N. 501 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 2006
Ordinanza emessa il 17 ottobre 2006 dal tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da Liviera Zugiani Carla contro Banca Intesa S.p.a. Societa' - Controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria - Procedimento di primo grado dinanzi al tribunale in composizione collegiale - Disciplina introdotta dal legislatore delegante - Mancata o insufficiente indicazione di principi e criteri direttivi nella legge di delegazione - Illegittimita' derivata della disciplina introdotta dal legislatore delegato. - Legge 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12; «per derivazione», decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17. - Costituzione, art. 76.(GU n.27 del 11-7-2007 )
IL TRIBUNALE Riunito in Camera di consiglio nella causa iscritta al N.R.G. 34675/2005, letti gli atti del giudizio, Espone in fatto Liviera Zugiani Carla con atto di citazione, ritualmente notificato, conveniva la Banca Intesa S.p.a. dinanzi al Tribunale di Napoli, deducendo: che in data 28 novembre 2003 Basile Luisa, dipendente della S.p.a. Banca Intesa, presso l'Agenzia 559 sita in Napoli alla Piazza Vanvitelli, con la quale intratteneva rapporti di conto corrente e di investimenti finanziari, a mezzo comunicazione telefonica, l'aveva sollecitata ad investire la somma a disposizione di trentamila euro in obbligazioni Parmalat, che assicuravano un rendimento pari al 7% annuo, magnificando la solidita' della societa' emittente, come aveva avuto gia' modo di constatare in riferimento ad un precedente minore investimento; che, avendo essa attrice dato il proprio assenso, aveva ricevuto nella medesima giornata conferma a mezzo fax dell'avvenuta operazione; che, pero', a distanza di pochi giorni, aveva appreso che la societa' Parmalat versava in stato di conclamata decozione gia' dal mese di febbraio di quell'anno, tanto che la stessa Banca Intesa, che era creditrice, ne era ben a conoscenza e nel mese di aprile aveva richiesto l'immediato rientro dell'esposizione debitoria accumulata; che Banca stessa, quindi, non aveva esitato a ribaltare sulla propria clientela le perdite accumulate, cosi' collocando le obbligazioni Parmalat S.p.a. 7%, che erano gia' nel suo portafoglio; che la sua preoccupazione aveva ben presto trovato conferma, in quanto solo un mese dopo l'acquisto delle obbligazioni il Tribunale di Parma, con sentenza del 23 dicembre 2003, aveva dichiarato lo stato di insolvenza della societa' emittente; che, pertanto, la Banca aveva agito, non solo in evidenti condizioni di conflitto di interesse, ma in palese violazione della specifica normativa del 1988 che impone la c.d. attivita' di consulenza incidentale in favore del cliente; che, pertanto, detta condotta aveva determinato l'invalidita' dell'atto concluso in danno del cliente. Aggiungeva che ad analoga conclusione poteva pervenirsi, anche con riguardo alla violazione delle norme imperative degli artt. 1337 e 1338 c.c., 21 e 23 d.lgs. n. 58/1998 e nn. 26, 27, 28 e 29 Regolamento Consob n. 11522, 1° luglio 1998, che impongono all'intermediario finanziario di agire con specifica diligenza nell'assolvimento del dovere di informazione del cliente; che, in ogni caso, il comportamento della Banca integrava ipotesi di grave inadempimento ai sensi dell'art. 1458 c.c., determinante la risoluzione del contratto; che, ancora, sotto una diversa prospettazione potrebbe configurarsi una responsabilita' aquiliana ex art. 2043 c.c. per lesione di uninteresse - giuridicamente rilevante - alla trasparenza e correttezza del mercato, protetto dal T.U.F. del 1988 e dai regolamenti CONSOB; che, infine, la Banca era certamente incorsa anche in responsabilita' precontrattuale per il mancato assolvimento dell'obbligo di informazione nella fase di formazione del contratto. L'attrice concludeva pertanto, in via principale, per la declaratoria di nullita' degli ordini di acquisto di obbligazioni Parmalat S.p.A. 7% 2000-2007 per un valore complessivo di Euro 35.000,00 impartiti in data 27 marzo e 28 novembre 2003 alla Banca Intesa S.p.a. e da quest'ultima esitati, con la condanna della societa' bancaria convenuta alla restituzione del prezzo pagato, oltre interessi; in via alternativa, per la declaratoria di risoluzione del contratto in danno della societa' bancaria medesima, con condanna alla restituzione del prezzo pagato oltre il maggior danno costituito dal mancato guadagno che avrebbe potuto essere conseguito da un diverso reinvestimento in titoli di Stato, oltre gli interessi. Si costituiva la Banca Intesa S.p.a. che deduceva la infondatezza della domanda avversa, evidenziando, in particolare, che l'attrice, peraltro titolare di un cospicuo portafoglio composto da titoli ampiamente diversificati, fin dal 1999, aveva regolarmente sottoscritto il contratto di mandato per la negoziazione di strumenti finanziari ed altro, cui era allegato il documento sui rischi ed il formulano richiesto ai sensi dell'art. 17, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 415/1996, sicche' era adeguatamente informata sui rischi connessi alle operazioni di investimento di titoli ed aveva omesso di fornire le comunicazioni sui propri obiettivi; che, nella specie, era stata adeguatamente informata dalla dott.ssa Basile, funzionaria della Banca, circa le voci in circolazione su eventuali dissesti della societa'; che la Banca stessa aveva avuto notizia del dissesto della Parmalat solo nel dicembre 2003 e che non rispondeva al vero che nell'aprile del 2003 aveva dato alla Parmalat l'ordine di rientro dall'esposizione debitoria; che la Banca aveva, pertanto, rispettato la normativa invocata da controparte e non aveva violato alcuna norma imperativa; che non sussisteva percio' alcuna ipotesi di responsabilita' precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale. Aggiungeva che l'attrice, con il suo comportamento colposo, non disinvestendo dopo le notizie sulle difficolta' finanziarie della Parmalat, aveva concorso nella produzione del danno. Concludeva, pertanto, per il rigetto della domanda attorea; in subordine, in via riconvenzionale, chiedeva accertarsi l'indebito arricchimento dell'attrice per le somme corrispondenti al valore (al momento della condanna) delle nuove azioni Parmalat da ottenere in cambio delle obbligazioni possedute, con conseguente compensazione con quelle poste a carico della Banca convenuta, tenendo, in ogni caso, conto del concorso dell'attrice nella determinazione del danno. Vertendosi in tema di azione di nullita' o annullabilita' di contratto di negoziazione relativo ad un rapporto di intermediazione finanziaria ovvero di investimento (di cui alla lett. d), art. 1, d.lgs. n. 5/2003) e di responsabilita' dell'intermediatore finanziario, correttamente la causa veniva instaurata secondo il rito «societario» ai sensi dell'art. 1, comma 5, d.lgs. n. 5/2003 avendo il giudizio avuto inizio il 27 ottobre 2005 (data di notifica dell'atto di citazione). Il giudizio veniva poi ritualmente proseguito dalle parti nelle forme del nuovo rito societario ed, a seguito di istanza di fissazione dell'udienza avanzata da parte attrice e notificata a controparti il 19 aprile 2006, il giudice relatore designato emetteva decreto di fissazione d'udienza collegiale (ex art. 12, d.lgs. n. 5/2003) con cui gia' sottoponeva alle parti la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge delega n. 366/2001 per genericita' dei criteri direttivi dettati al legislatore delegato e, per derivazione, degli artt. da 2 a 17 del d.lgs. n. 5/2003. All'esito dell'udienza collegiale del 4 ottobre 2006, in cui le parti si sono riportate alle rispettive difese, il collegio si e' riservata la decisione. La questione di costituzionalita' va affrontata in via preliminare rispetto alle altre questioni. I n d i r i t t o Il Tribunale ritiene di dover riproporre nei medesimi termini la questione gia' rimessa da questa sezione del Tribunale di Napoli, in composizione parzialmente diversa, nel procedimento n. 34675/2005 e non ancora decisa dalla Corte costituzionale. Invero, l'art. 12 della legge di delega n. 366/2001 prevede che: «1. - Il Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle seguenti materie: a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali; b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 2. - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la mera facoltativita' della successiva instaurazione della causa di merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso all'esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitivita' degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorche' gli stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalita' diverse; d) un giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare celerita' ma con il rispetto del principio del contraddittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato; e) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite; f) uno o piu' procedimenti camerali, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile ed in estensione delle ipotesi attualmente previste, che, senza compromettere la rapidita' di tali procedimenti, assicurino il rispetto dei principi del giusto processo; g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento di cui alle lettere precedenti trattati dai tribunali, dalle corti di appello e dalla corte di cassazione In relazione alla struttura che il legislatore delegato e' stato chiamato a delineare per il processo ordinario - e con esclusione del riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che concernono profili non rilevanti in questo giudizio - dal disposto dell'art. 12 della legge n. 366 del 2001 sono estrapolabili i seguenti principi: 1) divieto di modifica della competenza territoriale e per materia; 2) necessita' di assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti; 3) possibilita' di dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite. Nella legge n. 366/2001 il legislatore, dunque, si e' limitato ad indicare le materie nelle quali il governo poteva intervenire, l'obiettivo di rendere piu' rapida ed efficace la definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e materia, la tendenziale collegialita' del procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti in sede di tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare regole che favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione del procedimento. L'assoluta genericita' e parzialita' dell'indicazione relativa alle modalita' da seguire per la realizzazione dell'obiettivo dichiarato di voler assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle materie individuate, ha di fatto lasciato libero il legislatore delegato di creare un nuovo modello processuale che esula completamente dallo schema del procedimento ordinario disciplinato dal codice di procedura civile. A fronte della situazione di fatto venutasi a creare che vede da un lato una legge delega che nulla o quasi dice in ordine ai principi direttivi che avrebbero dovuto ispirare il legislatore delegato e dall'altro un decreto legislativo che crea un nuovo modello processuale, sovvertendo, nelle materie indicate dalla legge di delega, i tradizionali canoni che governano il processo civile, a questo collegio si pone neccssariamente una opzione interpretativa che in ogni caso conduce ad un dubbio di costituzionalita' in relazione all'art. 76 della Costituzione. Detta opzione interpretativa, che questo collegio reputa come la piu' consona allo spirito del complesso normativo costituito dalla legge delega e dal decreto legislativo, e' quella di ritenere che il legislatore delegante non abbia indicato con sufficiente determinazione i principi e criteri normativi che avrebbero dovuto guidare l'operato del legislatore delegato e che quindi l'art. 12 della legge n. 366/2001 non soddisfi il precetto dell'art. 76 della Costituzione che consente la delega dell'esercizio della funzione legislativa al Governo solo previa determinazione di principi e criteri direttivi. E' pur vero che, per giurisprudenza costante della Corte costituzionale, i principi direttivi che l'art. 76 Cost. richiede alla legge delega non escludono la possibilita' di lasciare al legislatore delegato un ampio margine di discrezionalita' nell'individuazione delle modalita' attraverso le quali realizzare gli obiettivi prefissati dalla legge delega. Il potere attribuito al legislatore delegato, pero', per quanto ampio, non puo' mai travalicare il limite della discrezionalita' nel senso che, come la Corte costituzionale insegna, sin da risalenti pronunzie, «la legge delegante va considerata con riferimento all'art. 76 della Costituzione, per accertare se sia stato rispettato il precetto che ne legittima il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro cui puo' essere conferito al Governo l'esercizio della funzione legislativa. Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in funzione di limite per lo sviluppo dell'ulteriore attivita' legislativa del Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi, del tempo entro il quale puo' essere emanata la legge delegata, di oggetti definiti, servono da un lato a circoscrivere il campo della delegazione si' da evitare che la delega venga esercitata in modo divergente dalle finalita' che la determinarono; devono dall'altro consentire al potere delegato la possibilita' di valutare le particolari situazioni giuridiche della legislazione precedente, che nella legge delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la legge delegante non contiene, anche in parte, i cennati requisiti, sorge il contrasto tra norma dell'art. 76 e norma delegante, denunciabile al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo l'emanazione della legge delegata» (cfr. Corte Cost. 26 gennaio 1957, n. 3). In particolare, per quel che rileva in questa sede, nulla ha detto la legge delega in ordine allo schema processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale, ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal contenuto del decreto legislativo che ha creato un nuovo modello di processo al di fuori delle regole dettate dal codice di procedura civile. Il nuovo rito societario previsto per il processo di cognizione davanti al tribunale costituisce infatti, come indicato dalla stessa relazione della commissione ministeriale, un vero e proprio nuovo modello processuale, che si distacca volutamente sia dal modello processuale del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma del 1990. Il nuovo rito di cognizione di primo grado davanti al tribunale in materia societaria prevede tutta la prima fase del processo senza l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della comparsa di risposta e' stabilito solo nel minimo; cosi' nella comparsa di risposta ai sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora una volta solo nel minimo; con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita' di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora ulteriori repliche e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice, in un momento pero' in cui sia il thema decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi, del controllo del giudice. D'altra parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli effetti preclusivi rilevantissimi stabiliti dall'art. 10, e' uno strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia o costituzione tardiva del convenuto, che introduce l'innovativo principio (di cui nella delega non vi e' traccia), per cui nel caso in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati dall'attore ... si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa». Da quanto precede emerge con chiarezza che il legislatore delegato, in forza di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione di criteri direttivi, ha potuto creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando quel rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Non reputa questo tribunale che possa andare esente da dubbi di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione di un nuovo processo, seppur circoscritto a determinate materie, si limiti ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», tra l'altro nemmeno particolarmente qualificante in quanto comune a qualsivoglia progetto di riforma del processo civile, un divieto di «modifica della competenza territoriale e per materia», una preferenza per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di conciliazione e un'indicazione di massima a favore della «concentrazione del procedimento e riduzione dei termini processuali». Di conseguenza ad avviso del collegio, in quanto non manifestamente infondata, va rimessa la questione di costituzionalita' dell'art. 12 della legge n. 336/2001 nella parte relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 che questo giudice e' da subito chiamato ad applicare nel presente giudizio stante la fase in cui lo stesso verte (successiva alla udienza collegiale gia' tenutasi). La questione e' altresi' rilevante in quanto, vertendosi in tema di nullita' o annullabilita' di contratto di intermediazione finanziaria e di responsabilita' dell'intermediatore finanziario, il giudizio come gia' detto e' stato correttamente instaurato nelle forme previste dal d.lgs. n. 5 del 2003 emanato in forza della predetta legge di delega, sicche' dalla pronunzia della Corte costituzionale dipende l'applicabilita' dell'intera nuova disciplina processuale ed, in particolare, degli artt. da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003, alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo tribunale. Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisone sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge li marzo 1953, n. 87.
P. Q. M. Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001 nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi e criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003. Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio. Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso. Si comunichi a cura della cancelleria. Cosi' deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 17 ottobre 2006. Il Presidente: Bobbio 07C0889