N. 516 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 2006

Ordinanza  emessa  il  5 dicembre  2006  dal  tribunale  di Prato nel
procedimento penale a carico di Haxhia Naim

Reati  e  pene  -  Circostanze  del  reato  - Concorso di circostanze
  aggravanti  e  attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze
  attenuanti  sulle  circostanze  inerenti alla persona del colpevole
  nel  caso  previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva
  reiterata)  -  Contrasto  con  il  principio di ragionevolezza e di
  proporzionalita'  della  pena,  quale  accezione  del  principio di
  uguaglianza  -  Violazione del principio della funzione rieducativa
  della pena.
- Codice  penale,  art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3
  della legge 5 dicembre 2005, n. 251.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.27 del 11-7-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza.
    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale n. 3841/06 R.G.N.R. e
n. 887/06  R.G.  Dib.  a  carico  di  Haxhia Naim, nato in Albania il
2 gennaio 1978, imputato:
        a)  del  delitto p. e p. dall'art. 73, comma l e 1-bis d.P.R.
n. 309/1990  perche',  senza  l'autorizzazione  di  cui all'art. 17 e
fuori dalle ipotesi previste dall'art. 75 stessa legge, illecitamente
deteneva  ad  evidente fine di successiva rivendita 49,9 grammi lordi
di  cocaina,  sostanza  stupefacente  di cui alla tabella 1^ prevista
dall'art. 14 della legge medesima.
    Accertato in Prato il 20 ottobre 2006.
    Con la recidiva specifica, reiterata ed infraquinquennale.
    Haxhia  Naim  veniva  arrestato e portato avanti a questo giudice
per  la convalida nelle forme dei rito direttissimo. L'arresto veniva
convalidato   e   quindi  l'imputato  veniva  ristretto  in  custodia
cautelare.  Il  giudice  dispone immediata perizia sullo stupefacente
sequestrato  all'imputato.  La perizia determinava in grammi 15,06 la
quantita'  di  principio  attivo  presente nella sostanza sequestrata
(pari  a circa 100 dosi medie singole). Il processo proseguiva con la
richiesta  del difensore e l'adesione del p.m., di applicazione della
pena  di  anni  2  di  reclusione  e di Euro 6.000,00 di multa, cosi'
calcolata previa concessione dell'attenuante del comma 5 dell'art. 73
d.P.R.  n. 309/1990  ritenuta  prevalente  sulla contestata recidiva,
pena  base: anni 3 di reclusione ed Euro 9.000 di multa; pena ridotta
ad  anni  2 di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa per la diminuente
del rito.
    In  relazione  della  richiesta  di  applicazione  della  pena si
evidenziano le seguenti problematiche:
        1)  il  giudizio  di bilanciamento tra circostanze eterogenee
nel  caso  dei  recidivi  reiterati di cui all'art. 99 comma 4 c.p. a
seguito  della  modifica apportata dall'art. 3 della legge 5 dicembre
2005 n. 251 al comma 40 dell'art. 69 c.p.
        2) la congruita' della pena proposta.
    Anzitutto  va precisato che in base alle indagini svolte non sono
emerse  in  concreto  situazioni  che  comportino  il proscioglimento
immediato dell'imputato ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
    Atteso   che   le   parti  hanno  ritenuto  di  riqualificare  la
fattispecie  contestata  nell'ipotesi  attenuata contenuta al comma 5
dell'art. 73   della   legge   stupefacenti,   si   rileva   che   la
giurisprudenza di legittimita' e' univoca 1) nel considerarla ipotesi
circostanziata  attenuata di quella descritta al comma 1 dell'art. 73
stessa  legge.  Ne'  la  situazione puo' dirsi mutata per effetto del
comma  5-bis dell'art. 73 d.P.R. n. 309/1990 introdotto dalla novella
del  21 febbraio  2006  con  legge  n. 49  per  il  sol  fatto che la
disposizione  riferendosi al comma 5 parla genericamente di «ipotesi»
e  non specificatamente di circostanza attenuante 2). Da questa prima
conclusione  ne  consegue  che  il  fatto  di  lieve entita' previsto
nell'art. 73  d.P.R.  309 del 1990, in quanto circostanza attenuante,
non  puo'  essere  esclusa  da un eventuale giudizio di bilanciamento
disciplinato  dall'art. 69  c.p. visto che e' dal 1974 che nel nostro
ordinamento  penale il giudizio di bilanciamento e' esteso a tutte le
circostanze e quindi anche a quelle ad effetto speciale, ad eccezione
di   quelle   singole   ipotesi  3)  che  il  legislatore  ha  inteso
espressamente  sottrarre al predetto bilanciamento. Cio' premesso, e'
certo che in considerazione del quantitativo di sostanza stupefacente
sequestrato all'imputato e avuto riguardo agli altri criteri elencati
al  comma  5  dell'art. 73  legge stupefacenti, all'imputato andrebbe
riconosciuta l'attenuante della lieve entita' del fatto.
    Procedendo  oltre,  va  considerato  che  all'imputato  e'  stata
contestata la recidiva speciifica, reiterata ed infraquinquennale. La
contestazione  e'  fondata  sotto tutti i profili poiche' risulta che
l'imputato  e' stato condannato dalla Corte di appello di Firenze con
sentenza  emessa  il  19 novembre  2002  e  divenuta  irrevocabile il
4 gennaio 2003 alla pena di anni 2 di reclusione ed Euro 10.000,00 di
multa  per  detenzione  illecita di sostanza stupefacente ed e' stato
condannato  dalla  stessa  Corte alla pena di mesi 1 di reclusione ed
Euro 150,00  di  multa  per  invasione  di  edifici  con sentenza del
20 aprile 2003 divenuta irrevocabile il 19 giugno 2003.
    Ebbene,   ripeterlo   e'  opportuno,  a  seguito  della  modifica
introdotta  dall'art. 3  della legge 5 dicembre 2005 n. 251, nei casi
previsti  dal comma 4 dell'art. 99 (recidiva cosiddetta reiterata) e'
stato   introdotto   il   divieto  di  prevalenza  delle  circostanze
attenuanti sulle ritenute aggravanti ed a qualsiasi altra circostanza
per  la  quale  la  legge  stabilisca  una  pena  di specie diversa o
determini la pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato.
Cio'  significa  che  nell'attuale  formulazione dell'art. 69, quarto
comma  c.p.  gli imputati recidivi reiterati all'esito di un giudizio
di  bilanciamento  a  loro  favorevole  (nei  limiti consentiti dalla
legge)  potranno  tutt'al piu' ottenere un «ritorno» alla fattispecie
incriminatrice  di  base.  In  dettaglio, l'odierno imputato, siccome
recidivo  reiterato, anche in caso di bilanciamento delle circostanze
in  favor  rei, dovrebbe rispondere della fattispecie del comma primo
dell'art. 73   d.P.R.   n. 309   del  1990  che,  nella  sua  attuale
formulazione,  prevede  una  pena da sei a vent'anni di reclusione ed
una multa da euro 26.000 ad euro 300.000.
    Partendo  dalla  pena  minima  e  operata  la  riduzione  massima
prevista  dal primo comma dell'art. 444 c.p.p., all'imputato potrebbe
essere  applicata  una  pena non inferiore a 4 anni di reclusione e a
circa  euro  18.000,00.  Secondo  questo  giudice, una pena di questa
entita'  appare  manifestamente sproporzionata rispetto alla gravita'
del fatto e, in ultima analisi, al suo disvalore sociale.
    Prima  della  novella  del 2005 questo giudice avrebbe certamente
ritenuto  il  fatto  di «lieve entita» e detta attenuante- - peraltro
rigorosamente  oggettiva  - sarebbe stata ritenuta prevalente in sede
di  bilanciamento  rispetto  ad  un'aggravante strettamente «inerente
alla  persona  del colpevole» quale la recidiva. D'altronde, i limiti
edittali  della  disposizione  di  cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R.
n. 309  del  1990,  ricompresi tra uno e sei anni di reclusione e tra
3.000  e  26.000 Euro di multa, sarebbero stati sicuramente idonei ad
esaurire il disvalore penale del fatto per cui e' processo.
    In  conclusione,  secondo  questo giudice, la pena proposta dalle
parti  sarebbe  congrua  e  proporzionata  rispetto alla gravita' del
fatto  e  alle  finalita'  rieducative  della  pena,  ma  non risulta
applicabile  a  causa  della  novella  del  2005  che ha parzialmente
«blindato»   il   giudizio  di  bilanciamento  delle  circostanze  in
relazione ad una certa categoria di rei (rectius: recidivi reiterati)
e  che  non  consente  a  costoro di «adire» in concreto l'attenuante
della   lieve   entita'  del  fatto  disciplinata  dal  comma  quinto
dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
    Aspetti  di  incostituzionalita'  paiono  profilarsi in relazione
alle seguenti norme:
        a)  all'art. 3  della  Costituzione  e quindi al principio di
ragionevolezza  e  proporzionalita'  della  pena, quale accezione del
principio di uguaglianza.
    Puo'  darsi  per acquisito che il principio di uguaglianza di cui
all'art. 3,  primo  comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata
al  disvalore  del  fatto  illecito  commesso, in modo che il sistema
sanzionatorio  adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale e
a   quella   di   tutela  delle  posizioni  individuali  (cfr.  Corte
costituzionale  n. 408/1989  e  nello stesso senso sentenze nn. 343 e
422  del  1993).  Il  legislatore  del  2005, precludendo ai recidivi
reiterati  ogni  possibilita'  di  ottenere un giudizio di prevalenza
delle circostanze attenuanti, pare avere oltrepassato il limite della
ragionevolezza   nell'esercizio   del  proprio  potere  discrezionale
ponendo  in  essere  una  disparita'  di  trattamento  che  viola  il
principio di uguaglianza.
    L'attuale disciplina del quarto comma dell'art. 69 c.p. impedisce
il riconoscimento dell'attenuante di cui al comma quinto dell'art. 73
d.P.R.  a  prescindere  dal  dato  quantitativo  e  qualitativo della
sostanza   stupefacente  detenuta  illecitamente,  facendo  dipendere
siffatta  valutazione dalla ricorrenza di elementi personalistici che
nulla  hanno  a che vedere con la struttura di una circostanza che il
legislatore   aveva   definito   facendo   esclusivo  riferimento  ad
indicatori  di  tipo oggettivo (ovvero: mezzi, modalita', circostanze
dell'azione, qualita' e quantita' delle sostanze).
    Dalla  previsione normativa novellata nel 2005 possono conseguire
non  solo  disparita'  di  trattamento  sanzionatorio  per situazioni
fattuali  obiettivamente  omogenee:  e'  il  caso  di un quantitativo
minimo  di sostanza stupefacente detenuta in concorso da due soggetti
di cui uno sia recidivo reiterato e che quindi non potrebbe usufruire
dell'attenuante   della   lieve   entita';   ma,   financo,  risposte
sanzionatorie piu' gravi per casi indiscutibilmente meno gravi: e' il
caso di chi, recidivo reiterato, pur detenendo quantitativi minimi di
stupefacente   non  possa  usufruire  del  trattamento  sanzionatorio
previsto   dall'attenuante   piu'   volte   citata  rispetto  a  chi,
incensurato, ne detenga quantitativi assolutamente superiori.
    Nel  caso  in  esame,  ad esempio, non c'e' dubbio che potrebbero
usufruire  dell'attenuante  della  lieve entita' del fatto coloro che
detenessero  illecitamente  quantitativi  anche  superiori  a  quelli
detenuti  dall'imputato  odierno  sol perche' incensurati. Ancora, si
consideri  che analoga preclusione vale per i tossicodipendenti e per
gli  assuntori  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope che abbiano
riportato  precedenti  condanne  e  ai  quali sia stata contestata la
recidiva   reiterata;   e   cio'   nonostante  il  legislatore  abbia
considerato  lo  stato di tossicodipendenza quale fondamento di tutta
una  serie  di  previsioni  normative piu' miti volte ad agevolare il
recupero sociale di queste particolari categorie di rei.
    Questa  «iniqua  parita»  di  trattamento e' dunque imposta dalla
disposizione  di cui al comma 4 dell'art. 69 c.p. che prescinde dalla
particolare  situazione  personale  di  questi  soggetti tra cui pare
rientrare   l'odierno   imputato   dato   che   il   suo   stato   di
tossicodipendenza  pare comprovato dalle analisi effettuate presso la
A.U.S.L.  in  data 24 ottobre 2006 e che ha accertato l'assunzione di
metadone  da  parte  dell'imputato.  Ne consegue che almeno una parte
dello  stupefacente  sequestrato e' da ritenersi destinato al consumo
personale dell'imputato.
        b) all'art. 27, terzo comma, della Costituzione.
    La    Consulta   in   diverse   pronunce   ha   riconosciuto   la
costituzionalizzazione   del   principio   di   necessaria  lesivita'
dell'illecito  penale  4).  In  mancanza di una norma espressa in tal
senso,  detto principio e' stato ricavato dalle lettura combinata non
solo  dagli  artt. 25  e  27  Cost. ma anche da un complesso di altri
principi,  quale  in  specie  quello di inviolabilita' della liberta'
personale  ex  art. 13  Cost.,  di  liberta'  di  manifestazione  del
pensiero  ex  art. 21  Cost.,  di liberta' morale sul piano politico,
religioso  ed etico e via dicendo. In tal senso si e' posto l'accento
sulla  locuzione  «fatto  commesso»  contenuta  nell'art. 25, secondo
comma   Cost.  valorizzando  il  suo  stretto  collegamento  sia  con
l'art. 27,  primo  comma  che,  sancendo il carattere personale della
responsabilita'   penale,   impone  altresi'  un  limite  strutturale
dell'illecito penale 5), sia con il terzo comma che, attribuendo alla
pena  funzione rieducativa, implica necessariamente una delimitazione
dell'illiceita' penale ad una sfera selezionata di valori.
    In  relazione  alle conseguenze del reato, mentre l'art. 25 Cost.
distingue  le  pene  (secondo comma) dalle misure di sicurezza (terzo
comma),  l'art. 27, terzo comma, pone in luce la funzione rieducativa
della  pena complementare alla ineliminabile funzione retributiva. Un
illustre  insegnamento 6) ha segnalato da tempo l'incostituzionalita'
delle   norme   che   configurino   ipotesi   di  criminose  tali  da
compromettere  la  duplice  funzione della pena e, in particolare, di
norme  che  creino  fattispecie  tali  da  impedire  o  rendere  piu'
difficoltoso  il  reinserimento  sociale  di determinate categorie di
soggetti  gia'  sottoposti  a  sanzione  penale.  Benche' nel caso di
specie  non  venga direttamente in rilievo una sanzione penale bensi'
la  preclusione  imposta  al  giudice  di  formulare  un  giudizio di
prevalenza  di  una  o  piu'  circostanze  attenuanti  rispetto  alla
recidiva  reiterata,  nondimeno  la  nuova formulazione dell'art. 69,
comma 4 c.p. pare censurabile sotto il profilo della violazione della
funzione rieducativa della pena.
    E'  palese infatti lo squilibrio tra le due funzioni presente nel
nuovo   disposto   normativo   dove   alla  contrazione  dell'aspetto
retributivo  e'  corrisposta una vera e propria invasione della sfera
di   operativita'   delle  misure  di  sicurezza  e/o,  finanche,  di
prevenzione.
    Ora,  poiche'  il potere discrezionale conferito al giudice nella
scelta  e nella quantificazione della pena da irrogare in concreto e'
strettamente funzionale a garantire l'adeguamento della sanzione alle
condizioni  personali  del  reo  e alla sua colpevolezza e quindi, in
ultima   analisi,   a   garantire  il  perseguimento  della  funzione
rieducativa   indicata   dal  terzo  comma  dell'art. 27  Cost.,  una
riduzione  del  potere  in  questione  trova  il  suo limite naturale
nell'impossibilita' per il giudice di irrogare o applicare al reo una
pena proporzionata alla gravita' del fatto commesso.
    Si  intende significare che una pena sproporzionata alla gravita'
del  fatto  commesso  non  puo'  ontologicamente  assolvere  a quella
particolare  funzione  che  la Carta costituzionale le demanda ma, al
contrario, la compromette irrimediabilmente.
    Pare  a  questo  giudice  che  codesta  corte,  sulla  scorta  di
considerazioni  similari,  sia giunta a dichiarare costituzionalmente
illegittime  previsioni  di  sanzioni  penali  ritenendo  che la loro
manifesta  mancanza  di  proporzionalita'  rispetto ai fatti-reato si
traducesse   in   violazioni   dell'art. 27,  terzo  comma  Cost.  In
particolare,  la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la palese
sproporzione  del  sacrificio  della  liberta'  personale», provocata
dalla  previsione  di  una  sanzione  penale manifestamente eccessiva
rispetto al disvalore dell'illecito, «produce (...) una vanificazione
del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma,
che  di  quella  liberta'  costituisce  una garanzia istituzionale in
relazione  allo stato di detenzione". A partire almeno dalla sentenza
della  Corte  Cost.  2  luglio  1990 n. 313, la finalita' rieducativa
della  pena  non e' «limitata alla sola fase dell'esecuzione» ma deve
ritenersi    costituire    «una   delle   qualita'   essenziali   che
caratterizzano  la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano
da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in
concreto  si  estingue».  Cio'  implica  che la finalita' rieducativa
impronta  di  se'  anche  il  momento  applicativo  della pena che e'
presidiato dagli strumenti normativi offerti al giudice per adeguare,
con   la   maggiore   puntualita'  e  rispondenza  al  fatto  e  alle
caratteristiche del soggetto, il trattamento sanzionatorio. Confligge
quindi,  a  parere  di  chi  scrive,  con  tale  finalita'  la  norma
dell'art. 69,   comma   4   c.p.  che,  privando  il  giudice  di  un
fondamentale  strumento  attuativo  della finalita' rieducativa della
pena,  comporta  l'applicazione  di  pene  microscopicamente inique e
irragionevoli rispetto al reale disvalore del fatto-reato commesso.
    La  questione sollevata appare rilevante nel giudizio de quo dato
che  questo  giudicante ritiene congrua la pena richiesta dalle parti
che  hanno adottato come cornice edittale di base quella prevista dal
comma  quinto  dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 ma che per effetto
della  modifica  del  quarto comma dell'art. 69 c.p. non puo' trovare
applicazione.
          1)  Cfr.  da  ultimo Cass. sez. 4, sentenza n. 18377 del 12
          aprile  2006 Ud. (dep. 25 maggio 2006) ed ancora Cass. sez.
          4,  sentenza  n. 38879  del  29 settembre 2005 Ud. (dep. 21
          ottobre  2005)  Rv.  232429  che ha espressamente affermato
          come,    «in   tema   di   stupefacenti,   la   concessione
          dell'attenuante  del fatto di lieve entita' (art. 73, comma
          quinto,  d.P.R.  9 ottobre  1990,  n. 309)  non modifica il
          titolo  del  reato,  ma incide solo sulla valutazione della
          gravita' del fatto»;
          2)  Si  richiamano  le  osservazioni  esposte  dal  Giudice
          Paternostro   di   questo   tribunale   nell'ordinanza   di
          rimessione  del  20 luglio  2006  nel  procedimento  penale
          n. 2301/2006  R.G.N.R.  e n. 567/2006 R.G. Dib. a carico di
          Cherraki Said.
          3)  Solo  in  particolari  ipotesi il legislatore ha inteso
          espressamente  sottrarre  talune  circostanze aggravanti al
          predetto bilanciamento: e' il caso dell'art. 7, comma 2 del
          d.l.   n. 152   del   1991   che   vieta  la  prevalenza  o
          l'equivalenza  delle  attenuanti  sull'aggravante  per aver
          commesso  un  delitto avvalendosi delle condizioni previste
          dall'art. 416-bis  del  codice  penale  ovvero  al  fine di
          agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste dallo
          stesso    articolo;   e'   ancora   il   caso   del   terzo
          comma dell'art.  1,  legge  n. 15  del  1980  in  relazione
          all'aggravante  della commissione di un reato per finalita'
          di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico.
          4)  Cfir.  da ultimo Corte cost. sent. n. 0265 del 2005 che
          ha  ribadito come il principio di offensivita' operi su due
          piani,  rispettivamente,  della  previsione normativa sotto
          forma  di  precetto  rivolto  al  legislatore  di prevedere
          fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo e
          dell'applicazione    giurisprudenziale   (offensivita'   in
          concreto),    quale   criterio   interpretativo-applicativo
          affidato  al  giudice  (vedi  pure  le  sentenze citate nn.
          360/1995,  263  e  519/2000,  ove viene definita la duplice
          sfera  di  operativita'  in  astratto  e  in  concreto, del
          principio  di  necessaria  offensivita',  quale criterio di
          conformazione legislativa delle fattispecie incriminatici e
          quale canone interpretativo per il giudice.
          5)  Detto limite si traduce nell'esigenza di ricorrere alla
          responsabilita'  da  illecito civile (o amministrativo) per
          realizzare  esigenze di tutela incompatibili con l'esigenza
          di colpevolezza.
          6) Cfr F. Bricola, Teoria Generale del reato, p 82.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge n. 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 69,  quarto  comma c.p., come
modificato  dall'art. 3  della  legge  5 dicembre 2005, n. 251, nella
parte in cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti
sulle  circostanze  inerenti  alla  persona  del  colpevole, nel caso
previsto dall'art. 99, quarto comma, c.p.
    Dispone  la  sospensione  del giudizio in corso e la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
    Dispone  che  la  cancelleria provveda alla notifica del presente
provvedimento  al  Presidente  del Consiglio dei ministri ed alla sua
comunicazione ai Presidenti della Camera e del Senato.
        Prato, addi' 5 dicembre 2006
                    Il giudice: Petragnani Gelosi
07C0904