N. 523 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 2007
Ordinanza emessa il 7 febbraio 2007 dal tribunale di Biella nel procedimento penale a carico di Miglietti Michele Reati e pene - Casi di non punibilita' - Reato di favoreggiamento personale - False o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere, in quanto persona indagata di reato probatoriamente collegato, a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b) cod. proc. pen., a quello (commesso da altri) cui le dichiarazioni stesse si riferiscono - Esclusione della punibilita' - Mancata previsione - Disparita' di trattamento rispetto ad ipotesi analoga - Irragionevolezza - Richiamo alla sentenza n. 416 del 1996 della Corte costituzionale. - Codice penale, art. 384, comma secondo. - Costituzione, art. 3.(GU n.28 del 18-7-2007 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento penale n. 1330/05 r.g.trib., a carico di Miglietti Michele, difeso d'ufficio dall'avv. Fabio Giannotta, imputato del reato di cui all'art. 378 c.p.; Sentiti il difensore dell'imputato e il p.m.; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza dibattimentale del 17 gennaio 2007 ha pronunciato la seguente ordinanza avente ad oggetto il rilievo d'ufficio della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 384 comma 2, c.p., in riferimento all'art. 3 Cost.; In punto di fatto (e secondo la specifica delimitazione dell'ipotesi accusatoria) deve preliminarmente evidenziarsi come all'odierno imputato venga addebitata la consumazione del reato di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), «perche', assunto a sommarie informazioni dai militari del R.O.N.O. dei Carabinieri di Biella relativamente al possesso e all'acquisto di sostanza stupefacente di tipo hashish - in particolare di grammi 8,490 ceduti al medesimo da Muccilli Vito in data 19 aprile 2004 in Ponderano -, aiutava il medesimo ad eludere le investigazioni dell'autorita' negando di conoscerlo e di essersi recato presso la sua abitazione nelle circostanze di tempo e di luogo sopra indicate». Espletata l'istruzione dibattimentale attraverso l'acquisizione di documentazione e l'esame dei testimoni, all'udienza del 17 gennaio 2007 - all'esito della discussione (ed a fronte delle conclusioni rassegnate sia dal p.m. che dalla difesa) - questo giudice, con riferimento alla concreta fattispecie sottoposta al suo vaglio giurisdizionale, sollecitava il contraddittorio tra le parti in ordine al rilevato dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 384, comma 2, c.p., in riferimento all'art. 3 Cost. In punto di rilevanza della questione deve in primo luogo osservarsi come, a fronte della specifica delimitazione (art. 521 c.p.p.), in fatto, della condotta materiale contestata all'imputato - documentalmente riscontrata sia dal contenuto del «verbale di sommarie informazioni» rese dal Miglietti alla polizia giudiziaria in data 3 settembre 2004 (v. verbale/«corpo di reato») sia dagli ulteriori elementi probatori processualmente acquisiti (v. in particolare, verbale di sequestro sostanza stupefacente del 19 aprile 2004 redatto a carico del Miglietti nonche' le dichiarazioni dei testi Bombaci Maurizio e Porta Gabriele, agenti di p.g. autori dell'attivita' di indagine da cui traeva origine anche il presente procedimento) -, alcun dubbio interpretativo si prospetti nel caso di specie in ordine alla idoneita' della predetta condotta ad integrare gli elementi costitutivi della fattispecie delittuosa punita dall'art. 378 c.p. Ed invero, il contenuto «dichiarativo» del citato verbale di sommarie informazioni redatto, ai sensi dell'art. 351, comma 1 c.p.p., nei confronti dell'odierno imputato - laddove rigorosamente rapportato alle sopra richiamate risultanze probatorie dibattimentali -, risulta connotato da effettivi profili di «falsita» e «reticenza», la cui concreta potenzialita' lesiva, in termini di dolosa forma di aiuto all'elusione della specifica ipotesi investigativa volta all'accertamento di singoli episodi di traffico illecito di sostanza stupefacente presso l'abitazione di tale Muccilli Vito 1), puo' ritenersi ragionevolmente riscontrata; trovando, correlativamente, l'applicabilita' dell'art. 378 c.p. sicuro aggancio di plausibilita' logico-giuridica negli approdi interpretativi della suprema Corte, ormai consolidati (c.d. diritto vivente) nel senso della sostanziale attribuzione al delitto di favoreggiamento personale di una funzione «repressiva» di chiusura, e cioe' di norma idonea a sanzionare qualsiasi comportamento oggettivamente e finalisticamente diretto ad intralciare l'attivita' investigativa, compresa quindi la condotta di mendacio e reticenza alla polizia giudiziaria 2). Altrettanto pacifica (e condivisibile) puo' ritenersi l'opzione interpretativa (patrocinata dalla piu' attenta dottrina in materia) secondo cui il sopra delineato ambito applicativo della fattispecie di cui all'art. 378 c.p. - «esteso», cioe', alla condotta di mendacio alla polizia giudiziaria - ha finito, inevitabilmente, per imporre una (ri)lettura in «controluce» della stessa oggettivita' giuridica del reato in parola, assegnando alla norma anche una specifica funzione di «tutela della verita' e completezza delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria» (ancorche' pur sempre in funzione della tutela delle indagini e delle ricerche dell'autore del «reato presupposto») e quindi del loro valore probatorio in senso lato (non trattandosi di dichiarazioni assunte in contraddittorio delle parti), con consequenziale valorizzazione del carattere di «complementarieta» dell'art. 378 c.p. rispetto all'ordinario (e tipicizzato) sistema di tutela della «prova dichiarativa» (formatasi dinanzi all'autorita' giudiziaria) penalmente sanzionato dagli artt. 372, 371-bis c.p. 3). Tuttavia, proprio la dimensione del favoreggiamento quale strumento di tutela (a vari fini) del valore lato sensu probatorio delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria non poteva non riflettersi sul problema dell'estraneita' dell'art. 378 c.p. a quell'organico sottosistema di istituti (di diritto sostanziale) eccezionalmente «strumentali» alla tutela (processuale) della prova dichiarativa: si pensi alla ritrattazione disciplinata dall'art. 376 c.p. e (per quel che rileva in questa sede) alla speciale causa di esclusione della punibilita' del fatto prevista dall'art. 384, comma 2 c.p., entrambe tassativamente previste (solo) per i reati di cui agli artt. 371-bis, 371-ter, 372 e 373 c.p. In tale prospettiva argomentativa, non ignora questo giudice le oscillazioni interpretative manifestate dal Giudice delle leggi, orientato, ora nel senso della omogeneita' del bene giuridico tutelato dagli artt. 378 e 372 c.p., ora nel senso della diversa obiettivita' giuridica dei due reati (cfr. Corte cost. sent. n. 228/1982; ord. n. 50/1983 e, successivamente all'introduzione dell'art. 371-bis c.p., sent. n. 416/1996, sent. n. 101/1999; sent. n. 424/2000 e ord. n. 22/2000); tuttavia, i piu' recenti assetti sistematici derivanti dalle innovative integrazioni normative, sia processuali che di diritto sostanziale, apportate allo statuto della prova dichiarativa dalla legge n. 63 del 2001 - e pur mancando tuttora una figura di reato specifica, relativamente alle informazioni false o reticenti alla polizia giudiziaria - se, da un lato, hanno fornito ulteriore e (forse) definitiva conferma alla omogeneita' (rispetto agli artt. 371-bis c.p., 372 c.p. e 371-ter c.p.) della ratio sottesa alla punibilita' del favoreggiamento mediante mendacio alla polizia giudiziaria, dall'altro hanno riproposto le medesime problematiche che erano gia' emerse sotto il vigore del codice di rito del 1930 (in parte «additivamente» risolte dai citati interventi del Giudice delle leggi n. 416 del 1996 e n. 101 del 1999) in ordine all'inapplicabilita' all'art. 378 c.p. di norme, quali l'art. 376 c.p. e l'art. 384, comma 2 c.p., previste invece per l'art. 372 c.p. (ed ora anche per l'art. 371-bis c.p.). E proprio alla predetta causa di non punibilita' di cui all'art. 384 c.p. hanno fatto sostanziale riferimento (in sede di discussione finale) il p.m. e la difesa dell'imputato, sia pure nell'ambito di un itinerario interpretativo non del tutto pertinente, in quanto incentrato sul richiamo dell'autonomo regime di inutilizzabilita' (ex art. 63 c.p.p.) delle dichiarazioni non veritiere e reticenti rese dal Miglietti alla polizia giudiziaria, oggetto materiale della condotta delittuosa per cui e' processo. A ben vedere, infatti, l'impostazione argomentativa del p.m. e della difesa sconta un limite logico (oltre che fattuale) di fondo, poiche' confonde due profili di illiceita' sostanziale, tra loro nettamente distinti (ancorche' aventi indubbi riflessi in termini di collegamento probatorio processuale, rilevante ai sensi dell'art. 371, comma 2, lett. b, c.p.p.): da un lato quello attinente, in via diretta ed immediata, alle modalita' acquisitive delle «informazioni» richieste al Miglietti in ordine ad un reato gia' commesso da altri (il Muccilli), dall'altro, il profilo relativo alla idoneita' di dette dichiarazioni ad integrare - esse stesse - la consumazione del reato di favoreggiamento personale, con conseguenziale assunzione, da tale momento «consumativo» del reato, della correlativa veste di indagato e, quindi, del diritto alle garanzie di cui all'art. 63, comma 1 c.p.p. 4). Diversamente opinando, nel senso cioe' di ritenere una inutilizzabilita' tout court delle dichiarazioni rese dal «semplice» cessionario di sostanza stupefacente, si finirebbe per patrocinare un'interpretazione di fatto «abrogatrice» dell'art. 378 c.p. nei casi di mendacio o reticenza del medesimo alla polizia giudiziaria; in tal modo, irragionevolmente sconfessando il sopra richiamato orientamento sia giurisprudenziale che dottrinario che ammette, per contro, in tali casi la configurabilita' del reato in esame; configurabilita' che, del resto, trova indiretta conferma anche a livello normativo nell'art. 381, comma 4-bis c.p.p. (introdotto dall'art. 26, legge n. 332 del 1995). Tale norma prevede infatti che «non e' consentito l'arresto della persona richiesta di fornire informazioni dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero per reati concernenti il contenuto delle informazioni o il rifiuto di fornirle»: ora, posto che pacificamente il mendacio alla polizia giudiziaria non puo' integrare gli estremi del reato di cui all'art. 371-bis c.p., il riferimento ai reati concernenti il contenuto di dette dichiarazioni non puo' che riguardare proprio il favoreggiamento personale (ipotesi di gran lunga piu' frequente nella prassi applicativa). Risalto alla radice qualsiasi dubbio sulla concreta idoneita' delle mendaci dichiarazioni de quibus ad integrare la condotta delittuosa di favoreggiamento personale, purtuttavia emerge, in modo evidente, l'efficacia assorbente che nell'economia dell'ipotesi accusatoria riveste il profilo «patologico» intrinsecamente riconducibile alla fase genetica dell'acquisizione delle dichiarazioni medesime, nella specie assunte dalla polizia giudiziaria mediante la erronea attribuzione al Miglietti della qualifica di persona informata su fatti (concernenti la responsabilita' altrui) - e quindi con l'obbligo penalmente sanzionato di rispondere secondo verita' (art. 198 c.p.p.) -, ignorando completamente la formale e sostanziale qualita' di indagato di reati probatoriamente collegati (ex art. 371, comma 2, lett. b, c.p.p.) gia' assunta dallo stesso dichiarante ed ancora attuale al momento del rilascio delle predette dichiarazioni. Al riguardo, risulta dato processuale acquisito (art. 187, comma 2 c.p.p.) che il Miglietti a seguito delle operazioni di perquisizione personale e del consequenziale sequestro di gr. 8,490 di sostanza stupefacente eseguito nei suoi confronti il 19 aprile 2004 (quindi, nell'immediatezza e nell'ambito del piu' ampio contesto dell'attivita' investigativa di osservazione e controllo intrapresa a carico del Muccilli, individuata quale probabile «fonte» di rifornimento dello stesso stupefacente), veniva iscritto il successivo 22 aprile 2004 nel registro degli indagati in ordine ai «connessi» reati di detenzione illecita di sostanza stupefacente (art. 73, d.P.R. n. 309/1990) e di guida in stato di alterazione psico-fisica dovuta ad assunzione di stupefacente (art. 187, comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285): iscrizione che dava origine al procedimento penale n. 697/04 r.g.n.r. (successivamente «riunito» a quella n. 723/04 r.g.n.r. aperto nei confronti del Muccilli), definito per quanto riguarda l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 con decreto di archiviazione adottato dal g.i.p. in data 11 luglio 2005 e, quanto al reato di cui all'art. 187 c.d.s., con sentenza di applicazione pena del 26 ottobre 2005. Cio' posto, il peculiare contenuto «dichiarativo» della condotta addebitata, in punto di fatto, all'odierno imputato e la sopra evidenziata qualita' soggettiva (rivestita dal Miglietti medesimo al momento del rilascio delle dichiarazioni in questione) di indagato di reati probatoriamente collegati a quello ipotizzato a carico del Muccilli (individuato dallo stesso organo inquirente quale soggetto «favorito», ex art. 378 c.p., dalle mendaci dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria dal Miglietti il 3 settembre 2004) - rigorosamente valutati alla luce delle risultanze probatorie dibattimentali e della inequivocabile asimmetria strutturale normativa 5) esistente tra il comma 1 ed il comma 2 dell'art. 384 c.p. - inducono ad individuare in quest'ultima la disposizione in concreto applicabile alla fattispecie per cui e' processo, dovendosi escludere, sulla base delle risultanze dell'espletata istruzione dibattimentale, la sussistenza di ragionevoli elementi da cui poter desumere la configurabilita' in capo all'odierno imputato (tra l'altro, sottrattosi, per libera scelta, all'esame in sede dibattimentale) di una effettiva condizione psicologica in termini di «inesigibilita» rispetto ad una diversa condotta dichiarativa (veritiera), parametrata su quanto previsto, in via generale, dall'art. 54 c.p. ed eziologicamente ricollegabile alla oggettiva «necessita' di salvare se' medesimo da un grave e inevitabile pregiudizio nell'onore o nella liberta» (art. 384, comma 1, c.p.). Sotto tale preliminare profilo, e' stato efficacemente evidenziato in dottrina come la disposizione di cui all'art. 384, comma 2 c.p. viva in stretta simbiosi con la disciplina processuale del nuovo statuto della prova dichiarativa (sia nella fase delle indagini preliminari che in quella dibattimentale presidiata dalla garanzia del contraddittorio tra le parti), caratterizzato - a seguito delle radicali modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001 - da un articolato ed alquanto frammentario sistema (v. artt. 197, 197-bis, 64, comma 3, lettera c, c.p.p.) di tutela della genuinita' del contributo probatorio potenzialmente proveniente (anche) da figure di dichiaranti (c.d. testimoni/assistiti) la cui posizione processuale presenti attuali o pregressi «collegamenti» con il reato (commesso da altri) in relazione al quale si giustifica l'acquisizione delle dichiarazioni in parola. Da un lato, l'operativita' dell'esimente si cui all'art. 384, comma 2, c.p.p. dipende dal modo in cui il legislatore ha scelto di calibrare i presupposti per l'assunzione dello status di testimone ed i privilegi e gli obblighi ad esso relativi. Da un altro lato, specularmente, l'effettivita' dell'obbligo di verita' posto in capo al teste dipende dalla disciplina sanzionatoria sostanziale che ne costituisce il presidio e, pertanto, anche dall'ambito operativo che si riconosce all'esimente. Orbene, senza la pretesa di ripercorrere in questa sede i plurimi e tuttora dibattuti profili della complessa problematica in ordine alla individuazione dei presupposti, di fatto e giuridici, per una legittima assunzione della qualifica di testimone assistito e, di conseguenza, per l'insorgenza in capo al soggetto dichiarante dell'obbligo di deporre secondo verita', mette conto evidenziare come la diversa struttura normativa (ed il consequenziale diverso ambito applicativo) del comma 1 rispetto al comma 2 dell'art. 384 c.p. rifletta - assegnandole nel contempo un ruolo di autoreferenzialita' scriminante - proprio la scelta di fondo del legislatore di prevedere, con la disposizione di cui al citato comma 2, uno strumento sanzionatario (in termini di esclusione della punibilita' di specifici reati contro l'amministrazione della giustizia) della illegittima acquisizione di dichiarazioni provenienti da soggetti «costretti» a deporre o comunque non informati del proprio diritto a non rispondere 6). E' noto come il comma 2 dell'art. 384 c.p. - nella parte in cui elenca le ipotesi che, in applicazione del principio generale del nemo tenetur se detegere e delle regole tipiche di incapacita' a testimoniare o comunque di esclusione dell'obbligo dei deporre, escludono la punibilita' della persona informata sui fatti (artt. 371-bis e 371-ter c.p.), del teste (art. 372 c.p.), del perito, del consulente tecnico o dell'interprete (art. 373 c.p.) che abbiano reso false dichiarazioni se per legge non avrebbero dovuto essere chiamati ad assumere tali qualifiche soggettive ovvero avrebbero dovuto essere avvertiti della facolta' di astenersi dal rendere dichiarazioni - e' stato interessato da una specifica «integrazione» ad opera dell'art. 21, legge n. 63 del 2001, resasi necessaria in relazione alla speculare introduzione delle nuove figure di indagati/imputati che, in presenza di specifiche situazioni, assumano l'obbligo di rendere «testimonianza», o informazioni. In particolare la «nuova» clausola di estensione della causa di non punibilita' e' riferita al soggetto che «[...] non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o comunque a rispondere [...]» e cioe' al fatto di avere chiamato ad assumere l'ufficio di testimone una persona che avrebbe, invece, dovuta essere sentita come indagata o imputato, ricorrendo le incompatibilita' stabilite dall'art. 197 c.p.p. ovvero non essendosi realizzate le situazioni descritte dall'art. 197-bis c.p.p., ovvero di avere comunque obbligato a deporre una persona su fatti che concernono (anche) la sua responsabilita' in ordine al reato per cui si procede o si e' proceduto nei suoi confronti e che pertanto non avrebbe potuto essere obbligato a rispondere. In tale novellato contesto normativo la stessa volonta' del legislatore di «anticipare» alla assunzione di informazioni in fase di indagini preliminari le regole in tema di incompatibilita' a testimoniare - come e' dato evincere dalla serie di rinvii agli artt. 197, 197-bis, 198 e 199 c.p.p. operati dall'art. 362 c.p.p. (quanto alle informazioni assunte dal p.m.), nonche', attraverso il citato art. 362, dall'art. 351, comma 1, seconda proposizione (quanto alle informazioni assunte dalla polizia, giudiziaria) -, appare del tutto chiara, nel senso di escludere la possibilita' di «scelte strategiche» di acquisizione di contributi dichiarativi in modo «improprio» da qualsivoglia dichiarante: rilievo quest'ultimo che non contraddice, ma anzi conferma ulteriormente, gli itinerari interpretativi della giurisprudenza (sia della suprema Corte che del Giudice delle leggi) volti a rinvenire una sostanziale identita' tra le ragioni di tutela del valore probatorio delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria, realizzate attraverso l'art. 378 c.p., e quelle sottese all'art. 371-bis c.p., riferito alle dichiarazioni rese al pubblico ministero: sia l'art. 378 che l'art. 371-bis c.p. tutelano infatti un'attivita' di indagine profondamente simile e per di piu' assoggettata sotto piu' profili alla medesima disciplina, con particolare riferimento alle forme di documentazione, all'utilizzabilita' anche nella successiva fase processuale in senso stretto (dibattimento e/o riti alternativi) e agli obblighi dei dichiaranti. Alla sopra evidenziata sostanziale convergenza di disciplina processuale, che caratterizza nell'attuale sistema del codice di rito il valore probatorio delle informazioni assunte dalla p.g. rispetto alle dichiarazioni rese dinanzi al p.m., non corrisponde - nella tassativa struttura normativa dell'art. 384, comma 2 c.p. (rimasta immutata in parte qua a seguito della citata novella del 2001) - una omogeneita' di trattamento delle corrispondenti condotte di mendacio e/o reticenza, qualora le stesse siano in concreto riconducibili alle ipotesi di reato previste, rispettivamente, dall'art. 371-bis c.p. e dall'art. 378 c.p., essendo infatti non applicabile, stante il mancato richiamo di quest'ultima norma (ancorche' limitato alla condotta di false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria), la speciale causa di non punibilita' nelle ipotesi di assunzione di informazioni ad opera della polizia giudiziaria in assenza degli specifici presupposti per la configurabilita' in capo al dichiarante di un «obbligo» di deporre erga alios: disomogeneita' di trattamento la cui intrinseca irragionevolezza (art. 3 Cost.) non appare manifestamente infondata alla stregua del medesimo percorso argomentativo gia' posto a sostegno dell'autonomo profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 384, comma 2 c.p., nella parte in cui non prevede(va) l'esclusione della punibilita' per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di astenersi dal renderle, a norma dell'art. 199 c.p.p. (cfr. sent. n. 416 del 1996), e che allo stato (a fronte del tassativo tenore letterale dell'art. 384, comma 2 c.p.) appare «sanabile» soltanto attraverso un ulteriore intervento di carattere «additivo» da parte della Corte costituzionale, all'esito del riscontro, appunto, della intrinseca irragionevolezza di scelte legislative in una materia (estensione delle cause di non punibilita) che comporta un giudizio di bilanciamento tra l'interesse tutelato da norme incriminatici accomunate dalla ratio ispiratrice e disciplina processuale (nella specie, artt. 371-bis e 378 c.p.) e le esigenze che viceversa sorreggono le correlative disposizioni derogatorie (art. 384, comma 2 c.p.). 1) Ipotesi investigativa culminata nella richiesta di rinvio a giudizio (proc. n. 723/04 r.g.n.r.) per il reato di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990 avanzata dal p.m. nei confronti del Muccilli, il quale definiva la propria posizione processuale con sentenza di applicazione pena emessa dal g.i.p. di Biella in data 26 ottobre 2005 (passata in giudicato). 2) Amplissima sul punto la casistica giurisprudenziale: cfr., fra le tante, e in fattispecie del tutto speculari a quella per cui e' processo, Cass., sez. I, 3 giugno 1985, Bartolini; Cass., sez. VI, 9 dicembre 1999, Ricco. 3) Al riguardo, e' noto come la giurisprudenza sia orientata ad escludere la configurabilita' di un'ipotesi di concorso formale di reati qualora la stessa condotta dichiarativa integri la violazione di piu' d'una tra le citate norme di cui agli artt. 378, 372 e 371-bis c.p. 4) Norma quest'ultima, nella specie, formalmente rispettata dalla p.g. (v. verbale sommarie informazioni del 3 settembre 2004 nel quale si da' atto espressamente che «... l'ufficio a questo punto, ritenuto che dall'esame della documentazione in possesso ravvisando ipotesi di reato di favoreggiamento a carico del Miglietti, sospende la redazione del verbale». 5) Cfr. sul punto: Corte cost. sent. n. 416 del 1996. 6) Sulla diversa portata applicativa e sulla giuridica impossibilita' di una sorta di «osmosi» interpretativa tra il comma 1 ed il comma 2 dell'art. 384 c.p.: cfr., sia pure incidentalmente, Corte cost. sent. n. 416 del 1996 cit. Al riguardo, devono ritenersi condivisibili le osservazioni della piu' attenta dottrina in materia laddove evidenzia che l'art. 384, comma 1 c.p. prevede una causa di non punibilita' in favore di chi ha commesso il reato in una determinata situazione caratterizzata dalla «necessita' di salvare se' o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella liberta' o nell'onore»; l'art. 384, comma 2 c.p. stabilisce, in sintesi, che non e' punibile chi non avrebbe potuto essere obbligato a deporre o avrebbe dovuto essere avvertito della facolta' di astensione. Il primo comma postula che la deposizione sia stata assunta legittimamente; il secondo comma, viceversa, concerne quelle ipotesi nelle quali la «testimonianza» e' stata assunta illegittimamente. L'escussione e' stata svolta non iure, perche' l'autorita' procedente ha omesso di informare la persona della facolta' di non deporre o comunque la ha costretta a testimoniare violando la legge. In tal caso, l'art. 384, comma 2 c.p. sancisce che la condotta dichiarativa «falsa» non e' punibile. Non occorre verificare lo stato di coazione psicologica del dichiarante: e' sufficiente accertare la violazione della legge, di guisa che, piuttosto che una causa di non punibilita', la norma sembra escludere la tipicita' del fatto, configurandosi la legittima assunzione della qualifica di «testimone» (o comunque di soggetto gravato dell'obbligo di deporre secondo verita) quale presupposto della condotta.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost.; 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione dell'art. 3 Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 384, comma 2, c.p. nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilita' per false o reticenti informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere, in quanto persona indagata di reato probatoriamente collegato, a norma dell'art. 371, comma 2, lett. b) c.p.p. a quello (commesso da altri) cui le dichiarazioni stesse si riferiscono; Sospende il processo e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Biella, addi' 7 febbraio 2007 Il giudice: Tetto 07C0933