N. 192 SENTENZA 5 - 14 giugno 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sull'aggravante  della  recidiva reiterata - Denunciato
  contrasto  con il principio di ragionevolezza - Dedotta lesione del
  principio  della  funzione rieducativa della pena, del principio di
  legalita',  dei  principi  di  personalita'  della  responsabilita'
  penale  - Lamentata disparita' di trattamento rispetto a situazioni
  analoghe  -  Questioni  sollevate sulla premessa della obbligatoria
  applicazione della recidiva reiterata e della impossibilita' per il
  giudice   di  escluderla  nel  giudizio  di  bilanciamento  con  le
  concorrenti  circostanze  attenuanti,  anche  ad effetto speciale -
  Mancata  verifica  da parte dei rimettenti, in assenza di indirizzi
  giurisprudenziali  consolidati, della possibilita' di altre opzioni
  interpretative - Inammissibilita' delle questioni.
- Cod. pen., art. 69, quarto comma, come sostituito dall'art. 3 della
  legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione,  artt. 3, 25, comma secondo, 27, primo e terzo comma,
  101, comma secondo, e 111, primo e sesto comma.
(GU n.24 del 20-6-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma quarto
del codice penale, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre
2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354,  in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio
di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di  prescrizione),  promossi con ordinanze del 12 (nn. 2 ordinanze) e
del  24 gennaio  2006  dal  Tribunale di Ravenna, del 3 marzo, del 28
febbraio,  dell'8  marzo, dell'8 e del 3 aprile 2006 dal Tribunale di
Cagliari,  del  25 marzo 2006 dal Tribunale di Perugia, dell'11 marzo
2006  dal  Tribunale  di Cagliari, del 14 marzo 2006 dal Tribunale di
Livorno,  del 24 febbraio 2006 dal Tribunale di Firenze, del 6 aprile
2006  dal  Tribunale  di Perugia, del 23 giugno 2006 dal Tribunale di
Cagliari   e   del   20 maggio   2006   dal   Tribunale  di  Perugia,
rispettivamente  iscritte  ai  nn. 102, 103, 104, 223, 235, 295, 297,
307,  308, da 404 a 406, 408, 559 e 615 del registro ordinanze 2006 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 15, 29, 37,
42,  49,  1ª  serie  speciale, dell'anno 2006 e 3, 1ª serie speciale,
dell'anno 2007;
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del 4 giugno 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Il Tribunale di Ravenna, con tre ordinanze di analogo tenore
emesse  il  12 gennaio  2006  (r.o.  n. 102  e  n. 103 del 2006) e il
24 gennaio  2006 (r.o. n. 104 del 2006), ed il Tribunale di Cagliari,
con  ordinanza  emessa  l'8 marzo  2006 (r.o. n. 295 del 2006), hanno
sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  primo comma, e 27, terzo
comma,  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 69,  quarto  comma,  del  codice  penale,  come  sostituito
dall'art. 3  della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice
penale  e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di  reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in
cui, nel disciplinare il concorso di circostanze eterogenee, vieta al
giudice    di   ritenere   le   circostanze   attenuanti   prevalenti
sull'aggravante  della  recidiva  reiterata,  prevista  dall'art. 99,
quarto comma, cod. pen.
    I  giudici  a  quibus  -  investiti dei processi nei confronti di
persone  imputate dei reati di estorsione in concorso (ordinanza r.o.
n. 102  del  2006);  di  detenzione  e  vendita  illecite di sostanze
stupefacenti  (ordinanze  r.o. n. 103 e n. 295 del 2006); e di rapina
aggravata,  violenza  sessuale  aggravata  e  porto  abusivo  di arma
(ordinanza  r.o.  n. 104  del 2006) - riferiscono che in ciascuno dei
casi  sottoposti al loro esame sarebbero configurabili a favore degli
imputati   (la  cui  responsabilita'  risulterebbe  comprovata  dalle
acquisizioni   processuali)   determinate   circostanze   attenuanti:
rispettivamente,  quella  del  contributo  di  minima importanza alla
commissione del reato, di cui all'art. 114 cod. pen; quella del fatto
di  lieve  entita', di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre
1990,  n. 309  (Testo  unico delle leggi in materia di stupefacenti e
sostanze  psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
stati  di  tossicodipendenza);  e  quelle  del  danno patrimoniale di
speciale  tenuita'  e  dell'avvenuta  riparazione  del  danno, di cui
all'art. 62, numeri 4) e 6), cod. pen.
    Agli  imputati  -  soggiungono  i  rimettenti - e' stata tuttavia
contestata  la  recidiva reiterata, di cui all'art. 99, quarto comma,
cod.  pen.,  avendo  essi riportato in precedenza due o piu' condanne
per delitti dolosi di vario genere.
    Cio'  premesso, i giudici a quibus osservano come le disposizioni
regolative  del  cosiddetto  giudizio di comparazione fra circostanze
eterogenee  trovino  applicazione,  in  virtu'  dell'art. 69,  quarto
comma, cod. pen., anche quando si tratti di circostanze inerenti alla
persona  del  colpevole,  qual  e'  la recidiva. A seguito, tuttavia,
della  modifica  operata  dall'art. 3  della  legge n. 251 del 2005 -
entrata  in  vigore  prima  della  commissione  dei fatti oggetto dei
giudizi  a  quibus  -  restano esclusi «i casi previsti dall'art. 99,
quarto  comma,  nonche' dagli articoli 111 e 112, primo comma, numero
4)»,  cod.  pen.,  per  i  quali  «vi  e' divieto di prevalenza delle
circostanze  attenuanti  sulle  ritenute  circostanze aggravanti». Di
conseguenza,  le  circostanze  attenuanti  configurabili  nei casi di
specie  a  favore  degli  imputati  -  le  quali,  anteriormente alla
novella, avrebbero dovuto essere ritenute senz'altro prevalenti sulla
recidiva   reiterata,  tenuto  conto  delle  modalita'  dei  fatti  e
dell'entita'  dei  precedenti  penali  dei  giudicabili  -  alla luce
dell'attuale  formulazione  della  norma  censurata potrebbero essere
considerate, al piu', solo equivalenti ad essa.
    A  parere  dei  rimettenti,  peraltro,  la  neointrodotta  regola
limitativa  degli  esiti del giudizio di comparazione tra circostanze
si  porrebbe  in  contrasto  sia  «con il principio di ragionevolezza
quale  accezione  particolare  del principio di uguaglianza» (art. 3,
primo  comma,  Cost.), il quale funge da limite alla discrezionalita'
legislativa  nella  determinazione  della  qualita' e quantita' delle
sanzioni  penali;  sia  con  il  principio della funzione rieducativa
della pena (art. 27, terzo comma, Cost.).
    Il  giudizio  di  bilanciamento  tra  circostanze  costituirebbe,
difatti,   uno  strumento  per  consentire  al  giudice  il  perfetto
adeguamento  della  pena  al caso concreto, tramite la valorizzazione
degli  elementi  positivi o negativi piu' significativi ai fini della
qualificazione del fatto e del suo autore. Precludendo in assoluto la
dichiarazione   di   prevalenza   delle   attenuanti  sulla  recidiva
reiterata,   la   norma   censurata   determinerebbe,  viceversa,  un
«appiattimento»   del   trattamento   sanzionatorio,  in  rapporto  a
situazioni che potrebbero risultare assai diverse; e rischierebbe, al
tempo  stesso,  di  imporre  l'applicazione  di  pene  manifestamente
sproporzionate   all'entita'   del   fatto,  la  cui  espiazione  non
consentirebbe la rieducazione del condannato.
    Tale  evenienza  ricorrerebbe  puntualmente  nei  casi di specie:
giacche',  una  volta  ritenute  le  attenuanti solo equivalenti alla
recidiva  reiterata,  le  pene minime irrogabili agli imputati (prima
della diminuzione prevista per il rito abbreviato, da essi richiesto)
-  vale  a  dire: cinque anni di reclusione ed euro 516 di multa, nei
casi di cui alle ordinanze r.o. n. 102 e n. 104 del 2006; due anni di
reclusione  ed  euro  5.164  di multa, nei casi di cui alle ordinanze
r.o.  n. 103  e  n. 295  del  2006  -  si  rivelerebbero  palesemente
eccessive rispetto ai fatti per cui si procede.
    L'ordinanza   r.o.  n. 104  del  2006  soggiunge,  altresi',  che
l'irragionevolezza  denunciata risulterebbe esaltata dal fatto che la
preclusione  del  giudizio  di  prevalenza  delle attenuanti e' stata
sancita  a  carico  del  recidivo  reiterato  indipendentemente dalla
gravita'  dei  delitti  commessi, dalla data della loro commissione e
dall'entita'  delle  pene irrogate: mentre ad una diversa conclusione
si  sarebbe  potuti  pervenire qualora la preclusione in parola fosse
stata limitata ai soli recidivi reiterati condannati per reati di una
certa  gravita',  analogamente  a  quanto lo stesso legislatore della
legge  n. 251  del 2005 ha stabilito nel novellare l'art. 62-bis cod.
pen., in tema di concessione delle attenuanti generiche.
    2.  -  Analoga  questione di legittimita' costituzionale e' stata
sollevata  dal Tribunale di Livorno, con ordinanza emessa il 14 marzo
2006  (r.o.  n. 405  del 2006), nell'ambito di un processo penale nei
confronti  di  persona  imputata  del  reato di cessione e detenzione
illecite  di  sostanza  stupefacente,  di  cui all'art. 73, commi 1 e
1-bis,  del  d.P.R.  n. 309 del 1990 (come modificato dall'art. 4-bis
del   decreto-legge   30 dicembre   2005,   n. 272,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49), con l'aggravante
della recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale.
    Sulla  premessa  della  configurabilita',  nel  caso  di  specie,
dell'attenuante  del  fatto  di  lieve entita', di cui al comma 5 del
citato  art. 73,  anche tale giudice rimettente assume che l'art. 69,
quarto  comma,  cod.  pen. - impedendo, nell'attuale formulazione, di
ritenere   le   circostanze   attenuanti  prevalenti  sulla  recidiva
reiterata  -  contrasti  tanto  con  il  principio  di ragionevolezza
(art. 3   Cost.),   stante   il  radicale  divario,  a  fronte  della
commissione  del medesimo fatto, tra la pena che puo' essere inflitta
al  recidivo reiterato e quella irrogabile al soggetto che non lo e';
quanto  con la funzione rieducativa della pena (art. 27, terzo comma,
Cost.),   considerata   l'assoluta   sproporzione   del   trattamento
sanzionatorio  rispetto alla effettiva gravita' dell'illecito, che in
casi  quale  quello  oggetto  del  giudizio  a quo la norma censurata
finirebbe per determinare.
    3.  - Con quattro ordinanze, di analogo tenore, emesse il 3 marzo
2006  (r.o.  n. 223  del  2006), il 28 febbraio 2006 (r.o. n. 235 del
2006), l'8 aprile 2006 (r.o. n. 297 del 2006) e l'11 marzo 2006 (r.o.
n. 404   del  2006),  il  Tribunale  di  Cagliari  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3,  25,  secondo  comma, e 27, primo e terzo
comma,  Cost., questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69,
quarto  comma,  cod.  pen.,  come  modificato dall'art. 3 della legge
n. 251  del  2005,  nella  parte  in  cui  stabilisce  il «divieto di
prevalenza»    delle   circostanze   attenuanti   sulle   circostanze
aggravanti,  nell'ipotesi  prevista  dall'art. 99, quarto comma, cod.
pen.
    Il  Tribunale  rimettente - chiamato a giudicare persone imputate
del reato di detenzione o cessione illecita di sostanze stupefacenti,
di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990, con l'aggravante della
recidiva  reiterata  - premette che, in ognuno dei casi, tenuto conto
della  modesta  quantita'  di  stupefacente  detenuta  o ceduta dagli
imputati  e  delle  altre  modalita'  dell'azione,  il fatto andrebbe
ritenuto  di  lieve  entita',  ai  fini dell'applicazione del comma 5
dello  stesso  art. 73:  disposizione, quest'ultima, che - secondo la
costante  giurisprudenza  di  legittimita'  -  contempla non gia' una
fattispecie  autonoma  di  reato,  ma  una  circostanza attenuante ad
effetto  speciale,  la  quale,  nel  caso  di  concorso con eventuali
aggravanti,  resta  dunque  obbligatoriamente soggetta al giudizio di
comparazione previsto dall'art. 69 cod. pen.
    Tale  attenuante  comporta,  d'altra  parte,  una  sensibilissima
mitigazione  della risposta punitiva ai reati di produzione, traffico
e  detenzione  illeciti  di sostanze stupefacenti o psicotrope, tanto
nell'assetto  anteriore  che  in  quello  successivo  alle  modifiche
apportate   dal   decreto-legge  n. 272  del  2005,  convertito,  con
modificazioni,  nella legge n. 49 del 2006: in particolare, dopo tale
novella,  la  pena della reclusione da sei a venti anni e della multa
da euro 26.000 a euro 260.000, comminata dal comma 1 dell'art. 73 del
d.P.R. n. 309 del 1990, viene sostituita, ove ricorra l'attenuante in
questione, da quella della reclusione da uno a sei anni e della multa
da  euro  3.000  a euro 26.000. Nella specie, tuttavia, tale drastica
riduzione  del trattamento sanzionatorio resterebbe irrimediabilmente
vanificata,  stante  l'impossibilita'  di  ritenere  l'attenuante  in
parola  -  per  il  divieto  posto dalla norma censurata - prevalente
sulla contestata recidiva reiterata, come pure le caratteristiche del
fatto e la personalita' degli imputati richiederebbero.
    Siffatta soluzione normativa si rivelerebbe contraria ai principi
di   ragionevolezza   e  di  eguaglianza:  giacche',  per  un  verso,
imporrebbe  di  punire  allo  stesso  modo  fatti di diversa gravita'
concreta  (nella  specie,  l'illecita  detenzione  o  lo  spaccio  di
stupefacenti  di lieve entita' verrebbero puniti con la medesima pena
prevista  i  fatti non lievi); e, per un altro verso, farebbe si' che
vengano  puniti  in  modo  del  tutto  diverso  fatti  oggettivamente
identici  o analoghi (quali, nella specie, l'illecita detenzione o lo
spaccio  di  stupefacenti  di  lieve  entita),  sulla  base  del solo
elemento  differenziale  rappresentato  dalla  qualita'  di  recidivo
reiterato dell'autore.
    Tramite la norma censurata, il legislatore avrebbe introdotto, in
sostanza,  un  «automatismo  sanzionatorio»  atto  a  determinare una
«indiscriminata  omologazione»  dei recidivi reiterati, sulla base di
una  presunzione  assoluta  di pericolosita' che - prescindendo dalla
natura  dei  delitti  cui  si  riferiscono  le  precedenti  condanne,
dall'epoca della loro commissione e dalla identita' della loro indole
rispetto  a  quella  del  nuovo  reato  -  non  troverebbe fondamento
nell'«id  quod  plerumque  accidit».  La recidiva reiterata, difatti,
potrebbe  non  essere  indicativa  di  una  effettiva  pericolosita',
segnatamente  allorche'  vengano in considerazione condanne risalenti
nel  tempo  e  relative  a delitti di scarsa gravita', o comunque non
significativi  sul  piano  criminale in rapporto al nuovo delitto per
cui si procede.
    Tale «automatismo sanzionatorio», ancorato alla sola personalita'
del  colpevole  ed  alla  sua pericolosita' presunta, lederebbe anche
l'art. 25,   secondo  comma,  Cost.,  il  quale  sancisce  un  legame
indissolubile  tra la sanzione penale e la commissione di un «fatto»:
impedendo,  quindi,  che  si  punisca la mera pericolosita' sociale o
l'«atteggiamento interiore» del reo.
    La  norma  censurata  si  porrebbe  in contrasto, altresi', con i
principi  stabiliti  dall'art. 27,  primo  e  terzo  comma,  Cost. Al
riguardo,  verrebbero  in  rilievo tanto il principio di personalita'
della responsabilita' penale, a fronte del quale la pena non potrebbe
essere aggravata solo per soddisfare esigenze di prevenzione generale
e  di  difesa  sociale; quanto il principio di proporzionalita' della
pena,   insito   nella  funzione  retributiva,  il  quale  impone  la
congruita' della pena irrogata in concreto rispetto alla gravita' del
fatto  ed  alle  condizioni personali dell'agente; quanto, infine, il
principio  della  finalita'  rieducativa  della pena: finalita' che -
secondo  la  giurisprudenza  di  questa Corte - deve essere associata
alla  funzione  retributiva  in termini di necessaria coesistenza. Da
tale   complesso   di   precetti  costituzionali  emergerebbe  dunque
l'esigenza   dell'individualizzazione   della   pena,  giacche'  solo
mediante  l'adeguamento  della risposta punitiva alle caratteristiche
del  singolo  caso  -  adeguamento  che  costituisce  l'obiettivo del
giudizio   di  comparazione  tra  circostanze  eterogenee  -  sarebbe
possibile  assicurare  un'effettiva  eguaglianza di fronte alle pene,
rendendo  realmente  «personale»  la responsabilita' penale e facendo
si'   che  il  trattamento  sanzionatorio  assolva  ad  una  funzione
rieducativa.
    Il  novellato  art. 69, quarto comma, cod. pen. - con l'escludere
il  giudizio  di  prevalenza  delle attenuanti rispetto alla recidiva
reiterata  - impedirebbe viceversa il suddetto adeguamento, imponendo
l'irrogazione di pene che possono rivelarsi, come nei casi di specie,
del  tutto  sproporzionate rispetto all'effettiva entita' dei fatti e
dunque  inidonee, proprio perche' percepite come ingiuste ed abnormi,
ad agevolare la risocializzazione del reo.
    4.   -  Il  Tribunale  di  Cagliari  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale della medesima norma, in riferimento agli
artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost., con due
ulteriori  ordinanze,  emesse il 3 aprile 2006 (r.o. n. 307 del 2006)
ed  il 23 giugno 2006 (r.o. n. 559 del 2006), che svolgono censure in
parte differenziate.
    Anche  in  tali  occasioni, il rimettente - investito di processi
penali  nei  confronti  di  persone  imputate dei reati di cessione e
detenzione  illecite  di  sostanze  stupefacenti, di cui all'art. 73,
commi 1  e  1-bis, del d.P.R. n. 309 del 1990, con l'aggravante della
recidiva  reiterata  - ritiene che i fatti oggetto di giudizio vadano
qualificati    di    lieve   entita',   ai   fini   dell'applicazione
dell'attenuante  di  cui  al  comma 5  del citato art. 73; e che tale
attenuante  -  ove  non  lo  impedisse  la norma censurata - dovrebbe
essere considerata prevalente rispetto alla recidiva reiterata.
    Cio'  posto,  il  giudice  a  quo  osserva  come, alla luce delle
indicazioni  di  questa  Corte,  l'adeguamento  della  pena  al  caso
concreto  da  parte  del  giudice  - sulla base dei parametri forniti
dall'art. 133  cod.  pen.  -  rappresenti  attuazione  e sviluppo dei
principi   costituzionali   di  eguaglianza,  di  personalita'  della
responsabilita'   penale   e   di   finalizzazione  della  pena  alla
rieducazione;  e  come,  al  tempo stesso, la pena abbia un carattere
«polifunzionale»  -  rispondendo sia a fini di prevenzione generale e
difesa  sociale, sia a fini di prevenzione speciale e di rieducazione
del  reo  -  senza che fra tali finalita' sia possibile stabilire una
«gerarchia  statica»:  cosi'  che  il  legislatore,  nei limiti della
ragionevolezza,  puo'  far  prevalere,  di  volta  in  volta, l'una o
l'altra di esse, a patto, pero', che nessuna risulti obliterata.
    Ai sensi dell'art. 133 cod. pen., d'altro canto, la «pena giusta»
deve   essere   determinata   combinando  in  maniera  sintetica,  ma
razionale,  il  giudizio  in  ordine alla gravita' del reato e quello
concernente  la  capacita'  a  delinquere,  desunta, fra l'altro, dai
precedenti penali e giudiziari. Tale ultimo criterio - quello, cioe',
della   capacita'  a  delinquere  -  potrebbe  essere  letto  o  come
espressivo  della finalita' specialpreventiva della pena, cioe' quale
indice, «proiettato nel futuro», della pericolosita' sociale del reo;
ovvero  come  «ancorato  al  momento  del  fatto», nel senso che esso
rappresenterebbe  null'altro che una componente del giudizio relativo
alla   colpevolezza,   in   un'ottica   retributiva.  Anche  a  voler
privilegiare,  peraltro,  l'aspetto  specialpreventivo  e rieducativo
della  pena, tali funzioni non potrebbero comunque prescindere - alla
luce  dei  ricordati dicta di questa Corte - dall'applicazione di una
pena  «giusta»,  ossia  proporzionata alla gravita' complessiva della
responsabilita'  dell'autore.  Nel  contesto  dell'art. 133,  secondo
comma,  cod.  pen.,  inoltre,  l'indice  rappresentato dai precedenti
penali  e  dalla  complessiva  condotta di vita dell'imputato sarebbe
«del   tutto  indipendente  dalla  valutazione  del  fatto»:  con  la
conseguenza  che,  quanto  e'  maggiore la rilevanza accordata a tale
elemento,   tanto   piu'   la  sanzione  -  «a  causa  dell'efficacia
determinante svolta dal «tipo d'autore»» - acquisterebbe caratteri di
«esemplarita»,  incompatibili  non  soltanto  con  il principio della
finalita'  rieducativa  della  pena,  ma  anche  con  il principio di
offensivita' desumibile dall'art. 25, secondo comma, Cost.
    Il giudizio di comparazione delle circostanze, di cui all'art. 69
cod.   pen.  -  prosegue  il  rimettente  -  attiene  anch'esso  alla
valutazione  del  reato  nel suo complesso, e deve essere operato dal
giudice  alla stregua dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. e nel
rispetto  dei  limiti  fissati  discrezionalmente dal legislatore, in
base  a scelte di politica criminale: scelte che non debbono tuttavia
varcare  il  confine  della  ragionevolezza, ne' creare disparita' di
trattamento  prive di giustificazione, rimanendone altrimenti lesi il
principio  di  eguaglianza,  di cui all'art. 3 Cost., e, di riflesso,
quelli  di personalita' della responsabilita' penale e della funzione
rieducativa della pena.
    Tali  limiti  non risulterebbero osservati, per contro, dal nuovo
disposto  dell'art. 69,  quarto  comma, cod. pen., nella parte in cui
vieta di ritenere le circostanze attenuanti prevalenti sulla recidiva
reiterata.
    Con l'impedire che elementi di segno contrario possano travolgere
l'indice  negativo  rappresentato  dalla  reiterazione  del reato, il
legislatore  avrebbe  infatti  introdotto  una  sorta  di presunzione
legale  di pericolosita' sociale, o quantomeno di spiccata tendenza a
delinquere  del  recidivo  reiterato.  La  razionalita' di una simile
previsione  risulterebbe  peraltro dubbia: e cio' anzitutto alla luce
del  carattere  «perpetuo»  della  recidiva,  la quale si configura -
fatta eccezione per la recidiva infraquinquennale - a prescindere dal
lasso  di  tempo  trascorso  dalla  commissione  dell'ultimo reato, e
dunque  anche  in  casi  in  cui, essendosi al cospetto di precedenti
penali  remoti,  l'indicata presunzione di pericolosita' non trovi in
concreto giustificazione.
    Per  altro  verso, poi, il divieto di «subvalenza» della recidiva
reiterata  e'  stato  sancito  in  rapporto  a  tutte  le circostanze
attenuanti,  indipendentemente  dal  fatto che esse abbiano carattere
soggettivo  od  oggettivo,  o  che si tratti di attenuanti ad effetto
comune o ad effetto speciale.
    Sotto  il  primo  profilo,  tuttavia,  la  non  omogeneita' degli
elementi   considerati   nel  giudizio  di  bilanciamento  renderebbe
irrazionale  la  preclusione:  giacche',  se  la  disposizione mira a
rendere  indefettibile  la  valutazione  della  recidiva nel giudizio
relativo  alla  personalita'  dell'imputato,  detto  divieto  sarebbe
«forse»   giustificabile   in  rapporto  alle  attenuanti  che  hanno
fondamento  nella  tendenza  a  delinquere  del  reo; ma risulterebbe
comunque  illogico rispetto alle attenuanti a carattere oggettivo, le
quali riflettono esclusivamente il minor disvalore del fatto.
    Sotto  il  secondo  profilo,  alle attenuanti ad effetto speciale
risulta  sovente  sottesa  una  valutazione  legislativa  «del  tutto
diversa  della  gravita'  del  fatto  e quindi del bisogno sociale di
repressione»:  il che avverrebbe puntualmente per l'attenuante di cui
all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, stante la «siderale
distanza»  intercorrente  fra  gli episodi di piccolo spaccio, spesso
commessi  da  tossicodipendenti  che  in  cambio della loro attivita'
ricevono  dal fornitore la sostanza necessaria al loro consumo; e gli
episodi  di  vero  e  proprio  traffico, volti a rifornire il mercato
degli stupefacenti e a procurare ingenti guadagni.
    Di  conseguenza,  l'elisione  degli  effetti  dell'attenuante  in
parola,  a  fronte  dei  limiti  al  bilanciamento  con  la  recidiva
reiterata,  imporrebbe  di  applicare  agli  imputati  nei  giudizi a
quibus, per fatti di «spaccio minuto», la stessa pena prevista per il
trafficante,  ossia  una  pena  iniqua perche' non proporzionata alla
gravita' della loro responsabilita' penale.
    5. - Con tre ordinanze di analogo tenore, emesse il 25 marzo 2006
(r.o.  n. 308 del 2006), il 6 aprile 2006 (r.o. n. 408 del 2006) e il
20 maggio  2006  (r.o.  n. 615 del 2006), nell'ambito di procedimenti
penali  nei  confronti  di persone imputate dei reati di detenzione e
cessione  illecite  di  sostanze stupefacenti, con l'aggravante della
recidiva   reiterata,  il  Tribunale  di  Perugia  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt. 3  e  27,  terzo  comma, Cost., questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 69,  quarto comma, cod. pen.,
come  modificato dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte
in   cui  esclude  che  possa  ritenersi  prevalente  sulla  recidiva
reiterata  la  circostanza  attenuante  ad  effetto  speciale  di cui
all'art. 73,  comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990: circostanza che il
giudice a quo reputa configurabile nei casi di specie.
    Il  Tribunale  rimettente  muove  anch'esso  dal rilievo che, per
affermazione  di  questa  Corte,  l'adeguamento  della  pena  ai casi
concreti  - cui il giudizio di bilanciamento fra circostanze di segno
opposto  e'  preordinato  -  costituisce  espressione dei principi di
personalita'   della   responsabilita'   penale   e  della  finalita'
rieducativa  della  pena,  nonche',  al  tempo  stesso,  strumento di
attuazione dell'eguaglianza di fronte alla sanzione penale.
    Su  tale  premessa,  il giudice a quo osserva che e' ben vero che
anche  nel caso in cui sia preclusa la formulazione di un giudizio di
prevalenza   delle   attenuanti   sulle  aggravanti  -  come  avviene
attualmente  per la recidiva reiterata, in forza dall'art. 69, quarto
comma,  cod. pen. - permane un residuo margine di graduabilita' della
pena;  ma  che  tale  graduabilita'  residua  deve risultare comunque
idonea  ad  assicurare  la ricordata finalita' rieducativa, oltre che
connotata da razionalita' e proporzionalita'.
    Cio'  non  avverrebbe,  per  contro,  nell'ipotesi  in  cui - per
valutazioni   attinenti  alla  concreta  offensivita'  del  reato  di
produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti -
detto  reato possa considerarsi di lieve entita': apparendo del tutto
incongruo  che, in tale ipotesi, venga preclusa la formulazione di un
giudizio  di  prevalenza dell'attenuante di cui al comma 5 del citato
art. 73  rispetto  alla  recidiva reiterata. In questo modo, infatti,
sulla base di una mera presunzione, svincolata dall'apprezzamento del
fatto  concreto  e  della  effettiva pericolosita' del reo - il quale
potrebbe  risultare  gravato  da  precedenti assai tenui e di diversa
indole  -  si  imporrebbe  l'irrogazione di una pena corrispondente a
quella,  di  gran lunga superiore, che il legislatore ha stabilito in
rapporto  al  «disvalore  oggettivo  del  reato  nella sua dimensione
ordinaria».
    6.  -  Con  ordinanza emessa il 24 febbraio 2006 (r.o. n. 406 del
2006)  il  Tribunale  di  Firenze  ha  sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  primo  comma,  25,  secondo  comma,  27,  terzo comma, 101,
secondo  comma,  e  111,  primo  e  sesto  comma, Cost., questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 69,  quarto comma, cod. pen.,
come  modificato dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte
in   cui  stabilisce  il  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti  sulle  circostanze  aggravanti  inerenti alla persona del
colpevole, nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen.
    Il  giudice  a  quo - premesso di essere chiamato a giudicare una
persona  tratta  in arresto nella flagranza della cessione a terzi di
una  modestissima  quantita'  di  eroina:  fatto da ritenere di lieve
entita'  ai sensi dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 -
rileva  come  la circostanza attenuante prevista da tale disposizione
abbia,   per   costante  giurisprudenza  di  legittimita',  carattere
prettamente  oggettivo,  essendo  volta  a  mitigare  le  severe pene
stabilite  per  le violazioni in materia di stupefacenti allorche' la
condotta  presenti  una  ridotta  offensivita';  cosi'  da rendere il
sistema  sanzionatorio  stabilito  dal  citato d.P.R. n. 309 del 1990
complessivamente conforme al dettato costituzionale. La pena inflitta
in   concreto  dovrebbe  risultare,  infatti,  sempre  adeguata  alla
effettiva  offensivita'  della singola condotta criminosa, in base al
disposto  dell'art. 25,  secondo  comma,  Cost; e conforme, altresi',
alla   finalita'   rieducativa   della   sanzione   penale,  prevista
dall'art. 27, terzo comma, Cost.
    Alla   realizzazione   di   tali   principi   costituzionali  era
preordinata  anche  la  previsione dell'art. 69 cod. pen. - nel testo
anteriore  alla  novella  -  in  tema di giudizio di comparazione tra
circostanze  eterogenee,  la  quale consentiva al giudice di adeguare
discrezionalmente  la  pena  alla  concreta  offensivita'  del  fatto
sottoposto  al  suo giudizio. Per contro, la nuova formulazione della
norma   -  vietando  il  giudizio  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti,   anche  ad  effetto  speciale,  rispetto  alla  recidiva
reiterata   (giudizio  che  si  imporrebbe  nel  caso  di  specie)  -
precluderebbe  il conseguimento del suddetto obiettivo in presenza di
determinate  condizioni  personali  dell'imputato: ponendosi cosi' in
contrasto,  non  soltanto  con  i  precetti,  gia'  ricordati,  degli
artt. 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost; ma anche con quelli
degli  artt. 101,  secondo  comma, e 111, primo e sesto comma, Cost.,
stante l'impossibilita', per il giudice, «di adempiere, nel processo,
all'obbligo  di  legge  di  adeguare  la sanzione al caso concreto ed
irrogare una sanzione che abbia finalita' rieducative».
    Ad avviso del giudice rimettente, sarebbe violato anche l'art. 3,
primo  comma,  Cost., giacche', per effetto della norma denunciata, a
condotte  estremamente  diverse  sotto  il profilo della offensivita'
conseguirebbe una identica sanzione.
    7.  -  In  tutti i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che le
questioni siano dichiarate non fondate.
    La  difesa erariale osserva, in via preliminare, come la modifica
apportata  all'art. 69  cod.  pen. dall'art. 3 della legge n. 251 del
2005  si  collochi  nell'alveo  di  un  indirizzo  legislativo - gia'
precedentemente  manifestatosi  tramite  norme  che  hanno  escluso o
limitato  il  giudizio  di  equivalenza  o  di  prevalenza rispetto a
determinate circostanze aggravanti - volto a ridimensionare il potere
discrezionale del giudice, in sede di bilanciamento delle circostanze
eterogenee:   potere   che,  a  seguito  della  riforma  operata  dal
decreto-legge  11 aprile  1974,  n. 99  (Provvedimenti  urgenti sulla
giustizia  penale),  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 7
giugno 1974, n. 220, ha finito per assumere una latitudine eccessiva.
    La  scelta  discrezionale  del  legislatore  sottesa  alla  norma
denunciata   non   confliggerebbe,  peraltro,  con  il  principio  di
ragionevolezza,  essendo diretta ad attuare - unitamente alla riforma
della  disciplina  della  recidiva,  di  cui  all'art. 99  cod. pen.,
introdotta dall'art. 4 della stessa legge n. 251 del 2005 - una forma
di  prevenzione  speciale  della  recidiva reiterata, inasprendone il
trattamento sanzionatorio.
    La  norma  censurata  non  contrasterebbe neppure con la funzione
rieducativa   della  pena,  dovendosi  escludere  che  essa  comporti
l'applicazione  di  pene  sproporzionate,  in  quanto indirizzata nei
confronti  di soggetti che hanno commesso un altro reato essendo gia'
recidivi  ed  hanno  cosi'  dimostrato un alto e persistente grado di
«antisocialita»:  l'irrigidimento  della risposta punitiva resterebbe
ancorato,   quindi,   ad  un  fatto  che  obiettivamente  attesta  la
particolare  pericolosita'  del  colpevole,  onde non potrebbe essere
considerato arbitrario.
    D'altro  canto,  il  nuovo  testo  dell'art. 99  cod.  pen.,  pur
rendendo  (in  parte) fissi gli aumenti di pena previsti per le varie
ipotesi  di  recidiva,  avrebbe  conservato  il carattere facoltativo
della  relativa  applicazione  (introdotto  dalla  riforma del 1974),
salvo  che  per i reati di cui all'art. 407, comma 2, lettera a), del
codice di procedura penale. Rimarrebbe pertanto integro il potere del
giudice  di  escludere  l'applicazione della circostanza aggravante -
quantomeno  agli  effetti della commisurazione della pena - allorche'
ritenga  che  la  ricaduta nel reato non sia indice di insensibilita'
etico-sociale  del colpevole, o sia comunque irrilevante dal punto di
vista  della  tutela  sociale,  in  considerazione  del  lungo  tempo
trascorso  dal  precedente reato. Con la conseguenza che, anche nelle
ipotesi di recidiva reiterata, il giudice sarebbe tuttora in grado di
adeguare  il  trattamento  sanzionatorio  alla effettiva gravita' del
fatto ed alla reale necessita' di rieducazione del colpevole.

                       Considerato in diritto

    1.1.  - Il Tribunale di Ravenna, con tre distinte ordinanze (r.o.
n. 102,  n. 103  e  n. 104 del 2006) ed il Tribunale di Cagliari, con
una  ulteriore  ordinanza  (r.o.  n. 295  del  2006),  dubitano della
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli  artt. 3,  primo
comma,  e  27,  terzo comma, della Costituzione, dell'art. 69, quarto
comma,  del  codice  penale,  come sostituito dall'art. 3 della legge
5 dicembre  2005,  n. 251,  nella  parte  in cui, nel disciplinare il
concorso   di   circostanze  eterogenee,  stabilisce  il  divieto  di
prevalenza  delle  circostanze  attenuanti  sulla recidiva reiterata,
prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen.
    Ad  avviso  dei  rimettenti,  la  neointrodotta regola limitativa
degli  esiti  del giudizio di comparazione tra circostanze - giudizio
che  mira  a permettere al giudice il perfetto adeguamento della pena
al  caso  concreto  -  si  porrebbe  in contrasto con il principio di
ragionevolezza   e   con   la   funzione   rieducativa   della  pena,
determinando,   per   un   verso,  un  livellamento  del  trattamento
sanzionatorio  di situazioni assai diverse; e imponendo, per un altro
verso,  l'applicazione  di  pene che possono risultare manifestamente
sproporzionate   all'entita'   del   fatto,  la  cui  espiazione  non
consentirebbe la rieducazione del condannato.
    1.2.  -  Analogo  dubbio  di  costituzionalita'  e' sollevato dal
Tribunale  di  Livorno (ordinanza r.o. n. 405 del 2006), a cui parere
il  nuovo art. 69, quarto comma, cod. pen., violerebbe, in parte qua,
tanto  l'art. 3,  primo  comma, Cost., stante il radicale divario - a
fronte  del medesimo fatto - tra la pena che, per effetto della norma
censurata,  puo'  essere  inflitta  al  recidivo  reiterato  e quella
irrogabile  a  chi  non  lo e'; quanto l'art. 27, terzo comma, Cost.,
attesa   la  sproporzione  della  risposta  punitiva  alla  effettiva
gravita' dell'illecito commesso, che la norma stessa sarebbe idonea a
determinare.
    1.3.  -  Il  Tribunale  di  Cagliari, con quattro ordinanze (r.o.
n. 223,  n. 235,  n. 297 e n. 404 del 2006), sottopone a scrutinio di
costituzionalita'  l'art. 69, quarto comma, cod. pen., nella medesima
articolazione  precettiva,  con riferimento agli artt. 3, 25, secondo
comma, e 27, primo e terzo comma, Cost.
    Avendo  di  mira,  in  particolare,  le  conseguenze che la norma
denunciata  determinerebbe  sul trattamento sanzionatorio dei delitti
di   produzione,   traffico   e   detenzione   illeciti  di  sostanze
stupefacenti   -   in  termini  di  ineluttabile  «neutralizzazione»,
rispetto  al  recidivo  reiterato,  della  sensibilissima mitigazione
della  risposta  punitiva  prefigurata per l'attenuante del fatto «di
lieve  entita»,  di  cui  all'art. 73,  comma 5, del d.P.R. 9 ottobre
1990,  n. 309 - il giudice rimettente ritiene compromessi, anzitutto,
i  principi  di  ragionevolezza  e  di  eguaglianza. Con l'escludere,
infatti,  che  le attenuanti possano essere ritenute prevalenti sulla
recidiva  reiterata, il nuovo art. 69, quarto comma, cod. pen., da un
lato, imporrebbe di punire allo stesso modo fatti di diversa gravita'
concreta   (in   specie,   l'illecita  detenzione  o  lo  spaccio  di
stupefacenti  di lieve entita' verrebbero puniti con la medesima pena
prevista i fatti non lievi); dall'altro lato, farebbe si' che vengano
puniti  in  modo  del  tutto  diverso fatti oggettivamente identici o
analoghi  (quali,  in  specie,  l'illecita detenzione o lo spaccio di
stupefacenti   di   lieve  entita),  sulla  base  del  solo  elemento
differenziale  rappresentato  dalla  qualita'  di  recidivo reiterato
dell'autore.
    Il  legislatore  avrebbe  introdotto,  in  sostanza,  tramite  la
previsione  normativa denunciata, un «automatismo sanzionatorio» atto
a   determinare   una   «indiscriminata  omologazione»  dei  recidivi
reiterati: «omologazione» da reputare peraltro irrazionale, in quanto
basata   su   una   presunzione   assoluta  di  pericolosita'  che  -
prescindendo   dalla   natura  dei  delitti  cui  si  riferiscono  le
precedenti  condanne,  dall'epoca  della  loro  commissione  e  dalla
identita'  della  loro indole rispetto a quella del nuovo reato - non
troverebbe fondamento nell'«id quod plerumque accidit».
    Ne  risulterebbe  quindi  leso  anche  l'art. 25,  secondo comma,
Cost.,  il  quale  sancisce  un  legame indissolubile tra la sanzione
penale  e  la  commissione  di  un  «fatto»: impedendo, cosi', che si
punisca  la  mera  pericolosita'  sociale presunta o l'«atteggiamento
interiore» del reo.
    Da ultimo, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con
l'art. 27,  primo  e  terzo  comma,  Cost.,  avuto  riguardo  sia  al
principio  di  personalita'  della  responsabilita'  penale, il quale
esclude  che  la  pena  possa  essere  aggravata  solo per soddisfare
esigenze    di    prevenzione   generale   o   di   difesa   sociale,
indipendentemente    dalla   valutazione   della   personalita'   del
condannato;  sia al principio di proporzionalita' della pena - insito
nella  funzione  retributiva  -  il quale postula la congruita' della
risposta punitiva rispetto alla gravita' concreta del fatto; sia alla
finalita'  rieducativa  della  pena,  che  verrebbe  frustrata  dalla
irrogazione  di  pene eccessivamente severe in rapporto all'effettiva
entita' del reato commesso.
    1.4.  - Lo stesso Tribunale di Cagliari ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale della medesima norma, in riferimento agli
artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost., con due
ulteriori  ordinanze  (r.o.  n. 307  e n. 559 del 2006), che svolgono
censure in parte differenziate.
    Il  Tribunale  rimettente  ritiene  nell'occasione  leso l'art. 3
Cost.,  in  rapporto al principio di ragionevolezza, sotto un duplice
profilo. In primo luogo, perche' la norma censurata introdurrebbe una
presunzione  legale  di  pericolosita'  sociale del recidivo priva di
fondamento  razionale, stante il carattere «perpetuo» della recidiva,
la   quale   si   configura   -   fatta  eccezione  per  la  recidiva
infraquinquennale  -  indipendentemente  dal lasso di tempo trascorso
dalla  commissione  dell'ultimo  reato.  In secondo luogo, perche' il
divieto di «subvalenza» della recidiva reiterata risulta sancito - in
assunto,  altrettanto  irrazionalmente  -  in  rapporto  a  tutte  le
attenuanti:  e  dunque  anche  a  quelle  a  carattere oggettivo (non
omogenee   rispetto  alla  recidiva,  in  quanto  non  riferite  alla
personalita'  dell'autore,  ma  espressive  del  minor  disvalore del
fatto)  e  a  quelle  ad effetto speciale, cui e' sovente sottesa una
valutazione legislativa del tutto diversa in ordine alla gravita' del
fatto medesimo.
    Gli  artt. 25,  secondo  comma,  e 27, primo e terzo comma, Cost.
sarebbero    d'altro   canto   vulnerati   in   quanto   l'«efficacia
determinante»   attribuita   -   ai  fini  della  commisurazione  del
trattamento sanzionatorio - ai precedenti penali del reo, e dunque al
«tipo  d'autore»,  farebbe  si'  che  la  pena  acquisti caratteri di
«esemplarita», incompatibili con i principi di offensivita' del reato
e della finalita' rieducativa della pena.
    1.5. - Con tre ordinanze di analogo tenore (r.o. n. 308, n. 408 e
n. 615 del 2006), il Tribunale di Perugia dubita, in riferimento agli
artt. 3  e  27, terzo comma, Cost., della legittimita' costituzionale
dell'art. 69,  quarto  comma,  cod. pen., come modificato dall'art. 3
della  legge  n. 251  del  2005, nella parte in cui esclude che possa
ritenersi   prevalente   sulla   recidiva  reiterata  la  circostanza
attenuante  ad  effetto speciale del fatto di lieve entita', prevista
dall'art. 73,  comma 5,  del  d.P.R.  n. 309  del 1990 in rapporto ai
delitti  di  produzione,  traffico  e detenzione illeciti di sostanze
stupefacenti e psicotrope.
    A  parere  di tale giudice rimettente, i parametri costituzionali
evocati  risulterebbero  compromessi a fronte della impossibilita' di
giustificare  -  in  presenza di un reato in materia di stupefacenti,
qualificabile  come  di  lieve entita' - l'enorme divario tra la pena
minima  di  un  anno  di  reclusione,  oltre la multa, applicabile in
presenza  dell'attenuante de qua; e quella di sei anni di reclusione,
oltre  la multa, che dovrebbe essere invece inflitta ove l'attenuante
stessa  non  possa  essere  ritenuta  prevalente,  ma,  al piu', solo
equivalente  rispetto  alla  concorrente  aggravante  della  recidiva
reiterata:  donde  la  lesione  del  principio di eguaglianza e della
finalita' rieducativa della pena.
    1.6.  - Il Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  primo  comma,  25,  secondo  comma,  27,  terzo comma, 101,
secondo  comma,  e  111,  primo  e  sesto  comma, Cost., questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 69,  quarto comma, cod. pen.,
come  modificato dall'art. 3 della legge n. 251 del 2005, nella parte
in   cui  stabilisce  il  divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti  sulle  circostanze  aggravanti  inerenti alla persona del
colpevole,  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen.
(ordinanza r.o. n. 406 del 2006).
    Secondo  il  giudice  a  quo,  la  norma impugnata violerebbe gli
artt. 25,  secondo  comma,  e  27,  terzo  comma,  Cost., in quanto -
prevedendo  una  indefettibile  elisione delle attenuanti concorrenti
nei  confronti  del recidivo reiterato - non consentirebbe al giudice
di  infliggere  una  pena  adeguata alla effettiva offensivita' della
singola  condotta  criminosa  e  conforme  alla finalita' rieducativa
della sanzione penale.
    Verrebbero   di  conseguenza  compromessi  anche  gli  artt. 101,
secondo   comma,   e  111,  primo  e  secondo  comma,  Cost.,  stante
l'impossibilita',  per  il  giudice,  «di  adempiere,  nel  processo,
all'obbligo  di  legge di adeguare la sanzione al caso concreto» e di
«irrogare una sanzione che abbia finalita' rieducativa».
    La  disposizione  denunciata  lederebbe,  infine, l'art. 3 Cost.,
facendo  si'  che  a  condotte estremamente diverse, sotto il profilo
della offensivita', consegua una identica sanzione.
    2.   -   Le   ordinanze  di  rimessione  sollevano  questioni  di
costituzionalita'  inerenti  alla  medesima norma, svolgendo altresi'
censure  in larga parte identiche o analoghe, onde i relativi giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione.
    3. - Le questioni sono inammissibili.
    3.1.  -  I  giudici  a  quibus dubitano, in riferimento a plurimi
parametri    costituzionali,   della   conformita'   a   Costituzione
dell'art. 69,  quarto  comma,  del  codice  penale,  come  sostituito
dall'art. 3  della  legge  n. 251  del 2005, nella parte in cui - nel
disciplinare il concorso di circostanze eterogenee - vieta al giudice
di  ritenere  le  circostanze  attenuanti  prevalenti sull'aggravante
della  recidiva  reiterata, prevista dall'art. 99, quarto comma, cod.
pen. La maggioranza dei rimettenti sottopone a scrutinio tale divieto
nella  sua  globalita'; mentre il solo Tribunale di Perugia si duole,
in  modo  specifico,  del  fatto  che  la preclusione del giudizio di
prevalenza  sia  stata  sancita  anche  in  rapporto alla circostanza
attenuante  ad  effetto speciale del fatto di lieve entita', prevista
dall'art. 73,  comma 5,  del d.P.R. n. 309 del 1990, relativamente ai
delitti  di  produzione,  traffico  e detenzione illeciti di sostanze
stupefacenti o psicotrope.
    Le  censure formulate dai giudici a quibus trovano, in ogni caso,
la  loro  comune  premessa  fondante  nell'assunto  per  cui la norma
denunciata   avrebbe   introdotto   una   indebita   limitazione  del
potere-dovere  del giudice di adeguamento della pena al caso concreto
-   adeguamento   funzionale   alla  realizzazione  dei  principi  di
eguaglianza,  di  necessaria  offensivita' del reato, di personalita'
della  responsabilita' penale e della funzione rieducativa della pena
-  introducendo  un  «automatismo  sanzionatorio»,  correlato  ad una
presunzione  iuris  et  de iure di pericolosita' sociale del recidivo
reiterato.  Si tratterebbe, peraltro, di una presunzione irrazionale,
a  fronte  dei  caratteri di «perpetuita» e «genericita» propri della
recidiva,  la  quale  -  fatta  eccezione  per le ipotesi di recidiva
aggravata  previste  dai  numeri 1) e 2) dell'art. 99, secondo comma,
cod.  pen.  (recidiva specifica e infraquinquennale) - si configura a
prescindere  dal  tempo  trascorso  dalla condanna precedente e dalla
identita'  dell'indole  fra  il  nuovo delitto e quelli anteriormente
commessi.
    Ad  avviso  dei  rimettenti, cioe', il fatto che il colpevole del
nuovo  reato  abbia  riportato  due  o  piu'  precedenti condanne per
delitti  non colposi - quali che essi siano - farebbe inevitabilmente
scattare  il  meccanismo  limitativo  degli  esiti  del  giudizio  di
bilanciamento tra circostanze prefigurato dall'art. 69, quarto comma,
cod.  pen.: con l'effetto di «neutralizzare» - anche quando si sia in
presenza  di  precedenti  penali  remoti,  non  gravi  e  scarsamente
significativi  in  rapporto  alla  natura  del  nuovo  delitto  -  la
diminuzione di pena connessa alle circostanze attenuanti concorrenti,
indipendentemente  dalla  natura  e  dalle  caratteristiche di queste
ultime.
    Siffatto  assunto poggia peraltro, a sua volta, sul presupposto -
implicito  e  non  motivato  -  che, a seguito della legge n. 251 del
2005,  la  recidiva  reiterata  sia divenuta obbligatoria e non possa
essere,  dunque,  discrezionalmente  esclusa dal giudice - quantomeno
agli  effetti  della commisurazione della pena - in correlazione alle
peculiarita'  del  caso  concreto;  con  la  conseguenza  di  rendere
inapplicabile la censurata disciplina in tema di bilanciamento con le
circostanze attenuanti concorrenti.
    3.2.   -   Quella   che  i  rimettenti  danno  per  scontata  non
rappresenta,  tuttavia,  l'unica  lettura astrattamente possibile del
vigente quadro normativo.
    A  sostegno della tesi della obbligatorieta', in ogni caso, della
recidiva  reiterata, regolata dal quarto comma dell'art. 99 cod. pen.
(nel  nuovo testo introdotto dall'art. 4 della legge n. 251 del 2005)
-  cosi'  come  della  recidiva  cosiddetta pluriaggravata, di cui al
terzo  comma  del  medesimo articolo - parrebbe militare, in effetti,
prima facie, l'argomento letterale. L'avvenuta utilizzazione, in tali
disposizioni,  con riferimento al previsto aumento di pena, del verbo
essere  all'indicativo  presente  («e») - in luogo della voce verbale
«puo»,  che  compariva nel testo precedente, e che figura tuttora nei
primi  due commi dello stesso art. 99 cod. pen., con riferimento alla
recidiva  semplice  e  alla recidiva aggravata - indurrebbe difatti a
ritenere  che il legislatore abbia inteso ripristinare, rispetto alle
due  forme  di  recidiva  considerate,  il  regime di obbligatorieta'
preesistente  alla  riforma attuata dal decreto-legge 11 aprile 1974,
n. 99,  convertito,  con  modificazioni,  nella  legge 7 giugno 1974,
n. 220.
    Nondimeno  -  secondo  quanto  osservato da piu' parti - la nuova
formula  normativa  potrebbe essere letta anche nel diverso senso che
l'indicativo  presente  «e»  si  riferisca,  nella sua imperativita',
esclusivamente  alla  misura  dell'aumento  di  pena conseguente alla
recidiva  pluriaggravata  e reiterata - aumento che, a differenza che
per  l'ipotesi  della  recidiva  aggravata,  di  cui al secondo comma
dell'art. 99  cod.  pen.,  il  legislatore del 2005 ha voluto rendere
fisso,  anziche'  variabile  tra  un  minimo e un massimo - lasciando
viceversa inalterato il potere discrezionale del giudice di applicare
o meno l'aumento stesso. A tale conclusione indurrebbe, segnatamente,
la  considerazione  che  la  recidiva  pluriaggravata  e  la recidiva
reiterata   rappresentano   mere   «species»  della  figura  generale
delineata   dal   primo   comma   dell'art. 99   cod.  pen.:  il  che
implicherebbe   che  la  struttura  della  recidiva  resti  quella  -
indubbiamente  facoltativa  -  ivi  contemplata,  limitandosi i commi
successivi  a  derogare  alla  relativa  disciplina solo in relazione
all'entita' degli aumenti di pena.
    La  soluzione  interpretativa in parola risulterebbe avvalorata -
ad  avviso  dei  suoi  fautori  - soprattutto dal rilievo che l'unica
previsione  espressa  di  obbligatorieta'  della  recidiva,  presente
nell'art. 99  cod.  pen.,  e'  quella  racchiusa  nell'attuale quinto
comma;   quest'ultimo   -   con   disposizione   collocata   dopo  la
regolamentazione  di tutte le forme di recidiva - stabilisce che, «se
si   tratta  di  uno  dei  delitti  indicati  all'art. 407,  comma 2,
lettera a),  del codice di procedura penale, l'aumento della pena per
la  recidiva  e'  obbligatorio e, nei casi indicati al secondo comma,
non puo' essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il
nuovo  delitto».  Da  tale previsione si desumerebbe che, al di fuori
delle  ipotesi espressamente contemplate, il legislatore abbia inteso
mantenere  il  carattere  della  facoltativita':  e che, dunque - per
quanto  al  presente  piu'  interessa  -  la  recidiva  reiterata sia
divenuta  obbligatoria  unicamente  ove  concernente  uno dei delitti
indicati  dal  citato  art. 407,  comma 2,  lettera a), del codice di
procedura  penale,  il  quale  reca  un  elenco di reati ritenuti dal
legislatore, a vari fini, di particolare gravita' e allarme sociale.
    Avendo  omesso  di  verificare  la praticabilita' di tale diversa
opzione  interpretativa,  i  giudici  rimettenti  non  si  sono posti
neppure  l'ulteriore  problema  - anch'esso rilevante, in rapporto al
thema decidendum - della corretta esegesi della previsione del quinto
comma  dell'art. 99  cod.  pen., dianzi riprodotta: quello, cioe', di
stabilire   se   -   affinche'   divenga   operante   il   regime  di
obbligatorieta'  della  recidiva  ivi  prefigurato  - debba rientrare
nell'elenco   dei   gravi   reati,   di  cui  all'art. 407,  comma 2,
lettera a),  cod.  proc.  pen.,  il  delitto oggetto della precedente
condanna;  ovvero il nuovo delitto che vale a costituire lo status di
recidivo;   o,   piuttosto,  indifferentemente  l'uno  o  l'altro,  o
addirittura   entrambi;  soluzioni,  queste,  tutte  alternativamente
prospettate  dai  primi  interpreti  della  norma,  a  fronte del suo
dettato letterale.
    3.3. - Nei limiti in cui si escluda che la recidiva reiterata sia
divenuta  obbligatoria,  e'  d'altro  canto possibile ritenere - come
rilevato,  nella  sostanza,  anche  dall'Avvocatura dello Stato - che
venga  meno,  eo  ipso,  anche  l'«automatismo»  oggetto  di censura,
relativo   alla   predeterminazione   dell'esito   del   giudizio  di
bilanciamento  tra  circostanze eterogenee sulla base di una asserita
presunzione   assoluta   di   pericolosita'  sociale.  Conformemente,
infatti,  ai  criteri  di  corrente  adozione  in  tema  di  recidiva
facoltativa, il giudice applichera' l'aumento di pena previsto per la
recidiva  reiterata solo qualora ritenga il nuovo episodio delittuoso
concretamente  significativo - in rapporto alla natura ed al tempo di
commissione  dei  precedenti, ed avuto riguardo ai parametri indicati
dall'art. 133  cod.  pen.  -  sotto  il profilo della piu' accentuata
colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo.
    Di  conseguenza, allorche' la recidiva reiterata concorra con una
o  piu'  attenuanti,  e'  possibile  sostenere  che  il giudice debba
procedere   al   giudizio  di  bilanciamento  -  soggetto  al  regime
limitativo  di  cui all'art. 69, quarto comma, cod. pen. - unicamente
quando,  sulla base dei criteri dianzi ricordati, ritenga la recidiva
reiterata   effettivamente  idonea  ad  influire,  di  per  se',  sul
trattamento  sanzionatorio  del  fatto per cui si procede; mentre, in
caso contrario, non vi sara' luogo ad alcun giudizio di comparazione:
rimanendo  con  cio'  esclusa  la censurata elisione automatica delle
circostanze attenuanti.
    I  giudici  a  quibus non indicano, del resto, quali argomenti si
oppongano  ad  una  simile  conclusione.  In particolare, essi non si
chiedono   se   la   conclusione   stessa   possa   trovare  ostacolo
nell'indirizzo  dominante  della  giurisprudenza  di  legittimita'  -
formatosi  anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 251 del
2005 (e peraltro avversato dalla dottrina largamente maggioritaria) -
in  forza  del  quale  la  facoltativita'  della  recidiva atterrebbe
unicamente all'aumento di pena, e non anche agli altri effetti penali
della stessa, rispetto ai quali il giudice sarebbe comunque vincolato
a  ritenere  esistente  la  circostanza;  o  se assuma, al contrario,
rilievo  dirimente  -  pure  nella  cornice  di  detto indirizzo - la
considerazione  che il giudizio di bilanciamento attiene anch'esso al
momento  commisurativo  della pena. In effetti, qualora si ammettesse
che  la  recidiva  reiterata,  da  un  lato, mantenga il carattere di
facoltativita',  ma  dall'altro  abbia efficacia comunque inibente in
ordine all'applicazione di circostanze attenuanti concorrenti - siano
esse  ad  effetto  comune o speciale - ne deriverebbe la conseguenza,
all'apparenza  paradossale,  di una circostanza «neutra» agli effetti
della  determinazione  della  pena  (ove  non  indicativa di maggiore
colpevolezza  o  pericolosita'  del  reo),  nell'ipotesi di reato non
(ulteriormente)   circostanziato;   ma  in  concreto  «aggravante»  -
eventualmente,  anche  in  rilevante  misura  - nell'ipotesi di reato
circostanziato   «in   mitius».   In   altre   parole,  appare  assai
problematico,  sul  piano  logico, supporre che la recidiva reiterata
non  operi rispetto alla pena del delitto in quanto tale e determini,
invece,  un  sostanziale  incremento  di  pena  rispetto  al  delitto
attenuato:  profilo  problematico,  questo,  con il quale i giudici a
quibus avrebbero dovuto necessariamente misurarsi.
    3.4.     -     In    tale    ottica,    l'eventuale    esclusione
dell'obbligatorieta'    della   recidiva   reiterata,   nei   termini
precedentemente  indicati,  verrebbe  dunque  ad  inficiare  tanto la
motivazione   sulla   rilevanza   che   quella  sulla  non  manifesta
infondatezza delle questioni, formulate dai rimettenti.
    Sotto  il primo profilo, vale infatti osservare che, alla stregua
di  quanto  riferito  nelle  ordinanze di rimessione, tutti i giudici
rimettenti  -  fatta  eccezione  per il solo Tribunale di Ravenna, in
rapporto  all'ordinanza  r.o. n. 104 del 2006 - procedono per delitti
non  compresi  nell'elenco  dell'art. 407,  comma 2, lettera a), cod.
proc. pen. I delitti di produzione, traffico e detenzione illeciti di
sostanze  stupefacenti  (oggetto  dei  giudizi a quibus in rapporto a
tredici  delle  quindici  ordinanze  di rimessione) risultano difatti
inclusi  nel  suddetto elenco solo ove ricorrano le ipotesi aggravate
ai  sensi  degli  artt. 80, comma 2, e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990;
mentre  il  delitto  di  estorsione (cui ha riguardo l'ordinanza r.o.
n. 102  del 2006) vi figura solo se aggravato ai sensi dell'art. 629,
secondo  comma,  cod.  pen.  (numeri  2  e  6 dell'art. 407, comma 2,
lettera a, cod. proc. pen.). I rimettenti che procedono per i delitti
ora  indicati  non riferiscono, peraltro, dell'avvenuta contestazione
delle predette aggravanti.
    D'altro  canto,  tutte  le ordinanze di rimessione - senza alcuna
eccezione  -  o  non  indicano  i  delitti ai quali si riferiscono le
precedenti  condanne riportate dagli imputati, ovvero (come la citata
ordinanza  del  Tribunale  di  Ravenna  r.o.  n. 104  del 2006) fanno
riferimento    a   condanne   relative   a   delitti   non   compresi
nell'elencazione dell'art. 407, comma 2, lettera a), cod. proc. pen.
    Sotto il secondo profilo, poi - al lume di quanto dianzi indicato
-  sia  il  problema  dei  limiti  di  obbligatorieta' della recidiva
reiterata,  sia quello della necessita' o meno di effettuare comunque
il  giudizio  di  comparazione, a fronte di una recidiva facoltativa,
incidono  anche sulla valutazione di non manifesta infondatezza della
questione   formulata   dai   singoli  rimettenti:  questi  ultimi  -
espressamente  o  implicitamente  - si dolgono tutti del fatto che la
presunzione di pericolosita', sottesa alla norma denunciata, scatti a
prescindere dalla natura dei reati di cui si discute.
    La  stessa  Ordinanza  emessa il Tribunale di Ravenna r.o. n. 104
del  2006  -  l'unica,  come  detto,  nell'ambito  di un processo per
delitti  inclusi nella lista dell'art. 407, comma 2, lettera a), cod.
proc.  pen. (in specie, rapina e violenza sessuale aggravate dall'uso
di  armi:  numeri 2 e 7-bis della citata disposizione) - afferma, del
resto,  expressis  verbis, che la valutazione circa la ragionevolezza
della  scelta  legislativa di limitare i possibili esiti del giudizio
di  bilanciamento  potrebbe essere diversa, in presenza di un divieto
di  prevalenza  delle  attenuanti limitato ai soli recidivi reiterati
«condannati  per  reati  di una certa gravita»; e cio' analogamente a
quanto  la  medesima  legge  n. 251 del 2005 ha previsto con riguardo
alla  neointrodotta  limitazione  alla  concessione  delle attenuanti
generiche,   di   cui   all'art. 62-bis,  secondo  comma,  cod.  pen.
(limitazione, peraltro, parimenti connessa al fatto che si discuta di
uno  dei  delitti di cui all'art. 407, comma 2, lettera a, cod. proc.
pen., sia pure con l'ulteriore condizione che la relativa pena minima
risulti non inferiore a cinque anni di reclusione).
    4.  -  L'assenza  di indirizzi consolidati sulle tematiche dianzi
evidenziate  (facoltativita' o meno della «nuova» recidiva reiterata;
conseguenze  della  facoltativita'  sul  giudizio di bilanciamento) -
assenza  del  tutto ovvia alla data delle ordinanze di rimessione (in
quanto  di  poco posteriori all'entrata in vigore della novella) - e'
riscontrabile  anche  allo  stato  attuale,  essendosi  la  Corte  di
cassazione  espressa  in  modo  contrastante nelle prime decisioni in
materia.  Pertanto,  la  mancata  verifica preliminare - da parte dei
giudici   rimettenti,  nell'esercizio  dei  poteri  ermeneutici  loro
riconosciuti  dalla  legge  -  della  praticabilita' di una soluzione
interpretativa   diversa   da  quella  posta  a  base  dei  dubbi  di
costituzionalita'  ipotizzati,  e  tale  da  determinare il possibile
superamento  di detti dubbi (o da renderli comunque non rilevanti nei
casi   di   specie),   comporta   -   in  conformita'  alla  costante
giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, tra le ultime, ordinanze
n. 32  del 2007, n. 244, n. 64 e n. 34 del 2006) - l'inammissibilita'
delle questioni sollevate.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara    inammissibili    le    questioni    di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 69,  quarto  comma, del codice penale, come
sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche
al  codice  penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti  generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle
circostanze  di  reato  per  i recidivi, di usura e di prescrizione),
sollevate,  in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, 27, primo
e  terzo comma, 101, secondo comma, e 111, primo e sesto comma, della
Costituzione,  dai Tribunali di Ravenna, Cagliari, Livorno, Perugia e
Firenze con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2007.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 14 giugno 2007.
                      Il cancelliere: Fruscella
07C0784