N. 515 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 novembre 2006

Ordinanza  emessa  il  28  novembre  2006  dal tribunale di Prato nel
procedimento penale a carico di Adil Abid

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sulle  circostanze  inerenti alla persona del colpevole
  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva
  reiterata)  -  Contrasto  con  il  principio di ragionevolezza e di
  proporzionalita'  della  pena,  quale  accezione  del  principio di
  uguaglianza  -  Violazione del principio della funzione rieducativa
  della pena.
- Codice  penale,  art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.27 del 11-7-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza
    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale n. 4498/06 R.G.N.R. e
n. 1002/06  R.G.  Dib.  a  carico  di Abil Adid, nato in Marocco il 3
gennaio 1980, imputato:
        a)  del delitto p. e p. dall'art. 73, comma 1 e 1- bis d.P.R.
n. 309/1990 perche', senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 stessa
legge  e  fuori  dalle  ipotesi  previste  dall'art. 75 stessa legge,
illecitamente cedeva a Bucelli Alessandro 4,7 gr. di eroina al prezzo
di  100 euro complessivamente, sostanza stupefacente di cui alla tab.
I  prevista  dall'art. 14 della legge medesima. Accertato in Prato il
22 novembre 2006;
        b)  del  delitto p. e p. dall'art. 73, comma 1 e 1-bis d.P.R.
n. 309/1990 perche', senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 stessa
legge  e  fuori  dalle  ipotesi  previste  dall'art. 75 stessa legge,
illecitamente  deteneva  ad evidente fine di successiva rivendita, un
imprecisato quantitativo di eroina, contenuta in un sacchetto gettato
nel  water  al momento dell'intervento della p.g., in cui residuavano
0,87  gr.  della medesima sostanza, sostanza stupefacente di cui alla
tab. I prevista dall'art. 14 della legge medesima. Accertato in Prato
il 22 novembre 2006;
        c)  del  delitto p. e p. dall'art. 73, comma 1 e 1-bis d.P.R.
n. 309/1990 perche', senza l'autorizzazione di cui all'art. 17 stessa
legge  e  fuori  dalle  ipotesi  previste dall'art. 75, stessa legge,
illecitamente cedeva a Bucelli Alessandro in dieci occasioni 5 gr. di
eroina  al  prezzo  di 100 euro ad acquisto, sostanza stupefacente di
cui  alla tab. I prevista dall'art. 14 della legge medesima. In Prato
dai primi di novembre fino al 22 novembre 2006.
    Con la recidiva specifica, intraquinquennale e reiterata.
    Abil  Adid veniva arrestato e portato avanti a questo giudice per
la  convalida  nelle  forme  dei  rito direttissimo. L'arresto veniva
convalidato  in  relazione  al  capo  a)  e  quindi l'imputato veniva
ristretto  in via cautelare in carcere. Il processo proseguiva con la
richiesta  del difensore e l'adesione del p.m., di applicazione della
pena  di  anni  2  di  reclusione  e di Euro 5.000,00 di multa, cosi'
calcolata: pena base calcolata partendo dal fatto di lieve entita' di
cui  al  comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990: anni 1 e mesi 6 di
reclusione  ed Euro 3.000 di multa; aumentata per la recidiva ad anni
2  di  reclusione  ed  Euro  5.000,00  di  multa;  aumentata  per  la
continuazione  (capi b e c), ad anni 3 di reclusione ed Euro 7.500,00
di  multa;  definitivamente  ridotta  di  un  terzo per la diminuente
prevista dal rito.
    In  relazione  della  richiesta  di  applicazione  della  pena si
evidenziano tre problematiche:
        1)   le  parti  hanno considerato l'ipotesi di cui al comma 5
dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 come autonoma fattispecie di reato;
        2)  le  attenuanti e in particolare il fatto di lieve entita'
di  cui  al  comma  5  dell'art. 73,  d.P.R.  n. 309/1990 non possono
prevalere sulla recidiva di cui all'art. 99, comma 4, c.p. in sede di
giudizio  di  bilanciamento  per  effetto  della  modifica  apportata
dall'art.   3   della  legge  5  dicembre  2005  n. 251  al  comma  4
dell'art. 69 c.p.
        3) la congruita' della pena proposta.
    Anzitutto  va  precisato  che  in  base alle indagini svolte e in
particolare  alla  luce  dei sequestri operati e delle s.i.t. rese da
Bucelli  Alessandro  (al  quale  l'imputato  aveva  ceduto gr. 4,7 di
eroina in occasione dell'arresto e analoghi quantitativi dello stesso
stupefacente  sequestrato  in altre dieci occasioni), non sono emerse
in  concreto  situazioni  che comportino il proscioglimento immediato
dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
    Atteso   che   le   parti  hanno  ritenuto  di  riqualificare  la
fattispecie  contestata  nell'ipotesi  attenuata contenuta al comma 5
dell'art. 73   della   legge   stupefacenti,   si   rileva   che   la
giurisprudenza di legittimita' e' univoca 1) nel considerarla ipotesi
circostanziata  attenuata di quella descritta al comma 1 dell'art. 73
stessa  legge.  Ne'  la  situazione puo' dirsi mutata per effetto del
comma  5-bis dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 introdotto dalla novella
del  21 febbraio  2006  con  legge  n. 49  per  il  sol  fatto che la
disposizione  riferendosi al comma 5 parla genericamente di «ipotesi»
e  non specificatamente di circostanza attenuante 2). Da questa prima
conclusione  ne  consegue  che  il  fatto  di  lieve entita' previsto
nell'art.   73   d.P.R.   n. 309  del  1990,  in  quanto  circostanza
attenuante,  non  puo'  essere  esclusa  da  un eventuale giudizio di
bilanciamento  disciplinato  dall'art.  69 c.p. visto che e' dal 1974
che  nel  nostro  ordinamento  penale il giudizio di bilanciamento e'
esteso  a  tutte  le  circostanze  e quindi anche a quelle ad effetto
speciale,   ad  eccezione  di'  quelle  singole  ipotesi  3)  che  il
legislatore   ha   inteso   espressamente   sottrarre   al   predetto
bilanciamento.  Cio'  premesso,  e'  certo  che in considerazione del
quantitativo  di  sostanza  stupefacente  sequestrato  all'imputato e
avuto  riguardo  agli  altri criteri elencati al comma 5 dell'art. 73
legge  stupefacenti,  all'imputato andrebbe riconosciuta l'attenuante
della lieve entita' del fatto.
    Procedendo  oltre,  va  considerato  che  all'imputato  e'  stata
contestata  la recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale. La
contestazione  e'  fondata  sotto tutti i profili poiche' risulta che
all'imputato,  con  il  nome  di Abidel Kalid, e' stata applicata dal
G.i.p.  del  Tribunale  di  Firenze  la  pena  di  anni 1 e mesi 3 di
reclusione  e  di  L. 8.000.000  di  multa per detenzione illecita di
sostanze  stupefacenti  ed altri reati con sentenza emessa l'8 agosto
2001 e divenuta irrevocabile il 1° ottobre 2001; allo stesso imputato
il  Tribunale  di  Firenze  applicava  la  pena di anni 1 e mesi 6 di
reclusione  e di L. 10.000.000,00 di multa per produzione illecita di
sostanza  stupefacenti  e  altro  con  sentenza del 29 settembre 2001
divenuta  irrevocabile  il  24  ottobre 2001); la Corte di appello di
Milano  con sentenza del 26 settembre 2003 (irrevocabile l'8 novembre
2003)  applicava all'imputato la pena di mesi 4 di reclusione ed Euro
771,68  di  multa  per  detenzione  e  cessione  illecite di sostanza
stupefacente.
    Ebbene,   ripeterlo   e'  opportuno,  a  seguito  della  modifica
introdotta  dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nei casi
previsti  dal comma 4 dell'art. 99 (recidiva cosiddetta reiterata) e'
stato   introdotto   il   divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti sulle ritenute aggravanti ed a qualsiasi altra circostanza
per  la  quale  la  legge  stabilisca  una  pena  di specie diversa o
determini la pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.
Cio'  significa  che  nell'attuale  formulazione dell'art. 69, quarto
comma  c.p.  gli imputati recidivi reiterati all'esito di un giudizio
di  bilanciamento  a  loro  favorevole  (nei  limiti consentiti dalla
legge)  potranno  tutt'al piu' ottenere un «ritorno» alla fattispecie
incriminatrice  di  base.  In  dettaglio, l'odierno imputato, siccome
recidivo  reiterato, anche in caso di bilanciamento delle circostanze
in  favor  rei, dovrebbe rispondere della fattispecie del primo comma
dell'art. 73   d.P.R.   n. 309   del  1990  che,  nella  sua  attuale
formulazione,  prevede  una  pena da sei a vent'anni di reclusione ed
una multa da Euro 26.000 ad Euro 300.000.
    Partendo  dalla  pena  minima  e  operata  la  riduzione  massima
prevista  dal primo comma dell'art. 444 c.p.p., all'imputato potrebbe
essere  applicata  una  pena non inferiore a 4 anni di reclusione e a
circa  Euro  18.000,00.  Secondo  questo  giudice, una pena di questa
entita'  e  che  non  tiene  nemmeno  conto  degli  aumenti  di  pena
obbligatori  (e  predeterminati nel caso dei recidivi c.d. reiterati)
per   la   continuazione,  appare  gia'  di  per  se'  manifestamente
sproporzionata rispetto alla gravita' del fatto e, in ultima analisi,
al suo disvalore sociale. Prima della novella del 2005 questo giudice
avrebbe  certamente  ritenuto  il  fatto  di  «lieve  entita» e detta
attenuante   -  peraltro  rigorosamente  oggettiva  -  sarebbe  stata
ritenuta   prevalente   in   sede   di   bilanciamento   rispetto  ad
un'aggravante  strettamente  «inerente  alla  persona  del colpevole»
quale  la  recidiva. D'altronde, i limiti edittali della disposizione
di  cui  al  comma 5 dell'art. 73, d.P.R. n. 309 del 1990, ricompresi
tra  uno e sei anni di reclusione e tra 3.000 e 26.000 euro di multa,
sarebbero  stati  sicuramente  idonei ad esaurire il disvalore penale
del fatto per cui e' processo.
    In  conclusione,  secondo  questo giudice, la pena proposta dalle
parti  sarebbe  congrua  e  proporzionata  rispetto alla gravita' del
fatto  e  alle  finalita'  rieducative  della  pena,  ma  non risulta
applicabile  a  causa  della  novella  del  2005  che ha parzialmente
«blindato»   il   giudizio  di  bilanciamento  delle  circostanze  in
relazione ad una certa categoria di rei (rectius: recidivi reiterati)
e  che  non  consente  a  costoro di «adire» in concreto l'attenuante
della lieve entita' del fatto disciplinata dal comma quinto dell'art.
73, d.P.R. n. 309 del 1990.
    Aspetti   di  incostituzionalita'  paiono  quindi  profilarsi  in
relazione alle seguenti norme:
        a)  all'art. 3  della  Costituzione  e quindi al principio di
ragionevolezza  e  proporzionalita'  della  pena, quale accezione del
principio di uguaglianza.
    Puo'  darsi  per acquisito che il principio di uguaglianza di cui
all'art.  3,  primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata
al  disvalore  del  fatto  illecito  commesso, in modo che il sistema
sanzionatorio  adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale e
a   quella   di   tutela  delle  posizioni  individuali  (cfr.  Corte
costituzionale  n. 408/1989  e  nello stesso senso sentenze nn. 343 e
422  del  1993).  Il  legislatore  del  2005, precludendo ai recidivi
reiterati  ogni  possibilita'  di  ottenere un giudizio di prevalenza
delle circostanze attenuanti, pare avere oltrepassato il limite della
ragionevolezza   nell'esercizio   del  proprio  potere  discrezionale
ponendo  in  essere  una  disparita'  di  trattamento  che  viola  il
principio di uguaglianza.
    L'attuale disciplina del quarto comma dell'art. 69 c.p. impedisce
il  riconoscimento  dell'attenuante  di cui al comma quinto dell'art.
73,  d.P.R.  a  prescindere dal dato quantitativo e qualitativo della
sostanza   stupefacente  detenuta  illecitamente,  facendo  dipendere
siffatta  valutazione dalla ricorrenza di elementi personalistici che
nulla  hanno  a che vedere con la struttura di una circostanza che il
legislatore   aveva   definito   facendo   esclusivo  riferimento  ad
indicatori  di  tipo oggettivo (ovvero: mezzi, modalita', circostanze
dell'azione,  ovvero  qualita'  e  quantita'  delle  sostanze). Dalla
previsione  normativa  novellata nel 2005 possono conseguire non solo
disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  per  situazioni  fattuali
obiettivamente  omogenee:  e'  il  caso  di un quantitativo minino di
sostanza stupefacente detenuta in concorso da due soggetti di cui uno
sia   recidivo   reiterato   e  che  quindi  non  potrebbe  usufruire
dell'attenuante   della   lieve   entita';   ma,   financo,  risposte
sanzionatorie   piu'   gravi  per  casi  di  detenzione  illecita  di
stupefacente  meno gravi: e' il caso di chi, recidivo reiterato,. pur
detenendo  quantitativi  minimi di stupefacente non possa ottenere il
riconoscimento  dell'attenuante  piu'  volte  citata  rispetto a chi,
incensurato, ne detenga quantitativi assolutamente superiori.
    Nel  caso  in  esame,  ad esempio, non c'e' dubbio che potrebbero
usufruire  dell'attenuante  della  lieve entita' del fatto coloro che
detenessero  illecitamente  anche quantitativi ben superiori a quelli
detenuti  dell'imputato  odierno solo perche' incensurati. Ancora, si
consideri  che analoga preclusione vale per i tossicodipendenti e per
gli  assuntori  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope che abbiano
riportato  precedenti  condanne  e  ai  quali sia stata contestata la
recidiva reiterata. Parita' di trattamento imposta dalla disposizione
di cui al comma 4 dell'art. 69 c.p. e che prescinde dalla particolare
situazione  personale  di questi soggetti, che il legislatore ha gia'
dimostrato  di  considerare  in  altre  disposizioni  a fondamento di
previsioni piu' miti volte ad agevolare il recupero sociale di queste
particolari categorie di rei.
        b) all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    La    Consulta   in   diverse   pronunce   ha   riconosciuto   la
costituzionalizzazione   del   principio   di   necessaria  lesivita'
dell'illecito  penale  4).  In  mancanza di una norma espressa in tal
senso,  detto principio e' stato ricavato dalle lettura combinata non
solo  dagli  artt. 25  e  27  Cost. ma anche da un complesso di altri
principi,  quale  in  specie  quello di inviolabilita' della liberta'
personale  ex  art.  13  Cost.,  di  liberta'  di  manifestazione del
pensiero  ex  art.  21  Cost., di liberta' morale sul piano politico,
religioso  ed etico e via dicendo. In tal senso si e' posto l'accento
sulla  locuzione  «fatto  commesso»  contenuta  nell'art. 25, secondo
comma  Cost.  valorizzando il suo stretto collegamento sia con l'art.
27,   primo   comma   che,  sancendo  il  carattere  personale  della
responsabilita'   penale,   impone  altresi'  un  limite  strutturale
dell'illecito penale 5), sia con il terzo comma che, attribuendo alla
pena  funzione rieducativa, implica necessariamente una delimitazione
dell'illiceita' penale ad una sfera selezionata di valori.
    In  relazione  alle conseguenze del reato, mentre l'art. 25 Cost.
distingue  le  pene  (secondo comma) dalle misure di sicurezza (terzo
comma),  l'art.  27, terzo comma pone in luce la funzione rieducativa
della  pena complementare alla ineliminabile funzione retributiva. Un
illustre  insegnamento 6) ha segnalato da tempo l'incostituzionalita'
delle   norme   che   configurino   ipotesi   di  criminose  tali  da
compromettere  la  duplice  funzione della pena e, in particolare, di
norme  che  creino  fattispecie  tali  da  impedire  o  rendere  piu'
difficoltoso  il  reinserimento  sociale  di determinate categorie di
soggetti  gia'  sottoposti  a  sanzione  penale.  Benche' nel caso di
specie  non  venga direttamente in rilievo una sanzione penale bensi'
la  preclusione  imposta  al  giudice  di  formulare  un  giudizio di
prevalenza  di'  una  o  piu'  circostanze  attenuanti  rispetto alla
recidiva  reiterata,  nondimeno  la  nuova formulazione dell'art. 69,
comma  4,  c.p.  pare  censurabile  sotto il profilo della violazione
della funzione rieducativa della pena.
    E'  palese infatti lo squilibrio tra le due funzioni presente nel
nuovo   disposto   normativo   dove   alla  contrazione  dell'aspetto
retributivo  e'  corrisposta una vera e propria invasione della sfera
di   operativita'   delle  misure  di  sicurezza  e/o,  finanche,  di
prevenzione.
    Ora,  poiche'  il potere discrezionale conferito al giudice nella
scelta  e nella quantificazione della pena da irrogare in concreto e'
strettamente funzionale a garantire l'adeguamento della sanzione alle
condizioni  personali  del  reo  e alla sua colpevolezza e quindi, in
ultima   analisi,   a   garantire  il  perseguimento  della  funzione
rieducativa  indicata  dal  comma 3 dell'art. 27 Cost., una riduzione
del    potere   in   questione   trova   il   suo   limite   naturale
nell'impossitilita' per il giudice di irrogare o applicare al reo una
pena proporzionata alla gravita' del fatto commesso.
    Pare  a  questo  giudice  che  codesta  Corte,  sulla  scorta  di
considerazioni  similari,  sia giunta a dichiarare costituzionalmente
illegittime  previsioni  di  sanzioni  penali  ritenendo  che la loro
manifesta  mancanza  di  proporzionalita'  rispetto ai fatti-reato si
traducesse   in   violazioni   dell'art.  27  terzo  comma  Cost.  In
particolare,  la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la palese
sproporzione  del  sacrificio  della  liberta'  personale», provocata
dalla  previsione  di  una  sanzione  penale manifestamente eccessiva
rispetto al disvalore dell'illecito, «produce (...) una vanificazione
del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma,
che  di  quella  liberta'  costituisce  una garanzia istituzionale in
relazione  allo stato di detenzione». A partire almeno dalla sentenza
della Corte cost. 2 luglio 1990 n. 313 la finalita' rieducativa della
pena  non  e'  «limitata  alla  sola  fase  dell'esecuzione»  ma deve
ritenersi    costituire    «una   delle   qualita'   essenziali   che
caratterizzano  la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano
da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
concreto  si  estingue».  Cio'  implica  che la finalita' rieducativa
impronta  di  per  se' anche il momento applicativo della pena che e'
presidiato dagli strumenti normativi offerti al giudice per adeguare,
con   la   maggiore   puntualita'  e  rispondenza  al  fatto  e  alle
caratteristiche del soggetto, il trattamento sanzionatorio. Confligge
quindi, a parere di chi scrive, con tale finalita' la norma dell'art.
69,  comma  4,  c.p.  che,  privando  il  giudice  di un fondamentale
strumento  attuativo della finalita' rieducativa della pena, comporta
l'applicazione  di  pene  microscopicamente  inique  e  irragionevoli
rispetto al reale disvalore del fatto-reato commesso.
    La  questione sollevata appare rilevante nel giudizio de quo dato
che  questo  giudicante ritiene congrua la pena richiesta dalle parti
che  hanno adottato come cornice edittale di base quella prevista dal
comma  quinto  dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ma che per effetto
della  modifica  del  quarto comma dell'art. 69 c.p. non puo' trovare
applicazione.
          1)  Cfr.  da  ultimo Cass. sez. 4, sentenza n. 18377 del 12
          aprile  2006 Ud. (dep. 25 maggio 2006) ed ancora Cass. sez.
          4,  sentenza  n. 38879  del  29 settembre 2005 Ud. (dep. 21
          ottobre  2005)  Rv.  232429  che ha espressamente affermato
          come,    «in   tema   di   stupefacenti,   la   concessione
          dell'attenuante  del fatto di lieve entita' (art. 73, comma
          quinto,  d.P.R.  9 ottobre  1990,  n. 309)  non modifica il
          titolo  del  reato,  ma incide solo sulla valutazione della
          gravita' del fatto»;
          2)  Si  richiamano  le  osservazioni  esposte  dal  Giudice
          Paternostro   di   questo   tribunale   nell'ordinanza   di
          rimessione  del  20 luglio  2006  nel  procedimento  penale
          n. 2301/2006  R.G.N.R.  e n. 567/2006 R.G. Dib. a carico di
          Cherraki Said.
          3)  Solo  in  particolari  ipotesi il legislatore ha inteso
          espressamente  sottrarre  talune  circostanze aggravanti al
          predetto bilanciamento: e' il caso dell'art. 7, comma 2 del
          d.l.   n. 152   del   1991   che   vieta  la  prevalenza  o
          l'equivalenza  delle  attenuanti  sull'aggravante  per aver
          commesso  un  delitto avvalendosi delle condizioni previste
          dall'art. 416-bis  del  codice  penale  ovvero  al  fine di
          agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste dallo
          stesso    articolo;   e'   ancora   il   caso   del   terzo
          comma dell'art.  1,  legge  n. 15  del  1980  in  relazione
          all'aggravante  della commissione di un reato per finalita'
          di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico.
          4)  Cfir.  da ultimo Corte cost. sent. n. 0265 del 2005 che
          ha  ribadito come il principio di offensivita' operi su due
          piani,  rispettivamente,  della  previsione normativa sotto
          forma  di  precetto  rivolto  al  legislatore  di prevedere
          fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo e
          dell'applicazione    giurisprudenziale   (offensivita'   in
          concreto),    quale   criterio   interpretativo-applicativo
          affidato  al  giudice  (vedi  pure  le  sentenze citate nn.
          360/1995,  263  e  519/2000,  ove viene definita la duplice
          sfera  di  operativita'  in  astratto  e  in  concreto, del
          principio  di  necessaria  offensivita',  quale criterio di
          conformazione legislativa delle fattispecie incriminatici e
          quale canone interpretativo per il giudice.
          5)  Detto limite si traduce nell'esigenza di ricorrere alla
          responsabilita'  da  illecito civile (o amministrativo) per
          realizzare  esigenze di tutela incompatibili con l'esigenza
          di colpevolezza.
          6) Cfr F. Bricola, Teoria Generale del reato, p 82.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  69,  quarto comma c.p., come
modificato  dall'art.  3  della  legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella
parte in cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti
sulle  circostanze  inerenti  alla  persona  del  colpevole, nel caso
previsto dall'art. 99, quarto comma c.p.
    Dispone  la  sospensione  del giudizio in corso e la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
    Dispone  che  la  cancelleria provveda alla notifica del presente
provvedimento  al  Presidente  del Consiglio dei ministri ed alla sua
comunicazione ai presidenti della Camera e del Senato.
        Prato, addi' 28 novembre 2006
                    Il giudice: Petragnani Gelosi
07C0903