N. 267 SENTENZA 4 - 13 luglio 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Demanio   e  patrimonio  -  Dismissioni  degli  immobili  degli  enti
  previdenziali  - Immobili siti a Roma, in Via Nicola Salvi, n. 68 e
  in Via Monte Oppio, n. 12 - Esclusione dalla procedura di vendita -
  Questione  incidentale di legittimita' costituzionale - Motivazione
  non   implausibile   della  rilevanza  (basata  su  interpretazione
  coerente  con  il  contenuto  e  la  finalita'  della  disposizione
  censurata)  -  Rigetto dell'eccezione di inammissibilita' basata su
  assunto contrario.
- D.L.   30 settembre   2005,   n. 203,  art. 11-quinquies,  comma 7,
  inserito dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248.
- Costituzione, artt. 3, 24, 81, 97, 103 e 113.
Legge  ed atti equiparati - Leggi provvedimento - Insussistenza di un
  divieto    generale    -   Necessario   rispetto   della   funzione
  giurisdizionale   in  ordine  alle  cause  in  corso,  nonche'  del
  principio della ragionevolezza e non arbitrarieta - Assoggettamento
  ad uno scrutinio stretto di costituzionalita' sotto tali profili.
- D.L.   30 settembre   2005,   n. 203,  art. 11-quinquies,  comma 7,
  inserito dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248.
Demanio   e  patrimonio  -  Dismissioni  degli  immobili  degli  enti
  previdenziali  - Immobili siti a Roma, in Via Nicola Salvi, n. 68 e
  in  Via  Monte  Oppio, n. 12, in relazione ai quali il Consiglio di
  Stato  ha  affermato  l'obbligo  di  applicare il prezzo di vendita
  stabilito  per  gli  edifici  non  di  pregio  -  Esclusione  dalla
  procedura  di  vendita - Norma-provvedimento finalizzata ad eludere
  l'esecuzione   di   sentenze   impugnabili   solo   per  motivi  di
  giurisdizione  -  Discriminazione  in  danno dei conduttori dei due
  immobili   esclusi   dalla  vendita,  lesione  del  loro  legittimo
  affidamento,     irragionevolezza     ed     arbitrarieta'    della
  norma-provvedimento  - Illegittimita' costituzionale - Assorbimento
  delle censure riferite ad ulteriori parametri.
- D.L.   30 settembre   2005,   n. 203,  art. 11-quinquies,  comma 7,
  inserito dalla legge di conversione 2 dicembre 2005, n. 248.
- Costituzione, artt. 3, (24, 81) 97, 103 (e 113).
(GU n.28 del 18-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 11-quinquies,
comma 7,  del  decreto-legge  30 settembre  2005,  n. 203  (Misure di
contrasto  all'evasione  fiscale  e  disposizioni  urgenti in materia
tributaria     e    finanziaria),    inserito    dalla    legge    di
conversione 2 dicembre   2005,  n. 248  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante
misure  di  contrasto  all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in
materia  tributaria  e  finanziaria), promossi con n. 2 ordinanze del
2 agosto  2006  dal  Consiglio  di  Stato  sui  ricorsi  proposti  da
Angelucci  Paola  ed  altri  e  da Badiali Antonietta ed altri contro
l'INPS  ed  altra,  rispettivamente  iscritte  ai  nn. 691  e 692 del
registro  ordinanze  2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell'anno 2007;
    Visti  gli  atti di costituzione di Angelucci Paola ed altri e di
Badiali  Antonietta  ed altri, dell'INPS e della SCIP Societa' per la
cartolarizzazione   degli   immobili   pubblici   nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2007 il giudice relatore
Giuseppe Tesauro;
    Uditi  gli  avvocati  Gennaro  Terracciano per Angelucci Paola ed
altri  e per Badiali Antonietta ed altri, Pietro Collina per l'INPS e
per la SCIP Societa' per la cartolarizzazione degli immobili pubblici
e  l'avvocato  dello  Stato  Giuseppe  Fiengo  per  il Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Il Consiglio di Stato, con due ordinanze del 2 agosto 2006,
ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, 81, 97, 103 e 113
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 11-quinquies, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005,
n. 203  (Misure  di  contrasto  all'evasione  fiscale  e disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria), inserito dalla legge di
conversione 2 dicembre   2005,  n. 248  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante
misure  di  contrasto  all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in
materia  tributaria  e  finanziaria),  disposizione che cosi' recita:
«Gli  immobili siti in Roma, via Nicola Salvi n. 68 e via Monte Oppio
n. 12,   gia'   inseriti   nelle  procedure  di  vendita  di  cui  al
decreto-legge    25 settembre    2001,    n. 351,   convertito,   con
modificazioni,  dalla legge 23 novembre 2001, n. 410, sono esclusi da
dette procedure di vendita».
    2. - Il Consiglio di Stato e' stato adito, in sede di giudizio di
ottemperanza,  in  relazione  a due sentenze pronunciate dallo stesso
giudice  (Sez.  VI,  26 ottobre  2005,  n. 5960 e n. 5961), che hanno
deciso   altrettante   controversie  concernenti  la  dismissione  di
immobili  di  proprieta'  dell'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale  (INPS), ubicati in Roma, via Nicola Salvi n. 68, e via Monte
Oppio n. 12.
    Le  pronunce  hanno confermato le sentenze di primo grado che, in
accoglimento   dei   ricorsi   proposti   da   alcuni  conduttori  di
appartamenti  siti  in  detti edifici, hanno annullato il decreto del
1° aprile 2003 (Identificazione degli immobili di pregio), emesso dal
Ministro  dell'economia  e delle finanze, di concerto con il Ministro
del  lavoro  e  delle  politiche  sociali,  nella  parte in cui aveva
inserito   detti   immobili   fra   quelli   di  pregio,  affermando,
conseguentemente,  l'obbligo  dell'INPS «di applicare le modalita' di
vendita  degli  immobili  pubblici,  previste  per gli edifici non di
pregio».  L'Istituto  non ha dato esecuzione alle sentenze, invocando
la  sopravvenienza  della  norma impugnata, che ha sottratto entrambi
gli immobili alla procedura di dismissione.
    Secondo il Consiglio di Stato, nella specie non e' applicabile il
principio  di  intangibilita'  del giudicato, in quanto, alla data di
entrata  in  vigore  del  citato  art. 11-quinquies, comma 7, non era
ancora  decorso  il  termine  per  proporre ricorso in Cassazione per
motivi  di  giurisdizione e, tuttavia, le pronunce erano suscettibili
di essere portate ad esecuzione mediante il giudizio di ottemperanza.
    Ad  avviso  dei  rimettenti, la norma censurata e' applicabile in
entrambi  i  giudizi ed impedisce l'esecuzione delle sentenze; l'INPS
non  puo',  infatti, procedere alla vendita degli immobili in base al
prezzo  stabilito nelle pronunce, poiche' la disposizione in esame li
ha esclusi dalla procedura di dismissione. E' precisamente, pertanto,
detta norma che impedisce l'accoglimento delle domande.
    2.1.   -   Secondo   i   giudici   a  quibus,  benche'  la  legge
caratterizzata  da  un  contenuto  concreto e particolare (cosiddetta
legge-provvedimento) non sia, di per se', illegittima, il legislatore
ordinario,  nell'emanare leggi di siffatta natura, deve osservare sia
il   limite   specifico   costituito   dal  rispetto  della  funzione
giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso, sia il
limite generale costituito dal principio di ragionevolezza.
    Nella specie, la successione degli eventi dimostrerebbe che unica
finalita'  della norma censurata sarebbe stata quella di impedire che
potesse  essere data esecuzione alle citate sentenze del Consiglio di
Stato.  Il  legislatore,  a  fronte  dell'obbligo, stabilito in dette
pronunce,  di  alienare  gli  immobili  al  prezzo  previsto  per gli
immobili  non  di pregio, avrebbe scelto di ritirare l'immobile dalle
procedure   di   vendita,   operando  una  valutazione  discrezionale
riservata,  di  regola,  alla  sede amministrativa. Scopo della norma
sarebbe   stato   di   incidere  sulla  funzione  giurisdizionale  in
riferimento  a  controversie  che  neppure potevano, sostanzialmente,
ritenersi  in corso, in quanto erano state pronunciate le sentenze di
ultimo  grado  ed  era  si'  formalmente  pendente  il termine per il
ricorso per Cassazione per motivi di giurisdizione, ma sussisteva pur
sempre  l'obbligo  per  l'amministrazione  di darvi esecuzione ed era
ammissibile il giudizio di ottemperanza.
    Pertanto,  la  norma  censurata  si porrebbe in contrasto con gli
artt. 3,  24,  103 e 113 della Costituzione, vulnerando il diritto di
difesa  ed il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale.
La disposizione avrebbe, infatti, vanificato il diritto di difesa dei
ricorrenti,  esercitato con la proposizione dell'azione e soddisfatto
con   le   pronunce  di  accoglimento  delle  domande,  alterando  la
regolamentazione  degli  interessi  stabilita  da sentenze esecutive,
pronunciate nel secondo grado.
    2.2.  -  Sotto  un ulteriore profilo, l'art. 3 della Costituzione
sarebbe violato in quanto le leggi-provvedimento sono soggette ad uno
scrutinio  stretto di legittimita' costituzionale e, nella specie, la
scelta  operata  dal legislatore sarebbe irragionevole ed arbitraria,
dato   che  mai  una  legge-provvedimento  ha  inciso  su  un  numero
determinato e cosi' limitato di persone.
    L'art. 3 della Costituzione sarebbe violato anche in relazione al
principio  di  eguaglianza,  poiche'  la norma censurata realizza una
irragionevole  discriminazione  in  danno dei locatari degli immobili
dalla  stessa  considerati,  rispetto  ai  locatari di altri immobili
pubblici  inseriti nelle procedure di dismissione in base alla stessa
fonte  normativa.  I  secondi  hanno  potuto, infatti, acquistare gli
immobili,   a  seguito  dell'inserimento  dei  medesimi  nei  decreti
ministeriali  del  31 luglio  2002  (Individuazione degli immobili di
pregio)  e  del  1° aprile  2003.  I ricorrenti, benche' gli immobili
siano  stati  inclusi  nel decreto ministeriale del 1° aprile 2003 ed
essi versassero nelle medesime condizioni degli altri inquilini, sono
stati  esclusi dalla procedura di vendita, nonostante la pronuncia di
una  sentenza favorevole, di ultimo grado. Questa discriminazione non
sarebbe  sorretta  da una plausibile giustificazione, non sussistendo
una  ragione  giuridicamente  rilevante per escludere gli immobili da
quelli da alienare, dopo che erano stati compresi tra essi.
    2.3.  -  Ad  avviso dei rimettenti, la norma in esame, mirando ad
evitare  che  sia  data  esecuzione  ad  una  sentenza  definitiva ed
esecutiva,  violerebbe  inoltre  il  canone  di  imparzialita' e buon
andamento   dell'amministrazione   ed   il  principio  del  legittimo
affidamento del cittadino (artt. 3 e 97 della Costituzione).
    Il  citato  art. 11-quinquies,  comma 7,  si porrebbe, infine, in
contrasto   con   l'art. 81   della  Costituzione.  La  procedura  di
dismissione degli immobili pubblici e' preordinata a reperire risorse
economiche  per  lo  Stato,  con una modalita' inidonea ad elidere la
riferibilita'  al  medesimo  dei suoi effetti economici. Pertanto, la
sottrazione  di  due immobili alla procedura di vendita comporterebbe
una  minore  entrata  per  lo Stato, in relazione alla quale la legge
avrebbe  dovuto  indicare  la  relativa copertura, come invece non e'
accaduto.
    3.  -  Nei  due  giudizi si sono costituiti, con separati atti, i
ricorrenti  nei  giudizi  a  quibus,  chiedendo  l'accoglimento della
questione  e svolgendo, anche nelle memorie depositate in prossimita'
dell'udienza  pubblica,  argomenti  sostanzialmente  coincidenti  con
quelli contenuti nelle ordinanze di rimessione.
    3.1.  -  In  entrambi  i  giudizi  si e' costituito l'INPS, parte
convenuta  nei processi principali, che, anche quale mandatario della
Societa' di cartolarizzazione immobili pubblici s.r.l. (SCIP s.r.l.),
con  distinti atti, di contenuto sostanzialmente identico, ha chiesto
che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    L'Istituto,   dopo   avere   sintetizzato   la   disciplina   del
procedimento  di  dismissione  degli  immobili,  osserva  che  quelli
rientranti  nel patrimonio disponibile degli enti previdenziali - tra
questi  anche i due stabili oggetto dei giudizi a quibus - sono stati
individuati  con  decreti  dirigenziali  dell'Agenzia  del demanio e,
quindi,  trasferiti,  con  decreto del Ministro dell'economia e delle
finanze,  di  concerto  con il Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, alla SCIP s.r.l. Una disciplina specifica e' stata stabilita
per  gli  immobili  cosiddetti di pregio, concernente la modalita' di
individuazione  degli  stessi e la loro esclusione dalle agevolazioni
previste per i conduttori delle restanti abitazioni.
    Nell'ambito  di  detto  procedimento  di  dismissione  sono state
avviate  due operazioni di cartolarizzazione, sulla base di programmi
di  vendita  predisposti  da  vari enti previdenziali con i Ministeri
interessati,  previa  stima  dei  fabbricati affidata all'Agenzia del
territorio.
    Secondo  l'INPS,  la  norma censurata va valutata nel contesto di
siffatta  operazione,  alla  luce della necessita' di garantire che i
ricavi  delle  vendite  non  siano  inferiori  al valore di stima. Il
mantenimento  degli  immobili  oggetto  dei  giudizi  principali  nel
portafoglio cartolarizzato al valore stabilito dal Consiglio di Stato
avrebbe   comportato  un  aggravio  della  spesa  pubblica,  a  causa
dell'obbligo  di  pagare  la  differenza  rispetto al minore introito
derivante  dalla  vendita  del  bene  ad  un  prezzo ridotto, evitato
appunto  grazie  alla  norma  censurata. Pertanto, detta disposizione
sarebbe  strumentale alla tutela di un rilevante interesse pubblico e
non  mirerebbe  ad  eludere  un  giudicato,  non  ancora formatosi al
momento della sua emanazione.
    Inoltre,   il  citato  art. 11-quinquies,  comma 7,  non  avrebbe
determinato   una  discriminazione  in  danno  dei  conduttori  degli
immobili  dallo  stesso  contemplati,  i  quali  verserebbero  in una
situazione  differenziata  rispetto ai conduttori degli altri stabili
oggetto  di  dismissione.  La  considerazione  che la norma censurata
sarebbe   stata   ispirata  dalla  necessita'  di  razionalizzare  la
alienazione  degli  immobili,  evitando  i  danni  derivanti  da  una
riduzione  degli  introiti,  condurrebbe,  infine,  ad  escludere  la
denunciata violazione dell'art. 97 della Costituzione.
    3.2.  -  In  entrambi  i giudizi e' intervenuto il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata.
    Secondo  la  difesa  erariale, le sentenze del Consiglio di Stato
avrebbero  avuto ad oggetto soltanto la qualificazione degli immobili
come  non  di  pregio, mentre la determinazione dell'an e del quomodo
della  vendita  non  potrebbe  costituire  oggetto  del  giudizio  di
ottemperanza, con conseguente irrilevanza della questione.
    Nel merito, la norma in esame sarebbe giustificata dallo scopo di
eliminare    una    difficolta'    procedimentale    della   pubblica
amministrazione  e,  in relazione alla conclusione della vendita, non
sussisterebbe un giudicato, con conseguente inesistenza della lesione
del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale (artt. 24,
103, 113 della Costituzione).
    La  ratio  del  citato  art.  11-quinquies,  comma 7, di tutelare
l'interesse  dell'amministrazione  pubblica  a non essere obbligata a
corrispondere  alla  SCIP  s.r.l. la differenza tra il prezzo pieno a
cui   l'immobile  e'  stato  dalla  medesima  acquistato,  in  quanto
classificato  all'inizio come di pregio, ed «il prezzo scontato a cui
esso  rischiava  di  essere  rivenduto all'occupante, in forza di una
diversa    classificazione   fatta   dal   giudice   amministrativo»,
conforterebbe la ragionevolezza della norma.
    Secondo  l'interveniente, sarebbero, infine, infondate le censure
riferite   agli   artt. 3  e  97  della  Costituzione.  La  peculiare
situazione  e  le  specifiche  caratteristiche degli stabili in esame
giustificherebbero,   infatti,   un   trattamento  differenziato  dei
conduttori  degli appartamenti negli stessi ubicati e la disposizione
sarebbe strumentale rispetto alla tutela dell'interesse pubblico alla
razionale  ed  economica  gestione  del  patrimonio immobiliare della
collettivita'.
    4.  -  All'udienza  pubblica  le  parti  e  l'interveniente hanno
chiesto l'accoglimento delle conclusioni rese nelle difese scritte.

                       Considerato in diritto

    1.  - Il Consiglio di Stato, con due ordinanze del 2 agosto 2006,
ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3, 24, 81, 97, 103 e 113
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 11-quinquies, comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2005,
n. 203  (Misure  di  contrasto  all'evasione  fiscale  e disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria), inserito dalla legge di
conversione 2 dicembre   2005,  n. 248  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante
misure  di  contrasto  all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria).
    1.1.  -  Secondo i rimettenti, la norma impugnata, disponendo che
gli  immobili  nella  stessa indicati sono esclusi dalle procedure di
vendita   di   cui   al   decreto-legge  25 settembre  2001,  n. 351,
convertito,  con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 410,
dopo  che in due sentenze definitive del Consiglio di Stato era stato
affermato  l'obbligo  dell'ente  proprietario  di alienarli al prezzo
previsto  per  quelli non di pregio, si porrebbe in contrasto con gli
artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione. Scopo della norma sarebbe,
infatti,  soltanto  quello di eludere l'obbligo di dare esecuzione ad
una  decisione giurisdizionale, in violazione del diritto di difesa e
del principio di effettivita' della tutela giurisdizionale.
    La disposizione violerebbe, inoltre, l'art. 3 della Costituzione,
sotto   un  primo  profilo,  in  quanto  sottrae  alla  procedura  di
dismissione  due  soli  immobili, dopo che l'INPS ed i locatari degli
appartamenti  avevano,  rispettivamente,  manifestato  la volonta' di
venderli  e  di  acquistarli,  alterando  la  regolamentazione  degli
interessi  stabilita da una sentenza definitiva ed esecutiva, sebbene
non  ancora  passata in giudicato. Sotto un secondo profilo, la norma
realizzerebbe una irragionevole discriminazione in danno dei locatari
degli immobili dalla stessa considerati, i quali, in mancanza di ogni
plausibile  giustificazione, non possono acquistare gli appartamenti,
nonostante la pronuncia di una sentenza favorevole, di ultimo grado.
    Il  citato  art. 11-quinquies,  comma 7, si porrebbe in contrasto
con  gli  artt. 3 e 97 della Costituzione anche in quanto, mirando ad
evitare  che  sia  data  esecuzione  ad  una  sentenza  definitiva ed
esecutiva,  lederebbe  il  canone  di  imparzialita' e buon andamento
dell'amministrazione,  con  pregiudizio  del  principio del legittimo
affidamento del cittadino.
    Infine,  secondo  i  giudici  a quibus, sarebbe violato l'art. 81
della  Costituzione, poiche' la disposizione in questione mancherebbe
di copertura finanziaria, dato che comporta una minore entrata per lo
Stato, in difetto di indicazione della relativa copertura.
    2.  -  L'identita' delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di
rimessione, aventi ad oggetto la stessa norma, impone la riunione dei
giudizi.
    3.  - L'eccezione di inammissibilita' della questione per difetto
di rilevanza, sollevata dalla difesa erariale, e' infondata.
    Entrambe   le   ordinanze   di  rimessione  sottolineano  che  le
controversie  definite  con  le sentenze delle quali e' stata chiesta
l'esecuzione  hanno  «avuto  per oggetto solo l'esatta qualificazione
dell'immobile, come di pregio o non di pregio, al fine di determinare
la  conseguente  misura  del  prezzo»,  e,  quindi,  hanno «affermato
l'obbligo  dell'amministrazione di applicare le modalita' di vendita»
previste per gli edifici riconducibili alla seconda categoria.
    Dalla  premessa  dell'obbligo dell'amministrazione di vendere gli
immobili  al  prezzo stabilito per quelli non di pregio, il Consiglio
di  Stato  ha  desunto  che soltanto la norma censurata «impedisce di
dare  esecuzione»  alle  sentenze, non sussistendo altri «ostacoli di
sorta»  al  perfezionamento  del  procedimento di alienazione. Questa
interpretazione  della  disciplina  della  dismissione  e', peraltro,
l'unica  coerente  con  il  contenuto  e  la  finalita'  della  norma
impugnata,   posto  che  la  stessa  e'  giustificabile  soltanto  in
considerazione  del  citato  obbligo  e  cioe' dell'insussistenza del
potere  di  revocare  la  proposta  di  alienazione, una volta che il
consenso  delle parti si sia perfezionato ed il prezzo di vendita sia
stato  determinato all'esito dei giudizi amministrativi. I rimettenti
hanno,  pertanto,  plausibilmente  motivato  in ordine alla rilevanza
della  questione  e  tanto,  secondo la consolidata giurisprudenza di
questa  Corte,  e'  sufficiente  a  renderla  ammissibile (per tutte,
sentenze n. 176 del 2000 e n. 521 del 1995).
    4. - La questione, nel merito, e' fondata.
    La norma impugnata stabilisce che «gli immobili siti in Roma, via
Nicola  Salvi  n. 68,  e  via  Monte Oppio n. 12, gia' inseriti nelle
procedure  di  vendita  di  cui  al  decreto-legge 25 settembre 2001,
n. 351,  convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001,
n. 410, sono esclusi da dette procedure di vendita».
    La  questione ha, quindi, ad oggetto la valutazione, alla stregua
dei  parametri sopra indicati, della conformita' alla Costituzione di
una     disposizione     che    puo'    essere    qualificata    come
«norma-provvedimento»,  in  quanto  incide su un numero determinato e
molto limitato di destinatari ed ha contenuto particolare e concreto.
    Al   riguardo,   va   ricordato   che,   secondo  la  consolidata
giurisprudenza  di questa Corte, non e' preclusa alla legge ordinaria
la possibilita' di attrarre nella propria sfera di disciplina oggetti
o  materie  normalmente  affidati  all'autorita'  amministrativa, non
sussistendo un divieto di adozione di leggi a contenuto particolare e
concreto, ossia di leggi-provvedimento (sentenza n. 347 del 1995).
    Tuttavia,   queste   leggi  sono  ammissibili  entro  limiti  sia
specifici, qual e' quello del rispetto della funzione giurisdizionale
in  ordine alla decisione delle cause in corso, sia generali, e cioe'
del  principio  della  ragionevolezza  e  non arbitrarieta' (sentenze
n. 492  del  1995, n. 346 del 1991, n. 143 del 1989). La legittimita'
di questo tipo di leggi deve, quindi, essere valutata in relazione al
loro specifico contenuto.
    In  considerazione  del  pericolo  di  disparita'  di trattamento
insito  in  previsioni  di  tipo  particolare o derogatorio (sentenze
n. 185  del  1998,  n. 153  del  1997),  la  legge-provvedimento  e',
conseguentemente,    soggetta    ad    uno   scrutinio   stretto   di
costituzionalita' (sentenze n. 429 del 2002, n. 364 del 1999, nn. 153
e 2 del 1997), essenzialmente sotto i profili della non arbitrarieta'
e della non irragionevolezza della scelta del legislatore. Ed un tale
sindacato  deve  essere  tanto piu' rigoroso quanto piu' marcata sia,
come  nella  specie,  la natura provvedimentale dell'atto legislativo
sottoposto a controllo (sentenza n. 153 del 1997).
    4.1.  - Nel caso in esame peculiare valenza sintomatica assume la
considerazione  del  tempo,  delle modalita' e del contesto in cui e'
stata emanata la disposizione censurata. Infatti, detta norma non era
contenuta  nel testo del decreto-legge del 25 settembre 2005, n. 203,
che  recava  disposizioni  dirette  ad introdurre misure di contrasto
all'evasione  fiscale,  nonche'  disposizioni  in tema di riscossione
delle  imposte,  perequazione  delle  basi  imponibili,  previdenza e
sanita'.  Il  citato  art. 11-quinquies, comma 7, e' stato introdotto
dalla  legge  di  conversione del 2 dicembre 2005, n. 248 (pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  del  2 dicembre  2005, n. 281), dunque la
norma  e'  stata emanata ed e' divenuta efficace soltanto dopo che le
sentenze  del  Consiglio  di  Stato  erano  state pubblicate (in data
26 ottobre  2005)  - ed anche notificate all'amministrazione (in data
21 novembre  2005)  -  definendo  controversie  in corso da anni, che
avevano visto l'amministrazione soccombente.
    Questa   successione  cronologica  e  la  considerazione  che  il
decreto-legge nel quale la norma e' stata inserita concerneva materia
diversa  dalla  dismissione  degli  immobili degli enti previdenziali
rivelano  che,  sebbene alla data di emanazione della norma censurata
non  sussistesse  un  giudicato  formale, finalita' della medesima e'
stata  quella  di  eludere  l'esecuzione di due sentenze, impugnabili
solo per motivi di giurisdizione.
    La  norma  ha,  infatti,  sottratto alla procedura di dismissione
esclusivamente  i  due  immobili dalla stessa considerati, nonostante
che  l'INPS  ed i conduttori degli appartamenti avessero manifestato,
rispettivamente,  la  volonta'  di  venderli e di acquistarli, per la
ragione   che  due  sentenze  avevano  accertato  l'erroneita'  della
qualificazione  datane  dall'amministrazione  e  soltanto dopo che la
fase  di  merito  si  era completamente esaurita con la pubblicazione
delle  pronunce,  le quali, sia pure con diversa motivazione, avevano
confermato quelle di primo grado.
    La  ratio  invocata  dalla  parte  e  dalla  difesa erariale - di
evitare l'aggravio della spesa pubblica per l'obbligo della rifusione
dell'introito derivante dalla vendita dei beni ad un prezzo ridotto -
nel    contesto    sopra    sintetizzato   non   costituisce   idonea
giustificazione  della  discriminazione in danno dei conduttori degli
immobili  in  esame  rispetto  a  quelli degli altri immobili oggetto
della stessa procedura di dismissione.
    Inoltre,  siffatta  finalita'  neppure  permette  di escludere la
lesione  del  legittimo  affidamento  dei  predetti,  consolidatosi a
seguito  delle  sentenze sopra richiamate e da ritenersi vulnerato da
una  norma  che  ha  stabilito  un  irrazionale  regolamento  di  una
situazione  sostanziale,  in  quanto  non  ha  avuto  ad  oggetto una
generalita'  di casi ed e' stata giustificata dall'intento di eludere
quello   definito  da  pronunce  giurisdizionali,  le  quali  avevano
accertato      l'erroneita'      della      valutazione      espressa
dall'amministrazione.
    Pertanto,  il  citato  art. 11-quinquies,  comma 7, non e' immune
dalle  censure  di  irragionevolezza ed arbitrarieta' e, ponendosi in
contrasto    con   l'art. 3   della   Costituzione,   va   dichiarato
costituzionalmente illegittimo.
    Restano,  in  tal  modo,  assorbite  le  censure incentrate sugli
ulteriori parametri costituzionali invocati dai rimettenti.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi;
    Dichiara  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 11-quinquies,
comma 7,  del  decreto-legge  30 settembre  2005,  n. 203  (Misure di
contrasto  all'evasione  fiscale  e  disposizioni  urgenti in materia
tributaria     e    finanziaria),    inserito    dalla    legge    di
conversione 2 dicembre   2005,  n. 248  (Conversione  in  legge,  con
modificazioni,  del  decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante
misure  di  contrasto  all'evasione fiscale e disposizioni urgenti in
materia tributaria e finanziaria).
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                        Il redattore: Tesauro
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
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