N. 245 SENTENZA 20 giugno - 3 luglio 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Giudizio   di   legittimita'  costituzionale  in  via  incidentale  -
  Intervento  di soggetto, parte di giudizio diverso da quello in cui
  e' stata sollevata la questione - Inammissibilita'.
Ordinamento  giudiziario  -  Conferimento  degli  incarichi direttivi
  giudicanti   e   requirenti   di   primo   e  di  secondo  grado  -
  Partecipazione alla procedura selettiva limitata ai soli magistrati
  che,  al  momento  della  data  della  vacanza  del  posto  messo a
  concorso,  assicurano  almeno  quattro anni di servizio prima della
  data  di  ordinario collocamento a riposo - Censure concernenti una
  disposizione della legge di delegazione e la relativa disposizione,
  di  identico contenuto, del decreto legislativo - Esaurimento della
  efficacia della norma della legge di delegazione, vincolante per il
  solo Governo - Inammissibilita' della questione.
- Legge 25 luglio 2005, n. 150, art. 2, comma 10, lettera a).
- Costituzione, artt. 3, 97 e 105.
Ordinamento  giudiziario  -  Conferimento  degli  incarichi direttivi
  giudicanti  e  requirenti  di primo e di secondo grado - Disciplina
  transitoria  per  il  periodo,  compreso tra il 30 luglio 2005 e il
  31 luglio  2007  - Partecipazione alla procedura selettiva limitata
  ai  soli  magistrati  che,  al momento della data della vacanza del
  posto  messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio
  prima  della  data  di  ordinario  collocamento a riposo - Eccepita
  inammissibilita'  della  questione per inapplicabilita' delle norme
  censurate nei giudizi - Reiezione.
- Legge 25 luglio 2005, n. 150, art. 2, comma 45.
- Costituzione, artt. 3, 97 e 105.
Ordinamento  giudiziario  -  Conferimento  degli  incarichi direttivi
  giudicanti  e  requirenti  di primo e di secondo grado - Disciplina
  transitoria  per  il  periodo,  compreso tra il 30 luglio 2005 e il
  31 luglio  2007  - Partecipazione alla procedura selettiva limitata
  ai  soli  magistrati  che,  al momento della data della vacanza del
  posto  messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio
  prima  della  data di ordinario collocamento a riposo - Conseguente
  esclusione  dei  magistrati che alla predetta data abbiano compiuto
  il sessantaseiesimo anno di eta' - Irragionevolezza manifesta per i
  magistrati  che  hanno  esercitato  il diritto al prolungamento del
  servizio  oltre  la  data  di  ordinario  collocamento  a  riposo -
  Illegittimita'  costituzionale  in  parte  qua - Assorbimento degli
  ulteriori profili.
- Legge  25 luglio  2005, n. 150, art. 2, comma 45; d.lgs. 16 gennaio
  2006, n. 20, art. 3.
- Costituzione, art. 3 (97 e 105).
Ordinamento  giudiziario  -  Disciplina  concernente  il conferimento
  degli incarichi direttivi giudicanti e requirenti di legittimita' -
  Partecipazione alla procedura selettiva limitata ai soli magistrati
  che,  al  momento  della  data  della  vacanza  del  posto  messo a
  concorso,  assicurano  almeno due anni di servizio prima della data
  di  ordinario collocamento a riposo - Illegittimita' costituzionale
  consequenziale in parte qua.
- Legge  25 luglio  2005, n. 150, art. 2, comma 45; d.lgs. 16 gennaio
  2006, n. 20, art. 2.
- Costituzione, art. 3; legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 27.
(GU n.27 del 11-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2, comma 45,
della  legge 25 luglio 2005, n. 150 (Delega al Governo per la riforma
dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12,  per  il  decentramento  del Ministero della giustizia, per la
modifica  della  disciplina  concernente  il  Consiglio di presidenza
della  Corte  dei  conti e il Consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa,  nonche'  per  l'emanazione di un testo unico), e del
combinato  disposto degli artt. 2, comma 10, lettera a), della stessa
legge  n. 150  del  2005 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006,
n. 20   (Disciplina  transitoria  del  conferimento  degli  incarichi
direttivi giudicanti e requirenti di legittimita', nonche' di primo e
secondo   grado,  a  norma  dell'articolo 2,  comma 10,  della  legge
25 luglio  2005, n. 150), promossi con n. 2 ordinanze del 23 febbraio
2007  dal  Tribunale  amministrativo  regionale del lazio sui ricorsi
proposti  da  G.S.  e  da  L.D.N. contro il Consiglio superiore della
magistratura  ed  altri,  iscritte  ai  numeri 238 e 239 del registro
ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 16, prima serie speciale, dell'anno 2007.
    Visti  gli  atti di costituzione di L.D.N. e di L.R., nonche' gli
atti  di  intervento  di  L.D.R.,  di  G.L.,  fuori  termine,  e  del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 19 giugno 2007 e nella camera di
consiglio del 20 giugno 2007 il giudice relatore Gaetano Silvestri;
    Uditi  gli  avvocati  Roberto  Graziosi  per  L.D.R.,  Alberto M.
Quaglia  per  G.L.,  Adriano  Rossi per L.D.N., Tommaso Manferoce per
L.R.  e  l'avvocato  dello  Stato  Enrico Arena per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con ordinanza del 23 febbraio 2007 (r.o. n. 238 del 2007),
il  Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio ha sollevato - con
riferimento  agli artt. 3, 97 e 105 della Costituzione - questioni di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 2,  comma 45,  della  legge
25 luglio   2005,   n. 150   (Delega   al   Governo  per  la  riforma
dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12,  per  il  decentramento  del Ministero della giustizia, per la
modifica  della  disciplina  concernente  il  Consiglio di presidenza
della  Corte  dei  conti e il Consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa,  nonche'  per  l'emanazione di un testo unico), e del
combinato  disposto degli artt. 2, comma 10, lettera a), della stessa
legge  n. 150  del  2005 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006,
n. 20   (Disciplina  transitoria  del  conferimento  degli  incarichi
direttivi giudicanti e requirenti di legittimita', nonche' di primo e
secondo   grado,  a  norma  dell'articolo 2,  comma 10,  della  legge
25 luglio 2005, n. 150).
    Tali  norme  sono oggetto di censura nella parte in cui prevedono
che  gli  incarichi direttivi concernenti uffici giudiziari di merito
possano  essere  conferiti  solo  a  magistrati che assicurino almeno
quattro  anni di servizio prima della data di «ordinario collocamento
a   riposo»   indicata  dall'art. 5  del  regio  decreto  legislativo
31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), cioe' quella
di compimento del settantesimo anno di eta'.
    Il  giudizio  a  quo  e'  stato  promosso  dal  dottor  G.S.  per
l'annullamento  della  delibera  con  la quale il Consiglio superiore
della  magistratura, in data 31 maggio 2006, aveva conferito ad altro
magistrato l'incarico direttivo di presidente d'una corte di appello,
previa  esclusione del ricorrente quale aspirante «non legittimato» a
norma dell'art. 3 del d.lgs. n. 20 del 2006.
    Il   Tribunale  rimettente,  dopo  una  ricognizione  del  quadro
normativo,  ritiene  siano  applicabili  al  caso  di specie, ratione
temporis,  le  disposizioni  transitorie censurate, succedutesi senza
soluzione  di  continuita' nell'attesa che trovi attuazione la delega
conferita  al  Governo  ai  sensi  dell'art. 2,  comma 1, lettera h),
numero  17 della legge n. 150 del 2005: disposizione quest'ultima con
la quale si e' stabilita, in sostanza, l'esclusione dall'accesso agli
incarichi direttivi di merito dei magistrati che abbiano gia' varcato
la soglia del sessantaseiesimo anno di eta'.
    Tale  delega  e'  stata  esercitata  con  l'art. 35  del  decreto
legislativo  5 aprile  2006, n. 160 (Nuova disciplina dell'accesso in
magistratura,  nonche'  in  materia  di  progressione  economica e di
funzioni   dei   magistrati,   a   norma   dell'articolo 1,  comma 1,
lettera a),  della legge 25 luglio 2005, n. 150), la cui efficacia e'
attualmente  sospesa,  fino  alla  data  del  31 luglio 2007, a norma
dell'art. 1,   comma 1,   della   legge   24 ottobre   2006,   n. 269
(Sospensione dell'efficacia nonche' modifiche di disposizioni in tema
di ordinamento giudiziario).
    Peraltro,    come   accennato,   il   legislatore   ha   disposto
l'applicazione  anticipata  della  disciplina  delegata, dapprima con
un'apposita  norma  transitoria  della  stessa  legge  di  delega (il
denunciato   comma 45   dell'art. 2),  e  quindi,  a  far  tempo  dal
28 gennaio  2006,  con  la  nuova disposizione transitoria introdotta
dall'art. 3  del  d.lgs.  n. 20  del  2006, pure denunciato e tuttora
vigente.
    Il  rimettente  censura, in sostanza, sia la norma di transizione
direttamente  approvata  dal  Parlamento  sia  quella  introdotta dal
Governo   attraverso   l'esercizio   dell'apposita  delega  contenuta
nell'art. 2,  comma 10, della citata legge n. 150 del 2005, in questo
secondo   caso   coinvolgendo   nella   censura  anche  la  norma  di
delegazione.
    1.1.  -  Il  Tribunale  ritiene  non  manifestamente infondato il
dubbio   che   la   disciplina   denunciata  contrasti,  per  la  sua
irragionevolezza, con l'art. 3 Cost.
    Premessa  del ragionamento e' la possibilita' per i magistrati di
prolungare  la propria permanenza in servizio ben oltre il termine di
«ordinario  collocamento  a  riposo»,  e cioe' fino al compimento del
settantacinquesimo  anno  di  eta', secondo il disposto dell'art. 16,
comma 1-bis,  del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme
per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati
e  pubblici,  a  norma  dell'articolo 3  della legge 23 ottobre 1992,
n. 421),  aggiunto  dall'art. 34,  comma 12,  della legge 27 dicembre
2002,  n. 289  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003).
    Il  giudice  a  quo  ritiene  irragionevole  che  la  nuova norma
ordinamentale,  finalizzata ad assicurare la continuita' di direzione
dell'ufficio  per almeno un quadriennio, debba essere applicata anche
nei confronti di magistrati i quali, pur trovandosi a meno di quattro
anni  dalla  data «ordinaria» di pensionamento, potrebbero esercitare
le  funzioni  direttive  per  un  periodo  ben  piu'  lungo,  e  cio'
attraverso il mero atto di esercizio d'un diritto potestativo, la cui
attuazione  comporta  il  prolungamento  del  servizio  senza  alcuna
particolarita' di disciplina.
    La  necessita'  di  considerare il futuro periodo di lavoro nelle
sue  dimensioni  concrete,  e non con riguardo alla data di ordinario
collocamento  a  riposo,  sarebbe  comprovata,  secondo il Tribunale,
dalle  disposizioni  concernenti  i magistrati che abbiano subito una
ingiusta  sospensione o, nelle stesse circostanze, abbiano anticipato
il  proprio  pensionamento: e' stabilito infatti, per costoro, che il
quadriennio  a  disposizione  per  l'ufficio  direttivo sia calcolato
aggiungendo, al tempo mancante per il compimento dei settanta anni di
eta',  un  periodo pari a quello della sospensione e del servizio non
espletato  per  l'anticipato collocamento in quiescenza, cumulati fra
loro  (art. 4  del  d.lgs. n. 20 del 2006 e art. 35 del d.lgs. n. 160
del  2006,  in relazione ai commi 57 e 57-bis dell'art. 3 della legge
24 dicembre 2003, n. 350, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2004»,
commi,  rispettivamente, modificato e inserito dall'art. 1, commi 1 e
2,  del  decreto-legge  16 marzo  2004,  n. 66,  recante  «Interventi
urgenti  per i pubblici dipendenti sospesi o dimessisi dall'impiego a
causa   di   procedimento   penale,  successivamente  conclusosi  con
proscioglimento»,  convertito,  con  modificazioni, dall'art. 1 della
legge 11 maggio 2004, n. 126).
    La  disciplina  censurata sarebbe poi irragionevole, a parere del
rimettente,  anche  per  le implicazioni che ne sortirebbero circa la
durata  di fatto degli incarichi conferiti ai magistrati legittimati,
potenzialmente  pari  ad almeno nove anni, con una grave riduzione di
flessibilita'  degli  organigrammi,  non  sufficientemente contenuta,
specie   allo   stato,   dall'ancora  inefficace  disposizione  sulla
temporaneita' degli incarichi direttivi.
    1.2.  -  Gli  elementi  di  irragionevolezza  fin  qui illustrati
concorrono,  nella prospettazione del rimettente, a determinare anche
un   vulnus   al   principio   di   buon   andamento  della  pubblica
amministrazione (art. 97 Cost.).
    Il  Tribunale  muove  dalla normativa secondaria che il Consiglio
superiore   della  magistratura  aveva  adottato,  sulla  materia  in
questione,  con il punto 2 della circolare 8 luglio 1999, P-13000. In
quel contesto, la possibilita' per l'aspirante di garantire almeno un
triennio  di  conduzione  dell'ufficio direttivo costituiva uno degli
elementi  di  valutazione  positiva,  senza  escludere in assoluto la
rilevanza  di  fattori  che  rendessero  accettabile  un periodo piu'
breve.  La ridotta durata del periodo di ulteriore servizio, in altre
parole,  non implicava un difetto di legittimazione per chi aspirasse
all'incarico direttivo.
    Cio'  premesso,  il  rimettente  osserva  che  la  diversa scelta
legislativa,  precludendo  in  astratto la partecipazione ai concorsi
degli  appartenenti  ad  intere fasce generazionali, limita il novero
delle  richieste  valutabili dal Consiglio superiore ed esclude dalla
comparazione   magistrati   portatori,   in  ipotesi,  di  attitudini
superiori  a  quelle  dei concorrenti ammessi, cosi' pregiudicando il
buon andamento dell'amministrazione giudiziaria.
    Il  principio  enunciato  nel  primo  comma  dell'art. 97  Cost.,
d'altronde,  sarebbe vulnerato anche dalla lunghissima durata che, di
fatto,   puo'  contrassegnare,  nell'attuale  regime,  gli  incarichi
direttivi   conferiti  ai  magistrati:  sarebbe  infatti  notorio  il
benefico  influsso  esercitato  su  qualunque  organizzazione,  ed in
specie   su   quelle   pubbliche   deputate  a  funzioni  vitali  per
l'ordinamento,    dal   periodico   ricambio   nelle   posizioni   di
responsabilita',   utile  ad  evitare  eccessivi  personalismi  nello
svolgimento delle funzioni istituzionali.
    1.3.  -  Infine, il Tribunale evoca un possibile contrasto tra le
norme  censurate e l'art. 105 Cost., che precluderebbe al legislatore
ogni  intervento  «sul  concreto atteggiarsi del rapporto di servizio
del  personale di magistratura, attraverso provvedimenti direttamente
intesi a regolare posizioni individuali».
    Il   riferimento  del  Costituente  alle  norme  dell'ordinamento
giudiziario,  quale  cornice  per  l'esercizio delle attribuzioni del
Consiglio   superiore   della  magistratura,  varrebbe  a  delimitare
l'intervento   legislativo   con   riguardo   alle  scelte  di  fondo
sull'organizzazione  giudiziaria  e  sul  personale,  oltre  che alla
disciplina  del  rapporto di servizio dei magistrati. Potrebbe dunque
essere considerato esorbitante, a parere del Tribunale, un intervento
normativo  che,  di  fatto,  restringe  la base per l'esercizio delle
attribuzioni  consiliari  in  materia di «promozione» dei magistrati,
privando   cosi'   il   Consiglio  superiore  della  «prerogativa  di
individuare,   nella   piu'  ampia  platea  composta  dai  magistrati
ultrasessantaseienni,  il  candidato piu' adatto a rivestire un certo
incarico».
    1.4.  -  Le  questioni  sollevate, secondo il giudice a quo, sono
rilevanti   nel  giudizio  principale,  posto  che  l'esclusione  del
ricorrente   dalla   procedura   concorsuale   e'  dipesa  unicamente
dall'applicazione   delle   norme   censurate,   e   che  l'eventuale
dichiarazione  di  incostituzionalita'  di tali norme ridonderebbe in
illegittimita'   (ed   eventuale   caducazione)   del   provvedimento
impugnato,  con conseguente riemersione delle chances di attribuzione
dell'incarico richiesto.
    2.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  con atto depositato in data 8 maggio 2007, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
    2.1.  -  La  difesa  erariale  osserva,  in  primo luogo, che nel
giudizio  a  quo  sarebbero  inapplicabili due delle tre disposizioni
censurate.
    La norma di cui all'art. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005
ha  infatti  cessato  di  avere  efficacia  fin  dal 28 gennaio 2006,
secondo  quanto disposto dall'art. 6 del d.lgs. n. 20 del 2006. Anche
la  norma  di  delegazione  concernente  la  disposizione transitoria
attualmente  vigente  -  l'art. 2, comma 10, lettera a), della citata
legge  n. 150 del 2006 - sarebbe priva di influenza nella regolazione
dei rapporti cui si riferisce il giudizio principale.
    Le questioni proposte sarebbero dunque inammissibili, per difetto
di rilevanza, almeno con riguardo alle norme sopra indicate.
    2.2.  -  Nel  merito, l'Avvocatura dello Stato contesta una delle
premesse  del  ragionamento  del  rimettente, e cioe' che il servizio
prestato  dai  magistrati dopo il compimento del settantesimo anno di
eta'   non   si   distinguerebbe,  sotto  alcun  profilo,  da  quello
antecedente.
    Per  determinare  la  prosecuzione  del rapporto oltre la data di
«ordinario   collocamento   a  riposo»,  infatti,  il  magistrato  e'
sottoposto  all'onere  della  presentazione  di  una  domanda, e cio'
qualificherebbe l'ulteriore svolgimento del servizio come «situazione
giuridica   nuova»,   la   cui   disciplina   sarebbe   rimessa  alla
discrezionalita' legislativa, e ben potrebbe essere differenziata per
ragioni   di   pubblico  interesse  o  per  la  tutela  di  interessi
concorrenti.
    Secondo  la  difesa  erariale l'opzione dalla quale scaturisce la
prosecuzione  del  servizio, che rappresenta una mera eventualita' ed
e'  rimessa alla scelta dell'interessato, e' riconducibile alla sfera
delle  liberta'  individuali  ed  e'  quindi  «insofferente  ad  ogni
possibile  compressione».  Per  tale  ragione  il  conferimento degli
incarichi  direttivi  non  potrebbe  che  «tenere  conto  del normale
termine  di  collocamento  a  riposo  vigente,  in assenza di diverse
iniziative da parte del magistrato».
    2.3.   -  L'Avvocatura  dello  Stato  considera  insussistenti  i
prospettati  profili  di  contrasto  con  i  parametri costituzionali
evocati.
    La  mera  indicazione  di  un criterio selettivo per le procedure
concorsuali,  anzitutto,  non  comporterebbe  alcuna violazione delle
prerogative  riconosciute  dall'art. 105 Cost. al Consiglio superiore
della magistratura.
    La  disciplina  censurata,  per  altro  verso, varrebbe proprio a
garantire   il   buon   andamento  dell'amministrazione  giudiziaria,
assicurando  una  ragionevole continuita' della funzione direttiva e,
dunque, la miglior realizzazione del progetto organizzativo del quale
il nuovo dirigente dell'ufficio deve essere portatore.
    Va  esclusa  infine,  secondo  la  difesa  erariale,  la  pretesa
irrazionalita'  della  disciplina  nella  parte  in cui non misura la
durata  dell'ulteriore servizio sul limite dei settantacinque anni di
eta'.  La  scelta  legislativa si giustificherebbe proprio al fine di
evitare  che  la necessaria continuita' dell'azione organizzativa sia
condizionata  da  evenienze  solo  ipotetiche, e comunque interamente
rimesse a scelte individuali ed incoercibili del magistrato.
    3.  -  Con ordinanza del 23 febbraio 2007 (r.o. n. 239 del 2007),
il  Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio ha sollevato - con
riferimento  agli artt. 3, 97 e 105 Cost. - questioni di legittimita'
costituzionale  dell'art. 2,  comma 45,  della legge n. 150 del 2005,
nonche'  del  combinato  disposto  dell'art. 2, comma 10, lettera a),
della stessa legge n. 150 del 2005 e dell'art. 3 del d.lgs. n. 20 del
2006.
    Tali  norme  sono  censurate nella parte in cui prevedono che gli
incarichi  direttivi  concernenti uffici giudiziari di merito vengano
conferiti  solo  a  magistrati  che assicurino almeno quattro anni di
servizio  con  riferimento  alla  data  di  «ordinario collocamento a
riposo»  di cui all'art. 5 del r.d.lgs. n. 511 del 1946, cioe' quella
di compimento del settantesimo anno di eta' dell'interessato.
    Il rimettente e' investito del ricorso proposto dal dottor L.D.N.
contro  il  provvedimento  con  il quale il Consiglio superiore della
magistratura, nella data del 27 luglio 2006, aveva conferito ad altro
magistrato   l'incarico   direttivo  di  procuratore  generale  della
Repubblica  presso  una  corte  di  appello,  previa  esclusione  del
ricorrente  quale  aspirante  «non  legittimato» a norma dell'art. 2,
comma 45, della legge n. 150 del 2005.
    L'ordinanza  di rimessione, dopo aver affermato anche per il caso
di  specie  la  rilevanza  delle questioni, riproduce testualmente le
osservazioni  e  le censure formulate con l'ordinanza r.o. n. 238 del
2007.
    4.  -  Il  Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto nel
giudizio  con atto depositato in data 8 maggio 2007, chiedendo che le
questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.
    L'atto  riproduce  testualmente  quello depositato, in pari data,
per l'intervento nel giudizio concernente l'ordinanza r.o. n. 238 del
2007.
    5.  -  Con atto depositato in data 3 aprile 2007 si e' costituito
il  dottor  L.D.N.,  ricorrente  nel giudizio a quo, chiedendo che le
questioni   siano  ritenute  fondate  e  che  sia  dunque  dichiarata
l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  censurate dal giudice
rimettente.
    5.1.  -  La  parte,  magistrato  gia'  ammesso  con  delibera del
3 novembre  2004  alla  prestazione del servizio «prolungato» fino al
compimento  del  settantacinquesimo  anno di eta', premette di essere
stata   esclusa   dalla   procedura   concorsuale,   finalizzata   al
conferimento  dell'incarico  di procuratore generale presso una corte
di appello, in applicazione dell'art. 2, comma 45, della legge n. 150
del 2005.
    Nell'atto  di  costituzione  sono  richiamati gli argomenti con i
quali  il ricorrente aveva sollecitato il Tribunale adito a sollevare
le  odierne questioni di costituzionalita'. In sintesi, la disciplina
censurata violerebbe l'art. 3 Cost. perche' pone un limite di accesso
agli  uffici  direttivi  per i soli magistrati ordinari, essendo tale
limite  escluso  -  oltre che per l'Avvocatura dello Stato e per ogni
altro  impiegato  pubblico  -  per  la magistratura contabile, quella
amministrativa,  quella  militare  e  quella  tributaria,  sebbene la
Costituzione  configuri  l'organizzazione  giudiziaria  alla  luce di
principi essenzialmente unitari.
    Ancora,  la  stessa  normativa  sarebbe  irragionevole  in quanto
destinata ad incidere, discriminandoli ingiustamente, su soggetti ben
individuabili  e  determinati,  specie  nei  casi in cui la procedura
concorsuale  era  gia'  stata avviata al momento di entrata in vigore
della riforma («norma fotografia»).
    A  parere della parte, la disciplina, discostandosi senza ragione
dai   criteri   gia'   individuati   dal  Consiglio  superiore  della
magistratura  con  la  propria normazione secondaria, avrebbe violato
anche il principio di buon andamento della pubblica amministrazione.
    Il  legislatore  ha infatti consentito la permanenza negli uffici
direttivi di magistrati anche prossimi ai settantacinque anni di eta'
e,  nel  contempo,  ha  precluso  l'accesso a magistrati che pure, ed
analogamente,  erano gia' stati autorizzati al servizio «prolungato».
Si  sarebbe  poi  limitata  la  possibilita'  di scelta del dirigente
secondo     criteri     di     professionalita'     ed    esperienza,
contraddittoriamente    escludendo    dalla   procedura   concorsuale
magistrati  considerati comunque idonei all'ulteriore esercizio delle
funzioni.   Sarebbero   state  frustrate  ingiustamente,  infine,  le
aspettative  di magistrati esclusi dagli incarichi direttivi dapprima
per  la sistematica prevalenza dei colleghi piu' anziani e poi, senza
fasi intermedie, per un eccesso di anzianita'.
    Tutto  cio'  senza  realmente  assicurare  la durata quadriennale
dell'incarico, poiche' qualunque dirigente designato puo' chiedere ed
ottenere  il  trasferimento  dopo  un  triennio, ed anzi, per i posti
direttivi  apicali,  non  e'  previsto  alcun  termine  minimo per la
permanenza   nell'ufficio   prima  di  nuove  domande  per  ulteriori
incarichi.
    6.  -  Con atto depositato in data 8 maggio 2007 si e' costituito
nel  giudizio  il  dottor  L.R.,  magistrato  cui  e' stato conferito
l'incarico  direttivo  di  procuratore  generale con il provvedimento
impugnato  avanti al Tribunale rimettente, chiedendo che le questioni
siano dichiarate infondate.
    6.1. - La parte osserva, con riferimento alla censura concernente
l'art. 105  Cost.,  che per le norme di ordinamento giudiziario, come
quelle   censurate,  esiste  una  riserva  di  legge,  tanto  che  la
produzione  secondaria  del  Consiglio  superiore  della magistratura
potrebbe investire solo le aree «non normate» in sede legislativa.
    6.2.  -  Con  riguardo, poi, al principio di buon andamento della
pubblica  amministrazione,  la parte rileva come la disponibilita' di
un  congruo  periodo  per  l'attuazione  del  progetto  organizzativo
elaborato  dal dirigente sia considerata necessaria proprio in chiave
di miglior funzionalita' degli uffici giudiziari, tanto che lo stesso
organo di autogoverno della magistratura aveva elaborato in proposito
una  normativa  a  carattere secondario. L'entita' del periodo utile,
d'altro   canto,   sarebbe   questione   tipicamente   rimessa   alla
discrezionalita'  del  legislatore,  il  quale,  trascurando l'ultimo
eventuale  quinquennio  di  carriera dei magistrati, ha semplicemente
stabilito che i nuovi dirigenti non debbano avere piu' di sessantasei
anni,  anche  al  fine di «porre un limite alla deriva gerontocratica
nella direzione degli uffici giudiziari».
    Il  legislatore  del  resto,  ancorando  il  termine alla data di
«ordinario  collocamento  a riposo», avrebbe coerentemente preso atto
del  punto  di equilibrio attualmente istituito, nella disciplina del
pensionamento,   tra  valorizzazione  dell'esperienza  e  decadimento
mediamente   connesso  all'avanzare  dell'eta'.  Se  si  giungesse  a
considerare  superato  un tale punto di equilibrio, andrebbe spostata
in  avanti  la  soglia  per  il collocamento a riposo «ordinario», ed
altrettanto   avverrebbe   allora,  senza  necessita'  di  interventi
modificativi, per i limiti di accesso agli incarichi direttivi.
    E'   vero,   poi,  che  le  vigenti  disposizioni  consentono  ai
magistrati,  attraverso  il mero esercizio di un diritto potestativo,
di  prolungare  il  proprio  servizio  senza  che  si  determini  una
novazione del relativo rapporto. Tuttavia tale situazione non implica
che   la   disciplina   del   servizio   «prolungato»   debba  essere
necessariamente  identica,  per  ogni  aspetto, a quella del servizio
antecedente.  La  direzione  di  un  ufficio richiede, a parere della
parte, energie e risorse diverse da quelle necessarie per l'ordinario
esercizio  della  giurisdizione. La scelta di considerare irrilevante
il  servizio  «prolungato»  - introdotto da una opzione individuale e
non  condizionato da alcun accertamento circa la perdurante capacita'
professionale del magistrato - sarebbe quindi del tutto razionale. In
caso  di  inadeguatezza  dovuta  all'eta'  avanzata,  d'altronde,  le
conseguenze  sarebbero piu' gravi (e meno facilmente diagnosticabili)
se  riferite al dirigente di un ufficio giudiziario, piuttosto che ad
un mero componente dell'ufficio medesimo.
    Va  escluso  ancora,  secondo la difesa della parte, che le norme
censurate   riducano  la  «platea»  degli  aspiranti  agli  incarichi
direttivi  e,  con  essa,  la possibilita' per il Consiglio superiore
della  magistratura  di  valorizzare  le  migliori  professionalita'.
L'esclusione   dei   piu'  anziani  indurrebbe  una  variazione  solo
qualitativa  di  detta  platea,  conferendo opportunita' a magistrati
meritevoli   che  altrimenti,  stante  la  perdurante  vigenza  delle
disposizioni   sui  punteggi  di  anzianita',  non  avrebbero  alcuna
possibilita'  di competere con quelli di eta' molto piu' avanzata. Il
legislatore si e' mostrato razionalmente consapevole, ad avviso della
parte,  che  l'ancoraggio  del termine di legittimazione alla data di
compimento  del  settantacinquesimo anno comporterebbe di fatto, alla
luce  delle difficolta' per una valorizzazione risolutiva di elementi
concernenti   il   merito,  che  quasi  tutti  gli  uffici  direttivi
verrebbero conferiti ad ultrasettantenni.
    Non  contrasterebbe,  con i predetti rilievi, il diverso criterio
che  ispira  il  nuovo  disegno  di  legge  governativo sulla riforma
dell'ordinamento  giudiziario,  attualmente  all'esame del Senato. La
progettata  apertura  ai magistrati piu' anziani, una volta collocata
in  un  contesto che comprende la rotazione degli incarichi direttivi
ed  il  compimento  di  verifiche  quadriennali di professionalita' a
carattere  specifico,  non  impedirebbe  al Consiglio superiore della
magistratura  di  porre  concretamente  a  raffronto,  sulla  base di
elementi  di  valutazione completi ed attendibili, canditati compresi
in fasce di eta' piu' ampie di quelle attuali.
    In  particolare,  la temporaneita' degli incarichi, gia' prevista
anche  dal  d.lgs.  n. 160  del 2006 e solo provvisoriamente sospesa,
varrebbe  ad  escludere che la disciplina vigente comporti una durata
abnorme  della  direzione  dello  stesso  ufficio  giudiziario ed una
dannosa «fissita» degli organigrammi.
    6.3.   -  A  parere  della  parte  privata,  il  sindacato  sulla
razionalita'  delle norme (cioe' quello condotto in assenza di tertia
comparationis    sui    quali   misurare   l'eventuale   connotazione
discriminatoria  delle  norme  medesime)  deve  fermarsi sulla soglia
della non manifesta irragionevolezza.
    Questa  Corte avrebbe talvolta operato anche un vaglio «positivo»
di  ragionevolezza  delle  norme  censurate, ma cio' sarebbe accaduto
solo  a fronte di disposizioni dal significato derogatorio rispetto a
principi  generali  di  rilievo  costituzionale,  ove  la  deroga non
appariva   ragionevolmente   giustificata  (sono  citate,  in  questa
prospettiva, le sentenze n. 26 del 2007 e n. 393 del 2006).
    Nel  caso  di specie uno schema siffatto sarebbe, ad avviso della
parte,  assolutamente  improponibile,  perche' la regola censurata e'
conforme  a  criteri di buona organizzazione e comunque non deroga ad
alcun  principio  di  rilievo  costituzionale, cosi' palesando la sua
piena  pertinenza  al  ragionevole  esercizio  della discrezionalita'
legislativa.
    7. - Nel giudizio concernente l'ordinanza r.o. n. 239 del 2007 e'
intervenuto,  con atto depositato il 29 marzo 2007, il dottor L.D.R.,
parte  di  un  diverso  procedimento  pendente  avanti  al  Tribunale
amministrativo  regionale  del Lazio, promosso mediante un ricorso da
lui  stesso  proposto  contro  il provvedimento con il quale, in data
23 gennaio  2007,  il  Consiglio  superiore  della magistratura aveva
disatteso  la  sua  domanda  per  un  posto di presidente di corte di
appello, conferendo l'incarico ad altro magistrato.
    Secondo  l'interessato,  l'intervento dovrebbe essere considerato
ammissibile   per   garantire   il  suo  diritto  al  contraddittorio
relativamente  ad  una questione gia' sollevata anche nel giudizio da
lui   promosso,  la  cui  soluzione  sarebbe  condizionata,  in  modo
potenzialmente  risolutivo,  dalla  decisione  che  questa  Corte  e'
chiamata ad assumere nel presente giudizio.
    8.   -   Il   5  giugno 2007  e'  stata  depositata  una  memoria
nell'interesse  del  dottor  L.D.N.  (r.o.  n. 239  del  2007), volta
essenzialmente  alla confutazione degli assunti prospettati nell'atto
di costituzione del controinteressato.
    A proposito della finalita' concorrente attribuita al legislatore
-  quella  di  evitare  che  gli uffici direttivi siano esercitati da
persone  troppo anziane - la parte osserva come proprio la disciplina
censurata   realizzi  le  premesse  per  l'esercizio  delle  funzioni
direttive  fino  ai  settantacinque  anni  di  eta',  e  per quasi un
decennio,  ad  opera  dei  magistrati  attualmente  legittimati.  Non
avrebbe  alcuna  giustificazione,  d'altro  canto,  la pretesa di una
diversa  idoneita'  (ratione  aetatis) per l'esercizio delle funzioni
ordinarie   e  di  quelle  direttive,  come  dimostrato  tra  l'altro
dall'assenza  di preclusioni per gli incarichi apicali nella Corte di
cassazione.
    L'irragionevolezza  della disciplina censurata, secondo la parte,
sarebbe  posta  in  chiara  evidenza dalla sua eccentricita' rispetto
alle  soluzioni di opportuna flessibilita' adottate in precedenza dal
Consiglio  superiore della magistratura ed alla normativa vigente per
ogni magistratura diversa da quella ordinaria.
    9.   -   Il   6  giugno 2007  e'  stata  depositata  una  memoria
nell'interesse del dottor L.R., controinteressato nel giudizio di cui
all'ordinanza r.o. n. 239 del 2007.
    Il  giudizio  di ragionevolezza richiede, secondo la difesa della
parte,  la  chiara  individuazione  di  un tertium comparationis, che
nella  specie farebbe difetto, con conseguente inammissibilita' della
questione.  Ove  poi  si  fosse  voluto istituire un raffronto tra la
disciplina  del servizio antecedente e quella del servizio successivo
al  compimento  dei  settanta  anni,  dovrebbe constatarsi che non si
tratta  di corpi normativi in situazione di convivenza incoerente. La
comune   attualita'   del   servizio  prestato  non  esclude  che  il
legislatore   possa   differenziare  il  trattamento  dei  magistrati
riguardo  alla  natura  ed  alla durata delle funzioni esercitate, ed
anzi vi sarebbero nell'ordinamento giudiziario altre situazioni dello
stesso   genere,   che   si  legittimano  alla  luce  di  presunzioni
ragionevoli  di  maggiore  o  minore  idoneita'  allo  svolgimento di
determinate  funzioni  (sono citate le norme sull'accesso agli uffici
di carattere monocratico).
    Si  ribadisce,  nella  memoria,  che non sussisterebbe l'asserita
eccedenza  della  disciplina  censurata rispetto alla ratio della sua
introduzione,  perche'  detta  ratio  non  si limita alla garanzia di
permanenza    minima    nell'ufficio,    investendo    piuttosto   lo
«svecchiamento»  della  dirigenza  degli uffici giudiziari. Per altro
verso, il fatto stesso che il servizio «ordinario» cessi ancor oggi a
settanta  anni  delegittima,  sempre a parere della parte, la pretesa
necessita'    di   una   considerazione   indistinta   del   servizio
«prolungato».
    La circostanza che l'avanzamento di eta' oltre i sessantasei anni
non rileva per i magistrati ingiustamente sottoposti a sospensione (e
in  altri  casi  analoghi)  si  spiegherebbe, ancora, alla luce delle
finalita' «risarcitorie» sottese alla deroga.
    Da ultimo, la parte osserva che la comparazione con la disciplina
degli  incarichi  direttivi  per  altri corpi giudiziari non e' stata
proposta  dal  rimettente,  ma  solo dal controinteressato, e in ogni
caso  varrebbe  a  dimostrare,  semmai, l'irrazionalita' delle regole
invocate in comparazione.
    10.  -  In  data  8  giugno 2007  e' stato depositato, sempre con
riguardo  al  giudizio  concernente  l'ordinanza  di  rimessione r.o.
n. 239  del  2007, atto di intervento nell'interesse del dottor G.L.,
recentemente  designato  quale  presidente  di  una  corte di appello
all'esito  della  procedura concorsuale dalla quale e' stato escluso,
in  applicazione  delle norme censurate, il gia' citato dottor L.D.R.
Anche  secondo il nuovo interveniente, la costituzione delle parti di
giudizi  con  oggetto  analogo  a  quello del procedimento a quo, nei
quali  gia'  sia stata sollevata la stessa questione posta ad oggetto
del   giudizio   incidentale,   sarebbe   legittimata  dall'incidenza
sostanziale della relativa decisione sulla posizione di quelle stesse
parti,   e   dalla   necessita'  di  evitare  che  l'opportunita'  di
interlocuzione  avanti alla Corte sia condizionata dai «sidera lites»
che  hanno  determinato  la  trattazione piu' sollecita di una tra le
molte controversie dello stesso genere.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato
-  in  riferimento  agli  artt. 3,  97  e  105  della  Costituzione -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 45, della
legge  25 luglio  2005,  n. 150  (Delega  al  Governo  per la riforma
dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12,  per  il  decentramento  del Ministero della giustizia, per la
modifica  della  disciplina  concernente  il  Consiglio di presidenza
della  Corte  dei  conti e il Consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa,  nonche'  per  l'emanazione di un testo unico), e del
combinato  disposto degli artt. 2, comma 10, lettera a), della stessa
legge  n. 150  del  2005 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio 2006,
n. 20   (Disciplina  transitoria  del  conferimento  degli  incarichi
direttivi giudicanti e requirenti di legittimita', nonche' di primo e
secondo   grado,  a  norma  dell'articolo 2,  comma 10,  della  legge
25 luglio 2005, n. 150).
    Tali  norme  sono oggetto di censura nella parte in cui prevedono
che  gli  incarichi direttivi concernenti uffici giudiziari di merito
siano  conferiti solo a magistrati che assicurino almeno quattro anni
di  servizio  prima  della  data di «ordinario collocamento a riposo»
indicata  dall'art. 5  del  regio decreto legislativo 31 maggio 1946,
n. 511  (Guarentigie  della magistratura), cioe' quella di compimento
del settantesimo anno di eta' dell'interessato.
    Il  rimettente ha proposto le questioni indicate con due distinte
ordinanze  di  analogo  tenore, deliberate nell'ambito di altrettanti
procedimenti,  e  poiche' i provvedimenti riguardano le stesse norme,
ed  evocano gli stessi parametri costituzionali, puo' procedersi alla
riunione dei relativi giudizi.
    2.  -  In  via  preliminare, va ribadita l'inammissibilita' degli
interventi  spiegati  dai dottori L.D.R. e G.L. nel procedimento r.o.
n. 239  del  2007.  Come  ricordato  nell'ordinanza gia' deliberata e
pubblicata nel corso dell'udienza, possono partecipare al giudizio di
legittimita'  costituzionale,  per  costante giurisprudenza di questa
Corte,  le sole parti del giudizio principale ed i terzi portatori di
un   interesse   qualificato,  immediatamente  inerente  al  rapporto
sostanziale  dedotto  nel  giudizio  e non semplicemente regolato, al
pari di ogni altro, dalla norma oggetto di censura.
    3.  -  La  questione  relativa  all'art. 2, comma 10, lettera a),
della legge n. 150 del 2005 e' inammissibile.
    3.1.  - La disposizione sopra citata e' contenuta in una legge di
delegazione  ed  esprime  una  norma  di  contenuto identico a quella
introdotta  in  attuazione  della  delega,  cioe' l'art. 3 del d.lgs.
n. 20 del 2006. Si tratta della disciplina transitoria dettata per il
periodo  antecedente  all'entrata  in  vigore delle norme di cui alla
lettera h), numero 17, del comma 1 dell'art. 1 della menzionata legge
di delegazione.
    A  prescindere  da  ogni  considerazione  sull'uso,  da parte del
giudice   rimettente,   dell'espressione  «combinato  disposto»,  per
indicare  due  norme uguali contenute in due diverse disposizioni, si
deve  rilevare che l'art. 2, comma 10, lettera a), della legge n. 150
del  2005  ha esaurito la propria funzione con lo spirare del termine
di sei mesi in esso previsto per l'esercizio della delega legislativa
da  parte  del  Governo. Tale delega e' stata esercitata - come prima
ricordato  -  con  l'art. 3  del  d.lgs.  n. 20  del  2006.  La norma
delegante  ha  pertanto  spiegato  effetti,  nel  periodo  della  sua
vigenza,  solo  nei  confronti  del Governo. Di conseguenza, essa non
poteva  essere  applicata nei giudizi a quibus e quindi doveva essere
considerata come irrilevante nell'ambito degli stessi.
    4.  -  La  questione relativa agli artt. 2, comma 45, della legge
n. 150 del 2005 e 3 del d.lgs. n. 20 del 2006 e' fondata.
    4.1.  - Va disattesa innanzitutto l'eccezione di inammissibilita'
formulata  dall'Avvocatura  dello  Stato  con riferimento all'art. 2,
comma 45,  della  legge  n. 150 del 2005 e fondata sulla presunta non
applicabilita'  della  suddetta  disposizione,  la  cui  efficacia e'
cessata dal 28 gennaio 2006.
    In  una  delle  due  ordinanze introduttive del presente giudizio
(r.o.  n. 239  del  2007)  si  chiarisce  che  il  provvedimento  del
Consiglio  superiore  della  magistratura  assunto  in data 31 maggio
2006, con il quale il ricorrente era stato dichiarato non legittimato
ai  fini della partecipazione ad un concorso per l'attribuzione di un
ufficio  direttivo  di  merito, e' basato esplicitamente sull'art. 2,
comma 45,  della legge n. 150 del 2005, in vigore sia alla data della
vacanza  del  posto,  quale  risulta  dallo  stesso atto introduttivo
(1 luglio  2005),  sia  alla  data  della  indizione  della procedura
selettiva   da  parte  del  Consiglio  superiore  della  magistratura
(8 settembre 2005), parimenti riportata nell'ordinanza di rimessione.
Il  Tribunale  rimettente  doveva  applicare  nel  giudizio  pendente
davanti  a  se'  proprio  la  disposizione  da  ultimo ricordata, che
risulta  pertanto  rilevante  nel medesimo procedimento e rende cosi'
ammissibile la censura di incostituzionalita' ad essa riferita.
    4.2. - Gli artt. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005 e 3 del
d.lgs.   n. 20   del  2006  sono  in  contrasto  con  l'art. 3  della
Costituzione per i motivi di seguito specificati.
    Secondo  le  due  disposizioni  citate,  che contengono la stessa
disciplina,  i  magistrati  che  abbiano compiuto il sessantaseiesimo
anno   di   eta'   sono   esclusi   dalla   procedura  selettiva  per
l'attribuzione  di  un  incarico  direttivo  di  merito (l'art. 3 del
d.lgs.   n. 20  del  2006  precisa  che  occorre  aver  riguardo,  in
proposito, alla data di vacanza del posto), poiche' non sono in grado
di   assicurare   quattro   anni   di   servizio   prima  della  data
dell'ordinario collocamento a riposo, fissata a settanta anni di eta'
dall'art. 5 del r.d.lgs. n. 511 del 1946.
    La   scelta   del  legislatore  di  riservare  l'attribuzione  di
incarichi  direttivi  ai  magistrati  che  possano garantire un certo
numero  di  anni  di  esercizio  degli  stessi  mira a realizzare una
congrua   continuita'   nell'espletamento   delle  delicate  funzioni
direttive   degli   uffici  giudiziari  e  ad  evitare  con  cio'  il
conferimento  degli  stessi  incarichi  per  periodi troppo brevi. Si
tratta di una non irragionevole finalita' di efficienza, che non puo'
essere  sindacata  da  questa  Corte,  cosi'  come  non  puo'  essere
sindacato  il numero di anni considerato dal legislatore necessario e
sufficiente per conseguire il predetto scopo.
    Nel complessivo impianto della delega legislativa, la regola oggi
censurata  si  accompagnava  al  principio  della temporaneita' degli
incarichi  direttivi  negli  uffici  giudiziari di merito (sino ad un
massimo  di  sei  anni  introdotto  dall'art. 2, comma 1, lettera m),
numero  3, della legge n. 150 del 2005). In tal modo si integravano e
si  equilibravano le ragioni complementari della congrua durata degli
incarichi  direttivi  e  della  rotazione  degli  stessi, riservati a
magistrati   che,   in   ogni   caso,   non   avessero   superato  il
settantaduesimo anno di eta'.
    Nella  medesima  legge  di  delegazione  legislativa veniva pero'
inserita  una  norma  transitoria  che estrapolava uno degli elementi
costitutivi  della  disciplina  «a  regime» per il conferimento degli
incarichi  direttivi, anticipandone l'efficacia e con cio' producendo
uno  squilibrio  nella  regolazione della materia, che ha determinato
una  contraddizione  irragionevole tra la norma censurata e la stessa
ratio  della legge di riforma. Separare la prescrizione sull'eta' dei
concorrenti  da  quella sulla temporaneita' degli incarichi direttivi
ha   avuto  l'effetto  di  porre  i  magistrati  che  hanno  compiuto
sessantasei  anni  alla data della vacanza del posto in una posizione
inutilmente  ed irragionevolmente svantaggiata rispetto a coloro che,
alla stessa data, non avessero raggiunto tale eta'.
    Il  punto  di  riferimento  per  il  computo  dei quattro anni di
servizio  rimanenti  -  richiesti dalla norma censurata al fine della
legittimazione   a  concorrere  per  l'assegnazione  di  un  incarico
direttivo  -  era ragionevolmente individuato nella data di ordinario
collocamento  a  riposo in un contesto normativo ove si prevedeva che
comunque,  dopo sei anni al massimo, l'incarico stesso dovesse essere
affidato ad altri. Cosi' impostata la disciplina, si sarebbe ottenuto
il  risultato  ulteriore  di  non  consentire  ad alcun magistrato di
occupare un ufficio direttivo dopo il settantaduesimo anno di eta'.
    La   scissione  tra  le  due  sopra  ricordate  componenti  della
disciplina  ha  determinato invece una irragionevole esclusione dalle
procedure  selettive  di  coloro che, pur avendo compiuto sessantasei
anni  di  eta'  alla data della vacanza del posto, sono ugualmente in
grado   di   assicurare   almeno  altri  quattro  anni  di  servizio,
avvalendosi  del diritto a prolungare la propria permanenza nei ruoli
della  magistratura  sancito  dall'art. 16,  comma 1-bis, del decreto
legislativo  30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del
sistema  previdenziale  dei  lavoratori  privati  e pubblici, a norma
dell'art. 3   della   legge   23 ottobre   1992,   n. 421),  aggiunto
dall'art. 34,   comma 12,   della   legge  27 dicembre  2002,  n. 289
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  -  legge finanziaria 2003). L'esercizio di tale diritto
non   e'   assoggettato   ad   alcuna   condizione,   mentre  nessuna
discrezionalita'   e'   concessa   al   Consiglio   superiore   della
magistratura    in   ordine   all'accoglimento   della   domanda   di
trattenimento in servizio sino al settantacinquesimo anno di eta'.
    Di  tale  diritto  godono  tutti  i  magistrati,  sia che abbiano
ottenuto    un   ufficio   direttivo   prima   del   compimento   del
sessantaseiesimo  anno  di  eta', sia che non abbiano avuto accesso a
funzioni  direttive  prima  di  superare la soglia di eta' preclusiva
della  partecipazione  alle  procedure  selettive. Si e' prodotta, di
conseguenza,  la  singolare situazione, in base alla quale coloro che
hanno   ottenuto   l'incarico  direttivo  prima  del  compimento  dei
sessantasei  anni  possono mantenerlo sino a settantacinque anni (per
almeno  nove  anni),  mentre  i  loro colleghi che non hanno ottenuto
l'incarico  prima del limite di eta' previsto dalla legge restano per
sempre   esclusi.   L'effetto  pratico  di  tale  situazione  e'  che
magistrati  della  stessa anzianita' vengono considerati idonei o non
idonei  ad  esercitare  un  ufficio  direttivo  a  seconda se abbiano
ottenuto  o  meno  il  relativo  incarico  prima  del  compimento del
sessantaseiesimo anno, quasi che la partecipazione con esito positivo
ad  un  concorso prima di tale soglia di eta' si proietti sul futuro,
assicurando  l'idoneita'  del  magistrato  in questione a svolgere le
funzioni  direttive anche dopo il superamento della data di ordinario
collocamento  a  riposo,  considerata  invece limite invalicabile, ai
fini della legittimazione, per gli ultrassessantaseienni.
    Le  differenziate  prognosi di idoneita/inidoneita' per il futuro
riferite  alle  due  categorie  di magistrati sono prive di qualsiasi
giustificazione razionale, giacche', a parita' di anzianita', gli uni
possono  continuare  a  dirigere l'ufficio gia' ricoperto, mentre gli
altri  sono  stati ritenuti in partenza inidonei a svolgere le stesse
funzioni,  sol  perche'  la norma censurata non prevede che la durata
minima  nell'incarico  prescritta  dalla legge possa essere garantita
anche  in  seguito  all'esercizio  del  diritto  al prolungamento del
servizio oltre il settantesimo anno di eta'.
    La ratio legis, che puo' agevolmente desumersi dalla normativa «a
regime»  prevista  dalla  legge  di  delega, viene contraddetta dalla
disciplina  transitoria,  giacche'  risulta  vanificato  sia  il fine
dell'abbassamento  dell'eta'  utile  per diventare titolari di uffici
direttivi  della  giurisdizione  ordinaria sia quello della rotazione
degli stessi. Lo scopo di riservare i suddetti incarichi a magistrati
relativamente  meno  anziani  e' contraddetto dalla possibilita', per
coloro  che  ottengono  l'ufficio  prima  dei  sessantasei  anni,  di
mantenerlo  sino al compimento dei settantacinque anni. Il fine della
rotazione  e'  ugualmente contraddetto dalla medesima facolta' di cui
dispongono  i  magistrati in questione. L'unico risultato che residua
e'  l'esclusione  dalle  procedure selettive dei magistrati che, alla
data  della vacanza del posto messo a concorso, abbiano gia' compiuto
sessantasei anni di eta'.
    L'esclusione e' manifestamente irragionevole in quanto si pone in
contrasto  con  le  finalita'  stesse della legge in cui e' contenuta
come  norma  transitoria. Tale irragionevolezza si e' inevitabilmente
trasmessa  all'art. 3  del  d.lgs.  n. 20  del 2006, attuativo di una
delega  (conferita  con  l'art. 2,  comma 10, lettera a), della legge
n. 150   del  2006)  che  riproduce  integralmente  detta  disciplina
transitoria, ulteriormente riprodotta nella norma delegata.
    Questa  Corte  ha  gia'  da  tempo  precisato  che il giudizio di
ragionevolezza  consiste  in  «un apprezzamento di conformita' tra la
regola  introdotta  e  la  «causa»  normativa  che la deve assistere»
(sentenza   n. 89   del  1996).  Nel  caso  di  specie,  l'intrinseca
contraddizione   rilevabile   all'interno   della   disciplina  della
particolare   materia  del  conferimento  degli  incarichi  direttivi
giudiziari  si risolve, nella pratica, nell'ingiustificata esclusione
da  un  diritto - la partecipazione alle procedure selettive - di una
categoria  di  soggetti, i magistrati ultrasessantaseienni, senza che
tale limitazione della loro sfera giuridica sia basata su finalita' o
interessi coerenti rispetto alla stessa e conformi a Costituzione.
    La  liberta'  di  scelta  del  legislatore  trova il suo limite -
secondo  il consolidato orientamento di questa Corte - nel divieto di
trattamenti  giuridici  differenziati,  di cui non sia dato capire la
motivazione    logica   e   razionale,   alla   luce   dei   principi
costituzionali.  Le norme che incorrono in tale divieto si pongono in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
    La  disciplina  censurata  dal  rimettente  risulta  illegittima,
dunque,  nella  parte in cui non prevede che possano partecipare alle
procedure  selettive  per  gli  incarichi  direttivi  negli uffici di
merito   i   magistrati   che   abbiano   esercitato  il  diritto  al
prolungamento  del  servizio ex art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, e
cosi'  assicurino,  comunque,  la  permanenza per almeno quattro anni
nell'incarico.
    5.  -  Restano  assorbiti  gli  altri  profili delle questioni di
legittimita'    costituzionale   prospettati   nelle   ordinanze   di
rimessione.
    6.  -  L'art. 2, comma 45, della legge n. 150 del 2005 e l'art. 2
del  d.lgs. n. 20 del 2006 contengono norme identiche a quelle di cui
sopra  si e' accertata l'illegittimita' costituzionale, riferite agli
incarichi direttivi di legittimita'. Fermo restando il periodo di due
anni  di  servizio che i magistrati aspiranti a tali incarichi devono
assicurare - frutto di scelta insindacabile del legislatore - si deve
dichiarare,  ai  sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
l'illegittimita'  costituzionale,  in via consequenziale, dell'art. 2
del  d.lgs.  n. 20  del  2006, sinora vigente, e dell'inciso relativo
agli  incarichi  direttivi  di  legittimita'  contenuto  nell'art. 2,
comma 45,  della  legge  n. 150 del 2005, per il periodo in cui detta
disposizione  e' rimasta in vigore ed ha spiegato effetti, sulla base
delle  medesime  argomentazioni  sviluppate  nel  paragrafo  4.2. che
precede.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara    inammissibile    la    questione    di   legittimita'
costituzionale   dell'art. 2,   comma 10,   lettera a),  della  legge
25 luglio   2005,   n. 150   (Delega   al   Governo  per  la  riforma
dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941,
n. 12,  per  il  decentramento  del Ministero della giustizia, per la
modifica  della  disciplina  concernente  il  Consiglio di presidenza
della  Corte  dei  conti e il Consiglio di presidenza della giustizia
amministrativa,   nonche'   per  l'emanazione  di  un  testo  unico),
sollevata, con riferimento agli artt. 3, 97 e 105 della Costituzione,
dal  Tribunale  amministrativo  regionale del Lazio, con le ordinanze
indicate in epigrafe;
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 45,
della  legge  n. 150  del 2005 e 3 del decreto legislativo 16 gennaio
2006,  n. 20 (Disciplina transitoria del conferimento degli incarichi
direttivi giudicanti e requirenti di legittimita', nonche' di primo e
secondo   grado,  a  norma  dell'articolo 2,  comma 10,  della  legge
25 luglio  2005,  n. 150),  nella parte in cui non prevedono che alle
procedure  di selezione per il conferimento degli incarichi direttivi
di  uffici giudiziari di primo e di secondo grado possano partecipare
i  magistrati  che,  per avere esercitato il diritto al prolungamento
del  servizio  oltre  la  data  di  ordinario  collocamento a riposo,
previsto  dalle  norme  vigenti,  assicurino  comunque  la permanenza
nell'incarico per almeno quattro anni;
    Dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
l'illegittimita'   costituzionale,   in   via  consequenziale,  degli
artt. 2,  comma 45,  della legge n. 150 del 2005 e 2 del d.lgs. n. 20
del  2006,  nella  parte  in  cui non prevedono che alle procedure di
selezione  per  il  conferimento  degli incarichi direttivi di uffici
giudiziari  di legittimita' possano partecipare i magistrati che, per
avere  esercitato  il  diritto al prolungamento del servizio oltre la
data  di  ordinario  collocamento  a  riposo,  previsto  dalle  norme
vigenti,  assicurino  comunque la permanenza nell'incarico per almeno
due anni.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Silvestri
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 3 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
                                                             Allegato
           Ordinanza letta all'udienza del 19 giugno 2007
    Rilevato  che  nel  presente giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale  sono  intervenuti anche soggetti che non rivestono il
ruolo di parti nel giudizio principale;
        che,  in  particolare,  il  dottor L.D.R. e il dottor G.L. si
sono  costituiti  nella  loro  qualita' di parti d'un giudizio la cui
soluzione  dipenderebbe dall'applicazione delle norme censurate nella
presente  sede,  e  nel  cui  ambito  e' stata sollevata questione di
legittimita'   costituzionale   analoga   a  quella  che  costituisce
l'oggetto del presente giudizio;
        che,  per  costante  giurisprudenza  di questa Corte, possono
partecipare  al giudizio di legittimita' costituzionale le sole parti
del  giudizio  principale  ed  i  terzi  portatori  di  un  interesse
qualificato,  immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto
nel  giudizio  e  non  semplicemente regolato, al pari di ogni altro,
dalla norma oggetto di censura;
        che  l'inammissibilita'  dell'intervento  non  viene  meno in
forza  della pendenza di un procedimento analogo a quello principale,
eventualmente  sospeso in via di fatto nell'attesa della pronuncia di
questa  Corte,  posto che la contraria soluzione risulterebbe elusiva
del    carattere    incidentale    del   giudizio   di   legittimita'
costituzionale,   implicando   l'accesso   delle   parti  prima  che,
nell'ambito  della  relativa  controversia,  sia  stata verificata la
rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione;
        che  tale  considerazione resta valida anche per il caso che,
nel  diverso  giudizio,  sia  gia'  stata  prospettata,  e non ancora
delibata  dal  giudice  procedente,  una  questione  di  legittimita'
(asseritamente) analoga a quella in considerazione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibili  gli  interventi  del dottor L.D.R. e del
dottor G.L.
                         Il Presidente: Bile
07C0907