N. 272 SENTENZA 4 - 13 luglio 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Responsabilita'    amministrativa   e   contabile   -   Giudizio   di
  responsabilita'  per  danno erariale innanzi alla Corte dei conti -
  Sospensione,  secondo  la giurisprudenza della Corte di cassazione,
  costituente  «diritto vivente», in caso di sentenza penale di primo
  grado  che  abbia  pronunciato  anche  sulla  domanda  risarcitoria
  proposta   dall'amministrazione   costituitasi   parte   civile   -
  Denunciata  lesione  della  giurisdizione  della  Corte dei conti -
  Eccezione   di   inammissibilita'   del  ricorso  per  sopravvenuta
  irrilevanza, atteso il passaggio in giudicato della sentenza penale
  relativa  al  medesimo fatto, statuente pure sugli effetti civili -
  Reiezione.
- Cod. proc. pen., art. 75, comma 3.
- Costituzione, art. 103, comma secondo.
Responsabilita'    amministrativa   e   contabile   -   Giudizio   di
  responsabilita'  per  danno erariale innanzi alla Corte dei conti -
  Sospensione,  secondo  la giurisprudenza della Corte di cassazione,
  costituente  «diritto vivente», in caso di sentenza penale di primo
  grado  che  abbia  pronunciato  anche  sulla  domanda  risarcitoria
  proposta   dall'amministrazione   costituitasi   parte   civile   -
  Denunciata  lesione  della  giurisdizione  della  Corte dei conti -
  Eccezione  di inammissibilita' del ricorso per difetto di rilevanza
  sull'assunto     dell'avvenuta    prescrizione    dell'azione    di
  responsabilita' erariale - Reiezione.
- Cod. proc. pen., art. 75, comma 3.
- Costituzione, art. 103, comma secondo.
Responsabilita'    amministrativa   e   contabile   -   Giudizio   di
  responsabilita'  per  danno erariale innanzi alla Corte dei conti -
  Sospensione,  secondo  la giurisprudenza della Corte di cassazione,
  costituente  «diritto vivente», in caso di sentenza penale di primo
  grado  che  abbia  pronunciato  anche  sulla  domanda  risarcitoria
  proposta   dall'amministrazione   costituitasi   parte   civile   -
  Denunciata  lesione  della  giurisdizione  della  Corte dei conti -
  Questione  meramente  interpretativa,  fondata  su  erronea lettura
  della disposizione censurata - Inammissibilita'.
- Cod. proc. pen., art. 75, comma 3.
- Costituzione, art. 103, comma secondo.
(GU n.28 del 18-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'articolo 75,
comma 3,  del  codice di procedura penale, promosso con ordinanza del
30 marzo  2006 dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la
Regione  Lombardia,  nel  giudizio  di responsabilita' amministrativa
promosso  dal Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale
per la Regione Lombardia nei confronti di Facchini Carlo, iscritta al
n. 170  del  registro  ordinanze  2006  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, n. 24, 1ª serie speciale, dell'anno 2006;
    Visto l'atto di costituzione di Facchini Carlo;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2007 il giudice relatore
Paolo Maddalena;
    Udito l'avvocato Mario Viviani per Facchini Carlo.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ordinanza  del  30 marzo  2006,  la Corte dei conti -
Sezione   giurisdizionale  per  la  Regione  Lombardia  ha  sollevato
questione    di    legittimita'    costituzionale,   in   riferimento
all'articolo 103,      secondo     comma,     della     Costituzione,
dell'articolo 75,  comma 3,  del  codice  di  procedura penale, nella
parte  in cui, applicato «in conformita' all'indirizzo interpretativo
delle  Sezioni  unite della Corte di cassazione in ordine ai rapporti
fra  giudizi di competenza del giudice ordinario e quelli devoluti al
giudice   contabile»,   comporterebbe  la  sospensione  del  processo
contabile  instaurato,  nei  confronti delle medesime persone e per i
medesimi  fatti,  dopo  l'emanazione  della  sentenza penale di primo
grado  che  abbia pronunciato sulla domanda civile proposta in quella
sede dalla amministrazione pubblica.
    2. - La rimettente Corte dei conti riferisce che, nel corso di un
giudizio  di  responsabilita', il convenuto ha eccepito, tra l'altro,
l'inammissibilita' dell'atto di citazione della Procura regionale per
essere  stato  questo emanato nonostante la gia' intervenuta condanna
per  gli  stessi  fatti, emessa dal giudice penale di primo grado, al
risarcimento  del  danno  in  favore  della  amministrazione pubblica
danneggiata   (Consorzio   interprovinciale   per   la  tutela  e  la
salvaguardia  delle  acque del lago di Varese) ivi costituitasi parte
civile   ovvero,  in  via  subordinata,  la  sospensione  dell'azione
contabile sino alla definizione del pendente giudizio penale.
    2.1.  -  In  ordine  alla  rilevanza  della questione, il giudice
rimettente evidenzia che «effettivamente» la Procura regionale agisce
per  il  risarcimento del medesimo danno all'immagine gia' richiesto,
in  relazione ai medesimi fatti, dal predetto Consorzio, costituitosi
parte civile nel giudizio penale.
    Il  rimettente  riferisce, inoltre, che, prima della proposizione
della  azione  di responsabilita' in sede contabile, e' stata emanata
la  sentenza penale di primo grado, la quale ha condannato l'imputato
al  risarcimento  pure  di questo danno, rinviandone pero' a separata
sede  la  liquidazione,  e  che,  per quanto gli consta, sarebbe allo
stato pendente il giudizio penale di appello.
    2.2. - Il giudice rimettente, aderendo alla prospettazione in via
subordinata  del  convenuto,  ritiene  che  nella  fattispecie  debba
trovare   applicazione   la  sospensione  prevista  dall'articolo 75,
comma 3,  cod.  proc. pen.; sennonche' egli dubita della legittimita'
costituzionale     di    questa    disposizione,    in    riferimento
all'articolo 103,  secondo  comma,  della Costituzione per le ragioni
appresso indicate.
    2.3.  -  Quanto alla applicabilita' alla fattispecie de qua della
sospensione  prevista  dal  predetto articolo 75, comma 3, il giudice
rimettente sostiene:
        a) che   la   norma  censurata  comporta  necessariamente  la
sospensione del giudizio civile instaurato dopo la sentenza penale di
condanna  di  primo  grado, che abbia pronunciato anche sulla domanda
civile in esso proposta, giacche' l'azione proposta nelle due sedi e'
la medesima e si intende evitare la duplicazione dei giudizi;
        b) che  se,  come  affermato  dalla  giurisprudenza  costante
(costituente   «diritto   vivente»)   della   Corte   di  cassazione,
l'esercizio    dell'azione   civile   in   sede   penale   da   parte
dell'amministrazione  danneggiata  esclude,  una  volta  formatosi il
giudicato,   la   proponibilita'   dell'azione   di   responsabilita'
esercitabile  innanzi  alla  Corte  dei  conti per danno erariale, ne
deriva  che ammettere la procedibilita' di tale azione (dopo che, nel
definire il processo penale di primo grado, il relativo giudice abbia
pronunciato   anche   sulla   domanda   civile   in   esso  proposta)
comporterebbe parimenti un problema di duplicazione dei giudizi;
        c) che  se,  come affermato sempre dalla giurisprudenza delle
sezioni  unite  della  Corte  di cassazione, l'azione erariale non e'
(neppure)  proponibile  (solo) una volta formatosi il giudicato sulla
sentenza  penale  che  abbia  pronunciato  anche sulla domanda civile
proposta  in  quella  sede,  medio  tempore,  la prima va considerata
evidentemente proponibile e procedibile;
        d) che,  una  volta  intervenuta la decisione penale di primo
grado  che,  in  via  non definitiva, abbia pronunciato sulla domanda
civile   proposta   in  quella  sede,  il  processo  contabile  cosi'
instaurato  va sospeso ai sensi dell'articolo 75, comma 3, cod. proc.
pen.,  perche' il rischio di duplicazione e' lo stesso che si da' tra
l'azione  civile  esercitata  nel  processo  penale  e  quella invece
esercitata  nel  processo  civile  dopo  l'emanazione  della sentenza
penale  di  primo  grado  che  abbia pronunciato sulla domanda civile
proposta in quella sede;
        e) che,  ove  non  si  ritenesse  applicabile  l'articolo 75,
comma 3, risulterebbe vulnerato il principio di economia processuale,
poiche'  il  convenuto  (a  fronte  della domanda civile proposta nel
processo  penale  e, contemporaneamente, della citazione nel processo
contabile)  sarebbe  esposto  al  rischio di doversi difendere in due
sedi distinte, dinanzi a due giudici diversi, per i medesimi fatti;
        f) che,  inoltre,  se  l'azione  erariale  fosse  considerata
realmente  procedibile,  a  dispetto  dell'articolo 75,  comma 3,  lo
svolgimento  del  processo  contabile  -  fra il momento in cui detta
azione   viene  esercitata  e  quello  (successivo)  in  cui  diviene
definitiva  la  decisione  penale di secondo grado che pronunci sulla
domanda  civile  proposta  dall'amministrazione danneggiata in quella
sede   (con  conseguente  improcedibilita'  dell'azione  erariale)  -
determinerebbe  il  paradossale  effetto  di  una inutile attivazione
dell'organizzazione  giudiziaria  con  accollo  alla parte privata di
oneri difensivi duplicati.
    2.4.   -   Il   giudice   rimettente,   pertanto,   ritiene  che,
«presupponendo  un  rapporto  di  concorrenza fra azioni risarcitorie
omogenee proposte in sedi distinte, l'articolo 75, comma 3, c.p.p. da
intendersi»  - onde uniformarsi all'orientamento «delle Sezioni unite
della  corte  di  Cassazione  in  ordine  ai  rapporti fra giudizi di
competenza  del  giudice  ordinario  e  quelli  devoluti  al  giudice
contabile  - come riferito anche ai giudizi di responsabilita' che si
svolgono dinanzi alla Corte dei conti, si pone [...] in contrasto con
l'art. 103, comma secondo, Cost., nell'interpretazione che, parimenti
in   ordine   ai  rapporti  fra  giudizi  di  competenza  dell'uno  e
dell'altro,  ne  ha sino ad oggi dato la Corte costituzionale, che ha
viceversa  escluso  l'esistenza  di un rapporto di concorrenza tra le
due giurisdizioni».
    Il  rimettente,  piu'  specificamente, dubita «della legittimita'
costituzionale  dell'articolo 75,  comma 3,  c.p.p.,  testo  vigente,
nella  parte  in  cui obbliga la sospensione del processo civile - ma
anche, per quanto qui interessa, dei processi nei quali puo', secondo
il  richiamato  orientamento  delle  Sezioni  unite, proporsi analoga
domanda  risarcitoria  - se questi vengano iniziati dopo l'emanazione
della sentenza penale di primo grado».
    «Detto   altrimenti»,  continua  il  rimettente,  «dubita  questo
giudice  -  nello specifico caso di risarcimento dei danni, anche non
patrimoniali,   cagionati   ad   una   amministrazione   pubblica  da
amministratori  e dipendenti mediante comportamenti costituenti reato
-  della  legittimazione,  che  l'articolo 75, comma 3, c.p.p., testo
vigente,   presuppone,   (se   inteso   coerentemente   al   predetto
orientamento  delle  Sezioni  unite,  e quindi del giudice regolatore
della  giurisdizione),  dell'ente  pubblico danneggiato a costituirsi
parte  civile  nel  processo  penale  instaurato  nei confronti degli
autori  del reato medesimo, per fare valere in quella sede il diritto
di  credito di cui assuma di essere titolare, derivandone, in caso di
definitivo  accoglimento  della domanda proposta con l'azione civile,
l'improponibilita'    della    domanda    che    venisse   esercitata
successivamente  dal  p.m.  contabile dinanzi alla competente Sezione
giurisdizionale  regionale  della  Corte dei conti (e, medio tempore,
l'improcedibilita'    del    giudizio   contabile   instaurato   dopo
l'emanazione   della   sentenza  penale  di  primo  grado  che  abbia
pronunciato  anche  sulla  domanda  civile  proposta  in  quella sede
dall'amministrazione danneggiata)».
    Infine,  precisa  ancora  il  giudice  rimettente, «in ragione di
quanto  precede,  il  Collegio ritiene, pertanto, di dovere sollevare
d'ufficio  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 75,
comma 3,   c.p.p.,   essendo   la  stessa  rilevante  ai  fini  delle
definizione  delle  specifica  controversia  sottoposta al suo esame,
nella  parte  in  cui  prevede la necessaria sospensione del giudizio
contabile  nel  quale  venga  esercitata  l'azione  risarcitoria gia'
esperita vittoriosamente nel giudizio penale di primo grado».
    2.5. - In ordine alla non manifesta infondatezza della questione,
il giudice rimettente sviluppa anzitutto una articolata analisi della
giurisprudenza costituzionale intervenuta in merito all'articolo 103,
secondo   comma,  della  Costituzione,  dallo  stesso  evocato  quale
parametro del presente giudizio.
    Alla  luce  delle  sentenze numeri 33 del 1968, 102 del 1977, 641
del  1987,  24 del 1993 e 385 del 1996, il rimettente individua quale
rilevante  ai  fini della valutazione della prospettata questione, il
principio   della   necessaria  interpositio  legislatoris,  in  tali
pronunce  affermato quale presupposto necessario, al fine di radicare
concretamente   la   giurisdizione,  solo  tendenzialmente  generale,
attribuita  dall'articolo 103, secondo comma, della Costituzione alla
Corte di conti sulle materie di contabilita' pubblica.
    Per  il  rimettente,  in  questa  (e,  piu'  in  generale, nella)
giurisprudenza  costituzionale  l'interpositio  legislatoris parrebbe
«declinarsi»  come  «possibilita'  per  il legislatore di enucleare -
nell'ambito  in  cui  opera,  con carattere tendenzialmente generale,
quella  giurisdizione  della Corte dei conti che funge da limite alla
giurisdizione  del giudice ordinario - materie in cui si giustifichi,
nei   limiti   del   parametro  costituzionale  della  non  manifesta
irragionevolezza   della  scelta  legislativa,  l'attribuzione  della
giurisdizione  ad un giudice diverso da quello contabile», mentre «se
di  questa  possibilita'  il legislatore non fa uso, operera' appunto
«la espansione tendenziale della giurisdizione della Corte dei conti,
ove  sussista  identita'  di  materia  e di interesse tutelato [...]»
(sent.  n. 641  del 1987), nei termini specificati dalla sentenza 385
del 1996».
    «In  base  a  tali  premesse»,  il  rimettente ritiene che si sia
affermato    e   consolidato   nella   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale  una «lettura» dell'articolo 103, secondo comma, della
Costituzione  che  escluderebbe  «la  possibilita'  di  configurare i
rapporti  fra  giurisdizione  del giudice ordinario» (sia esso quello
civile,  sia esso quello penale, che pronunci sulle questioni civili)
e  «quella  del  giudice  contabile  in termini di concorrenza» e che
«muovendo  dalla  premessa  che - a parita' di materia e di interesse
tutelato (nel senso specificato dalla gia' citata sentenza n. 385 del
1996)  - laddove manchi l'attribuzione da parte del legislatore della
giurisdizione ad un giudice diverso questa spetta, nell'ambito in cui
opera  quella  tendenziale espansivita' della quale si e' detto, alla
Corte  dei  conti, ne discende invariabilmente che nei corrispondenti
casi  non e' rinvenibile uno spazio di azione - di tipo concorrente -
per un giudice diverso da quello contabile».
    Dalla  giurisprudenza  costituzionale,  in definitiva, a dire del
rimettente,   deriverebbe   il  principio  della  esclusivita'  della
competenza  della  Corte  dei  conti  nelle  materie  di contabilita'
pubblica attribuite alla propria giurisdizione.
    2.6.  -  Il  rimettente  evidenzia,  poi,  come la giurisprudenza
costituzionale,  da un lato (sentenza n. 211 del 1972), abbia escluso
che   l'amministrazione   avesse   autonomia   di   decisione   nella
proposizione  delle azioni nei confronti dei propri dipendenti autori
di  comportamenti  fonte  di  danno,  ribadendo,  in via generale, il
potere  del  Procuratore  generale  della  Corte  dei  conti di agire
d'ufficio,  dall'altro  (sentenza  n. 102 del 1977), abbia escluso la
assoluta  (affermando  piuttosto  la tendenziale) generalita' di tale
potere  e  la  sua  immediata  operativita',  facendo  salva la legge
regionale  siciliana,  la  quale attribuiva, invece, il promuovimento
della azione di responsabilita' agli organi dell'ente danneggiato.
    In  particolare,  il  rimettente  rimarca  che in entrambe queste
richiamate pronunce «la necessita' della interpositio legislatoris ai
fini  del radicamento della giurisdizione del giudice contabile viene
chiaramente   affermata   dalla  Corte  costituzionale  non  gia'  in
assoluto,  bensi'  con  specifico  riferimento  a particolari ipotesi
(rectius,  a  particolari settori/materie) "originariamente sottratti
alla giurisdizione della Corte dei conti"».
    Conforme  a  tale  indirizzo  interpretativo  sarebbe, a dire del
rimettente,  anche  la  successiva  sentenza  n. 773 del 1988, per la
quale  «la  "tendenziale generalita'" della giurisdizione della Corte
dei  conti,  al  di  la'  dei  casi  gia'  in  essa  espressamente  o
istituzionalmente   ricompresi,  necessita  normalmente  di  apposite
previsioni  legislative  e non puo' sortire un effetto invalidante di
norme  che  -  come  nella  specie  -  facciano  ricadere  la materia
nell'ambito della giurisdizione generale del giudice ordinario».
    «Anche  in  tale  caso»,  per  il rimettente, sarebbe «confermato
l'orientamento   della   Corte   costituzionale  incline  a  ritenere
necessaria  l'interpositio  legisaltoris  solamente per attribuire al
giudice  contabile materie prima attribuite espressamente dalla legge
ad  un giudice diverso, e non anche per radicare la giurisdizione del
primo  nelle  ipotesi  di  "carenza  di regolamentazione specifica da
parte   del  legislatore",  perche'  in  questa  seconda  ipotesi  e'
destinata  ad  operare  la espansione tendenziale della giurisdizione
della Corte dei Conti».
    Il  giudice rimettente ricorda, inoltre, che la predetta sentenza
n. 773  del  1988  ha  definito,  nel  senso  della infondatezza, una
questione  di  legittimita'  costituzionale  riferita all'articolo 26
dell'allora  vigente  codice di procedura penale, il quale precludeva
l'azione di responsabilita' amministrativa nei confronti del pubblico
dipendente,  in  presenza  del giudicato penale che avesse provveduto
alla  liquidazione del danno in favore della pubblica amministrazione
costituitasi parte civile.
    A  tale  riguardo,  il  rimettente rammenta che nell'ordinanza di
rimessione  la  Corte dei conti aveva prospettato un contrasto tra il
richiamato   articolo 26  e  l'articolo 489,  comma 2,  del  medesimo
previgente  codice  di procedura penale, a termini del quale, in caso
di  costituzione  di  parte  civile, il giudice penale decideva sulla
liquidazione  dei  danni «salvo che sia stabilita la competenza di un
altro giudice» (norma oggi riprodotta dall'articolo 538, comma 2, del
vigente  codice  di  procedura penale) e sostiene che, nel dichiarare
non  fondata  tale  questione,  la  Corte  costituzionale  ha  «fatto
puntuale  applicazione  dell'indirizzo  consolidatosi a partire dalla
sentenza  n. 110  del  1970,  ritenendo  che  le  norme sopraindicate
valessero  a fondare la giurisdizione del giudice ordinario e che, di
contro,  in  difetto di interpositio legislatoris, non potesse valere
ad  escludere  quella giurisdizione (rectius a "toglierla" al giudice
ordinario per attribuirla a quello contabile) "la generica previsione
di  cui all'art. 52 del T.U. n. 1214 del 1934 delle leggi sulla Corte
dei  Conti,  che non contiene alcuna espressa disposizione in materia
di danno derivante da reato ne' alcuna esplicita deroga alla generale
competenza  spettante  in  materia  al  giudice  penale  in  caso  di
costituzione di parte civile"».
    2.7.  -  La  rimettente  Sezione giurisdizionale per la Lombardia
della  Corte  dei conti riferisce, poi, l'indirizzo giurisprudenziale
delle  sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione «alla stregua del
quale,  con riguardo all'esplicazione della giurisdizione della Corte
dei  Conti  in  materia di responsabilita' contabile, il ricorso alle
sezioni unite della suprema Corte, che sia rivolto a denunciare, come
ragione  preclusiva  dell'affermazione  di  detta responsabilita', la
circostanza  che  la  Pubblica  Amministrazione,  costituendosi parte
civile  in sede penale, abbia chiesto ed ottenuto sentenza definitiva
di  condanna  al  risarcimento  dei danni per il medesimo fatto, deve
essere dichiarato inammissibile».
    Tale  questione,  specifica  il  giudice  rimettente, nell'ottica
della Cassazione, non atterrebbe alla sussistenza delle giurisdizione
del  giudice  contabile,  ma  alla  proponibilita'  dinanzi  ad  esso
dell'azione  di  responsabilita'  e,  quindi,  si  tradurrebbe «nella
deduzione  di  un  errore  in iudicando, esorbitante dalle previsioni
degli  articoli 111 della Costituzione e 362 c.p.c. (Cass., sez. un.,
23 novembre  1999,  n. 822;  Cass.,  sez.  un.,  ord. 21 maggio 1991,
n. 369),   giacche'   la   giurisdizione   penale   e  quella  civile
risarcitoria,      da     un     lato,     e     la     giurisdizione
amministrativa-contabile,     dall'altro,     sono     reciprocamente
indipendenti  nei  profili  istituzionali,  anche quando investono un
medesimo   fatto  materiale,  dal  momento  che  l'interferenza  puo'
avvenire  tra i giudizi ma non tra le giurisdizioni (Cass. 3 febbraio
1989, n. 664)».
    Piu'   specificamente,   in   quest'ottica,  l'impossibilita'  di
proporre  l'azione di responsabilita' esercitabile innanzi alla Corte
dei  conti  per fatti dannosi in conseguenza dell'esercizio, in altra
sede,  di  analoga  azione esercitata dalla pubblica amministrazione,
sulla  quale  si  sia  formato il giudicato, non rileva in termini di
riparto  della  giurisdizione,  bensi'  in  termini  di  limiti  alla
proponibilita'   della   domanda  risarcitoria  erariale  e,  quindi,
concerne   la   eventuale   violazione   dei   limiti  interni  della
giurisdizione stessa.
    Il  giudice rimettente richiama, sempre come espressiva di questo
indirizzo  interpretativo,  pure  la  ordinanza 8 marzo 2005, n. 4957
delle  sezioni  unite,  la  quale  espressamente afferma che non puo'
essere  seguita  la tesi secondo la quale la violazione del principio
del   ne   bis  in  idem  potrebbe  essere  evitata  solo  ammettendo
l'esistenza  di una giurisdizione alternativa, «in quanto finisce con
il  trasformare  una  questione  di  merito  di  conoscibilita' della
domanda in una questione di giurisdizione».
    Secondo  il  rimettente  tale  indirizzo  interpretativo si fonda
dichiaratamente  (viene  richiamata  la  sentenza delle sezioni unite
24 ottobre 2005, n. 20476) ed essenzialmente su una «lettura» erronea
della  sentenza  n. 773  del  1988,  affatto distorsiva del principio
della interpositio legislatoris.
    Sostiene,  al riguardo, il rimettente che, se tale intervento del
legislatore    e'   necessario,   come   sarebbe   desumibile   dalla
giurisprudenza  costituzionale,  al  fine  di  attribuire  al giudice
contabile  una  materia  sino  a  quel momento devoluta ad un giudice
diverso,  una volta operata tale interpositio, dovrebbe escludersi la
concorrenza  delle  giurisdizioni  ne' sarebbe possibile, come invece
opina la Corte di cassazione, risolvere la questione sotto il profilo
della  mera  proponibilita'  o  improponibilita'  della domanda della
Procura  contabile,  una  volta che la amministrazione, costituendosi
parte  civile,  abbia  ottenuto  sentenza  definitiva  di condanna al
risarcimento dei danni per il medesimo fatto.
    2.8.  -  Il  giudice  rimettente  aggiunge,  poi, che la sentenza
n. 773  del  1988  della  Corte  costituzionale e' stata adottata con
riferimento ad un quadro normativo profondamente differente da quello
attuale,  essendo, successivamente, stato approvato il «nuovo» codice
di procedura penale.
    Ad opinione del rimettente, tre argomenti varrebbero a dimostrare
che  sia,  «ormai»,  venuta  meno  la  possibilita'  per  la pubblica
amministrazione  di  costituirsi  parte civile nel processo penale e,
quindi,  la  concorrenza  tra  le  giurisdizioni  che  la  contestata
giurisprudenza  della Corte di cassazione presuppone. Specificamente,
comproverebbero tale tesi:
        a) la  mancata  riproduzione  nel  vigente  codice  del  rito
penale,   dell'articolo 26   del   codice   precedente   (ovvero   la
disposizione  che  e'  stata oggetto della sentenza n. 773 del 1988 e
che  espressamente fondava la competenza del giudice penale sui danni
conseguenti  da  reato, in caso di costituzione di parte civile della
amministrazione  pubblica  danneggiata),  a  fronte  della «conferma»
dell'articolo 489  (ora  riprodotto  dall'articolo 538,  comma 2, del
nuovo codice);
        b) la  introduzione ex novo dell'articolo 129, comma 3, delle
norme  di  attuazione,  di  coordinamento e transitorie del codice di
procedura  penale,  approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989,
n. 271, per il quale quando esercita l'azione penale per un reato che
ha  cagionato un danno per l'erario, il pubblico ministero informa il
procuratore  generale  presso  la  Corte  dei  conti,  dando  notizia
dell'imputazione);
        c) il  disposto  dell'articolo 7  della  legge 27 marzo 2001,
n. 97  (Norme  sul  rapporto  tra  procedimento penale e procedimento
disciplinare  ed  effetti  del  giudicato  penale  nei  confronti dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche), per il quale la sentenza
irrevocabile  di  condanna  pronunciata  nei confronti dei dipendenti
indicati   nell'articolo 3   per   i   delitti   contro  la  pubblica
amministrazione  previsti  nel capo I del titolo II del libro secondo
del  codice  penale e' comunicata al competente procuratore regionale
della   Corte  dei  conti  affinche'  promuova  entro  trenta  giorni
l'eventuale  procedimento  di  responsabilita' per danno erariale nei
confronti del condannato.
    2.9.  -  In  questo senso, per la Corte rimettente, resterebbe in
capo alla   sola   Procura   regionale   della  Corti  dei  conti  la
legittimazione all'esercizio della azione risarcitoria.
    E   questo   sarebbe   ulteriormente   (seppure   indirettamente)
avvalorato dalla disposizione dell'articolo 1, comma 174, della legge
23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale  e  pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006), per il
quale,  al  fine  di  realizzare una piu' efficace tutela dei crediti
erariali,  l'articolo 26 del regolamento di procedura di cui al regio
decreto  13 agosto  1933,  n. 1038,  si  interpreta  nel senso che il
procuratore  regionale  della  Corte  dei  conti  dispone di tutte le
azioni  a tutela delle ragioni del creditore previste dalla procedura
civile,   ivi  compresi  i  mezzi  di  conservazione  della  garanzia
patrimoniale  di  cui  al  libro  VI,  titolo III, capo V, del codice
civile.
    Questa  previsione,  non difformemente, sul piano della ratio, da
quella  recata dall'articolo 5, comma 2, della legge 14 gennaio 1994,
n. 19,  di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge
15 novembre 1993, n. 453, (Disposizioni in materia di giurisdizione e
controllo   della   Corte  dei  conti)  -  che  gia'  legittimava  il
Procuratore   contabile   ad   agire   per   ottenere   il  sequestro
conservativo,  anche  ante causam, dei beni del presunto responsabile
del  danno  erariale  -  confermerebbe,  secondo  il rimettente, che,
nell'attuale   normativa,  l'azione  risarcitoria  spetti  alla  sola
Procura contabile e non piu' alla amministrazione danneggiata.
    Tale  norma,  in  sostanza,  confermerebbe,  ulteriormente, «quel
fenomeno  di  scissione  in  base al quale, una volta verificatosi un
danno   erariale,   se  l'amministrazione  e'  titolare  del  diritto
sostanziale  di  credito  (indisponibile, in ragione della necessaria
integrita'  della  finanza pubblica), non lo e' invece delle relative
facolta'   processuali   (essenzialmente,   il   diritto  di  azione,
esperibile   anche   ai   fini  della  conservazione  della  garanzia
patrimoniale),  il  cui esercizio e' rimesso dalla legge ad un organo
pubblico  appositamente  costituito,  la  Procura presso la Corte dei
conti».
    2.10.  -  Il giudice rimettente, sempre nell'ottica di confermare
la  proposta  tesi  della  assoluta  alternativita' tra giurisdizione
ordinaria  e  contabile,  richiama, infine, l'indirizzo delle sezioni
unite  della Corte di cassazione (sentenze 22 dicembre 1999, n. 933 e
4 dicembre   2001,   n. 15288),   che   ha  piu'  volte  escluso  che
l'amministrazione  pubblica  danneggiata  possa  esercitare  l'azione
civile   contro  i  propri  dipendenti  autori  del  danno,  in  base
all'argomento  che  la  Corte dei conti ha, in materia, giurisdizione
esclusiva.
    In particolare il rimettente richiama un passaggio della sentenza
n. 933  del 1999 delle sezioni unite della Corte di cassazione per la
quale,  «se  si tiene conto che costituisce principio pacifico che la
giurisdizione  della  Corte  dei Conti e' esclusiva, nel senso che e'
l'unico  organo  giudiziario che puo' decidere nelle materie devolute
alla  sua  cognizione,  ne  consegue  che  va esclusa una concorrente
giurisdizione  del giudice ordinario, adito secondo le regole normali
applicabili in tema di responsabilita' e di rivalsa».
    Il  giudice  rimettente  sottolinea che «trattandosi allora della
medesima  azione  civile, se essa non viene considerata esperibile in
sede  civile  in  ragione  dell'esclusivita'  della giurisdizione del
giudice  contabile,  questo  giudice ritiene implausibile una diversa
conclusione  sol  che  la stessa azione venga invece esercitata, come
nella specie, in sede penale».
    2.11.  -  Il  giudice  rimettente  sostiene, infine, come non sia
nemmeno   possibile   dare   una  interpretazione  costituzionalmente
orientata  dell'articolo 75,  comma 3,  cod.  proc.  pen.,  stante il
costante  orientamento  (costituente «diritto vivente») delle sezioni
unite della Corte di cassazione.
    Alla  luce  di  cio'  ed,  in  particolare,  «onde uniformarsi al
principio di concorrenza e, quindi, di sostanziale fungibilita' delle
giurisdizioni ordinaria e contabile (affermato dal giudice regolatore
della  giurisdizione  in  caso  di  danno erariale derivante da reati
attribuibili   a   pubblici   dipendenti),   quale   ineluttabilmente
presupposto  dal  criterio  della  proponibilita'  o improponibilita'
dell'azione  erariale  in  presenza  del giudicato penale anche sulla
domanda  civile»,  per  il rimettente, sarebbe infatti inevitabile la
sospensione del giudizio ai sensi del censurato articolo 75, comma 3,
cod. proc. pen., a fronte della intervenuta decisione penale di primo
grado  che,  come  nel  caso  di specie, abbia condannato il pubblico
dipendente  al  risarcimento  del  danno nei confronti della pubblica
amministrazione, costituitasi parte civile.
    Sospensione  che,  tuttavia,  per le ragioni indicate, sarebbe in
contrasto con l'articolo 103, secondo comma, della Costituzione.
    3.  -  Si e' costituito in giudizio Carlo Facchini, convenuto del
giudizio  contabile  di responsabilita', chiedendo che sia dichiarata
la  inammissibilita'  della  questione  per  irrilevanza, nonche' per
«l'assenza   di   una   vera  e  propria  questione  di  legittimita'
costituzionale» e, nel merito, la infondatezza della stessa.
    3.1.  - Il Facchini ricostruisce, anzitutto, i fatti del processo
a   quo,  segnalando  che  l'amministrazione  danneggiata  ha  mutato
denominazione  (da  Consorzio  interprovinciale  per  la  tutela e la
salvaguardia  delle acque del lago di Varese a Societa' per la tutela
e  la  salvaguardia  delle acque del lago di Varese e di Comabbio per
azioni)  e  che  il giudizio davanti alla Corte di appello di Milano,
Sezione  III  penale, si e' concluso con sentenza del 24 maggio 2006,
n. 1359  (che  ha  confermato  la  condanna  dell'imputato  anche  al
risarcimento del danno in favore della predetta societa).
    Il  Facchini, nella ricostruzione del contenuto dell'ordinanza di
rimessione,  rileva  anzitutto  la contraddizione della tesi, in essa
prospettata,  della  assoluta alternativita' tra giudizio ordinario e
contabile  con il consolidato indirizzo della Corte dei conti, per il
quale la costituzione di parte civile nel processo penale sospende la
prescrizione per l'intera durata del giudizio.
    3.2.  -  La  parte  costituita  sostiene,  poi,  la  prescrizione
dell'azione  esercitata dalla Procura contabile nel processo a quo e,
conseguentemente,   la   irrilevanza  della  questione  proposta  dal
rimettente,  dovendo  il  relativo giudizio non essere sospeso per la
pendenza  del  processo  penale,  bensi' concluso con declaratoria di
prescrizione   del   diritto   ovvero  della  nullita'  dell'atto  di
citazione.
    3.3. - Il Facchini ritiene, poi, che la questione, nei termini in
cui  e'  sollevata,  concernerebbe  non  il  contrasto  del censurato
articolo 75,  comma 3,  cod.  proc.  pen. con l'articolo 103, secondo
comma,  della  Costituzione,  bensi' la portata, i limiti e i modi di
attuazione   di   tale   disposizione  costituzionale  da  parte  del
legislatore ordinario. Di qui l'inammissibilita' della questione.
    3.4. - Il Facchini afferma, infine, che la tesi del rimettente si
fonda su due argomenti:
        a) la  sussistenza di una giurisdizione esclusiva del giudice
contabile  in tema di responsabilita' dei pubblici amministratori per
danno alla pubblica amministrazione;
        b) la  legittimazione esclusiva della Procura presso la Corte
dei  conti all'esercizio dell'azione risarcitoria in nome e per conto
della pubblica amministrazione.
    Il   Facchini   ritiene,   tuttavia,  infondati  entrambi  questi
argomenti.
    A  sua opinione, infatti, la giurisprudenza costituzionale (ed in
particolare  la  sentenza  n. 773  del 1988), lungi dal confermare le
prospettazione  dell'ordinanza  di rimessione, confermerebbe, invece,
la  concorrenza delle giurisdizioni ordinaria e contabile. Soluzione,
questa,   che  troverebbe  riscontro  nel  pacifico  indirizzo  della
giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  (vengono  richiamate le
sentenze  delle  sezioni unite 23 novembre 1999, n. 822 e 26 novembre
2004,  n. 1012),  che risolve le relative interferenze non in termini
di  sussistenza  o  meno  della  giurisdizione,  bensi' in termini di
proponibilita' o meno della domanda, a seconda della esistenza o meno
di un giudicato in merito.
    Ne'  dalle  invocate previsioni dell'articolo 7 della legge n. 97
del  2001  e  dell'articolo 1, comma 174, della legge n. 266 del 2005
sarebbe   desumibile   alcun  indizio  del  prospettato  fenomeno  di
«scissione»  tra la titolarita' del credito e le relative facolta' di
tutela processuale. Per la parte privata, sarebbe, semmai palesemente
irragionevole  limitare  la  facolta'  di  esercizio diretto da parte
dell'amministrazione   pubblica   dell'azione  risarcitoria  in  sede
penale,  dacche'  cio'  varrebbe a porre la amministrazione stessa in
una  immotivata  posizione  deteriore rispetto a quella di ogni altro
soggetto    di    diritto,    con   impossibilita'   di   partecipare
all'accertamento  dei  fatti  ed  alle responsabilita' relative ad un
evento dannoso subito.
    Per  la parte privata, il potenziale pericolo di duplicazione del
giudizio  potrebbe  essere  scongiurato, riconoscendosi che la previa
proposizione  della  azione civile in sede penale esclude l'esercizio
concreto    della    giurisdizione    contabile,    con   conseguente
inammissibilita' della azione esercitata dalla Procura contabile.
    4.  -  In prossimita' dell'udienza pubblica la difesa della parte
privata  ha  depositato  una memoria, nella quale deduce che, essendo
nella  specie passata in giudicato la sentenza penale, statuente pure
sugli  effetti  civili, nelle more del giudizio di costituzionalita',
si   sarebbe   verificata   una   circostanza  che  rende  del  tutto
inapplicabile  il  denunciato  articolo 75, comma 3, cod. proc. pen.,
nel  giudizio a quo. Con conseguente inammissibilita' della questione
sollevata dal rimettente, per irrilevanza.
    Il Facchini svolge, poi, ulteriori considerazioni sostanzialmente
riproduttive degli argomenti sviluppati nell'atto di intervento.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  Corte  dei  conti  -  Sezione  giurisdizionale  per la
Lombardia  ha  sollevato questione di legittimita' costituzionale, in
riferimento  all'articolo 103,  secondo  comma,  della  Costituzione,
dell'articolo 75,  comma 3,  del  codice  di  procedura penale, nella
parte  in cui, applicato «in conformita' all'indirizzo interpretativo
delle  Sezioni  unite della Corte di cassazione in ordine ai rapporti
fra  giudizi di competenza del giudice ordinario e quelli devoluti al
giudice   contabile»,   comporterebbe  la  sospensione  del  processo
contabile  instaurato,  nei  confronti delle medesime persone e per i
medesimi  fatti,  dopo  l'emanazione  della  sentenza penale di primo
grado  che  abbia pronunciato sulla domanda civile proposta in quella
sede dalla amministrazione.
    1.1.  -  La  rimettente  sezione  giurisdizionale della Corte dei
conti  svolge  un  ampio  ed articolato ragionamento, che puo' essere
sintetizzato in quattro fondamentali proposizioni:
        a) la  ratio  dell'articolo 75,  comma 3,  cod. proc. pen. e'
quella  di evitare la duplicazione tra l'azione risarcitoria proposta
in  sede  civile  e  la  medesima  azione proposta in sede penale, e,
pertanto,  esso  dispone  che  il giudizio civile, instaurato dopo la
sentenza  penale  di  primo  grado  che abbia pronunciato anche sulla
domanda  civile  proposta  in  quella  sede,  e'  sospeso  fino  alla
pronuncia penale irrevocabile;
        b) il  «diritto  vivente»  delle sezioni unite della Corte di
cassazione  (sentenza  23 novembre  1999, n. 822; ordinanza 21 maggio
1991,  n. 369)  ritiene  concorrenti l'azione civile proposta in sede
penale  e l'azione di responsabilita' amministrativa, dacche' risolve
la  loro  contemporanea pendenza non in termini di conflitto positivo
di  giurisdizione, bensi' in termini di proponibilita' della domanda,
nel  senso  che,  una  volta  formatosi il giudicato su una delle due
domande, non e' possibile proporre (o proseguire) l'azione nell'altra
sede;
        c) a  fronte  di  tale  «diritto  vivente»,  che  afferma  la
sostanziale  fungibilita'  tra  le  due giurisdizioni, l'articolo 75,
comma 3,  cod. proc. pen., deve essere applicato anche al giudizio di
responsabilita'  amministrativa,  il  quale  deve  pertanto anch'esso
essere  necessariamente  sospeso, se proposto dopo la sentenza penale
di  primo  grado  che  abbia  pronunciato  anche sulla domanda civile
proposta  in  quella  sede dall'amministrazione che si sia costituita
parte civile;
        d) questo    obbligo   di   sospensione   del   giudizio   di
responsabilita'  amministrativa, derivante dalla ritenuta concorrenza
delle  azioni  civile  e  contabile,  contrasta  con  l'articolo 103,
secondo  comma,  della  Costituzione, in quanto in base a tale norma,
alla  luce  della  interpretazione  datane dalla giurisprudenza della
Corte costituzionale (sentenze nn. 33 del 1968, 211 del 1972, 102 del
1977,  641  del  1987, 773 del 1988, 24 del 1993 e 385 del 1996), una
volta  intervenuta  la  attribuzione  legislativa della materia della
responsabilita'  amministrativa  alla  giurisdizione  della Corte dei
conti,  tale  giurisdizione  e'  esclusiva  ed  alternativa  a quelle
ordinaria.
    1.2.   -   Per  rafforzare  tali  argomentazioni,  il  rimettente
richiama,  poi, quella giurisprudenza delle sezioni unite della Corte
di  cassazione  (sentenze 22 dicembre 1999, n. 933 e 4 dicembre 2001,
n. 15288),  che  ha piu' volte escluso che l'amministrazione pubblica
danneggiata possa esercitare (al di fuori della costituzione di parte
civile   nel   processo  penale)  l'azione  civile  contro  i  propri
dipendenti,  in  base  all'argomento  che  la  Corte dei conti ha, in
materia, giurisdizione esclusiva.
    Il  giudice  rimettente  sottolinea che «trattandosi allora della
medesima  azione  civile, se essa non viene considerata esperibile in
sede  civile  in  ragione  dell'esclusivita'  della giurisdizione del
giudice  contabile» sarebbe «implausibile una diversa conclusione sol
che  la  stessa azione venga invece esercitata, come nella specie, in
sede penale».
    1.3.  - Il rimettente sviluppa, infine, una ulteriore ampia serie
di  argomenti  tesi  ad  avvalorare, alla luce delle evoluzioni della
materia   della   responsabilita'   amministrativa,  una  sostanziale
scissione   tra   la   titolarita'   del   diritto  (sostanziale)  al
risarcimento e quella del conseguente diritto (processuale) di azione
risarcitoria,  la  cui  legittimazione  spetterebbe alla sola Procura
della  Corte  dei  conti  (ed  in  nessun  caso  alla amministrazione
pubblica danneggiata, con conseguente difetto di legittimazione della
stessa alla costituzione di parte civile nel processo penale).
    2.  -  Prima  di  esaminare la questione proposta dal rimettente,
devono  essere  valutate  le  eccezioni di inammissibilita' sollevate
dalla parte privata costituita.
    Il   convenuto   del  giudizio  a  quo  sostiene,  anzitutto,  la
sopravvenuta irrilevanza della questione proposta in riferimento alla
sospensione   del   giudizio  contabile  ai  sensi  dell'articolo 75,
comma 3,  cod.  proc.  pen., per essere ormai passata in giudicato la
sentenza  penale  relativa  al  medesimo  fatto, statuente pure sugli
effetti  civili  e,  quindi,  venuta  meno,  anche  in astratto, ogni
possibilita' di sospensione.
    La  parte  privata  prospetta, poi, l'irrilevanza della questione
anche  sull'assunto  che l'azione di responsabilita' erariale sarebbe
prescritta  e  che,  pertanto,  a  fronte  della  relativa  eccezione
sollevata   dalla  stessa  parte  nel  giudizio  a  quo,  il  giudice
rimettente  avrebbe  dovuto  dichiarare  la  prescrizione del credito
risarcitorio  azionato  e  non sollevare la questione di legittimita'
costituzionale.
    Le eccezioni non sono fondate.
    2.1. - Quanto alla prima, e' pacifica la giurisprudenza di questa
Corte  nel  riconoscere  la  irrilevanza  dei successivi sviluppi del
giudizio  a  quo,  dopo  una  valida  introduzione  del  giudizio  di
costituzionalita'.
    2.2.  -  Quanto  alla  seconda,  e'  sufficiente osservare che la
questione,  pregiudiziale  in  senso  tecnico,  sulla sospensione del
giudizio  per  pendenza  di  un  processo penale interferente, cui e'
riferita  la  ordinanza  di  rimessione,  e'  logicamente  precedente
rispetto  a quella, preliminare di merito, relativa alla prescrizione
del  diritto.  A tacer poi del fatto che, come costantemente ritenuto
dalla  giurisprudenza  di  questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 100
del   1993),   spetterebbe,   comunque,   al  giudice  rimettente  la
individuazione  dell'ordine  logico  delle  questioni  sottoposte  al
proprio giudizio.
    3.  -  La  questione  e',  peraltro,  inammissibile sotto diverso
profilo.
    3.1.  -  Il  rimettente,  sulla  base  di  una  assimilazione del
giudizio contabile a quello civile, che egli fa derivare dal «diritto
vivente»  della Corte di cassazione (la quale considera concorrenti i
due  giudizi), ritiene che il giudizio contabile debba essere sospeso
in  caso  di  pronuncia del giudice penale anche sugli effetti civili
del reato.
    La  tesi e' tuttavia contraddittoria ed e' fondata su una erronea
interpretazione della disposizione censurata.
    Infatti   l'articolo 75,   comma 3,   cod.  proc.  pen.,  collega
l'effetto  sospensivo del giudizio civile non alla circostanza che la
decisione   penale   verta   anche  sugli  effetti  civili,  ma  alla
proposizione    dell'azione   civile,   alternativamente,   dopo   la
costituzione  di  parte civile in sede penale ovvero dopo la sentenza
penale di primo grado (indipendentemente dal fatto che essa statuisca
o meno sugli effetti civili).
    Pertanto il rimettente censura una norma non enucleabile, ed anzi
affatto diversa da quella dettata dalla disposizione impugnata.
    A  ben  vedere, pero', l'errore di prospettiva, in cui incorre il
rimettente, e' piu' in radice.
    Questo,  infatti,  nel  suo  ragionamento trascura, anzitutto, di
considerare che, non solo non sussiste un «diritto vivente» nel senso
della  sospensione del processo contabile, ma sussistono anzi diverse
posizioni  della Corte dei conti al riguardo, essendo state da questa
affermate  tanto  la  obbligatorieta'  quanto la impossibilita' della
sospensione del giudizio.
    Accanto  ad  una  lettura  (data  evidentemente  per pacifica dal
rimettente)  che  assimila giudizio civile e amministrativo sul danno
ai  fini  dell'applicazione  dell'articolo 75  cod. proc. pen., ne e'
stata,  infatti,  sostenuta una affatto diversa che, facendo leva sul
tenore  letterale di questa disposizione, ne esclude la riferibilita'
all'ambito  di cognizione della Corte dei conti (cfr. ex multis Corte
dei   conti,  sez.  III,  4 novembre  2005,  n. 651,  e  sez.  I,  30
giugno 2004, n. 244)
    In   effetti   l'articolo 75   cod.   proc.  pen.  (espressamente
intitolato  ai  rapporti  tra  azione  civile  e penale) si riferisce
puntualmente  e  solo  al  giudizio  civile.  Il  che, a fronte delle
logicamente   collegate  previsioni  degli  articoli 651  e  652  del
medesimo  codice  (i  quali  si riferiscono, espressamente, tanto nel
titolo,  quanto  nel  testo,  sia  al giudizio civile sia al giudizio
amministrativo  di  danno),  potrebbe  costituire  (e,  per  la sopra
riferita  giurisprudenza,  ha  costituito)  argomento  a favore della
inapplicabilita'  di  questa  previsione al giudice contabile; la cui
cognizione resterebbe, allora, del tutto autonoma da quella ordinaria
(salvo che gia' sussista un giudicato penale sul punto).
    Inoltre  il  rimettente  omette di valutare l'applicabilita' alla
fattispecie    in    questione,    come    riconosce   la   dottrina,
dell'articolo 538  del codice di procedura penale, il quale limita la
giurisdizione   del   giudice   penale   in  sede  di  pronuncia  sul
risarcimento  del  danno,  alla  sola condanna generica dell'imputato
senza porre problemi di pregiudizialita', essendo questa venuta meno,
con l'abrogazione dell'art. 3 del vecchio codice di procedura penale.
    3.2.  -  Il rimettente, dunque, non da' conto della pluralita' di
soluzioni   date  dalla  giustizia  contabile  alla  questione  della
sospensione  del  processo  ai  sensi dell'articolo 75, comma 3, cod.
proc.  pen.,  non  valuta  la  possibile idoneita' dell'articolo 538,
comma 2,  del  medesimo codice a risolvere il prospettato problema di
raccordo   tra   la   giurisdizione   ordinaria   e  contabile,  ne',
soprattutto,  svolge  argomenti  atti  a  comprovare che il censurato
orientamento  della  Corte  di  cassazione in ordine alla concorrenza
delle  giurisdizioni  confermi o, addirittura, imponga la sospensione
del processo contabile.
    Alla  luce di tale incerto indirizzo giurisprudenziale e a fronte
del delineato quadro normativo, invece, proprio quelle ragioni che il
rimettente  individua  a  fondamento  delle  sue  censure  avverso la
disposizione  impugnata,  avrebbero  potuto  direttamente condurre lo
stesso a non sospendere il giudizio, risolvendo cosi', nell'esercizio
della   sua  cognizione,  una  questione,  in  definitiva,  meramente
interpretativa,  come  tale  inammissibile,  in  quanto estranea alla
logica del proposto giudizio di costituzionalita'.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara    inammissibile    la    questione    di   legittimita'
costituzionale  dell'articolo 75,  comma 3,  del  codice di procedura
penale  sollevata,  in  riferimento  all'articolo 103, secondo comma,
della  Costituzione,  dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale
per la Lombardia con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 4 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Maddalena
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
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