N. 274 SENTENZA 4 - 13 luglio 2007

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento   -  Immunita'  parlamentari  -  Procedimento  penale  nei
  confronti di un parlamentare per il reato di diffamazione aggravata
  -  Deliberazione  di  insindacabilita'  della Camera dei deputati -
  Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato
  proposto dal Tribunale di Bologna - Intervento della persona offesa
  dal  reato,  costituita  parte  civile  nel  procedimento  penale -
  Ammissibilita' - Fondamento.
- Deliberazione  della  Camera  dei  deputati,  27 maggio  2003 (doc.
  IV-quater, n. 73).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
Parlamento   -  Immunita'  parlamentari  -  Procedimento  penale  nei
  confronti di un parlamentare per il reato di diffamazione aggravata
  -  Deliberazione  di  insindacabilita'  della Camera dei deputati -
  Ricorso  per  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello Stato
  proposto  dal Tribunale di Bologna - Lamentata non riconducibilita'
  di  alcune  delle  dichiarazioni  ad  atti  tipici  della  funzione
  parlamentare  -  Sussistenza  del  nesso  funzionale  per  tutte le
  dichiarazioni  comprese  nel  capo di  imputazione - Spettanza alla
  Camera dei deputati della potesta' esercitata.
- Deliberazione  della  Camera  dei  deputati,  27 maggio  2003 (doc.
  IV-quater, n. 73).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.28 del 18-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato,
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
27 maggio    2003    (doc.    IV-quater,    n. 73)    relativa   alla
insindacabilita',   ai   sensi   dell'art. 68,   primo  comma,  della
Costituzione,  delle  opinioni  espresse dall'on. Vittorio Sgarbi nei
confronti  del  dott.  Giancarlo  Caselli,  promosso dal Tribunale di
Bologna  con  ricorso  notificato  il  24 marzo  2005,  depositato in
cancelleria  il  7 aprile  2005  ed  iscritto  al  n. 19 del registro
conflitti 2005.
    Visti  l'atto  di  costituzione della Camera dei deputati nonche'
l'atto di intervento di Giancarlo Caselli;
    Udito nell'udienza pubblica del 5 giugno 2007 il giudice relatore
Francesco Amirante;
    Uditi  gli  avvocati  Giuseppe  Giampaolo per Giancarlo Caselli e
Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con ordinanza del 27 ottobre 2004 il Tribunale di Bologna ha
promosso  conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato, nei
confronti  della  Camera  dei  deputati,  in  relazione alla delibera
adottata  il 27 maggio 2003 (doc. IV-quater, n. 73) con la quale - in
conformita'  alla  proposta  della  Giunta per le autorizzazioni - e'
stato  dichiarato che i fatti per i quali il deputato Vittorio Sgarbi
e'  sottoposto a procedimento penale per il delitto di diffamazione a
mezzo   stampa   riguardano   opinioni   espresse   da   quest'ultimo
nell'esercizio  delle  sue  funzioni  parlamentari  e  sono,  quindi,
insindacabili ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Premette  il Tribunale che il deputato Sgarbi e' stato rinviato a
giudizio, assieme al direttore del quotidiano «Il Resto del Carlino»,
per  aver  offeso  -  con  dichiarazioni  asseritamente  diffamatorie
contenute  in  un  articolo apparso sul menzionato quotidiano in data
31 dicembre  1998  -  la  reputazione  del  dott.  Giancarlo Caselli,
all'epoca   Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di
Palermo,  indicandolo  espressamente  quale  causa  della  morte  del
magistrato  Luigi Lombardini, avvenuta per suicidio in data 11 agosto
1998,  in  quanto  avrebbe  tenuto  nei  confronti di quest'ultimo un
comportamento  di  violenza  intollerabile,  tale  da  condurlo  alla
disperazione e, quindi, al suicidio.
    Instauratosi, a seguito di querela da parte del dott. Caselli, il
procedimento  penale  nei  confronti  del parlamentare, la Camera dei
deputati,  con  la delibera oggetto di conflitto, ha affermato che le
dichiarazioni  sopra  riportate  devono  ritenersi  rientranti  nella
prerogativa  di  cui all'art. 68, primo comma, Cost., facendo proprie
le  conclusioni  cui  era  pervenuta  la Giunta per le autorizzazioni
secondo  cui  tali  dichiarazioni, oltre ad inserirsi nel contesto di
una  perdurante polemica politica condotta dal deputato nei confronti
dell'operato  di  alcuni  magistrati, trovavano anche una sostanziale
corrispondenza  nell'interrogazione  a  risposta orale presentata dal
medesimo in data 15 settembre 1998 (Atto Camera n. 3-02843).
    Il  giudice  a quo rammenta poi che, nelle more del procedimento,
e'  entrata  in  vigore la legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni
per  l'attuazione  dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia
di  processi  penali  nei  confronti delle alte cariche dello Stato),
precisando  di  aver  sollevato, nel corso del medesimo giudizio, una
questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 di detta legge,
ritenuto  esorbitante  rispetto ai limiti fissati dall'art. 68, primo
comma,  Cost. per l'immunita' parlamentare. A seguito della decisione
da parte della Corte costituzionale, con la sentenza n. 120 del 2004,
della  menzionata  questione  incidentale,  il  Tribunale  di Bologna
ritiene  di  aver  conservato  intatto il proprio potere di sollevare
conflitto   di   attribuzione   nei   confronti   della  delibera  di
insindacabilita',   in   quanto   nella   citata  sentenza  e'  stato
sostanzialmente  ribadito  il  precedente  orientamento  della  Corte
secondo  cui  non  tutte  le  affermazioni  rese  dai  componenti del
Parlamento    possono   godere   della   prerogativa   costituzionale
dell'insindacabilita',   essendo  invece  sempre  necessario  che  le
opinioni  rese  siano  legate  dal  citato  nesso  con l'attivita' di
funzione.  Da  tanto  -  ad avviso del rimettente - consegue che, nel
pensiero  della  Corte  costituzionale,  le  attivita'  di ispezione,
divulgazione,  critica  e  denuncia politica - che l'art. 3, comma 1,
della legge n. 140 del 2003 riconduce all'art. 68, primo comma, Cost.
-   non  rappresentano  un  indebito  ampliamento  della  prerogativa
costituzionale,   perche'   devono   comunque   essere  connesse  con
l'esercizio   delle  funzioni  parlamentari.  Tale  nesso  funzionale
costituisce  il punto di equilibrio tra le garanzie dei parlamentari,
il  principio  di  uguaglianza  ed  i diritti dei terzi oggetto delle
dichiarazioni contestate.
    Questi  principi  sono  stati ulteriormente confermati dalla piu'
recente  sentenza  n. 246 del 2004, nella quale e' stato ribadito che
la portata del nesso funzionale deve essere valutata caso per caso.
    Nella  fattispecie,  la  delibera  di  insindacabilita' si fonda,
secondo   il   Tribunale,   su   due   presupposti:   la  sostanziale
corrispondenza  tra  le  dichiarazioni  oggetto del processo penale e
l'interrogazione     parlamentare     sopra    richiamata,    nonche'
l'interpretazione  dell'art. 68,  primo  comma,  Cost., fornita dalla
Camera  dei  deputati,  secondo  la quale la prerogativa in questione
ricomprende  l'attivita'  di  denuncia  e  di  critica  da  parte del
parlamentare. Tali presupposti, pero', appaiono al Tribunale in netto
contrasto  con  la  giurisprudenza  costituzionale, e cio' da un lato
perche' non c'e' corrispondenza tra le dichiarazioni rese alla stampa
e  l'atto di funzione invocato, dall'altro perche' tali dichiarazioni
solo  genericamente  possono ricondursi ad un'attivita' di denuncia e
di critica.
    La  non  piena corrispondenza tra contenuto dell'interrogazione e
dichiarazioni    pubblicate   dalla   stampa   emerge   nella   parte
dell'articolo  di giornale in cui il parlamentare prova ad immaginare
una  situazione  opposta  rispetto  a  quella da lui criticata, ossia
immagina  «Caselli  a  Palermo  che,  indagato  per avere sequestrato
innocenti  con  indagini  insufficienti,  come  e' realmente accaduto
(Musotto,  Lombardo,  Scalone),  viene  interrogato  da  un  pool  di
magistrati  cagliaritani  ...  guidati  da  Lombardini. Quale sarebbe
stato  l'umore  di Caselli?». Queste ulteriori dichiarazioni, secondo
il Tribunale di Bologna, non possono in alcun modo essere considerate
divulgazione    del    contenuto   dell'interrogazione   parlamentare
richiamata  nella  delibera della Camera, in quanto «assumono valenza
di  significato  autonomo, ancorche' riconducibile solo in parte alla
medesima  vicenda,  nonche'  ricollegabili  al  medesimo  oggetto  di
critica,  ovvero l'operato di taluni magistrati». Richiamando le gia'
citate  sentenze  n. 10 e n. 420 del 2000 della Corte costituzionale,
il  Tribunale  rammenta  che,  quando  vi sia una corrispondenza solo
parziale   e   generica  tra  l'atto  di  funzione  e  le  successive
dichiarazioni,   l'art. 68,   primo  comma,  Cost.  non  puo'  essere
invocato.   Nel  caso  di  specie,  l'interrogazione  presentata  dal
deputato  Sgarbi  in data 15 settembre 1998 muoveva specifici rilievi
sull'operato  dei magistrati della Procura di Palermo, tra i quali il
dott.  Caselli,  in  ordine  a  presunte  irregolarita' che avrebbero
caratterizzato   l'interrogatorio  del  dott.  Lombardini,  all'epoca
Procuratore  della  Repubblica presso la Pretura di Cagliari; secondo
l'interrogante,   infatti,   i   metodi   tenuti  nell'interrogatorio
avrebbero  costituito  la  causa  determinante del suicidio del dott.
Lombardini.  Nell'articolo  dal contenuto asseritamente diffamatorio,
invece,  la  vicenda  del magistrato cagliaritano viene affiancata ad
una  serie  di considerazioni diverse, in particolare riguardanti una
responsabilita'  del  dott.  Caselli «per avere sequestrato innocenti
con indagini insufficienti», punto che non avrebbe nulla a che vedere
con  la vicenda del dott. Lombardini, ove e' predominante il richiamo
generico  ad  un uso distorto della custodia cautelare come strumento
di   pressione   per   indurre   l'indagato   a  fornire  la  propria
collaborazione  (solo  su  questo  punto,  infatti,  sussisterebbe un
collegamento   tra  l'interrogazione  parlamentare  ed  il  contenuto
dell'articolo contestato). E la semplice comunanza di argomento, come
s'e'   detto,   non  potrebbe  essere  sufficiente  per  invocare  la
prerogativa costituzionale dell'insindacabilita'.
    L'interrogazione  parlamentare,  d'altra  parte, precede di circa
tre   mesi  l'articolo  di  giornale  oggetto  del  processo  penale,
pubblicato in un contesto in cui manca ogni riferimento all'attivita'
svolta dal parlamentare nella specifica qualita'.
    Precisa,  poi,  l'Autorita'  giudiziaria  di essere legittimata a
sollevare  conflitto  di  attribuzione,  essendo  organo competente a
dichiarare  definitivamente la volonta' del potere di appartenenza, a
nulla rilevando che il ricorso abbia la forma dell'ordinanza.
    Conclude  il  Tribunale  di  Bologna,  quindi,  nel  senso che la
delibera  di insindacabilita' opposta dalla Camera dei deputati e' da
ritenere  lesiva  delle  attribuzioni  costituzionali  dell'autorita'
giudiziaria,  chiedendo  alla Corte di dichiarare che non spetta alla
Camera   emettere   una   simile   deliberazione,   con   conseguente
annullamento della medesima.
    2.  - Il conflitto cosi' proposto e' stato dichiarato ammissibile
da  questa  Corte  con  ordinanza  n. 94 del 2005, depositata in data
8 marzo 2005. Tale provvedimento, comunicato al ricorrente, e' stato,
a  cura di questi, notificato alla Camera dei deputati, unitamente al
ricorso,  il  24 marzo  2005,  ed  il  successivo  deposito presso la
cancelleria  di  questa Corte e' avvenuto, a mezzo posta, il 7 aprile
2005.
    3.  -  Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Camera  dei deputati
chiedendo   che   il   conflitto   venga  preliminarmente  dichiarato
inammissibile  e  che,  nel  merito,  si  affermi  la  spettanza alla
medesima  del  potere  di  dichiarare l'insindacabilita' in relazione
alle  opinioni  espresse  dal  deputato,  oggetto del giudizio penale
pendente dinanzi al Tribunale di Bologna.
    La  Camera afferma che alla prima conclusione potrebbe pervenirsi
sul  rilievo  che  la  proposizione  del  conflitto  potrebbe  essere
considerata  una  «modalita'  surrettizia»  per  riproporre,  dopo la
chiara  sentenza n. 120 del 2004 di segno contrario, la tesi - da cui
muove  l'atto  introduttivo  del  presente  giudizio - secondo cui le
dichiarazioni  rese  extra  moenia, per essere coperte dalla garanzia
della  insindacabilita',  debbano  riprodurre  alla  lettera gli atti
posti in essere in sede parlamentare.
    Quanto  al merito, la Camera sostiene che le dichiarazioni di cui
si  tratta  sono  coincidenti  con  le opinioni espresse dallo stesso
deputato   nell'interrogazione   a   risposta   orale  presentata  il
15 settembre  1998  (atto  Camera  n. 3-02843), cui ha fatto espresso
riferimento la delibera di insidacabilita' in argomento. In entrambe,
infatti, si sostiene che la tragica fine del dottor Lombardini sia da
collegare  alle modalita' di conduzione del procedimento penale a suo
carico  e,  in  particolare,  alla  disposta perquisizione e al lungo
interrogatorio  effettuato  da  parte  di componenti dell'ufficio del
pubblico ministero.
    Va,  inoltre,  considerato  che  in molte altre interrogazioni il
medesimo  deputato  ha  manifestato  critiche  all'operato  di alcuni
uffici  giudiziari  e, in particolare, della Procura della Repubblica
presso   il   Tribunale   di   Palermo.   Al   riguardo   si   citano
l'interrogazione  n. 3/01624  del  28 ottobre  1997, l'interrogazione
n. 3/02476   dell'8   giugno 1998,  l'interrogazione  n. 3/02766  del
30 luglio   1998,  le  interrogazioni  n. 3/00009  e  n. 3/00010  del
29 aprile 1994.
    In  sintesi,  ad  avviso della Camera, vi e' assoluta coincidenza
tra  le  opinioni esterne e la prima delle richiamate interrogazioni,
ma  anche  nelle  altre vengono usate le stesse formule polemiche nei
confronti  della  Procura  della  Repubblica  presso  il Tribunale di
Palermo  e  ci  si  sofferma sulle «armi di pressione» utilizzate dai
magistrati  di  tale  ufficio per acquisire informazioni dai soggetti
sottoposti  ad indagine e si paventano epiloghi analoghi a quello che
si e' avuto nel caso del dottor Lombardini.
    A   fronte   di  tale  situazione  non  vale  opporre  che  nelle
dichiarazioni   contenute   nell'articolo  di  cui  si  tratta  manca
qualsiasi riferimento ad attivita' parlamentari, dal momento che tale
menzione  non  e' richiesta ne' nell'art. 3, primo comma, della legge
n. 140  del 2003, ne' nella giurisprudenza della Corte costituzionale
in materia (e, in particolare, nella sentenza n. 120 del 2004).
    D'altra    parte,   non   assumono   alcun   rilievo,   ai   fini
dell'applicazione         della        garanzia        costituzionale
dell'insindacabilita', neppure le motivazioni - a detta del Tribunale
di  Bologna polemiche nei confronti di taluni magistrati, tra i quali
il dottor Caselli - che avrebbero spinto il parlamentare a rilasciare
le  dichiarazioni, come si desume da quanto affermato da questa Corte
nelle sentenze n. 320 e n. 321 del 2000.
    Va,  inoltre,  sottolineato  che,  secondo quanto precisato nella
prima  delle  due  richiamate  sentenze,  e' del tutto ininfluente la
circostanza  che  nelle dichiarazioni esterne vi sia una «descrizione
esemplificativa»  dei metodi investigativi adottati nei confronti del
dottor  Lombardini che non figura nella corrispondente interrogazione
n. 3/02843.
    Ne',  infine, ha importanza che non vi sia tra dichiarazioni rese
alla  stampa  e  attivita'  parlamentare  una  esatta  corrispondenza
testuale.
    4.  -  E'  intervenuto  il  dott.  Caselli  che  ha  concluso per
l'accoglimento del conflitto, sostenendo l'ammissibilita' del proprio
«atto   di   costituzione»,  sul  rilievo,  che  in  caso  contrario,
«finirebbe   per   risultare   in   concreto  compromessa  la  stessa
possibilita'  per  la  parte di agire in giudizio a tutela dei propri
diritti», sicche' ricorrerebbe una situazione analoga a quella che ha
indotto questa Corte ad ammettere l'intervento di soggetti diversi da
quelli  legittimati  a  promuovere  il conflitto o a resistervi nelle
sentenze n. 76 del 2001 e n. 154 del 2004.
    Nel  merito, l'interveniente aderisce alle argomentazioni poste a
fondamento    dell'atto    introduttivo   del   presente   conflitto,
sottolineando,  in  particolare,  che  l'interrogazione  parlamentare
presentata dal deputato Sgarbi il 15 settembre 1998 ha un significato
non     sovrapponibile     a    quello    dell'articolo    contestato
nell'imputazione,  dal  momento che, mentre nell'atto parlamentare ci
si  limita ad avanzare forti sospetti sull'operato del dottor Caselli
nella   vicenda   Lombardini,  nell'articolo  -  di  oltre  tre  mesi
successivo  e  pubblicato  dopo  che  il  Consiglio  superiore  della
magistratura   aveva   disposto   l'archiviazione   del  procedimento
disciplinare  iniziato  a  carico  del magistrato - non si usano piu'
toni  dubitativi  o  interrogativi,  ma  si  passa  dai sospetti alle
certezze,  oltretutto  non  riferendosi  al  solo caso Lombardini, ma
anche alle vicende di Musotto, Lombardo e Scalone.

                       Considerato in diritto

    1.   -   Il  Tribunale  di  Bologna  ha  sollevato  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione
del 27 maggio 2003 (doc. IV-quater, n. 73) con la quale la Camera dei
deputati  ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni
di  dichiarare che i fatti per i quali si procede penalmente a carico
del deputato Vittorio Sgarbi per il delitto di diffamazione aggravata
a   mezzo   stampa  concernono  opinioni  espresse  dal  parlamentare
nell'esercizio delle sue funzioni ai sensi dell'art. 68, primo comma,
della Costituzione.
    Il  ricorrente  riferisce  che  il  fatto  per  il quale e' stato
disposto  il  rinvio a giudizio del deputato (e di un giornalista) e'
costituito  da  frasi  ritenute  diffamatorie  dell'onore  del  dott.
Giancarlo  Caselli,  all'epoca Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale  di  Palermo,  pubblicate  sul  quotidiano  «Il  resto  del
Carlino»  del  31 dicembre  1998.  Con riguardo a tali frasi e' stata
elevata  a carico del deputato l'accusa di diffamazione aggravata per
il seguente capo di imputazione: aver offeso la reputazione del dott.
Giancarlo  Caselli,  all'epoca Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale  di Palermo, a «causa dell'adempimento delle sue funzioni e
nell'atto  di esercitarle, indicandolo espressamente come causa della
morte  del  dott.  Luigi  Lombardini,  verificatasi  per  suicidio  a
Cagliari  il giorno 11 agosto 1998, in quanto avrebbe posto in essere
nei  suoi confronti una violenza intollerabile cosi' da condurlo alla
disperazione  e  al  suicidio,  il  tutto  in un contesto generale di
iniziative giudiziarie caratterizzate dal sequestro di innocenti».
    Il ricorrente da' atto che lo scritto giornalistico contenente le
frasi incriminate e' stato preceduto da atti tipici di funzione e, in
particolare,  dall'interrogazione  con  risposta orale presentata dal
medesimo deputato avente ad oggetto proprio le modalita' dell'accesso
degli  inquirenti  siciliani  a  Cagliari  e  la  morte  per suicidio
dell'inquisito magistrato dott. Lombardini, ma sostiene che una parte
dello  scritto giornalistico e' estranea all'atto tipico suddetto. In
particolare,   il  ricorrente  denuncia  la  diversita'  rispetto  al
contenuto   dell'interrogazione   della   seguente   frase:   «voglio
immaginare  una situazione ribaltata: Caselli a Palermo che, indagato
per  aver  sequestrato  innocenti con indagini insufficienti, come e'
realmente accaduto (Musotto, Lombardo, Scalone), viene interrogato da
un  pool  di magistrati cagliaritani ... guidata da Lombardini. Quale
sarebbe stato l'umore di Caselli? Non voglio aggiungere altro».
    2.  -  In via preliminare deve essere dichiarata l'ammissibilita'
dell'intervento  del  dott.  Giancarlo  Caselli nel presente giudizio
costituzionale  per  risoluzione  di  conflitto  di  attribuzione tra
poteri.
    Infatti,  il  principio generale, secondo il quale legittimati ad
essere  parti  di  siffatto tipo di giudizio sono soltanto coloro che
possono  promuoverlo  o resistervi in quanto titolari di attribuzioni
costituzionalmente  riconosciute,  trova deroga a favore dei soggetti
titolari   di   una   posizione  soggettiva  suscettibile  di  essere
definitivamente  sacrificata  dalla  decisione  sul  conflitto. Ed e'
questa  l'ipotesi  che si verifica nella specie, in quanto il diritto
al  risarcimento  del  danno  fatto  valere  dalla  parte  civile nel
giudizio  penale  per  diffamazione aggravata a mezzo stampa potrebbe
rimanere  definitivamente  non  soddisfatto  nell'eventualita' di una
decisione d'infondatezza del ricorso perche' le opinioni espresse dal
parlamentare  rientrano  nella  previsione dell'art. 68, primo comma,
Cost.  (sentenze  n. 76  del  2001; n. 225 del 2001; n. 154 del 2004;
n. 329 del 2006; n. 13 del 2007).
    3. - Nel merito, il ricorso non e' fondato.
    E' ormai costante l'orientamento di questa Corte secondo il quale
le  opinioni espresse extra moenia da un parlamentare rientrano nella
previsione   di   cui   all'art. 68,   primo   comma,  Cost.  qualora
costituiscano  la  sostanziale  divulgazione  del  contenuto  di atti
tipici della funzione.
    Nel  caso  in  esame,  a  prescindere  da  altri  atti, lo stesso
ricorrente ha fatto riferimento all'interrogazione con risposta orale
presentata  dal  parlamentare imputato il cui contenuto e' costituito
dalla  critica  per  le  modalita'  con  le  quali si e' proceduto in
Sardegna  all'interrogatorio  del magistrato e dalla riconduzione del
suicidio  dell'indagato  alla  violenza  connessa  alle  modalita' di
svolgimento dell'atto istruttorio.
    Il  medesimo  Tribunale  ricorrente  non  contesta la sostanziale
identita'  tra l'atto divulgativo e l'atto tipico per quanto concerne
l'episodio  di Cagliari ed il suicidio di Lombardini, ma sostiene che
vi   e'  una  parte  delle  opinioni  manifestate  fuori  della  sede
parlamentare   che   non   trova   riscontri   ne'  nella  suindicata
interrogazione,  ne'  in  altri  atti.  Tale parte sarebbe costituita
dall'accusa  al  magistrato  Caselli di privazione della liberta' nei
confronti  di  innocenti,  che il deputato definisce sequestro, tra i
quali indica i nomi di Musotto, Lombardo, Scalone.
    A  tal proposito si osserva che l'aver formulato siffatta accusa,
dal  capo d'imputazione  come  riportato  nell'atto  introduttivo del
conflitto,  non  risulta  addebitato al deputato, non potendo ad essa
riferirsi  l'espressione del tutto generica con la quale si chiude il
capo d'imputazione  stesso:  «il  tutto  in  un  contesto generale di
iniziative  giudiziarie  caratterizzate  dal sequestro di innocenti».
Espressione   che,   nella   sua   mancanza   di  specificita',  puo'
ricollegarsi all'altra, contenuta nell'interrogazione, di «aver fatto
ventilare la possibilita' di arresto per la mancata collaborazione».
    Anche   ammesso,   quindi,   che  il  riferimento  alla  indebita
privazione della liberta' dei suddetti Musotto, Lombardo, Scalone non
trovi  riscontri  in atti tipici, si tratterebbe comunque di un fatto
estraneo  al  conflitto, dal momento che il ricorrente non espone che
il  deputato  viene perseguito per aver formulato siffatta accusa. Un
conflitto  del tipo di quello in esame presuppone che il giudice, per
effetto della delibera di insindacabilita', non abbia la possibilita'
di  giudicare  sul  merito  dei  fatti  per cui e' processo. Ma se in
concreto,  per  determinati  fatti,  non  pende  il  procedimento, la
delibera   d'insindacabilita'   non   produce  alcuna  lesione  delle
prerogative costituzionali dell'organo giudicante.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  che  spettava  alla Camera dei deputati affermare che i
fatti  per  i  quali  il  deputato  Vittorio  Sgarbi  e' sottoposto a
procedimento penale, pendente davanti al Tribunale di Bologna, per il
reato  di  diffamazione aggravata, riguardano opinioni espresse da un
membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle sue funzioni, ai sensi
dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Amirante
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
07C0954