N. 513 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 novembre 2006
Ordinanza emessa il 14 novembre 2006 dal tribunale di Prato nel procedimento penale a carico di Santoro Ignazio Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Contrasto con il principio di ragionevolezza e di proporzionalita' della pena, quale accezione del principio di uguaglianza - Violazione del principio della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.(GU n.27 del 11-7-2007 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Letti gli atti del procedimento penale n. 3161/2006 R.G.N.R. e n. 752/2006 R.G. Dib. a carico di Santoro Ignazio, nato ad Acireale il 2 dicembre 1962, imputato: a) del delitto p. e p. dagli artt. 73, comma 1° e 1°-bis d.P.R. n. 309/1990 perche', senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 stessa legge e fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 stessa legge, illecitamente deteneva ad evidente fine di successiva rivendita gr 7,06 lordi di eroina (suddivisi in tre involucri del peso ciascuno di gr 0,26, gr 4,44 e gr 2,36, gli ultimi due occultati all'interno di un pacchetto di sigarette vuoto), sostanza stupefacente di cui alla tabella I, prevista dall'art. 14 della legge medesima. Accertato in Prato l'8 settembre 2006. b) del reato p. e p. dall'art. 707 c.p. per essere stato colto nel possesso ingiustificato di un paio di tenaglie da carpentiere marca Lux, oggetto notoriamente utilizzato per lo scasso, essendo gravato da un precedente penale per reati contro il patrimonio. Accertato in Prato l'8 settembre 2006. c) del reato p. e p. dall'art. 2, legge n. 1423/1956 per essere stato sorpreso nel territorio del comune di Prato pur essendo indirizzatario di un provvedimento emesso dal Questore di Prato il 21 luglio 2005 con cui gli si ingiungeva il rimpatrio nel comune di Montecatini Terme a mezzo di F.V.O. Accertato in Prato l'8 settembre 2006. Con la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. Il Santoro veniva arrestato e portato avanti a questo giudice per la convalida nelle forme dei rito direttissimo. L'arresto veniva convalidato e quindi l'imputato veniva ristretto in via cautelare in carcere. Veniva frattanto disposta perizia sullo stupefacente sequestrato che accertava la presenza di «n. 3 polveri del peso netto complessivo di grammi 6,591 contenenti oppiacei stupefacenti per complessivi milligrammi 878 (ovvero grammi 0,878) pari a milligrammi 799 (pari a 0,7999) di eroina non salificata; quantitativo esauribile in circa 6-8 giorni da un tossicodipendente medio». Il processo proseguiva con la richiesta dell'imputato di' procedere nelle forme del rito abbreviato. Ammesso l'imputato al rito speciale, all'esito della discussione il p.m. concludeva chiedendo la condanna dell'imputato alla pena di anni 4 e mesi 1 di reclusione mentre il difensore chiedeva in tesi l'assoluzione. dal reato di cui al capo A) perche' il fatto non e' previsto dalla legge come reato e la restituzione degli atti al p.m. in relazione ai capi. B) e C) perche' estranei al giudizio di convalida dell'arresto ex art. 391 del c.p.p. e perche' l'imputato non aveva dato il consenso alla loro trattazione con rito direttissimo; in ipotesi, condanna al minimo della pena con riconoscimento dell'attenuante di cui al comma 5 dell'art. 73 legge stupefacenti da ritenersi prevalente sulla recidiva contestata. Ove l'attenuante del fatto di lieve entita' non fosse stata ritenuta applicabile, la difesa eccepiva la legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del c.p. nella misura in cui non differenziava la figura dello «spacciatore» da quella del tossicodipendente che avesse riportato precedenti condanne per fatti di droga. Poiche', secondo questo giudice, gli elementi raccolti a carico del Santoro sono sufficienti a fondare un giudizio di responsabilita' penale, passando alla fase della determinazione della pena si evidenzia che, nonostante il modestissimo quantitativo di principio attivo imputabile al Santoro, non e' possibile per l'imputato - recidivo reiterato - usufruire concretamente dell'attenuante della lieve entita' del fatto tipizzata al quinto comma dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 per effetto della modifica apportata dal legislatore del 2005 al comma 4 dell'art. 69 del c.p. Quanto alla qualificazione giuridica del fatto di lieve entita' nel quadro della legge stupefacenti, la giurisprudenza di legittimita' e' univoca 1) nel considerarla ipotesi circostanziata attenuata di quella descritta al comma 1° dell'art. 73, stessa legge. Ne' la situazione puo' dirsi mutata per effetto del comma 5-bis dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 introdotto dalla novella del 21 febbraio 2006 con legge n. 49 per il sol fatto che la disposizione riferendosi al comma 5 parla genericamente di «ipotesi» e non specificatamente di circostanza attenuante 2). Da questa prima conclusione ne consegue che il fatto di lieve entita' previsto nell'art. 73 della legge stupefacenti, in quanto circostanza attenuante, non puo' essere esclusa da un eventuale giudizio di bilanciamento disciplinato dall'art. 69 del c.p. visto che e' dal 1974 che nel nostro ordinamento penale il giudizio di bilanciamento e' esteso a tutte le circostanze e quindi anche a quelle ad effetto speciale 3). Cio' premesso e' certo che in considerazione del modestissimo quantitativo di sostanza stupefacente sequestrata all'imputato (ovvero poco piu' di 6,5 grammi lordi di eroina con quantita' di principio attivo inferiore a un grammo) e avuto riguardo agli altri criteri elencati al quinto comma, dell'art. 73 legge stupefacenti, all'imputato andrebbe riconosciuta e applicata l'attenuante della lieve entita' del fatto. Procedendo oltre, va considerato che e' stata contestata la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. La contestazione e' fondata sotto tutti i profili poiche' dal certificato del casellario giudiziale dell'imputato risultano i seguenti precedenti: il Tribunale di Pistoia con sentenza emessa il 20 aprile 2001 e divenuta irrevocabile il 18 maggio 2001 ha applicato all'imputato la pena di mesi sei di reclusione e di lire 3.000.000 di multa per detenzione illecita di sostanze stupefacenti; il Tribunale di Pistoia con sentenza del 23 gennaio 2001 divenuta irrevocabile l'11 marzo 2001 ha applicato all'imputato la pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione e lire 3.000.000 di multa sempre per detenzione illecita di sostanze stupefacenti; il Tribunale di Prato con sentenza del 2 marzo 1993 divenuta irrevocabile il 25 aprile 1993 ha applicato all'imputato la pena di mesi 11 di reclusione e di lire 2.000.000 di multa sempre per analoghi delitti; la Corte di appello di Firenze con sentenza del 21 maggio 1987 divenuta irrevocabile il 7 aprile 1989 condannava l'imputato alla pena anni 1 e mesi 8 di reclusione e lire 3.100.000 di multa per violazione della disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Ebbene, ripeterlo e' opportuno, a seguito della modifica introdotta dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nei casi previsti dal quarto comma dell'art. 99 (recidiva cosiddetta reiterata) e' stato introdotto il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle ritenute aggravanti ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisca una pena di specie diversa o determini la pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato. Cio' significa che nell'attuale formulazione dell'art. 69, quarto comma del c.p. gli imputati recidivi reiterati all'esito di un giudizio di bilanciamento a loro favorevole (nei limiti consentiti dalla legge) potranno tutt'al piu' ottenere un «ritorno» alla fattispecie incriminatrice di base. In dettaglio, l'odierno imputato, siccome recidivo reiterato, anche in caso di bilanciamento delle circostanze in favor rei, dovrebbe rispondere della fattispecie del comma primo dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 che, nella sua attuale formulazione, prevede una pena da sei a vent'anni di reclusione e una multa da euro 26.000 ad euro 300.000. Partendo dalla pena minima, il Santoro dovrebbe essere condannato a non meno di 4 anni di reclusione e a circa 18.000,00 euro di multa per aver detenuto per poi rivendere gr 7,06 lordi di eroina contenenti oppiacei stupefacenti per complessivi milligrammi 878 (ovvero grammi 0,878) pari a milligrammi 799 (pari a 0,799) di eroina non salificata; e questo senza calcolare l'aumento minimo di pena previsto per i recidivi reiterati dall'u.c. dell'art. 81 del c.p., anch'esso novellato dalla stessa legge n. 251 del 2005, art. 5, in relazione ai reati che si suppongono commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. In conclusione, il Santoro dovrebbe essere condannato ad una pena che, ictu oculi, appare microscopicamente sproporzionata rispetto alla gravita' del fatto e, in ultima analisi, al suo disvalore sociale. Prima della novella del 2005 questo giudice avrebbe certamente ritenuto il fatto di «lieve entita» e detta attenuante - peraltro rigorosamente oggettiva - sarebbe stata ritenuta prevalente in sede di bilanciamento rispetto ad un'aggravante strettamente «inerente alla persona del colpevole» quale la recidiva. D'altronde, i limiti edittali della disposizione di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, ricompresi tra uno a sei anni di reclusione e tra 3.000 e 26.000 euro di multa, sarebbero stati sicuramente idonei ad esaurire il disvalore penale del fatto per cui e' processo. Aspetti di incostituzionalita' paiono pertanto profilarsi in relazione alle seguenti norme: a) all'art. 3 della Costituzione e quindi al principio di ragionevolezza e proporzionalita' della pena, quale accezione del principio di uguaglianza. Puo' darsi per acquisito che il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia al contempo alla funzione di difesa sociale e a quella di tutela delle posizioni individuali (cfr. Corte costituzionale n. 408/1989 e nello stesso senso sentenze nn. 343 e 422 del 1993). Il legislatore del 2005, precludendo ai recidivi reiterati ogni possibilita' di ottenere un giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti, pare avere oltrepassato il limite della ragionevolezza nell'esercizio del proprio potere discrezionale dando luogo ad una disparita' di trattamento che viola il principio di uguaglianza. L'attuale disciplina del quarto comma dell'art. 69 del c.p. impedisce il riconoscimento dell'attenuante di cui al comma quinto dell'art. 73 d.P.R. a prescindere dal dato quantitativo e qualitativo della sostanza stupefacente detenuta illecitamente, facendo dipendere siffatta valutazione dalla ricorrenza di elementi personalistici che nulla hanno a che vedere con la struttura di una circostanza che il legislatore aveva definito facendo esclusivo riferimento ad indicatori di tipo oggettivo (ovvero: mezzi, modalita', circostanze dell'azione, ovvero qualita' e quantita' delle sostanze). Dalla previsione normativa novellata nel 2005 possono conseguire non solo disparita' di trattamento sanzionatorio per situazioni fattuali obiettivamente omogenee: e' il caso di un quantitativo minino di sostanza stupefacente detenuta in concorso da due soggetti di cui uno sia recidivo reiterato e che quindi non potrebbe usufruire dell'attenuante della lieve entita'; ma, financo, risposte sanzionatorie piu' gravi per casi indiscutibilmente meno gravi: e' il caso di chi, recidivo reiterato, pur detenendo quantitativi minimi di stupefacente non possa usufruire del trattamento sanzionatorio previsto dall'attenuante piu' volte citata rispetto a chi, incensurato, ne detenga quantitativi assolutamente superiori. Nel caso in esame, ad esempio, non c'e' dubbio che potrebbero fruire dell'attenuante della lieve entita' del fatto coloro che detenessero illecitamente anche quantitativi di stupefacente cento volte superiori a quelli detenuti dall'imputato odierno sol perche' incensurati (si consideri infatti che nel caso in esame la percentuale di principio attivo presente nella sostanza sequestrata e' inferiore a un grammo). Ancora, in linea con l'eccezione difensiva, si consideri che analoga preclusione vale per i tossicodipendenti e per gli assuntori di sostanze stupefacenti o psicotrope che abbiano riportato precedenti condanne e ai quali sia stata contestata la recidiva reiterata. Parita' di trattamento imposta dalla disposizione di cui al comma 4 dell'art. 69 del c.p. e che prescinde dalla particolare situazione personale di questi soggetti, che il legislatore ha gia' dimostrato di considerare in altre disposizioni a fondamento di previsioni piu' miti volte ad agevolare il recupero sociale di queste particolari categorie di rei. Situazione quest'ultima che potrebbe ricorrere nel caso concreto dato che l'imputato si e' dichiarato da subito tossicodipendente e quindi vi sarebbero valide ragioni per ritenere che parte dello stupefacente sequestrato al Santoro fosse destinato al proprio consumo personale. b) all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. La Consulta in diverse pronunce ha riconosciuto la costituzionalizzazione del principio di necessaria lesivita' dell'illecito penale 4). In mancanza di una norma espressa in tal senso, detto principio e' stato ricavato dalle lettura combinata non solo dagli artt. 25 e 27 Cost. ma anche da un complesso di altri principi, quale in specie quello di inviolabilita' della liberta' personale ex art. 13 Cost., di liberta' di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., di liberta' morale sul piano politico, religioso ed etico e via dicendo. In tal senso si e' posto l'accento sulla locuzione «fatto commesso» contenuta nell'art. 25, secondo comma Cost. valorizzando il suo stretto collegamento sia con l'art. 27, primo comma che, sancendo il carattere personale della responsabilita' penale, impone altresi' un limite strutturale dell'illecito penale 5), sia con il terzo comma che, attribuendo alla pena funzione rieducativa, implica necessariamente una delimitazione dell'illiceita' penale ad una sfera selezionata di valori. In relazione alle conseguenze del reato, mentre l'art. 25 Cost. distingue le pene (secondo comma) dalle misure di sicurezza (terzo comma), l'art. 27, terzo comma pone in luce la funzione rieducativa della pena complementare alla ineliminabile funzione retributiva. Un illustre insegnamento 6) ha segnalato da tempo l'incostituzionalita' delle norme che configurino ipotesi di criminose tali da compromettere la duplice funzione della pena e, in particolare, di norme che creino fattispecie tali da impedire o rendere piu' difficoltoso il reinserimento sociale di determinate categorie di soggetti gia' sottoposti a sanzione penale. Benche' nel caso di specie non venga direttamente in rilievo una sanzione penale bensi' la preclusione imposta al giudice di formulare un giudizio di prevalenza di una o piu' circostanze: attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, nondimeno la nuova formulazione dell'art. 69, quarto comma del c.p. pare censurabile sotto il profilo della violazione della funzione rieducativa della pena. E' palese infatti lo squilibrio tra le due funzioni presente nel nuovo disposto normativo dove alla contrazione dell'aspetto retributivo e' corrisposta una vera e propria invasione della sfera di operativita' delle misure di sicurezza e/o, finanche, di prevenzione. Ora, poiche' il potere discrezionale conferito al giudice nella scelta e nella quantificazione della pena da irrogare in concreto e' strettamente funzionale a garantire l'adeguamento della sanzione alle condizioni personali del reo e alla sua colpevolezza e quindi, in ultima analisi, a garantire il perseguimento della funzione rieducativa indicata dal terzo comma dell'art. 27 Cost., una riduzione del potere in questione trova il suo limite naturale nell'impossibilita' per il giudice di irrogare o applicare al reo una pena proporzionata alla gravita' del fatto commesso. Si intende significare che una pena sproporzionata non puo' ontologicamente assolvere a quella particolare funzione che la Carta costituzionale le demanda ma, al contrario, la compromette irrimediabilmente. Pare a questo giudice che codesta Corte, sulla scorta di considerazioni similari, sia giunta a dichiarare costituzionalmente illegittime previsioni di sanzioni penali ritenendo che la loro manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai fatti-reato si traducesse in violazioni dell'art. 27, terzo comma, Cost. In particolare, la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale», provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito, «produce (...) una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione». A partire almeno dalla sentenza della Corte cost. 2 luglio 1990, n. 313 la finalita' rieducativa della pena non e' «limitata alla sola fase dell'esecuzione» ma deve ritenersi costituire «una delle qualita' essenziali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue». Cio' implica che la finalita' rieducativa impronta di se' anche il momento applicativo della pena che e' presidiato dagli strumenti normativi offerti al giudice per adeguare, con la maggiore puntualita' e rispondenza al fatto e alle caratteristiche del soggetto, il trattamento sanzionatorio. Confligge quindi, a parere di chi scrive, con tale finalita' la norma dell'art. 69, quarto comma del c.p. che, privando il giudice di un fondamentale strumento attuativo della finalita' rieducativa della pena, comporta l'applicazione di pene microscopicamente inique e irragionevoli rispetto al reale disvalore del fatto-reato commesso. La questione sollevata appare rilevante nel giudizio de quo dato che questo giudicante ritiene microscopicamente sproporzionata la pena che dovrebbe essere irrogata al Santoro rispetto alla gravita' del fatto commesso; iniquita' determinata dall'impossibilita' di applicare il trattamento sanzionatorio previsto dall'attenuante del comma quinto dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 a causa della modifica apportata al quarto comma, dell'art. 69 del c.p. dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 1) Cfr. da ultimo Cass. sez. 4, sentenza n. 18377 del 12 aprile 2006 Ud. (dep. 25 maggio 2006) ed ancora Cass. sez. 4, sentenza n. 38879 del 29 settembre 2005 Ud. (dep. 21 ottobre 2005) Rv. 232429 che ha espressamente affermato come, «in tema di stupefacenti, la concessione dell'attenuante del fatto di lieve entita' (art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309) non modifica il titolo del reato, ma incide solo sulla valutazione della gravita' del fatto»; 2) Si richiamano le osservazioni esposte dal Giudice Paternostro di questo tribunale nell'ordinanza di rimessione del 20 luglio 2006 nel procedimento penale n. 2301/2006 R.G.N.R. e n. 567/2006 R.G. Dib. a carico di Cherraki Said. 3) Solo in particolari ipotesi il legislatore ha inteso espressamente sottrarre talune circostanze aggravanti al predetto bilanciamento: e' il caso dell'art. 7, comma 2 del d.l. n. 152 del 1991 che vieta la prevalenza o l'equivalenza delle attenuanti sull'aggravante per aver commesso un delitto avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo; e' ancora il caso del terzo comma dell'art. 1, legge n. 15 del 1980 in relazione all'aggravante della commissione di un reato per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico. 4) Cfir. da ultimo Corte cost. sent. n. 0265 del 2005 che ha ribadito come il principio di offensivita' operi su due piani, rispettivamente, della previsione normativa sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo e dell'applicazione giurisprudenziale (offensivita' in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice (vedi pure le sentenze citate nn. 360/1995, 263 e 519/2000, ove viene definita la duplice sfera di operativita' in astratto e in concreto, del principio di necessaria offensivita', quale criterio di conformazione legislativa delle fattispecie incriminatici e quale canone interpretativo per il giudice. 5) Detto limite si traduce nell'esigenza di ricorrere alla responsabilita' da illecito civile (o amministrativo) per realizzare esigenze di tutela incompatibili con l'esigenza di colpevolezza. 6) Cfr F. Bricola, Teoria Generale del reato, p 82.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma del c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art. 99 quarto comma del c.p. Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la cancelleria provveda alla notifica del presente provvedimento al Presidente del Consiglio dei ministri ed alla sua comunicazione ai Presidenti della Camera e del Senato. Prato, addi' 14 novembre 2006 Il giudice: Petragnani Gelosi 07C0901