N. 517 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 dicembre 2006
Ordinanza emessa il 21 dicembre 2006 dal tribunale di Prato nel procedimento penale a carico di Yonas Mohamed Reati e pene - Circostanze del reato - Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti - Divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. (recidiva reiterata) - Contrasto con il principio di ragionevolezza e di proporzionalita' della pena, quale accezione del principio di uguaglianza - Violazione del principio della funzione rieducativa della pena. - Codice penale, art. 69, comma quarto, come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. - Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.(GU n.27 del 11-7-2007 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Letti gli atti del procedimento penale n. 4752/06 R.G.N.R. e n. 1058/06 R.G. Dib. a carico di Yonas Mohamed, nato a Beirut il 10 ottobre 1955, imputato (vedi foglio allegato); Nell'ambito del giudizio abbreviato instaurato a seguito di convalida dell'arresto di Yonas Mohamed, come sopra generalizzato, operato dai C.C. di Prato in data 9 dicembre 2006, all'odierna udienza, le parti hanno cosi' concluso nel merito: p.m., ritenuta l'ipotesi del quinto comma, art. 73, d.P.R. n. 309/1990 e ritenute concedibili le attenuanti generiche conclude per condanna alla pena di anni quattro e mesi uno di reclusione e 18.000,00 euro di multa, ritenuta l'equivalenza tra la recidiva contestata e le attenuanti suindicate; la difesa, in tesi, assoluzione, in ipotesi applicazione dell'attenuante del quinto comma, art. 73, d.P.R. n. 309/1990 nonche' delle attenuanti generiche, sollecita valutazione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, c.p. laddove non consente di valutare come prevalenti le circostanze attenuanti in relazione agli artt. 3 e 27 Cost. All'esito del giudizio, dubita il tribunale della conformita' dell'art. 69, quarto comma, nella nuova formulazione risultante dalla modifica introdotta dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251. Ritiene il giudicante che alla luce delle risultanze processuali (cfr. verbale di arresto, di perquisizione e sequestro in atti, verbale sit rese da Levoli Luca, accertamento tecnico sulla sostanza), la pubblica accusa abbia dimostrato la fondatezza della contestazione a carico dell'imputato. Tuttavia, pare chiaro a chi scrive che il fatto sia da sussumere nella previsione del quinto comma, dell'art. 73, del d.P.R. n. 309/1990, avuto riguardo al modesto quantitativo detenuto dall'imputato. Se a cio' si aggiunge che, con buona verosimiglianza, parte dello stupefacente era destinato all'uso personale dello Yonas, atteso lo stato di tossicodipendenza dallo stesso dichiarato, l'episodio deve essere sicuramente qualificato come «minore» in relazione alla minima offensivita' per la collettivita'. Tanto premesso, nella fattispecie, e' stata contestata all'imputato la recidiva reiterata (specifica infraquinquennale). Recidiva, che risulta effettivamente dai precedenti gia' riportati dall'imputato. In diritto, corrisponde all'orientamento assolutamente univoco e costante della giurisprudenza di legittimita', tanto da poter definirsi «diritto vivente», quello secondo cui la previsione del quinto comma, dell'art. 73, del d.P.R. n. 309/1990 integrerebbe non una fattispecie autonoma di reato bensi' una circostanza attenuante ad effetto speciale, soggetta come tale - nel concorso con una o piu' circostanze aggravanti - al giudizio di comparazione previsto dall'art. 69 c.p. (cfr. su tutte Cass. ss.uu. n. 9148 del 12 settembre 1991; da ultimo, incidenter tantum, Cass. ss.uu. n. 17 del 21 settembre 2000). Osserva anche la scrivente come su tale inquadramento, frutto di elaborazione giurisprudenziale, non sembri in alcun modo incidere l'attuale previsione di cui al comma 5-bis dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 (introdotto dalla novella legge n. 48 del 27 febbraio 2006), per effetto della quale non puo' ritenersi che il quinto comma, dell'art. 73, cit. contempli oggi un'autonoma fattispecie di reato. Invero, il potere da ultimo riconosciuto al giudice di applicare, su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, la pena del lavoro di pubblica utilita' di cui all'art. 54 del d.l.vo 28 agosto 2000, n. 274, in luogo delle pene detentive e pecuniarie, interviene in un momento in cui l'obiettivita' giuridica del fatto di reato deve ritenersi gia' accertata in tutti i suoi elementi essenziali ed accidentali. Non a caso il potere del giudice e' subordinato alla ritenuta esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Di talche' deve reputarsi non venire in alcun modo alterata, in quanto operante dall'esterno della stessa, la struttura del reato che rimane tipica ed unitaria, anche nella ricorrenza dei presupposti applicativi del quinto comma dell'art. 73. D'altra parte, la configurazione come autonoma fattispecie di reato si scontra con un dettato normativo che vorrebbe la stessa ancorata non a criteri generalmente validi bensi' all'appartenenza dell'autore della condotta ad una particolare categoria di soggetti (tossicodipendenti o assuntori di sostanze stupefacenti o psicotrope) finendo cosi' per delineare una sorta di binario trasversale nell'ambito dello stesso quinto comma dell'art. 73. L'art. 69, quarto comma c.p., nell'attuale formulazione risultante dalla modifica introdotta dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, prevede che nel caso di recidiva reiterata, eventuali circostanze attenuanti potranno tutt'al piu' essere valutate equivalenti rispetto alla recidiva medesima. La conseguenza e' che in questi casi, anche laddove si ravvisassero circostanze attenuanti, la pena dovrebbe essere determinata senza tenerne conto, atteso il disposto dell'art. 69, terzo comma c.p. Nel caso di specie, prima della novella del 2005, l'attenuante del quinto comma, dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 sarebbe stata ritenuta da questo giudicante prevalente rispetto alla recidiva contestata. Nella piena esplicazione del potere discrezionale riconosciuto dall'art. 133 c.p. di adeguare l'entita' della pena alla valutazione del fatto nella sua complessita' - potere di cui il giudizio di comparazione previsto dall'art. 69 c.p. costituisce corollario indefettibile - sarebbe prevalsa la considerazione della non gravita' dell'episodio delittuoso: il modesto quantitativo di stupefacente detenuto (circa un grammo lordo), unito alla condizione di tossicodipendenza del soggetto, e' sicuramente indice di tenue disvalore del fatto e di contenuta pericolosita' sociale della condotta. Tutto cio' anche in considerazione della forbice di pena prevista dal quinto comma, dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, che fra il minimo di un anno ed il massimo di sei anni di reclusione, consente di modulare con assoluta adeguatezza il trattamento sanzionatorio all'effettivo disvalore del fatto. La preclusione ora imposta alla formulazione di un tale giudizio, comporta che, nel caso di specie, la pena minima da infliggere all'imputato, prima dell'applicazione della diminuente per il rito, sarebbe quella di sei anni di reclusione ed euro 26.000 di multa pena che appare manifestamente sproporzionata e non adeguata rispetto alla condotta posta in essere dall'imputato. Dubbi di costituzionalita' appaiono profilarsi in relazione: a) all'art. 3 della Costituzione e quindi al principio di ragionevolezza e proporzionalita' della pena, quale accezione del principio di uguaglianza. E' stato definitivamente chiarito (cfr. Corte costituzionale n. 408/1989) «che il principio di uguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, Cost., esige che la pena sia proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia nel contempo alla funzione di difesa sociale e a quella di tutela delle posizioni individuali; (...) le valutazioni all'uopo necessarie rientrano nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio puo' essere censurato, sotto il profilo della legittimita' costituzionale, soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza» (nello stesso senso sentenze nn. 343 e 422 del 1993). Qui si evidenzia come la preclusione del giudizio di prevalenza posta dal legislatore con la novella del 2005 in un caso come quello in esame - dove e' assai significativa la diversita' del trattamento sanzionatorio fra chi puo' godere dell'attenuante del quinto comma, dell'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 e chi, essendo recidivo reiterato, non puo' goderne - si traduca in ultima analisi in un chiaro vulnus ai principi della proporzionalita' e della ragionevolezza della pena. E' altrettanto evidente come la connotazione soggettiva di recidivo - laddove il range sanzionatorio del quinto comma, dell'art. 73, consente modulazioni adeguate e proporzionali della pena per il caso di soggetto gia' attinto da precedenti penali, non sia in grado di fornire valida giustificazione ad una diversificazione che appare discostarsi da qualunque criterio di ragionevolezza e di proporzionalita'. Sotto questo profilo non appare superfluo considerare come si possa arrivare al paradosso di infliggere, per il reato di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, una pena molto piu' severa ad un recidivo reiterato, attinto per ipotesi da precedenti per ingiuria e minaccia e/o di lesioni, che non ad un soggetto incensurato che tuttavia abbia detenuto un quantitativo di molto superiore al primo. Considerazioni, queste ultime, parimenti estensibili a tutti i casi nei quali il legislatore ha ritenuto di attenersi alla particolare - e non infrequente - tecnica normativa caratterizzata dalla commisurazione della pena-base in relazione alla fattispecie di reato piu' grave e dal passaggio al trattamento sanzionatorio piu' mite attraverso il meccanismo dell'attenuante speciale (ad esempio, art. 648, secondo comma, c.p. e art. 73, d.P.R. n. 309/1990, comma 7). Il che porta ulteriormente a ravvisare disparita' di trattamento tra queste ipotesi e i casi nei quali invece e' stata adottata da parte del legislatore la diversa tecnica normativa attraverso la quale, partendo dall'ipotesi piu' lieve, abbia conformato la pena in aumento in ragione della ricorrenza di circostanze aggravanti (ad esempio, art. 624 c.p.). Ipotesi queste ultime, dove anche un mero giudizio di equivalenza fra la recidiva reiterata e una o piu' circostanze attenuanti, consentirebbe al reo di ottenere il piu' mite trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie semplice. b) aIl'art. 27 della Costituzione, comma terzo. Codesta corte e' giunta negli ultimi anni a dichiarare costituzionalmente illegittime previsioni di sanzioni penali ritenendo che la loro manifesta mancanza di proporzionalita' rispetto ai fatti-reato si traducesse in violazioni dell'art. 27, terzo comma Cost. In particolare, la sentenza n. 343 del 1993 ha affermato che «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale», provocata dalla previsione di una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito, «produce (...) una vanificazione del fine rieducativo della pena prescritto dall'art. 27, terzo comma, che di quella liberta' costituisce una garanzia istituzionale in relazione allo stato di detenzione». Cio' premesso, benche' nel caso di specie non venga direttamente in rilievo una sanzione penale in relazione ad un fatto illecito bensi' la preclusione imposta al giudice di formulare un giudizio di prevalenza di una o piu' circostanze attenuanti rispetto alla recidiva reiterata, nondimeno sembrano formulabili censure di costituzionalita' sotto il profilo della violazione della funzione rieducativa della pena. Si richiama al riguardo il convincimento maturato da codesta Corte a proposito della finalita' rieducativa della pena che non e' «limitata alla sola fase dell'esecuzione» ma deve ritenersi costituire «una delle qualita' essenziali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue». Cio' implica che la finalita' rieducativa impronta di se' anche il momento applicativo della pena che e' presidiato dagli strumenti normativi offerti al giudice per adeguare, con la maggiore puntualita' e rispondenza al fatto e alle caratteristiche del soggetto, il trattamento sanzionatorio. Confligge quindi, a parere di chi scrive, con tale finalita' la norma dell'art. 69, quarto comma, che privando il giudice, in sede di comminatoria della pena, di un fondamentale strumento attuativo della finalita' rieducativa della pena conduce a conseguenze aberranti imponendo una sanzione penale manifestamente eccessiva rispetto al disvalore dell'illecito. La questione proposta appare rilevante nel giudizio de quo, essendo chiamato questo giudicante ad emettere una sentenza di condanna ad una pena non inferiore a quella prevista dall'art. 73, primo comma d.P.R. n. 309/09, e non manifestamente infondata per le considerazioni brevemente svolte.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge n. 87/53; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto comma, c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, nella parte in cui vi e' divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze inerenti alla persona del colpevole, nel caso previsto dall'art. 99, quarto comma, c.p. Dispone la sospensione del giudizio in corso e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la cancelleria provveda alla notifica del presente provvedimento al Presidente del Consiglio dei ministri ed alla sua comunicazione ai presidenti della Camera e del Senato. Prato, addi' 21 dicembre 2006 Il giudice: Paternostro 07C0905