N. 505 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 novembre 2006

Ordinanza emessa il 4 novembre 2006 dal giudice di pace di Mercato S.
Severino  nel  procedimento  civile  promosso  da  Abate Carlo contro
E.N.E.L. Distribuzione S.p.A.

Procedimento  civile  -  Procedimento  davanti  al  giudice di pace -
  Controversie  relative  ai  contratti  conclusi  mediante  moduli o
  formulari  (cd.  contratti  di  massa)  - Giudizio di equita' nelle
  cause  di  valore  non  eccedente  i millecento euro - Esclusione -
  Denunciata  violazione  del  principio  di  ragionevolezza sotto il
  profilo   della   asserita  inidoneita'  della  norma  impugnata  a
  conseguire  lo  scopo  prescelto  dal  legislatore  (nella  specie,
  l'uniformita'  delle  pronunce  giurisdizionali  rese  su identiche
  tipologie   contrattuali)  -  Incidenza  sul  regolare  svolgimento
  dell'iniziativa  economica  privata sotto il triplice profilo della
  limitazione   della   liberta'   contrattuale,  dell'ingiustificato
  trattamento  di  favore per i c.d. contraenti forti e del contrasto
  con il principio di utilita' sociale dell'attivita' economica.
- Decreto-legge  8 febbraio  2003,  n. 18,  art. 1,  convertito,  con
  modificazioni,   nella  legge  7 aprile  2003,  n. 63,  sostitutivo
  dell'art. 113, comma secondo, codice di procedura civile.
- Costituzione, artt. 3 e 41.
(GU n.27 del 11-7-2007 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Sciogliendo  la riserva disposta all'udienza del 25 ottobre 2006,
nel  procedimento civile iscritto al N.R.G. 2199/06 promosso da Abate
Carlo - attore, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Di Geronimo
contro  ENEL Distribuzione S.p.A. - convenuta, rappresentata e difesa
dall'avv. Stefano Rosa.
    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Premesso  che con atto di citazione notificato il 15 giugno 2006,
Abate  Carlo  conveniva  in  giudizio  Enel  Distribuzione S.p.A. per
sentirla   dichiarare   responsabile   dell'interruzione  di  energia
elettrica  avvenuta  il  28  settembre  2003 e, conseguentemente, per
ottenere  contro  la  medesima  societa' una pronuncia di condanna al
risarcimento dei danni;
        che  il  valore  della  controversia era quantificato in Euro
1.033,00;
        che  la  domanda  era proposta facendo valere un contratto di
somministrazione   di   energia   elettrica   stipulato   (ai   sensi
dell'art. 1342  cod.  civ.)  tramite  un  modulo  predisposto da Enel
Distribuzione S.p.A.;
        che,  conseguentemente,  il presente giudizio dovrebbe essere
deciso  secondo  diritto,  ai  sensi  dell'art. 1 del decreto-legge 8
febbraio  2003,  n. 18  (Disposizioni  urgenti in materia di giudizio
necessario  secondo  equita),  convertito,  con  modificazioni, nella
legge 7 aprile 2003, n. 63, sostitutivo dell'art. 113, secondo comma,
codice di procedura civile;
        che,  tuttavia,  il  difensore  di  parte  attrice  sollevava
eccezione  pregiudiziale di legittimita' costituzionale, in relazione
agli  artt. 3 e 41 della Costituzione, della citata norma nella parte
in cui esclude che il giudice di pace decida secondo equita' le cause
derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo
le modalita' di cui all'articolo 1342 del codice civile;
        che  il remittente, ritenendo la questione non manifestamente
infondata,  la  solleva, a sua volta, innanzi a codesta Ill.ma Corte,
nei termini e per i motivi sotto indicati.
    Rilevanza  della questione di legittimita' costituzionale ai fini
della soluzione della presente controversia.
    Prima  di  passare  agli  aspetti  sostanziali  inerenti alla non
manifesta infondatezza della questione, e' bene soffermarsi su quelli
formali,  altrettanto importanti, al fine di evitare una pronuncia di
inammissibilita'  che  precluderebbe alla Corte di entrare nel merito
della questione stessa.
    Occorre,  pertanto,  dimostrare,  come  vuole  l'art. 23, secondo
comma,  legge  costituzionale  n. 87  del  1953,  la  rilevanza della
questione  ai  fini  della  soluzione  del  presente  giudizio, cioe'
l'impossibilita'  di  definire  quest'ultimo  indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimita'.
    Ebbene  la  questione e' rilevante, in quanto, in primo luogo, il
contratto   oggetto   della   lite   rientra   tra   quelli  previsti
dall'art. 1342 c.c.
    Trattasi,  infatti,  di  contratto di somministrazione di energia
elettrica,  stipulato sulla base di moduli o formulari predisposti da
Enel Distribuzione S.p.A.
    Sempre   in   punto  di  rilevanza  si  precisa  che  l'eventuale
dichiarazione  di illegittimita' della norma in questione inciderebbe
senza  dubbio  sulle  regole  che  il  giudicante  deve seguire nella
decisione del presente giudizio, essendo il valore della controversia
quantificato  in  un importo inferiore ad Euro 1.100,00 (previsto dal
primo periodo del secondo comma dell'art. 1, decreto-legge n. 18/2003
come  limite  di  valore  entro cui si applica il necessario giudizio
secondo  equita'  da  parte  del  giudice  di  pace), per cui la lite
andrebbe  decisa  secondo  diritto,  se  la questione di legittimita'
costituzionale  fosse  ritenuta  infondata,  mentre andrebbe definita
secondo equita', se la stessa fosse ritenuta fondata.
    Si   evidenzia,   inoltre,  che  l'atto  di  citazione  e'  stato
notificato  il  15  giugno  2006 e, quindi, dopo il 10 febbraio 2003,
sicche'  l'art. 1, decreto-legge n. 18/2003 e' pienamente applicabile
al  caso  di  specie,  visto  che tale norma si applica per i giudizi
instaurati  con  citazione notificata dal 10 febbraio 2003, in virtu'
di quanto dispone l'art. 1-bis del medesimo decreto.
    Non   manifesta   infondatezza   della   questione  in  relazione
all'art. 3 della Costituzione.
    L'art. 113,  secondo  comma,  c.p.c.  -  nella  sua  formulazione
precedente  alla  riforma  apportata  dall'art. 1 del decreto-legge 8
febbraio  2003,  n. 18,  convertito, con modificazioni, nella legge 7
aprile  2003,  n. 63  (riforma,  peraltro, recepita integralmente dal
nuovo codice di procedura civile) - recitava che:
        «Il  giudice  di  pace decide secondo equita' le cause il cui
valore non eccede millecento euro».
    A  seguito  del  citato  intervento modificativo del legislatore,
tuttavia,  la  formulazione  dell'art. 113,  secondo  comma,  risulta
essere la seguente:
        «Il  giudice  di  pace decide secondo equita' le cause il cui
valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti
giuridici  relativi  a contratti conclusi secondo le modalita' di cui
all'articolo 1342 del codice civile».
    Il  secondo periodo del secondo comma dell'art. 113 del codice di
procedura  civile,  contiene,  quindi,  una norma speciale, in virtu'
della  quale  il  giudice  di  pace  decide  secondo diritto le cause
derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo
le  modalita'  di  cui  all'articolo  1342 c.c., derogando cosi' alla
norma  generale,  contenuta  nel  primo periodo del secondo comma del
citato  art. 113,  in base alla quale tutte le altre cause attribuite
al giudice di pace, di valore inferiore ad Euro 1.100,00, sono decise
secondo equita'.
    La motivazione posta a base della suddetta deroga e' espressa nel
preambolo  del  decreto-legge  8 febbraio 2003, n. 18, che si riporta
qui di seguito:
        «Ritenuta   la   straordinaria   necessita'   ed  urgenza  di
modificare  l'articolo  113 del codice di procedura civile escludendo
il  parametro  equitativo  per  il giudice di pace nelle controversie
derivanti  da  contratti  di  massa,  allo  scopo  di  evitare che il
soggettivo   apprezzamento,  sulla  base  di  tale  parametro,  possa
comportare   pronunce   difformi   riferite   a  identiche  tipologie
contrattuali ................ EMANA ....................».
    Il legislatore, quindi, ritiene che, imponendo ai singoli giudici
di  pace di decidere secondo diritto controversie molto probabilmente
analoghe  (in  quanto derivanti da identiche tipologie contrattuali),
si eviterebbe il rischio di una difformita' tra pronunce che, invece,
ad  avviso  della  legge,  si potrebbe verificare laddove si desse la
possibilita' ai citati giudici di deciderle secondo equita'.
    Al   riguardo  si  osserva,  tuttavia,  che  l'uniformita'  delle
pronunce  riferite  a  questioni  identiche  non  puo' essere affatto
ottenuta  obbligando  i  giudici a decidere secondo diritto, anziche'
secondo equita'.
    Proprio  in  applicazione  di  un  principio  del nostro diritto,
infatti,  ogni giudice e' libero di dissentire dalla decisione emessa
anteriormente da un altro giudice in un caso analogo.
    Si  allude  al  principio  di  non  vincolativita' del precedente
giurisprudenziale,   dettato,   implicitamente   dall'art.   1  delle
disposizioni  sulla  legge in generale (approvate, preliminarmente al
codice  civile,  con  regio  decreto n. 262/1942), nel quale articolo
sono  tassativamente  elencate  le  fonti  del  diritto,  tra cui non
rientra il precedente giurisprudenziale, ma, in ordine di importanza,
rientrano solo le leggi, i regolamenti ed, infine, gli usi.
    Ne consegue che, nel nostro ordinamento, a differenza dal sistema
anglosassone,  ogni  giudice  puo'  anche  non  condividere eventuali
pronunce  emesse  anteriormente, secondo diritto, da altri giudici in
ordine  a  questioni  identiche, senza che cio' costituisca un motivo
autonomo   di  impugnazione,  quand'anche  i  precedenti  provengano,
addirittura, da giudici di grado superiore.
    Pertanto,   la   norma   contenuta   nell'art. 1,   decreto-legge
n. 18/2003,  non  e'  assolutamente idonea a raggiungere lo scopo che
essa  si  prefigge,  vale  a dire quello di evitare la difformita' di
pronunce  riferite ad identiche tipologie contrattuali, in quanto, in
virtu'  del menzionato principio di non vincolativita' del precedente
giurisprudenziale   -   non  modificato  dal  citato  decreto  e  non
suscettibile  di  alcuna deroga -, i singoli giudici di pace, sebbene
siano tenuti ad attenersi non all'equita', ma ai principi di diritto,
possono  comunque  risolvere,  in  modo  diverso l'uno dall'altro, le
controversie derivanti da un'unica tipologia di contratto.
    E'  pur vero che la Corte di cassazione svolge, tra l'atro, anche
la  funzione  nomofilattica, diretta ad assicurare un'interpretazione
uniforme  del diritto, ma e' altrettanto vero che l'impugnato art. 1,
decreto-legge  n. 18/2003  e'  volto  a garantire l'uniformita' delle
sentenze non soltanto in grado di Cassazione, ma gia' in primo grado,
innanzi ai giudici di pace, il che, tuttavia, non puo' essere affatto
conseguito nel modo previsto dalla citata norma, per i motivi esposti
in precedenza.
    Ed,  infatti, esaminando proprio le controversie sorte innanzi ai
giudici  di  pace  a  seguito del black out del 28 settembre 2003, si
osserva  che tra le pronunce dei singoli giudici sussiste un'assoluta
difformita'  di orientamenti, talvolta anche all'interno dello stesso
Ufficio  giudiziario,  alcuni  ritenendo  fondate  le  pretese  degli
utenti,  altri  ritenendo non responsabile Enel Distribuzione S.p.A.,
come  il  remittente  ha  avuto  modo  di  riscontrare  analizzando i
fascicoli di entrambe le parti.
    In conclusione, l'art. 1 del decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  giudizio  necessario secondo
equita),  convertito,  con  modificazioni, nella legge 7 aprile 2003,
n. 63,  sostitutivo dell'art. 113, secondo comma, codice di procedura
civile, non essendo affatto idoneo a perseguire lo scopo per il quale
e' stato introdotto, e' illegittimo per contrasto con il principio di
ragionevolezza  delle  leggi  sancito dall'art. 3 della Costituzione,
con  conseguente  necessita'  che  codesta  ill.ma  Corte lo dichiari
incostituzionale  nella  parte  in  cui  esso  esclude  il necessario
giudizio  di  equita'  per  il giudice di pace nelle controversie, di
valore  inferiore  ad  Euro 1.100,00, derivanti da rapporti giuridici
relativi   a   contratti   conclusi   secondo  le  modalita'  di  cui
all'articolo 1342 del codice civile.
    Non   manifesta   infondatezza   della   questione  in  relazione
all'art. 41 della Costituzione.
    L'art. 1  del  decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18 (Disposizioni
urgenti   in   materia   di   giudizio  necessario  secondo  equita),
convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  7 aprile 2003, n. 63,
sostitutivo dell'art. 113, secondo comma, codice di procedura civile,
e'  illegittimo,  inoltre,  anche  perche'  appare  in  contrasto con
l'art. 41 della Costituzione.
    Il  contrasto  e' da vedersi nel fatto che, riservando tale norma
il  giudizio  di  diritto  alle  sole cause derivanti da contratti di
massa, essa finisce per agevolare troppo la parte contrattuale forte,
ossia  il  predisponente  del  modulo o formulario, il quale, essendo
quasi  sempre  un  imprenditore, ha piu' possibilita' di appellare le
sentenze  dei  giudici  di pace, soprattutto in virtu' della maggiore
disponibilita'  economica  di  cui egli gode rispetto all'aderente al
modulo, il quale, invece, difficilmente potrebbe fare altrettanto.
    Ne   deriva  che  l'art. 1,  decreto-legge  n. 18/2003,  rendendo
necessariamente  non  equitative,  e  quindi appellabili, le sentenze
emesse  dal giudice di pace in controversie derivanti da contratti di
massa,  rappresenta  un  ostacolo  alla conclusione del contratto, il
tutto  in  contrasto  con  il primo comma dell'art. 41, in virtu' del
quale  l'iniziativa economica, e quindi anche quella contrattuale, e'
libera.
    Tale  liberta' di iniziativa economica, in altri termini, risulta
limitata  dal  timore  che  un'eventuale  sentenza  relativa  ad  una
controversia  nascente  da  quel  contratto, eventualmente favorevole
all'aderente al modulo, potrebbe essere piu' facilmente impugnata dal
professionista,  in  virtu'  della  possibilita'  di proporre appello
avverso   la   sentenza  stessa  (ai  sensi  del  combinato  disposto
dell'impugnato  art. 1,  decreto-legge  n. 18/2003  e  dell'art. 339,
terzo  comma,  c.p.c.),  il  quale  e'  un  mezzo di impugnazione che
soggiace a minori preclusioni rispetto al ricorso in Cassazione.
    Il  suddetto  ostacolo  alla  contrattazione, inoltre, si pone in
contrasto  anche  con  l'utilita' sociale, in quanto la maggior parte
delle  volte  i  contratti di massa hanno ad oggetto servizi pubblici
essenziali  (erogazione  di  acqua, corrente elettrica, gas, servizio
telefonico,  ecc.),  per cui un ostacolo alla stipula di contratti di
massa  si  traduce in un limite per il cittadino alla fruizione di un
pubblico  servizio,  il  tutto  in contrasto con il secondo comma del
citato art. 41 Cost.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale,  in  relazione  agli artt. 3 e 41 della
Costituzione,  dell'art. 1  del  decreto-legge 8 febbraio 2003, n. 18
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  giudizio  necessario secondo
equita),  convertito,  con  modificazioni, nella legge 7 aprile 2003,
n. 63,  sostitutivo dell'art. 113, secondo comma, codice di procedura
civile,  nella  parte  in  cui  esclude che il giudice di pace decida
secondo  equita'  le cause derivanti da rapporti giuridici relativi a
contratti  conclusi secondo le modalita' di cui all'articolo 1342 del
codice  civile;  per  l'effetto,  sospende il presente procedimento e
manda alla cancelleria di comunicare la presente ordinanza alla Corte
costituzionale,  alle  parti del presente giudizio, al Presidente del
Consiglio  dei  ministri  nonche'  ai Presidenti delle due Camere del
Parlamento, ai sensi dell' art. 23, ultimo comma, legge n. 87/1953.
        Mercato San Severino, addi' 4 novembre 2006
                      Il giudice di pace: Basso
07C0893