N. 284 SENTENZA 4 - 13 luglio 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Gioco  e scommesse - Reato di esercizio abusivo in assenza di licenza
  rilasciata dallo Stato italiano - Denunciato contrasto con le norme
  comunitarie in materia di liberta' di stabilimento e prestazione di
  servizi  -  Questione  priva  di  motivazione  in ordine ad uno dei
  parametri evocati - Inammissibilita'.
- Legge  13 dicembre  1989,  n. 401, art. 4, in relazione all'art. 88
  del r.d. 18 giugno 1931, n. 773.
- Costituzione, art. 10, primo e secondo comma.
Gioco  e scommesse - Reato di esercizio abusivo in assenza di licenza
  rilasciata   dallo   Stato  italiano  -  Denunciata  disparita'  di
  trattamento   ai   danni   degli   operatori  economici  stranieri,
  violazione  del  principio  di  liberta'  di  iniziativa  economica
  privata  nonche'  contrasto  con le norme comunitarie in materia di
  liberta'  di  stabilimento  e  prestazione  di  servizi - Questione
  concernente  norme  interne ritenute dal giudice a quo, in dissenso
  dall'interpretazione  data  dalle  Sezioni  Unite  della  Corte  di
  cassazione alle pronunce della Corte comunitaria, incompatibili con
  le  norme del Trattato dotate di efficacia diretta - Competenza del
  giudice  rimettente  e  non della Corte costituzionale ad accertare
  l'eventuale  incompatibilita'  comunitaria - Inammissibilita' della
  questione.
- Legge  13 dicembre  1989,  n. 401, art. 4, in relazione all'art. 88
  del r.d. 18 giugno 1931, n. 773.
- Costituzione artt. 3, 11 e 41; trattato CE, artt. 43 e 49.
(GU n.28 del 18-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
13 dicembre  1989,  n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle
scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di
manifestazioni  sportive), in relazione all'art. 88 del regio decreto
18  giugno 1931,  n. 773 (Approvazione del Testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza), promosso dal Tribunale di Macerata con ordinanza
del 20 marzo 2006, nel procedimento penale a carico di B.M., iscritta
al  n. 294  del  registro  ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2006.
    Visti  l'atto  di costituzione di B.M. e l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  19  giugno 2007  il  giudice
relatore Giuseppe Tesauro;
    Uditi  gli  avvocati Daniela Agnello, Roberto A. Jacchia, Alberto
M.  Quaglia  e  Antonella Terranova per B.M. e l'avvocato dello Stato
Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il Tribunale di Macerata, con ordinanza del 20 marzo 2006,
ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt. 3,  10,  11  e  41 della
Costituzione,  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4
della  legge  13 dicembre  1989,  n. 401  (Interventi nel settore del
giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello
svolgimento di manifestazioni sportive), in relazione all'art. 88 del
regio  decreto  18  giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza).
    Il  rimettente  riferisce  di essere investito della richiesta di
riesame  avverso il decreto di sequestro preventivo di alcuni locali,
emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
Macerata  in  un  procedimento penale a carico di persona indagata in
ordine  al  reato  di cui agli artt. 4 e 4-bis della legge n. 401 del
1989  (recte:  art. 4, comma 4-bis, della legge n. 401 del 1989), per
aver   esercitato  in  forma  organizzata,  in  assenza  di  licenza,
attivita'  di  raccolta  di scommesse su eventi sportivi nazionali ed
esteri,  per  conto  di  un  bookmaker stabilito nel Regno Unito, con
trasmissione dei dati a quest'ultimo tramite la rete telematica.
    A   fronte  delle  deduzioni  svolte  dal  soggetto  passivo  del
sequestro   preventivo   circa  l'incompatibilita'  della  disciplina
italiana  in  materia  di  gestione  delle  scommesse  con i principi
sanciti  dagli artt. 43 e 49 del Trattato che istituisce la comunita'
europea  del 25 marzo 1957, reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957,
n. 1203  (come  modificato  dal  Trattato  di Amsterdam del 2 ottobre
1997,  reso esecutivo con legge 16 giugno 1998, n. 209), il giudice a
quo  rileva  che  la  Corte  di  giustizia  si e' gia' pronunciata in
proposito. In particolare, il giudice comunitario ha affermato che la
normativa  nazionale  contenente divieti - penalmente sanzionati - di
svolgere   attivita'   di   raccolta,  accettazione,  prenotazione  e
trasmissione di proposte di scommessa, relative a eventi sportivi, in
assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro
interessato,   costituisce   una   restrizione   alla   liberta'   di
stabilimento  ed  alla  libera  prestazione  dei  servizi, spettando,
tuttavia,  al giudice nazionale verificare se la normativa anzidetta,
alla  luce  delle  sue  concrete  modalita' di applicazione, risponda
realmente  ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che
essa  impone  non risultino sproporzionate rispetto a detti obiettivi
(sentenza  della  Corte  di  giustizia,  6 novembre  2003,  in  causa
C-243/2001, Gambelli).
    Dopo   tale   pronuncia,   osserva  ancora  il  rimettente,  sono
intervenute  le Sezioni unite della Corte di cassazione a ribadire la
compatibilita' con l'ordinamento comunitario delle misure restrittive
adottate  dallo  Stato italiano, sul rilievo che la normativa interna
persegue lo scopo di canalizzare la domanda e l'offerta del giuoco in
circuiti  controllabili,  onde  prevenire  la possibile degenerazione
criminale;  pertanto,  la  restrizione  sarebbe giustificata ai sensi
dell'art. 46  del  Trattato  CE  (Corte  di cassazione, Sezioni unite
penali, 26 aprile 2004, n. 23271).
    Diversamente,  il  giudice  a  quo  ritiene  che  la  politica di
espansione  nel settore dei giochi e delle scommesse perseguita dallo
Stato  italiano crei maggiori occasioni di infiltrazione criminale e,
per  questo,  contraddica  le ragioni di ordine pubblico identificate
dalla  Suprema  Corte.  Invero, l'orientamento assunto dalla Corte di
cassazione,  che  egli  considera «portato del c.d. diritto vivente»,
risolvendo  solo  «apparentemente»  tutte le questioni nascenti dalla
sentenza  Gambelli,  «pone  all'evidenza  non soltanto un problema di
compatibilita' della normativa citata con il Trattato CE, ma anche un
problema  di  legittimita'  costituzionale  della  prima,  in  quanto
interpretata nei termini sopra richiamati».
    Dubita,   dunque,   il   giudice  rimettente  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 4 della legge n. 401 del 1989, in relazione
all'art. 88  del  r.d. n. 773 del 1931, in riferimento agli artt. 3 e
41  della  Costituzione,  in  quanto  stabilisce  sanzioni penali per
l'esercizio  abusivo  dell'attivita' di scommessa, eccessive rispetto
alle  esigenze  tutelate,  e  introduce  di  fatto  limitazioni  alla
liberta'  d'impresa,  istituendo  «un regime di sostanziale monopolio
con   irragionevole  esclusione  di  altri  operatori»;  nonche',  in
riferimento  all'art. 10, primo e secondo comma, ed all'art. 11 della
Costituzione,   in   quanto   pone  una  limitazione  ai  diritti  di
stabilimento  e  di  prestazione  di servizi dell'operatore economico
straniero,  in virtu' della non dimostrata necessita' di un regime di
concessione  e autorizzazione che di fatto avvantaggia esclusivamente
lo Stato.
    La questione di costituzionalita' e', a parere del giudice a quo,
rilevante,  nonostante  che,  con  essa,  si  chieda  di sindacare la
compatibilita'    della    normativa   impugnata   con   disposizioni
comunitarie, dal momento che spetterebbe al giudice nazionale un tale
giudizio  «involgente  il  diritto interno». Ferma restando la natura
vincolante dell'interpretazione del diritto comunitario operata dalla
Corte  di giustizia, verrebbe a ledersi il «principio di esclusivita'
della  competenza  del  giudice  nazionale  nell'interpretazione  del
diritto interno», se il giudice di merito, insoddisfatto dell'esegesi
della  Corte  di cassazione, piuttosto che adeguarvisi in ossequio al
«concetto    di   uniformita'   del   diritto   nazionale»,   potesse
«direttamente   richiamarsi   all'ordinamento  comunitario  e  questo
applicare».
    2.  -  Si  e'  costituita  B.M., indagata nel procedimento a quo,
concludendo   per   l'accoglimento   della   questione,  in  base  ad
osservazioni  analoghe  a quelle dedotte dal rimettente, e cio' anche
nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza.
    3.  -  E'  altresi'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   chiedendo   di   dichiarare  la  questione  inammissibile  o
infondata.
    In  via  preliminare,  infatti,  secondo  la  difesa erariale, la
questione    sarebbe    stata   sollevata   «in   modo   irrilevante,
contraddittorio»,  poiche',  se le censure riferite agli artt. 3 e 41
della  Costituzione presuppongono l'applicabilita' delle disposizioni
interne,  l'asserito vulnus al Trattato CE comporterebbe piuttosto la
loro disapplicazione.
    Nel merito, l'infondatezza delle doglianze del rimettente sarebbe
dimostrata  dalle  argomentazioni  svolte  dalla  Suprema Corte nella
sentenza  delle  Sezioni  unite  penali sopra citata, condivise dalla
giurisprudenza  del  Consiglio  di Stato ed immotivatamente criticate
dal rimettente.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La  questione di legittimita' costituzionale sollevata dal
Tribunale  di Macerata ha ad oggetto l'art. 4 della legge 13 dicembre
1989,  n. 401  (Interventi  nel  settore del giuoco e delle scommesse
clandestini   e   tutela   della  correttezza  nello  svolgimento  di
manifestazioni  sportive), in relazione all'art. 88 del regio decreto
18  giugno 1931,  n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di
pubblica   sicurezza),   nella   parte  in  cui  sanziona  penalmente
l'esercizio in Italia dell'attivita' di scommessa da parte di chi sia
privo di concessione, autorizzazione o licenza.
    Per  il giudice rimettente, il combinato disposto delle due norme
si  porrebbe  in  contrasto  con gli artt. 3 e 41 della Costituzione,
prevedendo  sanzioni  eccessive  rispetto  alle  esigenze tutelate ed
introducendo  di  fatto limitazioni alla liberta' d'impresa, mediante
l'istituzione   di   «un   regime   di   sostanziale   monopolio  con
irragionevole esclusione di altri operatori»; al contempo, riservando
un    diverso    trattamento   all'operatore   economico   straniero,
confliggerebbe con le prescrizioni del diritto comunitario in materia
di  liberta'  di  stabilimento  e  libera  prestazione dei servizi e,
percio',  violerebbe  gli artt. 10, primo e secondo comma, e 11 della
Costituzione.
    2.  -  Il  Tribunale  di  Macerata dubita con ogni evidenza della
compatibilita'  delle  denunciate  norme con i principi sanciti dagli
artt. 43 e 49 del Trattato CE.
    Va  subito  rilevata  l'inammissibilita'  della  questione  posta
rispetto  all'art. 10, primo e secondo comma, della Costituzione, non
sorretta da motivazione specifica.
    Peraltro,  e'  giurisprudenza  costante  di  questa  Corte che il
parametro   dell'art. 10   non   e'   utilizzabile   per   le   norme
internazionali  convenzionali  rilevanti  nella  specie,  diverse  da
quelle  di  cui  al secondo comma. Dato da tempo altrettanto costante
della  giurisprudenza  di  questa Corte e' che l'esigenza di coerenza
con    l'ordinamento    comunitario   trova   collocazione   adeguata
nell'art. 11 della Costituzione; ulteriore conferma di tale esigenza,
poi,  a  seguito  della  riforma del titolo V, risulta dall'art. 117,
primo comma, della Costituzione.
    3.  -  Anche  in riferimento agli altri parametri la questione e'
inammissibile.
    All'indomani   della   sentenza  della  Corte  di  giustizia  del
6 novembre 2003 (in causa C-243/2001, Gambelli, di recente confermata
dalla   sentenza   del   6 marzo   2007,  cause  riunite  C-338/2004,
C-359/2004,  C-360/2004,  Placanica ed altri) - in base alla quale il
giudice  nazionale avrebbe dovuto verificare, alla stregua di criteri
puntualmente  indicati  dal  giudice  comunitario,  la rispondenza ad
obiettivi  dotati  di  valenza  giustificativa delle restrizioni alla
liberta'  di  stabilimento  ed  alla  libera  prestazione dei servizi
imposte  dal  legislatore  italiano  in  materia  di  esercizio delle
scommesse  - il rimettente nega che le norme impugnate siano sorrette
da  motivi  imperativi d'interesse generale, rilevanti per il diritto
comunitario.
    Egli considera implausibile, infatti, il seguito interpretativo e
applicativo  alla  sentenza  Gambelli  della  Corte di giustizia dato
dalla  Corte di cassazione, secondo la quale le misure restrittive in
questione  sarebbero adeguatamente giustificate ai sensi dell'art. 46
del  Trattato  CE,  perseguendo  lo scopo di canalizzare la domanda e
l'offerta  del  giuoco  in  circuiti  controllabili, per prevenire la
possibile   degenerazione   criminale   (sentenza   della   Corte  di
cassazione,  Sezioni  unite  penali,  26 aprile  2004,  n. 23271). In
particolare, onde confutare tale orientamento, assunto a «portato del
diritto  vivente»  (ma  in senso diverso Corte di cassazione, sezione
terza  penale,  4 maggio  2007,  n. 16928  e n. 16969), il rimettente
richiama    «l'affermazione    della   Corte   di   giustizia   circa
l'impossibilita'  per  lo Stato membro di invocare esigenze di ordine
pubblico  a giustificazione di una normativa di limitazione, dopo che
esso  Stato  abbia fatto molto per espandere le occasioni di gioco e,
quindi, [...] le occasioni di infiltrazione criminale».
    Il  giudice  rimettente, pertanto, non prospetta una questione di
compatibilita' tra norme interne e norme comunitarie prive di effetto
diretto,  ipotesi nella quale, come in precedenza affermato da questa
Corte,   la  fonte  statuale  serberebbe  intatto  il  suo  valore  e
soggiacerebbe  al controllo di costituzionalita' (sentenza n. 170 del
1984,  nonche' sentenza n. 317 del 1996 e ordinanza n. 267 del 1999),
ma si duole che la normativa in esame confligga con norme comunitarie
pacificamente provviste di effetto diretto.
    Ora,   nel   sistema  dei  rapporti  tra  ordinamento  interno  e
ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa
Corte,  consolidatasi,  in  forza  dell'art. 11  della  Costituzione,
soprattutto  a  partire  dalla  sentenza  n. 170  del  1984, le norme
comunitarie  provviste  di  efficacia  diretta  precludono al giudice
comune   l'applicazione  di  contrastanti  disposizioni  del  diritto
interno,  quando  egli  non abbia dubbi - come si e' verificato nella
specie  -  in ordine all'esistenza del conflitto. La non applicazione
deve   essere  evitata  solo  quando  venga  in  rilievo  il  limite,
sindacabile  unicamente  da  questa  Corte, del rispetto dei principi
fondamentali    dell'ordinamento   costituzionale   e   dei   diritti
inalienabili della persona (da ultimo, ordinanza n. 454 del 2006).
    Il  giudice  a  quo  non  ignora  tale  principio,  ma, una volta
rappresentato il suo sicuro convincimento sull'antinomia tra l'art. 4
della legge n. 401 del 1989, in relazione all'art. 88 del r.d. n. 773
del  1931,  e  gli artt. 43 e 49 del Trattato CE, esclude che gli sia
consentita   la   «disapplicazione»   delle   norme   censurate,  con
l'argomento   della   vincolativita'   per   il   giudice  di  merito
dell'orientamento,  consolidato nella giurisprudenza di legittimita',
nel  senso  della  sussistenza  di  esigenze  di  ordine  pubblico  a
fondamento  delle  misure  restrittive  delle liberta' comunitarie in
esame.
    Tuttavia,  l'asserita  esistenza  nell'ordinamento  interno di un
diritto  vivente, formatosi, secondo il rimettente, in conseguenza di
un'erronea  applicazione  dei  parametri di valutazione forniti dalla
Corte  di  giustizia nella citata sentenza Gambelli, non vale certo a
trasformare  in  questione  di  costituzionalita'  una  questione  di
compatibilita'  della legge nazionale con norme comunitarie provviste
di effetto diretto.
    Le  statuizioni  della Corte di Giustizia delle comunita' europee
hanno,  al  pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui
ineriscono,   operativita'   immediata   negli   ordinamenti  interni
(sentenze  n. 389  del  1989  e n. 113 del 1985). Nel caso in cui, in
ordine  alla  portata  di  dette  statuizioni,  i  giudici  nazionali
chiamati   ad   interpretare  il  diritto  comunitario,  al  fine  di
verificare  la  compatibilita'  delle  norme  interne, conservino dei
dubbi  rilevanti,  va  utilizzato il rinvio pregiudiziale prefigurato
dall'art. 234   del   Trattato  CE  quale  fondamentale  garanzia  di
uniformita'  di  applicazione  del  diritto  comunitario nell'insieme
degli  Stati  membri.  Vale  appena  ribadire  che  la  questione  di
compatibilita'  comunitaria  costituisce  un prius logico e giuridico
rispetto  alla  questione  di  costituzionalita',  poiche' investe la
stessa  applicabilita'  della norma censurata e pertanto la rilevanza
di detta ultima questione.
    In conclusione, la questione dev'essere dichiarata inammissibile,
in  quanto non compete a questa Corte, ma al giudice comune accertare
-  eventualmente  avvalendosi  dell'ausilio  del rinvio pregiudiziale
alla  Corte  di  giustizia  - se le disposizioni del diritto interno,
rilevanti  nella specie, confliggano con le evocate norme del diritto
comunitario  provviste di effetto diretto e trarne le conseguenze qui
precisate.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara    inammissibile    la    questione    di   legittimita'
costituzionale  dell'art. 4  della  legge  13 dicembre  1989,  n. 401
(Interventi  nel  settore  del giuoco e delle scommesse clandestini e
tutela   della   correttezza   nello  svolgimento  di  manifestazioni
sportive), in relazione all'art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931,
n. 773   (Approvazione  del  testo  unico  delle  leggi  di  pubblica
sicurezza)  sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, 11 e 41 della
Costituzione, dal Tribunale di Macerata con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                        Il redattore: Tesauro
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 13 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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