  dell'interessato;  l'unico  parere attribuito
all'autorita'  giudiziaria di rilascio necessario del nulla osta, con
conseguente  sospensione  dell'esecuzione del provvedimento espulsivo
in  caso  di  diniego,  e' quello riferito al giudice penale,. quando
ricorrano  le  concorrenti  condizioni  elencate al comma terzo della
disposizione predetta.
    Per  questo  il  nulla  osta,  pur  di  fatto richiesto in questa
vicenda  dall'Ufficio  immigrazione  della Questura di Roma, non puo'
essere da questo tribunale negato, come sarebbe invece indispensabile
fare  in  ragione delle esigenze processuali proprie del procedimento
di  accertamento  dell'abbandono; infatti un provvedimento del genere
sarebbe   abnorme   perche'   pronunciato  in  assenza  di  qualsiasi
previsione di legge.
    Altri  motivi  di  sospensione  dell'esecuzione del provvedimento
espulsivo non sono previsti nella normativa attuale; anche il divieto
di  espulsione  previsto  dall'art. 19  comma  secondo  lett.  d) del
decreto    legislativo    25 luglio   1998,   n. 286,   che   secondo
l'interpretazione di questa Corte costituisce non un divieto assoluto
ma  una  temporanea  sospensione del potere espulsivo (sentenza 12-27
luglio  2000  n. 376  ed  ordinanza 11 maggio 2006, n. 192), non vale
effettivamente a risolvere le questioni emerse in questo giudizio; in
primo  luogo  perche', secondo l'insegnamento di questa corte, non e'
operante  nei  confronti  del padre che non e' coniugato con la R. in
secondo   luogo   perche'  comunque  l'arco  temporale  del  semestre
successivo   alla   nascita   costituisce   un   termine  rigido  non
necessariamente  adeguato  a  comprendere  ed  esaurire  le  esigenze
processuali proprie del giudizio di accertamento dell'abbandono.
    Neppure  appare  risolutiva  la  facolta'  di  rientro  in Italia
prevista  dall'art. 17 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
del  conclusivo  riferimento  al giudizio penale, quando lo straniero
espulso  sia  indagato  o  imputato,  o  persona  offesa;  il  tenore
letterale  inequivoco  della  disposizione,  unitamente alla sanzione
penale  che  invece e' prevista dal comma 13 dell'art. 13 del decreto
legislativo  25  luglio 1998, n. 286 e successive modifiche, nel caso
di  reingresso  non  autorizzato,  esclude  qualsiasi interpretazione
della  disposizione tale da ricomprendere nell'ambito di operativita'
anche la fattispecie in questione.
    Se la sospensione dell'esecuzione del provvedimento espulsivo dei
genitori  non  e'  in  alcun  modo  prevista dalla normativa attuale,
assumono   rilevanza   ad   avviso   del   tribunale   i  profili  di
incostituzionalita' richiamati.
    L'impedimento  alla  partecipazione  da  parte  dei  genitori  al
giudizio  di  accertamento  dello  stato  di  abbandono della figlia,
conseguente  all'esecuzione  del  provvedimento  espulsivo, appare al
tribunale   in   violazione   in   primo   luogo  dell'art. 24  della
Costituzione   e   del  diritto  di  difeso  garantito  dal  precetto
costituzionale.
    Secondo   l'interpretazione   di   questa  corte,  tenendo  conto
dell'attuale  struttura  bifasica  del giudizio di accertamento dello
stato  di  abbandono,  tuttora vigente per l'ennesima proroga in atto
delle  riforma  introdotta  con  la  legge  28,  marzo  2001, n. 149,
«nell'una  e  nell'altra fase del procedimento e' sempre garantita ai
genitori  la  possibilita'  di partecipazione; mentre il fatto che la
cognizione  sia  piena  in  quest'ultima  fase e sommaria nella prima
trova sufficiente giustificazione nell'esigenza di maggiore celerita'
di quest'ultima al fine di provvedere rapidamente sulla situazione di
abbandono del minore» (sentenza 8 - 10 maggio 1995, n. l60).
    Di  questa  partecipazione,  sempre  assicurata  anche nella fase
sommaria  in  cui  il  giudizio  a quo si trova, sono estrinsecazione
necessaria sia l'audizione dei genitori preliminare alla conferma dei
provvedimenti  provvisori  prevista  dal  comma 5 dell' art. 10 della
legge  4  maggio 1983, n. 184, sia la comunicazione dei provvedimenti
stessi,  sia  la  convocazione  dinanzi  al  Presidente  o al giudice
delegato  ai  sensi  dell'art. 12  seguente  e le necessarie ricerche
previste dall'art. 13 nel caso di irreperibilita' dei genitori.
    Per  altro queste attivita' processuali non esauriscono i momenti
in   cui   la   partecipazione   dei  genitori  appare  assolutamente
indispensabile  ai  fini  di  decidere,  o  la  loro assenza comunque
rilevante    quando    gli    stessi   godono   della   liberta'   di
autodeterminarsi,  come  desumibile dall'interpretazione dell'art. 15
comma   primo   lett.   a)   che  attribuisce  rilievo  alla  mancata
comparizione dei genitori nell'udienza presidenziale solo quando «non
si sono presentati senza giustificato motivo».
    In  ogni  caso,  infatti,  l'attivita' istruttoria prevista nella
fase  sommaria  non  puo'  ritenersi  esaurita  prima che siano stati
completati  gli  accertamenti «sulle condizioni giuridiche e di fatto
del  minore,  sull'ambiente  in  cui  ha  vissuto  e  vive al fine di
verificare  se  sussiste  lo  stato  di abbandono», come previsto dal
comma primo dell'art. 10.
    Nel  caso  di  specie queste attivita' processuali non sono state
ancora  compiutamente  svolte, gli approfondimenti . sulle condizioni
della  minore  nella  relazione  con i genitori neppure concretamente
iniziati  tenuto  conto  della  immediata  esecutivita'  del  decreto
espulsivo  nei  confronti  del  padre e del trattenimento della madre
presso    il   centro   di   permanenza   temporanea,   e   divengono
definitivamente  impossibili  non  appena  il provvedimento espulsivo
venga  eseguito,  stante il divieto di reingresso nel paese a seguito
dell'esecuzione  dell'espulsione, penalmente sanzionato, previsto dal
comma 14 dell'art. 13 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e successive
modifiche,  come sostituito dall'art. 12 comma 1 lett. h) della legge
30 luglio 2002, n. 189 che, anche nella misura piu' ridotta, comunque
non puo' in ogni caso essere inferiore al quinquennio.
    Di  qui il profilo di incostituzionalita' rilevato in riferimento
all'art. 24 della Costituzione.
    Il diritto di partecipazione dei genitori deriva anche da precisi
obblighi  assunti  dall'Italia,con  la ratifica di alcune convenzioni
internazionali,  in primo, luogo la Convenzione europea sull'adozione
dei  minori,  conclusa  a  Strasburgo  il 24 aprile 1967 e ratificata
dall'Italia  con  la  legge  22 maggio 1974, n. 357, secondo la quale
«L'autorita'   competente  pronuncia.  adozione  solo  dopo  adeguata
istruttoria sull'adottante, l'adottando e la famiglia di questo»; nel
caso  in questione proprio quest'ultimo aspetto viene inevitabilmente
compromesso.
    Inoltre  la Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre
1989,  ratificata  e  resa  esecutiva  ai sensi della legge 27 maggio
1991, n. 176, prevede all'art. 9 che la separazione del fanciullo dai
propri  genitori  possa  avvenire  solo  se  le  autorita' competenti
decidono   che   questa,  decisione  sia  «necessaria  nell'interesse
preminente  del  fanciullo»  (comma  primo)  ed  in tale eventualita'
«tutte   le   parti  interessate  devono  avere  la  possibilita'  di
partecipare  alle  deliberazioni  e  far  conoscere le loro opinioni»
(comma secondo).
    L'impedimento  alla  partecipazione  determinato dall' esecuzione
dell'  espulsione  viene  quindi  ad integrare anche violazione degli
obblighi assunti dall'Italia con la ratifica degli atti convenzionali
citati;  per  questa ragione la mancata sospensione del provvedimento
espulsivo  comporta  anche  un  ulteriore  profilo  di illegittimita'
costituzionale con riferimento all'art. l0 della Costituzione.
    Per   altro   la  partecipazione  dei  genitori  al  giudizio  di
accertamento  assume anche diversa rilevanza: non solo e' espressione
necessaria   delle   garanzie   difensive   che   trovano  fondamento
nell'art. 24  della  Costituzione,  ma rappresenta anche il contenuto
privilegiato  e  peculiare  di  questo  giudizio  nel  quale  occorre
verificare non solo l'esistenza eventuale di condotte abbandoniche da
parte  dei genitori precedenti all'apertura del giudizio, ma anche la
persistenza  di  queste  condotte  e  l'indisponibilita'  ad ovviarvi
nonostante  le  prescrizioni  impartite  ad  esito della convocazione
presidenziale,  come precisato anche nella sentenza 8-10 maggio 1995,
n. 160 di questa corte gia' in precedenza richiamata.
    L'assenza  dei  genitori  espulsi  priva  il giudizio di elementi
indispensabili  ai  fini  del  decidere  ed incide direttamente sulla
condizione  della  minore  e  sulle  relazioni  della  figlia  con  i
genitori,  oggetto  della  cognizione  giudiziale in corso; impedisce
infatti  di valutare le condotte successive all'apertura del giudizio
e   di   formulare  in  tal  modo  una  prognosi  attendibile  e  non
eterocondizionata sulla reversibilita' di queste condotte.
    Per  queste  ragioni  l'impedimento  che  ne  deriva configura ad
avviso  del  Tribunale  anche  la violazione degli artt. 2 e 30 commi
primo  e secondo e dell'art. 111 della Costituzione, poiche' viene ad
incidere  su diritti fondamentali della minore, in primo luogo quello
a  crescere  ed  essere educata in una famiglia, che trovano garanzia
nei precetti costituzionali richiamati, e nel contempo costituisce un
impedimento incompatibile con il regolare ed approfondito svolgimento
dell'accertamento giudiziale richiesto.
    Ne'  in  assenza  di  queste  valutazioni  l'esito decisorio puo'
comunque determinarsi con la pronuncia di non luogo a provvedere, che
sempre   presuppone   l'accertata  inesistenza  della  condizione  di
abbandono, nel caso di minori stranieri non diversamente da minori di
nazionalita' italiana, essendo in questione valori fondamentali della
persona che non soffrono restrizioni derivanti dalla cittadinanza del
minore e dei genitori.
    Un  esito  del genere sarebbe allo stato immotivato ad avviso del
tribunale:  il  breve  periodo  di  vita della minore con i genitori,
appena  tredici  giorni,  e l'impossibilita' di valutare la relazione
genitoriale   nel   periodo   successivo  non  consente  di  ritenere
sussistente  la  condotta  abbandonica,  neppure  pero'  consente con
certezza di escluderla, emettendo pronuncia di non luogo a provvedere
e  autorizzando  il  rientro  della  minore nel paese con i genitori,
tenuto  conto della gravita' delle condizioni di salute della neonata
accertate al momento del ricovero ospedaliero e dell'evidente incuria
manifestata a quel momento dai genitori.
    A  questa  conclusione  induce  per  altro anche l'art. 8 comma 1
della legge 4 maggio 1983, n. 184 che stabilisce la giurisdizione del
tribunale  che  procede  nel  caso  di  minori  che  «si trovano» nel
distretto del tribunale stesso, senza alcun riferimento o limitazione
alla  nazionalita' degli stessi e senza che al successivo art. 16 sia
prevista  una  formula  decisoria  di non luogo a provvedere motivata
dalla   condizione   di   cittadino  straniero  del  minore,  che  si
tradurrebbe   di   fatto   in   una   pronuncia   declinatoria  della
giurisdizione  non  prevista  dal  sistema,  essendo possibile questo
esito  solo quando sia «esaurita la procedura prevista nei precedenti
articoli  e  qualora  ritenga che non sussistano i presupposti per la
pronuncia per lo stato di adottabilita».
    La  condizione  di  cittadino  straniero  del  minore  e dei suoi
genitori  assume  piuttosto  una  diversa  rilevanza  nel giudizio di
accertamento dello stato di abbandono, richiedendo al tribunale, gia'
nella  fase  sommaria dello stesso, di stabi1ire i necessari rapporti
con  le  autorita'  consolari  del  paese  di provenienza, al fine di
informare  dell'esistenza  della  pendenza del giudizio ed assumere a
sua  volta  informazioni  sulle  condizioni dei componenti del nucleo
familiare eventualmente ancora residenti nel paese di origine.
    Allarga   quindi   il   campo   degli   approfondimenti  previsti
dall'art. 10  della  legge  4  maggio 1983, n. 184 e rende per questa
ragione  piu'  impegnative  le  attivita'  istruttorie  da  svolgere,
rafforzando cosi' proprio quelle esigenze processuali gia' esposte in
precedenza che dall'espulsione dei genitori risultano compromesse.
    I  motivi sin qui esposti inducono quindi il tribunale a dubitare
della legittimita' costituzionale della disposizione esaminata.
    Per  ragioni diverse, sulla base dell'esame della vicenda oggetto
di   questo   giudizio,   dubita   il  tribunale  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 14  del  d.  lgs.  25 luglio 1998, n. 286 e
successive  modifiche, con riferimento all'art. 3 Costituzione, nella
parte  in  cui  non esclude il trattenimento nei centro di permanenza
temporanea della madre di prole di eta' inferiore ai tre anni con lei
convivente  o,  in  subordine, della madre nel primo anno di vita del
figlio.
    La  questione  rileva  nel  presente  giudizio in quanto la madre
della  minore,  che  ha  partorito  il 1° maggio 2006, risulta dal 13
maggio  successivo  trattenuta  nel centro di permanenza temporanea e
questa  decisione ha di fatto reso inefficace sino ad oggi il decreto
con  cui  questo  tribunale  il  successivo  19 maggio ha disposto il
collocamento  della  minore  con  la  madre  presso struttura idonea,
interrompendo  cosi' da quel momento qualsiasi relazione tra la madre
e  la  figlia  neonata  e rendendo impossibile l'osservazione diretta
delle  competenze  genitoriali  che  nel procedimento di accertamento
dello   stato  di  abbandono  costituisce  un  passaggio  istruttorio
essenziale.
    Quanto invece alla non manifesta infondatezza della questione, ad
avviso  del  tribunale  il  raffronto  tra  la condizione della madre
trattenuta  nel centro di permanenza temporanea e quella della stessa
persona  sottoposta  a  misura  di  custodia  cautelare  in carcere o
detenuta   per   espiazione  pena,  evidenzia  possibili  profili  di
incostituzionalita' dell'art. 14 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e
successive  modifiche  in  riferimento all'art. 3 Costituzione per la
disparita'   del   trattamento   in   violazione   del  principio  di
uguaglianza.
    Va  premesso,  anche  sotto  questo  profilo,  che  il divieto di
espulsione  previsto  dal  comma secondo lett. d) dell'art. 19 del d.
lgs.  25  luglio  1998,  n. 286  non  e'  risolutivo  del  dubbio  di
legittimita'  costituzionale in esame; se infatti il divieto espresso
dalla  norma  costituisce  non  un divieto assoluto ma una temporanea
sospensione  del  potere  espulsivo  (sentenza  12  - 27 luglio 2000,
n. 376  ed ordinanza 11 maggio 2006, n. 192), allora il contenuto del
divieto   non   riguarda  la  possibilita'  di  emettere  il  decreto
espulsivo, ma solo di darne immediatamente esecuzione.
    Per  questo  nel  periodo  intermedio  che separa l'emissione del
provvedimento  d'espulsione  dalla sua esecuzione resta possibile che
la   donna   straniera   sia  trattenuta  nel  centro  di  permanenza
temporanea, ogni volta che sia ritenuto sussistente uno dei motivi di
cui al primo comma dell'art. 14 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
    Cio'  premesso,  va richiamato l'insegnamento della Corte secondo
cui  il  trattenimento  dello straniero presso i centri di permanenza
temporanea costituisce misura incidente sulla liberta' personale, che
non  puo'  essere  adottata  al  di fuori delle garanzie dell'art. 13
della  Costituzione,  questo  in  quanto  «Si  determina nel caso del
trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalita'
di  assistenza, quella mortificazione della dignita' dell'uomo che si
verifica  in  ogni  evenienza  di  assoggettamento  fisico all'altrui
potere  e che e' indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera
della  liberta'  personale»  (sentenza  22  marzo  -  10 aprile 2001,
n. 105).
    Nel caso di trattenimento di una donna straniera, madre di minore
in  tenera  eta',  in  questo  caso appena neonata, la mortificazione
della  dignita'  che  necessariamente consegue all'assoggettamento al
potere  altrui (divieto assoluto per la straniera di allontanarsi dal
centro, attribuzione al questore del potere di ripristinare la misura
nel  caso  di  allontanamento  indebito  )  si accompagna alla cesura
completa di qualsiasi rapporto con la figlia in tenera eta'.
    Questa  condizione,  sia che il trattenimento sia raffrontato con
l'applicazione  della misura della custodia cautelare in carcere, sia
che  invece  sia  posto  a  confronto  con  la condizione della madre
detenuta   per   espiazione   pena,   risulta   in  entrambi  i  casi
significativamente  ed  immotivatamente  piu'  afflittivo  di  quella
applicato nelle diverse situazioni comparate.
    La  violazione  dell'art.  3  Costituzione  risulta ad avviso del
tribunale  fondata  ove  si  consideri che nel caso dell'applicazione
della  misura cautelare della custodia in carcere a madre di prole di
eta'  inferiore  ai  tre  anni  debbono  ricorrere, con le condizioni
generali  di  applicabilita'  previste dall'art. 273 c.p.p., anche le
esigenza cautelari dell'art. 274 c.p.p., qualificate dal comma quarto
dell'art. 275 c.p.p. come «di eccezionale rilevanza», a seguito della
modifica  introdotta dall'art. 1 lett. a) della legge 12 luglio 1999,
n. 231.
    Invece  nel  caso  del  trattenimento  nel  centro  di permanenza
temporanea  della donna in eguali condizioni nel rapporto genitoriale
con  il  figlio,  la  privazione  della  liberta'  personale non solo
avviene  in,  assenza  di  qualsiasi elemento raffrontabile ai «gravi
indizi  di  colpevolezza» di cui al comma primo dell'art. 273 c.p.p.,
dal  momento  che  la privazione della liberta' personale determinata
dalla  detenzione  amministrativa  avviene  senza che sussista alcuna
ipotesi  di  reato,  ma  rappresenta  anche  la modalita' ordinaria e
generalizzata  adottata ogni volta che ricorrano le esigenze previste
dal primo comma dell'art. 14 del d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e non
piuttosto  una  misura  incidente  sulla liberta' personale legittima
solo in casi eccezionali e per questa ragione residuale.
    A   conclusioni  ancor  piu'  nette  si  dovrebbe  pervenire  nel
raffronto  con la condizione della madre nel caso di espiazione della
pena,  poiche'  in  base  all'art. 146  comma 2 c.p., come sostituito
dall'art. 1  comma  1  della  legge 8 marzo 2001, n. 40, l'esecuzione
della  pena  viene differita obbligatoriamente sino al compimento del
primo  anno  di  vita  del  figlio, mentre, anche quaiido sussistesse
l'abbandono  del  figlio,  elemento questo che nel caso di specie non
puo'  certo  ritenersi  sussistente  essendo invece ancora oggetto di
accertamento   giudiziale,   comunque   non   potrebbe   darsi  luogo
all'esecuzione nei due mesi successivi al parto.
    In  questa  vicenda invece la privazione della liberta' personale
della  madre  e  la  conseguente censura completa dei rapporti con la
figlia  sta  avvenendo  ne due mesi successivi al parto senza che sia
stata dichiarata la decadenza dalla potesta' del genitore ne' che sia
stato giudizialmente accertato l'abbandono.
    Questa  diversita' di trattamento induce a dubitare, ad avvio del
Collegio,   della   legittimita'  costituzionale  della  disposizione
esaminata in relazione all'art. 3 della Costituzione.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale del comma terzo dell'art. 13 del d. lgs.
25  luglio  1998,  n. 286 per contrasto con gli artt. 2, 10, 24, 30 e
111  della Costituzione, nella parte in cui non prevede che, prima di
eseguire  l'espulsione, il questore debba richiedere il nulla osta al
Tribunale  per  i  minorenni  quando  destinatario  del provvedimento
espulsivo  sia il genitore di un minore per il quale il Tribunale sta
procedendo per accertare la sussistenza dello stato di abbandono;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  14 del d.lgs. 25 luglio 1998
n. 286, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, nella parte in
cui  non esclude il trattenimento nel centro di permanenza temporanea
della madre di prole di eta' inferiore ai tre anni con lei convivente
o, in subordine, della madre nel primo anno di vita del figlio.
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso;
    Ordina  ohe  a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione
degli  atti alla Corte costituzionale sia notificata ai sig. ri V. D.
e  R.  M., genitori della minore V. M. A., al p.m., al tutore nonche'
al Presidente del Consiglio dei ministri;
    Ordina  a  cura della cancelleria la comunicazione dell'ordinanza
anche ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Cosi' deciso in Roma, il 30 giugno 2006
                      Il Presidente: Rivellese
Il giudice estensore: Cottatellucci
07C0771