N. 523 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 febbraio 2007

Ordinanza  emessa  il  7  febbraio  2007  dal tribunale di Biella nel
procedimento penale a carico di Miglietti Michele

Reati  e  pene  -  Casi di non punibilita' - Reato di favoreggiamento
  personale  -  False  o reticenti informazioni assunte dalla polizia
  giudiziaria,  fornite  da chi non avrebbe potuto essere obbligato a
  renderle  o  comunque  a  rispondere, in quanto persona indagata di
  reato  probatoriamente  collegato,  a norma dell'art. 371, comma 2,
  lett.  b)  cod.  proc.  pen.,  a  quello (commesso da altri) cui le
  dichiarazioni  stesse si riferiscono - Esclusione della punibilita'
  -  Mancata  previsione  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto ad
  ipotesi  analoga - Irragionevolezza - Richiamo alla sentenza n. 416
  del 1996 della Corte costituzionale.
- Codice penale, art. 384, comma secondo.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.28 del 18-7-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel   procedimento  penale  n. 1330/05  r.g.trib.,  a  carico  di
Miglietti   Michele,  difeso  d'ufficio  dall'avv.  Fabio  Giannotta,
imputato del reato di cui all'art. 378 c.p.;
    Sentiti il difensore dell'imputato e il p.m.;
    Sciogliendo  la  riserva  assunta  all'udienza dibattimentale del
17 gennaio  2007  ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  avente ad
oggetto   il   rilievo  d'ufficio  della  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 384 comma 2, c.p., in riferimento all'art. 3
Cost.;
    In   punto   di  fatto  (e  secondo  la  specifica  delimitazione
dell'ipotesi  accusatoria)  deve  preliminarmente  evidenziarsi  come
all'odierno  imputato  venga  addebitata la consumazione del reato di
favoreggiamento   personale  (art. 378  c.p.),  «perche',  assunto  a
sommarie  informazioni  dai  militari del R.O.N.O. dei Carabinieri di
Biella   relativamente   al   possesso  e  all'acquisto  di  sostanza
stupefacente  di tipo hashish - in particolare di grammi 8,490 ceduti
al  medesimo  da Muccilli Vito in data 19 aprile 2004 in Ponderano -,
aiutava  il  medesimo  ad  eludere  le  investigazioni dell'autorita'
negando  di  conoscerlo  e di essersi recato presso la sua abitazione
nelle circostanze di tempo e di luogo sopra indicate».
    Espletata  l'istruzione  dibattimentale attraverso l'acquisizione
di documentazione e l'esame dei testimoni, all'udienza del 17 gennaio
2007  -  all'esito  della  discussione (ed a fronte delle conclusioni
rassegnate  sia  dal  p.m.  che  dalla  difesa) - questo giudice, con
riferimento  alla  concreta  fattispecie  sottoposta  al  suo  vaglio
giurisdizionale,  sollecitava  il  contraddittorio  tra  le  parti in
ordine    al   rilevato   dubbio   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 384, comma 2, c.p., in riferimento all'art. 3 Cost.
    In  punto  di  rilevanza  della  questione  deve  in  primo luogo
osservarsi  come,  a  fronte  della specifica delimitazione (art. 521
c.p.p.), in fatto, della condotta materiale contestata all'imputato -
documentalmente   riscontrata  sia  dal  contenuto  del  «verbale  di
sommarie informazioni» rese dal Miglietti alla polizia giudiziaria in
data  3 settembre  2004  (v.  verbale/«corpo  di  reato»)  sia  dagli
ulteriori   elementi   probatori  processualmente  acquisiti  (v.  in
particolare, verbale di sequestro sostanza stupefacente del 19 aprile
2004  redatto  a  carico  del  Miglietti nonche' le dichiarazioni dei
testi  Bombaci  Maurizio  e  Porta  Gabriele,  agenti  di p.g. autori
dell'attivita'  di  indagine  da cui traeva origine anche il presente
procedimento) -, alcun dubbio interpretativo si prospetti nel caso di
specie  in ordine alla idoneita' della predetta condotta ad integrare
gli   elementi   costitutivi   della  fattispecie  delittuosa  punita
dall'art. 378  c.p. Ed invero, il contenuto «dichiarativo» del citato
verbale  di  sommarie  informazioni  redatto, ai sensi dell'art. 351,
comma  1  c.p.p.,  nei  confronti  dell'odierno  imputato  -  laddove
rigorosamente  rapportato alle sopra richiamate risultanze probatorie
dibattimentali -, risulta connotato da effettivi profili di «falsita»
e  «reticenza»,  la  cui concreta potenzialita' lesiva, in termini di
dolosa   forma   di   aiuto   all'elusione  della  specifica  ipotesi
investigativa  volta  all'accertamento di singoli episodi di traffico
illecito   di  sostanza  stupefacente  presso  l'abitazione  di  tale
Muccilli   Vito   1),  puo'  ritenersi  ragionevolmente  riscontrata;
trovando,   correlativamente,   l'applicabilita'  dell'art. 378  c.p.
sicuro  aggancio  di  plausibilita'  logico-giuridica  negli  approdi
interpretativi  della  suprema Corte, ormai consolidati (c.d. diritto
vivente)  nel  senso  della  sostanziale  attribuzione  al delitto di
favoreggiamento personale di una funzione «repressiva» di chiusura, e
cioe'   di   norma   idonea   a  sanzionare  qualsiasi  comportamento
oggettivamente  e finalisticamente diretto ad intralciare l'attivita'
investigativa,  compresa  quindi  la condotta di mendacio e reticenza
alla polizia giudiziaria 2).
    Altrettanto  pacifica  (e condivisibile) puo' ritenersi l'opzione
interpretativa  (patrocinata  dalla piu' attenta dottrina in materia)
secondo  cui  il sopra delineato ambito applicativo della fattispecie
di cui all'art. 378 c.p. - «esteso», cioe', alla condotta di mendacio
alla  polizia  giudiziaria  - ha finito, inevitabilmente, per imporre
una  (ri)lettura  in «controluce» della stessa oggettivita' giuridica
del  reato  in  parola,  assegnando  alla  norma  anche una specifica
funzione  di  «tutela della verita' e completezza delle dichiarazioni
rese  alla  polizia  giudiziaria»  (ancorche'  pur sempre in funzione
della  tutela  delle indagini e delle ricerche dell'autore del «reato
presupposto»)  e quindi del loro valore probatorio in senso lato (non
trattandosi di dichiarazioni assunte in contraddittorio delle parti),
con consequenziale valorizzazione del carattere di «complementarieta»
dell'art. 378  c.p. rispetto all'ordinario (e tipicizzato) sistema di
tutela  della  «prova  dichiarativa» (formatasi dinanzi all'autorita'
giudiziaria) penalmente sanzionato dagli artt. 372, 371-bis c.p. 3).
    Tuttavia,   proprio   la  dimensione  del  favoreggiamento  quale
strumento  di  tutela  (a vari fini) del valore lato sensu probatorio
delle  dichiarazioni  rese  alla  polizia  giudiziaria non poteva non
riflettersi   sul  problema  dell'estraneita'  dell'art. 378  c.p.  a
quell'organico  sottosistema  di  istituti  (di  diritto sostanziale)
eccezionalmente  «strumentali»  alla tutela (processuale) della prova
dichiarativa:  si pensi alla ritrattazione disciplinata dall'art. 376
c.p.  e  (per  quel che rileva in questa sede) alla speciale causa di
esclusione  della punibilita' del fatto prevista dall'art. 384, comma
2  c.p.,  entrambe  tassativamente previste (solo) per i reati di cui
agli artt. 371-bis, 371-ter, 372 e 373 c.p.
    In  tale  prospettiva argomentativa, non ignora questo giudice le
oscillazioni  interpretative  manifestate  dal  Giudice  delle leggi,
orientato,  ora  nel  senso  della  omogeneita'  del  bene  giuridico
tutelato  dagli  artt. 378  e  372  c.p., ora nel senso della diversa
obiettivita'   giuridica  dei  due  reati  (cfr.  Corte  cost.  sent.
n. 228/1982;  ord.  n. 50/1983  e,  successivamente  all'introduzione
dell'art. 371-bis  c.p.,  sent. n. 416/1996, sent. n. 101/1999; sent.
n. 424/2000  e  ord.  n. 22/2000);  tuttavia,  i piu' recenti assetti
sistematici  derivanti  dalle  innovative integrazioni normative, sia
processuali  che di diritto sostanziale, apportate allo statuto della
prova  dichiarativa  dalla  legge  n. 63  del  2001  - e pur mancando
tuttora   una   figura   di   reato   specifica,  relativamente  alle
informazioni  false  o reticenti alla polizia giudiziaria - se, da un
lato,  hanno  fornito  ulteriore  e  (forse) definitiva conferma alla
omogeneita'  (rispetto  agli  artt. 371-bis  c.p., 372 c.p. e 371-ter
c.p.)  della  ratio  sottesa  alla  punibilita'  del  favoreggiamento
mediante   mendacio   alla   polizia  giudiziaria,  dall'altro  hanno
riproposto  le  medesime problematiche che erano gia' emerse sotto il
vigore  del codice di rito del 1930 (in parte «additivamente» risolte
dai  citati  interventi  del  Giudice  delle  leggi n. 416 del 1996 e
n. 101  del 1999) in ordine all'inapplicabilita' all'art. 378 c.p. di
norme,  quali  l'art. 376  c.p.  e l'art. 384, comma 2 c.p., previste
invece per l'art. 372 c.p. (ed ora anche per l'art. 371-bis c.p.).
    E   proprio  alla  predetta  causa  di  non  punibilita'  di  cui
all'art. 384  c.p.  hanno  fatto  sostanziale riferimento (in sede di
discussione  finale)  il  p.m.  e  la  difesa dell'imputato, sia pure
nell'ambito di un itinerario interpretativo non del tutto pertinente,
in   quanto   incentrato   sul   richiamo   dell'autonomo  regime  di
inutilizzabilita'   (ex   art. 63  c.p.p.)  delle  dichiarazioni  non
veritiere  e  reticenti  rese dal Miglietti alla polizia giudiziaria,
oggetto  materiale  della  condotta delittuosa per cui e' processo. A
ben  vedere,  infatti,  l'impostazione argomentativa del p.m. e della
difesa sconta un limite logico (oltre che fattuale) di fondo, poiche'
confonde  due  profili di illiceita' sostanziale, tra loro nettamente
distinti   (ancorche'   aventi   indubbi   riflessi   in  termini  di
collegamento    probatorio    processuale,    rilevante    ai   sensi
dell'art. 371,   comma  2,  lett.  b,  c.p.p.):  da  un  lato  quello
attinente,  in  via  diretta ed immediata, alle modalita' acquisitive
delle  «informazioni»  richieste  al  Miglietti in ordine ad un reato
gia' commesso da altri (il Muccilli), dall'altro, il profilo relativo
alla idoneita' di dette dichiarazioni ad integrare - esse stesse - la
consumazione    del   reato   di   favoreggiamento   personale,   con
conseguenziale  assunzione,  da tale momento «consumativo» del reato,
della  correlativa  veste  di  indagato  e,  quindi, del diritto alle
garanzie   di  cui  all'art. 63,  comma  1  c.p.p.  4).  Diversamente
opinando,  nel  senso  cioe'  di  ritenere una inutilizzabilita' tout
court delle dichiarazioni rese dal «semplice» cessionario di sostanza
stupefacente,  si  finirebbe  per  patrocinare  un'interpretazione di
fatto  «abrogatrice»  dell'art. 378  c.p.  nei  casi  di  mendacio  o
reticenza  del  medesimo  alla  polizia  giudiziaria;  in  tal  modo,
irragionevolmente  sconfessando  il sopra richiamato orientamento sia
giurisprudenziale  che  dottrinario  che ammette, per contro, in tali
casi  la  configurabilita'  del reato in esame; configurabilita' che,
del  resto,  trova  indiretta  conferma  anche  a  livello  normativo
nell'art. 381,  comma  4-bis  c.p.p.  (introdotto dall'art. 26, legge
n. 332  del  1995). Tale norma prevede infatti che «non e' consentito
l'arresto  della  persona  richiesta  di  fornire  informazioni dalla
polizia giudiziaria o dal pubblico ministero per reati concernenti il
contenuto  delle  informazioni  o il rifiuto di fornirle»: ora, posto
che  pacificamente  il  mendacio  alla  polizia  giudiziaria non puo'
integrare  gli  estremi  del  reato  di cui all'art. 371-bis c.p., il
riferimento  ai reati concernenti il contenuto di dette dichiarazioni
non puo' che riguardare proprio il favoreggiamento personale (ipotesi
di gran lunga piu' frequente nella prassi applicativa).
    Risalto  alla  radice  qualsiasi  dubbio sulla concreta idoneita'
delle  mendaci  dichiarazioni  de  quibus  ad  integrare  la condotta
delittuosa  di favoreggiamento personale, purtuttavia emerge, in modo
evidente,   l'efficacia  assorbente  che  nell'economia  dell'ipotesi
accusatoria   riveste   il   profilo   «patologico»   intrinsecamente
riconducibile    alla    fase    genetica   dell'acquisizione   delle
dichiarazioni   medesime,   nella   specie   assunte   dalla  polizia
giudiziaria  mediante  la  erronea  attribuzione  al  Miglietti della
qualifica   di   persona   informata   su   fatti   (concernenti   la
responsabilita'   altrui) -   e   quindi   con  l'obbligo  penalmente
sanzionato   di  rispondere  secondo  verita'  (art. 198  c.p.p.)  -,
ignorando completamente la formale e sostanziale qualita' di indagato
di  reati  probatoriamente  collegati (ex art. 371, comma 2, lett. b,
c.p.p.)  gia'  assunta  dallo stesso dichiarante ed ancora attuale al
momento del rilascio delle predette dichiarazioni.
    Al  riguardo, risulta dato processuale acquisito (art. 187, comma
2   c.p.p.)   che   il   Miglietti  a  seguito  delle  operazioni  di
perquisizione  personale  e del consequenziale sequestro di gr. 8,490
di  sostanza  stupefacente  eseguito  nei suoi confronti il 19 aprile
2004 (quindi, nell'immediatezza e nell'ambito del piu' ampio contesto
dell'attivita' investigativa di osservazione e controllo intrapresa a
carico   del   Muccilli,   individuata  quale  probabile  «fonte»  di
rifornimento   dello   stesso   stupefacente),   veniva  iscritto  il
successivo  22 aprile  2004  nel registro degli indagati in ordine ai
«connessi»  reati  di  detenzione  illecita  di sostanza stupefacente
(art. 73,  d.P.R.  n. 309/1990)  e  di  guida in stato di alterazione
psico-fisica dovuta ad assunzione di stupefacente (art. 187, comma 8,
d.lgs.  30  aprile  1992,  n. 285):  iscrizione  che  dava origine al
procedimento  penale  n. 697/04 r.g.n.r. (successivamente «riunito» a
quella   n. 723/04  r.g.n.r.  aperto  nei  confronti  del  Muccilli),
definito per quanto riguarda l'ipotesi delittuosa di cui all'art. 73,
d.P.R.  n. 309/1990  con decreto di archiviazione adottato dal g.i.p.
in data 11 luglio 2005 e, quanto al reato di cui all'art. 187 c.d.s.,
con sentenza di applicazione pena del 26 ottobre 2005.
    Cio'  posto, il peculiare contenuto «dichiarativo» della condotta
addebitata,  in  punto  di  fatto,  all'odierno  imputato  e la sopra
evidenziata  qualita' soggettiva (rivestita dal Miglietti medesimo al
momento del rilascio delle dichiarazioni in questione) di indagato di
reati  probatoriamente  collegati  a  quello  ipotizzato a carico del
Muccilli  (individuato  dallo stesso organo inquirente quale soggetto
«favorito»,  ex  art. 378 c.p., dalle mendaci dichiarazioni rese alla
polizia   giudiziaria   dal   Miglietti   il   3 settembre   2004)  -
rigorosamente   valutati   alla   luce  delle  risultanze  probatorie
dibattimentali   e   della   inequivocabile   asimmetria  strutturale
normativa  5)  esistente  tra  il comma 1 ed il comma 2 dell'art. 384
c.p.  -  inducono  ad  individuare in quest'ultima la disposizione in
concreto  applicabile alla fattispecie per cui e' processo, dovendosi
escludere,  sulla  base  delle  risultanze  dell'espletata istruzione
dibattimentale,  la  sussistenza di ragionevoli elementi da cui poter
desumere  la  configurabilita'  in  capo  all'odierno  imputato  (tra
l'altro,   sottrattosi,   per   libera   scelta,  all'esame  in  sede
dibattimentale) di una effettiva condizione psicologica in termini di
«inesigibilita»   rispetto   ad  una  diversa  condotta  dichiarativa
(veritiera),   parametrata  su  quanto  previsto,  in  via  generale,
dall'art. 54  c.p.  ed  eziologicamente  ricollegabile alla oggettiva
«necessita'  di  salvare  se'  medesimo  da  un  grave  e inevitabile
pregiudizio nell'onore o nella liberta» (art. 384, comma 1, c.p.).
    Sotto   tale   preliminare   profilo,   e'   stato  efficacemente
evidenziato  in  dottrina  come  la disposizione di cui all'art. 384,
comma  2  c.p. viva in stretta simbiosi con la disciplina processuale
del  nuovo  statuto  della  prova  dichiarativa (sia nella fase delle
indagini  preliminari  che  in quella dibattimentale presidiata dalla
garanzia  del  contraddittorio  tra  le  parti),  caratterizzato  - a
seguito  delle  radicali  modifiche  introdotte dalla legge n. 63 del
2001 -   da  un  articolato  ed  alquanto  frammentario  sistema  (v.
artt. 197,  197-bis,  64, comma 3, lettera c, c.p.p.) di tutela della
genuinita'   del  contributo  probatorio  potenzialmente  proveniente
(anche)  da  figure  di dichiaranti (c.d. testimoni/assistiti) la cui
posizione processuale presenti attuali o pregressi «collegamenti» con
il  reato  (commesso  da  altri)  in relazione al quale si giustifica
l'acquisizione   delle   dichiarazioni   in   parola.   Da  un  lato,
l'operativita'  dell'esimente  si  cui  all'art. 384, comma 2, c.p.p.
dipende  dal  modo  in  cui  il  legislatore ha scelto di calibrare i
presupposti per l'assunzione dello status di testimone ed i privilegi
e  gli  obblighi  ad  esso relativi. Da un altro lato, specularmente,
l'effettivita' dell'obbligo di verita' posto in capo al teste dipende
dalla  disciplina  sanzionatoria  sostanziale  che  ne costituisce il
presidio  e,  pertanto,  anche dall'ambito operativo che si riconosce
all'esimente.
    Orbene, senza la pretesa di ripercorrere in questa sede i plurimi
e  tuttora  dibattuti  profili della complessa problematica in ordine
alla  individuazione  dei  presupposti, di fatto e giuridici, per una
legittima  assunzione  della  qualifica  di testimone assistito e, di
conseguenza,   per  l'insorgenza  in  capo  al  soggetto  dichiarante
dell'obbligo di deporre secondo verita', mette conto evidenziare come
la  diversa  struttura normativa (ed il consequenziale diverso ambito
applicativo)  del  comma  1  rispetto  al  comma 2 dell'art. 384 c.p.
rifletta  - assegnandole nel contempo un ruolo di autoreferenzialita'
scriminante   -  proprio  la  scelta  di  fondo  del  legislatore  di
prevedere,  con  la  disposizione  di  cui  al  citato  comma  2, uno
strumento  sanzionatario  (in termini di esclusione della punibilita'
di  specifici  reati  contro l'amministrazione della giustizia) della
illegittima  acquisizione  di  dichiarazioni  provenienti da soggetti
«costretti»  a deporre o comunque non informati del proprio diritto a
non rispondere 6).
    E'  noto  come il comma 2 dell'art. 384 c.p. - nella parte in cui
elenca  le  ipotesi  che,  in applicazione del principio generale del
nemo  tenetur  se  detegere  e  delle regole tipiche di incapacita' a
testimoniare  o  comunque  di  esclusione  dell'obbligo  dei deporre,
escludono   la   punibilita'   della   persona  informata  sui  fatti
(artt. 371-bis  e  371-ter  c.p.),  del  teste  (art. 372  c.p.), del
perito,  del consulente tecnico o dell'interprete (art. 373 c.p.) che
abbiano  reso  false  dichiarazioni se per legge non avrebbero dovuto
essere   chiamati  ad  assumere  tali  qualifiche  soggettive  ovvero
avrebbero  dovuto  essere  avvertiti  della facolta' di astenersi dal
rendere  dichiarazioni  -  e'  stato  interessato  da  una  specifica
«integrazione»  ad  opera  dell'art. 21, legge n. 63 del 2001, resasi
necessaria  in  relazione  alla  speculare  introduzione  delle nuove
figure   di   indagati/imputati   che,   in  presenza  di  specifiche
situazioni,   assumano   l'obbligo   di  rendere  «testimonianza»,  o
informazioni.  In particolare la «nuova» clausola di estensione della
causa  di  non  punibilita'  e'  riferita  al soggetto che «[...] non
avrebbe  potuto  essere  obbligato  a deporre o comunque a rispondere
[...]»  e  cioe'  al fatto di avere chiamato ad assumere l'ufficio di
testimone una persona che avrebbe, invece, dovuta essere sentita come
indagata   o   imputato,  ricorrendo  le  incompatibilita'  stabilite
dall'art. 197  c.p.p.  ovvero  non essendosi realizzate le situazioni
descritte   dall'art. 197-bis   c.p.p.,   ovvero  di  avere  comunque
obbligato  a  deporre  una persona su fatti che concernono (anche) la
sua  responsabilita'  in  ordine  al reato per cui si procede o si e'
proceduto nei suoi confronti e che pertanto non avrebbe potuto essere
obbligato a rispondere.
    In  tale  novellato  contesto  normativo  la  stessa volonta' del
legislatore  di  «anticipare» alla assunzione di informazioni in fase
di  indagini  preliminari  le  regole  in  tema di incompatibilita' a
testimoniare  -  come  e'  dato  evincere  dalla serie di rinvii agli
artt. 197,  197-bis,  198  e  199 c.p.p. operati dall'art. 362 c.p.p.
(quanto  alle  informazioni assunte dal p.m.), nonche', attraverso il
citato art. 362, dall'art. 351, comma 1, seconda proposizione (quanto
alle  informazioni  assunte dalla polizia, giudiziaria) -, appare del
tutto  chiara,  nel  senso  di  escludere  la possibilita' di «scelte
strategiche»  di  acquisizione  di  contributi  dichiarativi  in modo
«improprio» da qualsivoglia dichiarante: rilievo quest'ultimo che non
contraddice,   ma   anzi   conferma   ulteriormente,   gli  itinerari
interpretativi  della giurisprudenza (sia della suprema Corte che del
Giudice  delle leggi) volti a rinvenire una sostanziale identita' tra
le  ragioni  di tutela del valore probatorio delle dichiarazioni rese
alla  polizia  giudiziaria,  realizzate attraverso l'art. 378 c.p., e
quelle  sottese  all'art. 371-bis  c.p.,  riferito alle dichiarazioni
rese  al  pubblico  ministero: sia l'art. 378 che l'art. 371-bis c.p.
tutelano  infatti un'attivita' di indagine profondamente simile e per
di piu' assoggettata sotto piu' profili alla medesima disciplina, con
particolare     riferimento    alle    forme    di    documentazione,
all'utilizzabilita'  anche nella successiva fase processuale in senso
stretto  (dibattimento  e/o  riti  alternativi)  e  agli obblighi dei
dichiaranti.
    Alla  sopra  evidenziata  sostanziale  convergenza  di disciplina
processuale, che caratterizza nell'attuale sistema del codice di rito
il  valore  probatorio delle informazioni assunte dalla p.g. rispetto
alle  dichiarazioni  rese  dinanzi  al  p.m., non corrisponde - nella
tassativa  struttura  normativa  dell'art. 384, comma 2 c.p. (rimasta
immutata  in parte qua a seguito della citata novella del 2001) - una
omogeneita'  di trattamento delle corrispondenti condotte di mendacio
e/o reticenza, qualora le stesse siano in concreto riconducibili alle
ipotesi  di reato previste, rispettivamente, dall'art. 371-bis c.p. e
dall'art. 378  c.p.,  essendo  infatti  non  applicabile,  stante  il
mancato  richiamo  di  quest'ultima  norma  (ancorche'  limitato alla
condotta  di  false  o  reticenti  informazioni assunte dalla polizia
giudiziaria),  la  speciale causa di non punibilita' nelle ipotesi di
assunzione  di  informazioni  ad  opera  della polizia giudiziaria in
assenza  degli  specifici presupposti per la configurabilita' in capo
al  dichiarante di un «obbligo» di deporre erga alios: disomogeneita'
di  trattamento la cui intrinseca irragionevolezza (art. 3 Cost.) non
appare  manifestamente  infondata  alla stregua del medesimo percorso
argomentativo   gia'   posto  a  sostegno  dell'autonomo  profilo  di
illegittimita'  costituzionale  dell'art. 384,  comma  2  c.p., nella
parte in cui non prevede(va) l'esclusione della punibilita' per false
o  reticenti  informazioni assunte dalla polizia giudiziaria, fornite
da  chi  avrebbe  dovuto essere avvertito della facolta' di astenersi
dal  renderle,  a  norma  dell'art. 199 c.p.p. (cfr. sent. n. 416 del
1996),  e  che  allo  stato  (a fronte del tassativo tenore letterale
dell'art. 384, comma 2 c.p.) appare «sanabile» soltanto attraverso un
ulteriore  intervento  di  carattere  «additivo» da parte della Corte
costituzionale,  all'esito  del  riscontro, appunto, della intrinseca
irragionevolezza  di  scelte  legislative  in una materia (estensione
delle   cause   di  non  punibilita)  che  comporta  un  giudizio  di
bilanciamento   tra   l'interesse  tutelato  da  norme  incriminatici
accomunate  dalla  ratio  ispiratrice e disciplina processuale (nella
specie,  artt. 371-bis  e  378  c.p.)  e  le  esigenze  che viceversa
sorreggono le correlative disposizioni derogatorie (art. 384, comma 2
c.p.).
          1)  Ipotesi  investigativa  culminata  nella  richiesta  di
          rinvio  a  giudizio (proc. n. 723/04 r.g.n.r.) per il reato
          di  cui  all'art. 73,  d.P.R. n. 309/1990 avanzata dal p.m.
          nei  confronti  del  Muccilli, il quale definiva la propria
          posizione  processuale  con  sentenza  di applicazione pena
          emessa  dal  g.i.p.  di  Biella  in  data  26 ottobre  2005
          (passata in giudicato).
          2)  Amplissima  sul  punto  la casistica giurisprudenziale:
          cfr.,  fra le tante, e in fattispecie del tutto speculari a
          quella  per  cui e' processo, Cass., sez. I, 3 giugno 1985,
          Bartolini; Cass., sez. VI, 9 dicembre 1999, Ricco.
          3)   Al  riguardo,  e'  noto  come  la  giurisprudenza  sia
          orientata ad escludere la configurabilita' di un'ipotesi di
          concorso  formale  di  reati  qualora  la  stessa  condotta
          dichiarativa  integri  la  violazione  di piu' d'una tra le
          citate norme di cui agli artt. 378, 372 e 371-bis c.p.
          4) Norma quest'ultima, nella specie, formalmente rispettata
          dalla   p.g.   (v.   verbale   sommarie   informazioni  del
          3 settembre  2004  nel  quale si da' atto espressamente che
          «... l'ufficio  a  questo  punto,  ritenuto  che dall'esame
          della  documentazione  in  possesso  ravvisando  ipotesi di
          reato  di  favoreggiamento a carico del Miglietti, sospende
          la redazione del verbale».
          5) Cfr. sul punto: Corte cost. sent. n. 416 del 1996.
          6)  Sulla  diversa  portata  applicativa  e sulla giuridica
          impossibilita'  di una sorta di «osmosi» interpretativa tra
          il comma 1 ed il comma 2 dell'art. 384 c.p.: cfr., sia pure
          incidentalmente,  Corte cost. sent. n. 416 del 1996 cit. Al
          riguardo,  devono  ritenersi  condivisibili le osservazioni
          della  piu'  attenta  dottrina in materia laddove evidenzia
          che  l'art. 384,  comma  1  c.p.  prevede  una causa di non
          punibilita'  in  favore  di chi ha commesso il reato in una
          determinata  situazione caratterizzata dalla «necessita' di
          salvare   se'  o  un  prossimo  congiunto  da  un  grave  e
          inevitabile   nocumento   nella   liberta'  o  nell'onore»;
          l'art. 384, comma 2 c.p. stabilisce, in sintesi, che non e'
          punibile  chi non avrebbe potuto essere obbligato a deporre
          o   avrebbe  dovuto  essere  avvertito  della  facolta'  di
          astensione.  Il  primo comma postula che la deposizione sia
          stata  assunta legittimamente; il secondo comma, viceversa,
          concerne  quelle  ipotesi nelle quali la «testimonianza» e'
          stata   assunta  illegittimamente.  L'escussione  e'  stata
          svolta  non  iure, perche' l'autorita' procedente ha omesso
          di  informare  la  persona  della facolta' di non deporre o
          comunque  la ha costretta a testimoniare violando la legge.
          In  tal  caso,  l'art. 384,  comma  2  c.p. sancisce che la
          condotta  dichiarativa «falsa» non e' punibile. Non occorre
          verificare   lo   stato   di   coazione   psicologica   del
          dichiarante:  e'  sufficiente accertare la violazione della
          legge,  di  guisa  che,  piuttosto  che  una  causa  di non
          punibilita',  la  norma  sembra  escludere la tipicita' del
          fatto,   configurandosi   la   legittima  assunzione  della
          qualifica  di  «testimone»  (o comunque di soggetto gravato
          dell'obbligo  di  deporre secondo verita) quale presupposto
          della condotta.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost.; 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione
dell'art. 3 Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 384,   comma  2,  c.p.  nella  parte  in  cui  non  prevede
l'esclusione  della  punibilita'  per  false o reticenti informazioni
assunte  dalla polizia giudiziaria, fornite da chi non avrebbe potuto
essere  obbligato  a  renderle  o  comunque  a  rispondere, in quanto
persona   indagata   di  reato  probatoriamente  collegato,  a  norma
dell'art. 371,  comma 2, lett. b) c.p.p. a quello (commesso da altri)
cui le dichiarazioni stesse si riferiscono;
    Sospende  il  processo  e  dispone l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
    Manda  alla  cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
ordinanza  al  Presidente  del Consiglio dei ministri, nonche' per la
comunicazione   al  Presidente  del  Senato  della  Repubblica  e  al
Presidente della Camera dei deputati.
        Biella, addi' 7 febbraio 2007
                          Il giudice: Tetto
07C0933