N. 282 ORDINANZA 4 - 13 luglio 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Infortuni  sul lavoro e malattie professionali - Infortuni causati da
  fatti  costituenti  reato commessi dal datore di lavoro - Azione di
  regresso  da  parte  dell'INAIL  -  Sottoposizione  al  termine  di
  decadenza  triennale in ipotesi di procedimento penale concluso con
  sentenza   di   patteggiamento   -  Mancata  previsione  -  Dedotta
  ingiustificata disparita' di trattamento, in danno del responsabile
  civile,  rispetto  alle ipotesi di procedimento penale concluso con
  sentenza  di  non doversi procedere e lamentata lesione del diritto
  di   difesa   -   Eccepita   inammissibilita'   per   il  carattere
  interpretativo della questione proposta - Reiezione.
- D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, quinto comma.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
Infortuni  sul lavoro e malattie professionali - Infortuni causati da
  fatti  costituenti  reato commessi dal datore di lavoro - Azione di
  regresso  da  parte  dell'INAIL  -  Sottoposizione  al  termine  di
  decadenza  triennale in ipotesi di procedimento penale concluso con
  sentenza   di   patteggiamento   -  Mancata  previsione  -  Dedotta
  ingiustificata disparita' di trattamento, in danno del responsabile
  civile,  rispetto  alle ipotesi di procedimento penale concluso con
  sentenza  di non doversi procedere, e lamentata lesione del diritto
  di  difesa  -  Diversita'  delle situazioni poste a raffronto - Non
  incidenza  sul  diritto  di difesa della prevista soggezione di una
  parte  alla  protrazione  nel  tempo  del  diritto  di  azione  del
  creditore - Manifesta infondatezza della questione.
- D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, quinto comma.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.28 del 18-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 112, quinto
comma,  del  decreto  del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965,
n. 1124   (Testo   unico   delle   disposizioni  per  l'assicurazione
obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
professionali),   promosso  con  ordinanza  del  3 gennaio  2006  dal
Tribunale   di   Piacenza   nel   procedimento  civile  vertente  tra
l'I.N.A.I.L.  e  Gian  Carlo  Carini,  iscritta al n. 54 del registro
ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visti  l'atto  di  costituzione dell'I.N.A.I.L. nonche' l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 luglio 2007 il giudice relatore
Luigi Mazzella;
    Uditi l'avvocato Andrea Rossi per l'I.N.A.I.L. e l'avvocato dello
Stato   Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri.
    Ritenuto  che, nel corso di un giudizio civile promosso in via di
regresso,  ai  sensi  degli artt. 10 ed 11 del d.P.R. 30 giugno 1965,
n. 1124   (Testo   unico   delle   disposizioni  per  l'assicurazione
obbligatoria   contro   gli   infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie
professionali),  dall'Istituto  nazionale  per l'assicurazione contro
gli  infortuni  sul  lavoro  (INAIL)  contro  un datore di lavoro, il
Tribunale  di Piacenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 112,   quinto   comma,   del   d.P.R.   n. 1124  del  1965,
«in relazione all'art. 444 c.p.p.»;
        che  il rimettente deduce che la norma censurata contiene due
distinti  precetti:  la  prima parte (secondo cui «il giudizio di cui
all'art. 11  non  puo'  istituirsi  dopo  trascorsi  tre  anni  dalla
sentenza  penale che ha dichiarato non doversi procedere per le cause
indicate  nello  stesso  articolo»)  configura  infatti un'ipotesi di
decadenza  dall'azione  e  disciplina  il  caso  in  cui, mancando un
accertamento  del  fatto  reato  in  sede  penale,  l'INAIL chieda al
giudice  civile  di  accertare  l'esistenza  del  fatto medesimo e la
responsabilita'  del  datore  di lavoro; la seconda parte (secondo la
quale  «l'azione  di regresso di cui all'art. 11 si prescrive in ogni
caso  nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza penale
e'  divenuta irrevocabile») prevede invece un'ipotesi di prescrizione
che  si  applica  quando  in  sede  penale  sia stata pronunciata una
sentenza penale di condanna;
        che,  ad  avviso  del  Tribunale  di  Piacenza, la differente
natura  dei  termini previsti dall'art. 112, quinto comma, del d.P.R.
n. 112 del 1965, si spiegherebbe perche', nell'ipotesi della mancanza
dell'accertamento   del   fatto   reato   e   della   responsabilita'
dell'imputato   in   sede   penale,   la  previsione  di  un  termine
decadenziale  e'  posta a tutela della posizione del datore di lavoro
che ha interesse a vedere definita rapidamente la propria posizione e
ad evitare il procrastinarsi dello stato di incertezza conseguente al
compimento di atti interruttivi del corso della prescrizione, mentre,
nell'ipotesi  in  cui  in sede penale vi sia stato l'accertamento del
fatto    reato    e    della   responsabilita'   dell'imputato,   non
sussisterebbero le suddette esigenze;
        che il giudice a quo ricorda, poi, che la Corte di cassazione
ha  affermato  che,  nel  caso  in  cui il procedimento penale si sia
concluso  con  una  sentenza  di  patteggiamento,  e'  applicabile il
termine  di  prescrizione,  poiche',  con quella sentenza, il giudice
penale   compie   comunque,   in   forza   della  disciplina  dettata
dall'art. 444  del  codice  di  procedura  penale,  un giudizio ed un
«accertamento parziale implicito»;
        che,  ad  avviso  del rimettente, la mancata previsione della
sentenza  di  patteggiamento  fra le ipotesi in cui, in assenza di un
accertamento   del   fatto,  deve  essere  applicato  il  termine  di
decadenza,  contrasta  con  i  diritti costituzionali ad una efficace
difesa  in  giudizio  (art. 24  Cost.)  e  ad un ugual trattamento di
situazioni giuridiche consimili (art. 3 Cost.);
        che,  in particolare, per quanto riguarda il primo profilo, a
parere  del  Tribunale il datore di lavoro, restando esposto per anni
all'azione   dell'istituto   assicuratore,   puo'  essere  seriamente
pregiudicato  nell'esercizio di un'efficace difesa, in una materia in
cui  e'  a suo carico l'onere probatorio derivante dall'art. 2087 del
codice  civile,  mentre,  per  quel  che concerne il secondo aspetto,
sarebbe  riscontrabile  «una disparita' di trattamento fra situazioni
analoghe  (sentenza di non doversi procedere per amnistia e morte del
reo   e  sentenza  di  patteggiamento,  o  tra  questa  e  quella  di
condanna)»;
        che, circa la rilevanza della questione, il rimettente deduce
che  il  giudizio  a  quo  trae origine da un infortunio verificatosi
l'11 marzo  1991,  la sentenza di patteggiamento e' stata pronunciata
il  16 dicembre  1992  e  l'azione  di  regresso  dell'INAIL e' stata
promossa con ricorso depositato in data 16 aprile 2003;
        che  l'INAIL  si  e'  costituito  e,  in  via preliminare, ha
dedotto  due  profili  di  inammissibilita':  in  primo luogo, l'ente
previdenziale  eccepisce che il rimettente non adduce argomenti nuovi
rispetto  a  quelli  gia'  esaminati  da  questa Corte nell'ordinanza
n. 152  del  2002,  con  la  quale  e' stata dichiarata inammissibile
un'analoga  questione;  in  secondo  luogo,  l'Istituto  assicuratore
sostiene  che anche nella presente fattispecie, come in quella decisa
dalla  menzionata  ordinanza  n. 152  del  2002,  il  giudice  a  quo
asserisce,   nell'ordinanza   di   rimessione,   di  non  condividere
l'interpretazione  della  norma  censurata  fornita  dalla  Corte  di
cassazione,  cosi'  palesando  quale  sia  l'interpretazione che egli
predilige  e  che  reputa conforme al dettato costituzionale, onde il
rimettente  utilizzerebbe il giudizio di costituzionalita' allo scopo
di  ottenere  da  questa  Corte  un avallo all'opzione interpretativa
ritenuta  preferibile  e,  dunque,  per  un  fine  estraneo  a  detto
giudizio;
        che,  nel  merito,  l'INAIL  deduce  che la giurisprudenza di
legittimita'  ha affermato che la sentenza di applicazione della pena
su  richiesta  delle  parti  non  e'  equiparabile  ad  una  sentenza
assolutoria  o  di  non  doversi  procedere  per  morte del reo o per
amnistia   perche',   mentre   in   queste   ultime  ipotesi  non  e'
riscontrabile  alcun  accertamento  del  fatto  reato, nel caso della
sentenza  di  applicazione  della  pena  su richiesta il giudice puo'
rilevare   sia   l'esistenza   di   prove   positive   dell'innocenza
dell'imputato,  sia  la  mancanza  di  prove della colpevolezza dello
stesso,  cosicche',  trattandosi  di  fattispecie  diverse, ad avviso
dell'INAIL non puo' ravvisarsi alcuna violazione dell'art. 3 Cost;
        che,  con  riferimento  alla prospettata lesione dell'art. 24
Cost.,  l'ente  previdenziale  espone che l'accertamento compiuto dal
giudice  nel  procedimento  di  applicazione  della pena su richiesta
delle  parti,  sebbene  non  equivalga  ad  una pronuncia positiva di
responsabilita',  sicuramente  la  presuppone  e l'accettazione della
pena  da  parte  dell'imputato  implicherebbe  l'ammissione del fatto
storico  costituente reato, onde non sussisterebbe alcuna lesione del
diritto di difesa del datore di lavoro;
        che  e'  intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri
il  quale  ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o
infondata;
        che,  in  prossimita' dell'udienza di discussione, l'INAIL ed
il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri hanno depositato memorie
nelle   quali   hanno  ulteriormente  argomentato  a  sostegno  delle
conclusioni gia' rassegnate.
    Considerato  che  il Tribunale di Piacenza dubita, in riferimento
agli   artt. 3   e   24   della   Costituzione,   della  legittimita'
costituzionale   dell'art. 112,   quinto  comma,  del  d.  P.  R.  30
giugno 1965,    n. 1124   (Testo   unico   delle   disposizioni   per
l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
malattie professionali), «in relazione all'art. 444 c.p.p.»;
        che,  ad  avviso  del  giudice a quo, la norma censurata, nel
prevedere   (secondo   l'interpretazione   fornita   dalla  Corte  di
cassazione,   da  considerare  diritto  vivente)  l'applicazione  del
termine  prescrizionale  di  tre anni all'azione di regresso promossa
dall'INAIL  ai  sensi  dell'art. 11 dello stesso d. P. R. n. 1124 del
1965  anche  nel  caso  in  cui  il  procedimento  penale promosso in
relazione al fatto dal quale e' derivato l'infortunio si sia concluso
con  una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti
ai  sensi  dell'art. 444  del  codice di procedura penale, violerebbe
l'art. 3  Cost.,  in  quanto  fonte di «disparita' di trattamento fra
situazioni analoghe (sentenza di non doversi procedere per amnistia e
morte  del  reo e sentenza di patteggiamento o tra questa e quella di
condanna)»,  e l'art. 24 Cost., perche' il datore di lavoro, restando
esposto  per  anni all'azione dell'Istituto assicuratore, puo' essere
pregiudicato nell'esercizio di un'efficace difesa;
        che  l'eccezione  di  inammissibilita' sollevata dall'INAIL e
dal Presidente del Consiglio dei ministri sul presupposto secondo cui
il   giudice   a   quo   avrebbe   dichiarato   di   non  condividere
l'interpretazione  della  norma  censurata  fornita  dalla  Corte  di
cassazione,  cosi'  palesando  quale  sia  l'interpretazione che egli
reputa conforme al dettato costituzionale, non e' fondata, perche' il
rimettente  si  e'  limitato  ad  esporre  i  motivi per i quali egli
ritiene che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle
parti  non  conterrebbe  un  accertamento  parziale  implicito  della
responsabilita'  dell'imputato, per poi affermare che l'esclusione di
questa  categoria di sentenze dal novero di quelle che fanno scattare
l'applicabilita'  del termine di decadenza sarebbe costituzionalmente
illegittima;
        che,  dunque,  il  giudice  a  quo, lungi dal sottoporre alla
Corte  una  mera  questione interpretativa, del tutto ritualmente ha,
dapprima,  ricostruito  il  significato della norma e, poi, sostenuto
che essa contrasterebbe con alcuni precetti costituzionali;
        che la questione sollevata con riferimento all'art. 3 Cost. -
a  prescindere dall'ambiguita' della sua formulazione, fonte di dubbi
circa  le  situazioni analoghe che, a parere del rimettente, la norma
censurata  tratterebbe in modo diverso - e' manifestamente infondata,
perche'  disciplinare  in maniera diversa - al fine di individuare il
regime  (di  decadenza  o  di prescrizione) applicabile all'azione di
regresso  esercitabile  dall'INAIL  -  la  sentenza di patteggiamento
rispetto  a  quelle  di non doversi procedere per morte del reo o per
amnistia  non  e'  ingiustificato,  se  si  tiene  presente  l'ambito
dell'accertamento compiuto dal giudice penale in sede di applicazione
della pena su richiesta delle parti;
        che,  infatti, come riconosciuto da questa Corte, la sentenza
di   patteggiamento   presuppone   pur   sempre   la  responsabilita'
dell'imputato  (sent. n. 155 del 1996) e contiene un accertamento del
fatto  lesivo  dell'interesse pubblico (ord. n. 106 del 2000 e n. 264
del  1999),  onde  le  caratteristiche  proprie  di tale categoria di
sentenze  giustificano,  con  riferimento  al  regime di prescrizione
dell'azione  di  regresso,  la  loro  assimilazione  alle sentenze di
condanna;
        che  anche la questione sollevata con riferimento all'art. 24
Cost.  e'  manifestamente infondata, perche' la conseguenza paventata
dal  rimettente (l'esposizione del datore di lavoro per lungo periodo
di  tempo  all'esercizio dell'azione di regresso da parte dell'INAIL)
e'  tipica  di  qualsiasi  termine  di  prescrizione  (per sua natura
suscettibile  di  interruzione  anche  con  atti  diversi  da  quello
introduttivo  del  giudizio)  e questa Corte ha gia' affermato che la
posizione  di  soggezione  rispetto  alla  protrazione  nel tempo del
diritto  di azione del creditore deve essere considerata alla stregua
di  un  mero inconveniente pratico, come tale inidoneo a far ritenere
compromesso  o  menomato  il  diritto  di  difesa del debitore (sent.
n. 354 del 2006).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 112, quinto comma, del d.P.R.
30   giugno 1965,   n. 1124   (Testo  unico  delle  disposizioni  per
l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
malattie  professionali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24
della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Piacenza con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Mazzella
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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