N. 302 SENTENZA 10 - 20 luglio 2007

Giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale promosso
  nei   confronti  di  un  parlamentare  per  dichiarazioni  ritenute
  diffamatorie  -  Deliberazione di insindacabilita' della Camera dei
  deputati  -  Ricorso  per  conflitto di attribuzione proposto dalla
  Corte  di  appello  di  Venezia - Eccezione di inammissibilita' del
  conflitto  per  essere  la deliberazione parlamentare ripetitiva di
  altra  gia'  oggetto  di  conflitti  di attribuzione conclusisi con
  pronuncia di inammissibilita' - Reiezione.
- Deliberazione  della  Camera  dei  deputati  7 ottobre  2003  (doc.
  IV-quater, n. 19).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale promosso
  nei   confronti  di  un  parlamentare  per  dichiarazioni  ritenute
  diffamatorie  -  Deliberazione di insindacabilita' della Camera dei
  deputati  -  Ricorso  per  conflitto di attribuzione proposto dalla
  Corte  di  appello di Venezia - Omessa indicazione del contenuto di
  alcune   delle  dichiarazioni  contestate  -  Inammissibilita'  del
  conflitto in parte qua.
- Deliberazione  della  Camera  dei  deputati  7 ottobre  2003  (doc.
  IV-quater, n. 19).
- Costituzione, art. 68, primo comma; norme integrative per i giudizi
  davanti alla Corte costituzionale, art. 26.
Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale promosso
  nei   confronti  di  un  parlamentare  per  dichiarazioni  ritenute
  diffamatorie  -  Deliberazione di insindacabilita' della Camera dei
  deputati  -  Ricorso  per  conflitto di attribuzione proposto dalla
  Corte di appello di Venezia - Collocazione delle dichiarazioni rese
  al  di  fuori  della  sede  istituzionale  in un generale «contesto
  politico» nel quale si pongono anche atti parlamentari tipici posti
  in  essere dal deputato - Insufficienza ai fini dell'individuazione
  di  un  nesso  funzionale  - Irrilevanza, ai medesimi fini, di atti
  tipici  posti  in essere da altro parlamentare - Non spettanza alla
  Camera   dei  deputati  della  potesta'  esercitata  -  Conseguente
  annullamento della deliberazione di insindacabilita' in parte qua.
- Deliberazione  della  Camera  dei  deputati  7 ottobre  2003  (doc.
  IV-quater, n. 19).
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.29 del 25-7-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Franco GALLO, Luigi MAZZELLA,
Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe
TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  per  conflitto  di attribuzione tra poteri dello Stato
sorto  a  seguito  della  deliberazione della Camera dei deputati del
7 ottobre    2003,   relativa   alla   insindacabilita',   ai   sensi
dell'art. 68,   primo   comma,  della  Costituzione,  delle  opinioni
espresse  dal  deputato  Vittorio  Sgarbi  nei  confronti  del  dott.
Raffaele  Tito promosso con ricorso della Corte di appello di Venezia
-  sezione  IV  penale,  notificato il 25 gennaio 2006, depositato in
cancelleria  il  26 gennaio  2006  ed  iscritto al n. 21 del registro
conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  19  giugno 2007  il  giudice
relatore Paolo Maddalena;
    Udito l'avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con  ricorso  depositato  il  27 maggio  2005, la Corte di
appello  di Venezia, quarta sezione penale, ha sollevato conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato, in relazione alla delibera della
Camera  dei  deputati del 7 ottobre 2003 (Doc. IV-quater, n. 19), con
la  quale  si  e'  dichiarato  che  i  fatti  per  cui  e'  in  corso
procedimento  penale  nei  confronti  del  deputato  Vittorio Sgarbi,
pendente  innanzi  ad  essa  Corte  di  appello,  riguardano opinioni
espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68,  primo comma, della Costituzione,
chiedendo che la predetta delibera venga annullata.
    1.1.  - Il ricorrente espone, in fatto, che il deputato Sgarbi e'
imputato  del  reato  di diffamazione pluriaggravata per avere, quale
conduttore  di  quattro  trasmissioni  televisive della serie «Sgarbi
quotidiani»,  diffuse  dall'emittente  «Canale  5» nei giorni 10, 14,
18 gennaio  e  24 luglio  1997,  offeso la reputazione del magistrato
Raffaele  Tito  in riferimento all'attivita' di sostituto procuratore
della  Repubblica  presso il Tribunale di Pordenone da lui svolta nei
procedimenti  penali a carico del deputato Michelangelo Agrusti e del
sindaco  del comune di Buia, Molinaro. Diffamazione che - secondo una
sintetica  ricostruzione del capo d'imputazione (formulato in base al
richiamo  integrale  dei testi trascritti delle predette trasmissioni
televisive,   dei   quali  sono  allegati  al  ricorso  quelli  delle
trasmissioni  del  10,  14 e 18 gennaio 1997) - si sarebbe concretata
nell'addebito  al  magistrato  Tito  di  aver  approfittato della sua
relazione sentimentale con la collega Anna Fasan, all'epoca dei fatti
giudice  per  le indagini preliminari del Tribunale di Pordenone, per
ottenere   provvedimenti   restrittivi  e  decisioni  giurisdizionali
compiacenti;   addebito  che  traeva  origine  dal  contenuto  di  un
memoriale  consegnato  dal  marito  della  Fasan,  Danilo  Da  Re, al
deputato Agrusti e da questi diffuso anche ad organi di stampa.
    Il ricorrente - dopo aver ricordato che su tale vicenda era stata
presentata,  in data 22 dicembre 1996, un'interrogazione parlamentare
dal  deputato  Armando  Veneto  -  rammenta, poi, che in relazione ai
predetti  fatti  erano  state proposte due distinte querele, da parte
del  Tito e della Fasan. La querela della Fasan era stata conosciuta,
per  competenza territoriale, dal Tribunale di Treviso ed il relativo
processo  si  era  concluso con sentenza di proscioglimento, ai sensi
dell'art. 129   del   codice   di   procedura   penale  in  relazione
all'art. 68, primo comma, Cost., dopo che il medesimo Tribunale aveva
proposto  ben due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato in
relazione alla delibera di insindacabilita' della Camera dei deputati
del  24 febbraio  1999,  entrambi dichiarati inammissibili (da ultimo
con ordinanza n. 358 del 2003).
    Sulla querela del Tito, invece, si era aperto procedimento penale
davanti  al  competente  Tribunale di Venezia, il quale, con sentenza
del  23 marzo  -  13 giugno 2001, aveva condannato il deputato Sgarbi
per i reati ascrittigli alla complessiva pena di un anno e un mese di
reclusione  e  di  lire 3 milioni di multa, oltre al risarcimento del
danno,  in solido con il responsabile civile Reti Televisive Italiane
S.p.A., in favore del Tito.
    Nel  corso  del  giudizio  di  appello  avverso tale sentenza era
intervenuta,  in data 7 ottobre 2003, la delibera di insindacabilita'
della Camera dei deputati in relazione ai fatti oggetto di cognizione
da parte della Corte ricorrente.
    1.2.  -  Tanto premesso, la Corte di appello di Venezia - escluso
di dover provvedere immediatamente con sentenza di proscioglimento ai
sensi  dell'art. 3  della  legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni
per  l'attuazione  dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia
di  processi  penali  nei confronti delle alte cariche dello Stato) e
negata ogni rilevanza al precedente specifico costituito dal processo
celebratosi  dinanzi al Tribunale di Treviso, giacche' i conflitti di
attribuzione  tra poteri dello Stato sollevati da quel Tribunale sono
stati   decisi   soltanto   «in  rito»  dalla  Corte  costituzionale,
rimanendone    cosi'    impregiudicato    il   merito   -   argomenta
sull'impossibilita'  di  ricondurre  i  fatti oggetto del giudizio ad
attivita'  connessa  alla  funzione parlamentare del deputato Sgarbi,
precisando  che, alla stregua degli insegnamenti della giurisprudenza
costituzionale,  il  nesso  funzionale  puo' individuarsi soltanto in
riferimento a specifici atti parlamentari, giacche' solo tale aspetto
e'   essenziale   ai   fini   della   sussistenza  della  prerogativa
dell'insindacabilita'.  Di  conseguenza, secondo la Corte ricorrente,
non  inciderebbe sull'applicabilita' di tale prerogativa il fatto che
il    parlamentare   abbia   utilizzato   espressioni,   in   ipotesi
diffamatorie,  in veste di conduttore di una trasmissione televisiva,
sulla  base  di  un  rapporto  contrattuale  retribuito con l'editore
televisivo,  giacche'  ad  avere  dirimente  rilievo  e'  proprio  ed
esclusivamente  la circostanza che l'opinione manifestata all'esterno
del Parlamento «sia funzionalmente connessa ai lavori parlamentari».
    Tuttavia,  si  sostiene  ancora  nel  ricorso,  l'immunita'  deve
reputarsi  limitata  «alle  sole proprie opinioni espresse nei lavori
parlamentari»,  risultando  irrilevanti,  come anche affermato con la
sentenza  n. 347  del  2004  della  Corte  costituzionale,  gli  atti
parlamentari posti in essere da altri membri del Parlamento. Sicche',
nella specie, poiche' l'atto parlamentare cui si fa riferimento nella
delibera  di  insindacabilita'  e'  del  deputato  Veneto  e non gia'
dell'on.  Sgarbi,  difetterebbe,  ad  avviso  del giudice ricorrente,
«questo  essenziale presupposto per l'esercizio dello speciale potere
attribuito   dall'art. 68,   primo   comma,  Cost.  alla  Camera  dei
deputati».
    In  ogni  caso,  prosegue  la  Corte  di  appello  di Venezia, si
perverrebbe     alla     medesima    conclusione    anche    aderendo
all'interpretazione   che   consente   di  estendere  la  prerogativa
dell'insindacabilita',  propria  di  chi  ha  manifestato  l'opinione
nell'ambito  dei  lavori  parlamentari,  a tutti gli altri membri del
Parlamento.  Estensione  dell'immunita'  che sarebbe soggetta, pero',
allo stesso limite oggettivo che viene in rilievo per il parlamentare
che  quell'opinione  abbia  manifestato,  e  cioe'  che  si tratti di
«sostanziale  ripetizione e non anche di integrazione o modificazione
di quella espressa nell'ambito dei lavori parlamentari».
    Nella  fattispecie,  si  precisa  nel  ricorso,  dovrebbe  quindi
verificarsi se sussista «sostanziale corrispondenza» tra il contenuto
dell'interrogazione parlamentare proposta dal deputato Veneto in data
22 dicembre   1996  e  le  successive  dichiarazioni  televisive  del
deputato  Sgarbi  (il  quale, peraltro, richiama specificamente detta
interrogazione  nella  trasmissione del 10 gennaio 1997), oggetto del
processo  penale cui si riferisce la delibera di insindacabilita' del
7 ottobre 2003.
    Tale   corrispondenza   di   contenuti,  ad  avviso  della  Corte
ricorrente, deve essere esclusa.
    In primo luogo, osserva la stessa Corte, nella interrogazione del
deputato  Veneto, che «si richiama sostanzialmente alla dichiarazione
del  marito  della dottoressa Fasan», non si rinviene alcunche' circa
«il  caso  Molinaro  (sindaco  di Buia)», oggetto delle dichiarazioni
televisive  del  24 luglio  1997,  mentre  anche  per tale vicenda e'
intervenuta  condanna  in  primo  grado  da  parte  del  Tribunale di
Venezia.  Sicche',  in  relazione a tale specifico fatto, e' evidente
l'esorbitanza  da  parte della Camera dei deputati dai propri poteri,
essendo  la  delibera di insindacabilita' intervenuta in relazione ad
una vicenda mai specificamente affrontata in atti parlamentari.
    Quanto  poi alle affermazioni concernenti la vicenda del deputato
Agrusti,   su  cui  si  sofferma  l'interrogazione  parlamentare  del
deputato  Veneto,  la  Corte  di  appello di Venezia, condividendo il
giudizio  espresso  dal  giudice di primo grado, pone in rilievo come
dalla  richiesta di accertamento urgente di fatti gravi, quali quelli
riportati  nel  memoriale  del  marito  della  dottoressa  Fasan, che
costituisce  il  tenore  dell'interrogazione  parlamentare, si passi,
nelle  dichiarazioni  incriminate, ad «un fatto accertato e come tale
meritevole  di  censura»  e si dia per scontato che «i due magistrati
hanno   avuto   un  legame  sentimentale  e  sessuale  fin  da  prima
dell'inizio dei procedimenti interessanti l'Agrusti, dando vita ad un
contesto  dove  il  sesso e il lavoro si compenetravano ed il secondo
era strumentalizzato e dipendente dal primo».
    In  definitiva,  la  Corte  di  appello  ricorrente  sostiene che
«l'opinione  parlamentare del deputato Veneto nell'esternazione dello
Sgarbi  diviene  altro  fatto,  altra  opinione, opinione integrata e
modificata»   e   come   tale  non  riconducibile  nell'ambito  della
prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, Cost.
    2.  -  Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile con ordinanza
n. 473  del  28 dicembre 2005. A seguito di essa, la Corte di appello
di  Venezia,  quarta  sezione  penale,  ha  notificato  il  ricorso e
l'ordinanza  alla  Camera  dei deputati in data 25 gennaio 2006 ed ha
depositato  tali  atti,  con la prova dell'avvenuta notificazione, il
successivo 26 gennaio 2006.
    3.  -  Si  e'  costituita  in giudizio la Camera dei deputati, in
persona  del  suo Presidente per sentir dichiarare l'inammissibilita'
del  conflitto; in subordine e nel merito, ha comunque chiesto che la
Corte  costituzionale  dichiari  che  spettava  ad  essa il potere di
dichiarare  l'insindacabilita',  ai  sensi dell'art. 68, primo comma,
Cost.,  in  relazione  alle  opinioni  espresse dal deputato Vittorio
Sgarbi  secondo  quanto  deliberato  dall'Assemblea in data 7 ottobre
2003.
    3.1.  -  Quanto  all'eccezione  in  rito,  la difesa della Camera
osserva,  anzitutto,  che, avverso altra delibera di insindacabilita'
(in  data  24 febbraio  1999), ma concernente le stesse dichiarazioni
oggetto   del  presente  conflitto  (delibera,  peraltro,  richiamata
espressamente   da   quella   in  data  7 ottobre  2003,  attualmente
impugnata),  sono  gia'  intervenute due pronunce di inammissibilita'
della  Corte costituzionale in altrettanti conflitti di attribuzione.
Del  resto,  tale  circostanza  e'  evidenziata  dallo stesso giudice
ricorrente,   il   quale,   nel   porsi   espressamente  il  problema
dell'incidenza  sull'attuale  giudizio  dei  precedenti conflitti, ha
ritenuto  che  il  carattere  «puramente  processuale» delle relative
decisioni   consentirebbe   appunto   l'instaurazione   del  presente
conflitto.  Secondo  la Camera, invece, cio' non sarebbe possibile, a
meno  di non voler sacrificare quella esigenza di «certezza nel campo
dei   rapporti  tra  poteri»  ove,  come  nella  fattispecie,  «venga
reiterato   il   conflitto  sulle  medesime  dichiarazioni,  ossia  a
prescindere  dalla circostanza che esse siano state o meno scrutinate
nel merito in sede di giudizio costituzionale».
    3.2. - Sempre in punto di ammissibilita' del conflitto, la Camera
dei  deputati  osserva  che  il ricorrente non ha riportato nel corpo
dell'atto  introduttivo  del  giudizio  le «frasi incriminate», ma ha
allegato   al   medesimo  atto  la  trascrizione  delle  trasmissioni
televisive  nelle  quali  le  stesse  frasi  sono  state pronunciate,
omettendo  tuttavia di allegare la trascrizione della trasmissione in
data 24 luglio 1997.
    Pertanto,  si  argomenta  ancora  nella  memoria,  in relazione a
queste  ultime  dichiarazioni  il  ricorso dovrebbe essere dichiarato
inammissibile   «per  questo  aspetto»,  non  essendo  stato  assolto
l'onere,  imposto  dall'art. 26 delle norme integrative per i giudizi
davanti  alla  Corte costituzionale, di dar «conto in modo congruo ed
adeguato delle dichiarazioni sulle quali verte il conflitto». Invero,
conclude  al  riguardo  la  difesa  della Camera, siffatto profilo di
inammissibilita'   dovrebbe  «ripercuotersi,  stante  la  sua  intima
unitarieta', sull'intero atto introduttivo».
    3.3.  -  Nel  merito,  la  Camera  dei  deputati  svolge  diffuse
argomentazioni   nel  senso  della  infondatezza  delle  ragioni  del
ricorso.
    3.3.1.  -  Si  sottolinea, anzitutto, che sarebbe «pertinente» la
considerazione,   espressa   nella  relazione  della  Giunta  per  le
autorizzazioni  del 4 luglio 2002, concernente la circostanza per cui
«la  questione  giustizia era ed e' all'evidenza un tema centrale del
dibattito    politico-parlamentare»;    come    sarebbe   «ampiamente
suffragata»  la  deduzione  avanzata dalla relatrice nella seduta del
7 ottobre  2003  secondo  la  quale  il  deputato  Sgarbi  «si occupa
quotidianamente  dei  problemi  della  giustizia,  del contrasto alla
malagiustizia».  Sicche',  la  vicenda relativa al presente conflitto
andrebbe  inquadrata  nella suddetta attivita' del deputato Sgarbi «e
come  tale  le relative dichiarazioni possono ricadere nell'ambito di
operativita' della garanzia di cui si tratta, rilevando a riguardo le
numerose  attivita'  di  natura  parlamentare  poste  in  essere  dal
deputato»,  non  potendo  in  nessun  caso  rilevare  il fatto che le
dichiarazioni  stesse  siano state manifestate all'esterno tramite il
mezzo televisivo.
    3.3.2. - In ogni caso, prosegue la resistente, l'infondatezza del
ricorso  deriverebbe dal fatto che la delibera di insindacabilita' si
poggia sul «dato incontrovertibile» della preesistenza, rispetto alle
dichiarazioni del deputato Sgarbi, dell'interrogazione presentata dal
deputato  Armando  Veneto (n. 5/01331 del 22 dicembre 1996), «dei cui
contenuti  le  dichiarazioni ora in esame costituiscono in definitiva
una  semplice  divulgazione,  posta  sia  la  innegabile  coincidenza
contenutistica  tra di esse riscontrabile sia l'esplicito riferimento
in tal senso manifestato in sede di dichiarazioni esterne».
    Ne' varrebbe, in senso contrario, il richiamo, fatto dallo stesso
giudice  ricorrente,  alla sentenza della Corte costituzionale n. 347
del 2004, per la quale non potrebbe essere consentita l'immunita' per
dichiarazioni  rese  da  altro  parlamentare,  giacche',  nel caso in
esame, le attuali dichiarazioni avrebbero un «carattere squisitamente
divulgativo»,  non  potendo  essere  private  della  garanzia  di cui
all'art. 68   Cost.  proprio  quelle  espressioni  che  assolvano  la
funzione  di  «favorire  il  piu'  alto  grado di conoscenza da parte
dell'opinione  pubblica  dei contenuti del dibattito parlamentare», e
cio'   «indipendentemente   dal   fatto   che  l'atto  oggetto  delle
divulgazione  risulti  o  meno  imputabile  al  deputato  che  quelle
dichiarazioni abbia reso».
    Peraltro,   deduce   sempre   la  Camera,  opinare  il  contrario
significherebbe   determinare   una   irragionevole   disparita'   di
trattamento  tra  parlamentari anche «in ipotesi di messaggi politici
di  identico  contenuto  e che assolvano alla medesima funzione», la'
dove  inoltre  lo stesso art. 3, comma 1, della legge n. 140 del 2003
si  riferisce  alla «divulgazione» come attivita' coperta da garanzia
costituzionale  «senza ulteriori e specifiche condizioni». Del resto,
in siffatta prospettiva andrebbe letta la piu' recente giurisprudenza
costituzionale  (tra cui la sentenza n. 193 del 2005) che ha ritenuto
«prioritario»  lo  scrutinio  sulla  convergenza  contenutistica  tra
dichiarazioni  esterne  ed  atto ispettivo presentato da parlamentare
diverso da quello autore delle dichiarazioni medesime.
    3.3.3.  -  La  Camera  dei deputati osserva, quindi, che la Corte
ricorrente  ha  comunque  escluso  la «sostanziale corrispondenza» di
significati   tra   le   dichiarazioni   oggetto  della  delibera  di
insindacabilita'   impugnata   e  l'interrogazione  parlamentare  del
deputato Veneto.
    A  tal  fine,  verrebbe  erroneamente utilizzato, in primo luogo,
l'argomento  per  cui  nelle  dichiarazioni  rese  nella trasmissione
televisiva del 24 luglio 1997 si farebbe riferimento all'episodio del
sindaco   del  comune  di  Buia  non  menzionato  nell'interrogazione
parlamentare.  Ad  avviso della resistente, si tratterebbe, tuttavia,
di  un  argomento,  non soltanto riferentesi ad un episodio marginale
rispetto  ai  contenuti  essenziali  concernenti la «stigmatizzazione
delle  gravi  anomalie  riscontrabili  nei rapporti intercorrenti tra
pubblico  ministero  e  gip presso il tribunale di Pordenone», ma, in
ogni  caso,  inammissibile, giacche', come in precedenza evidenziato,
concernente   dichiarazioni  non  riportate  nel  ricorso  e  neppure
allegate al medesimo atto.
    Inoltre,  prosegue  la difesa della Camera, il giudice ricorrente
negherebbe   la   sostanziale  corrispondenza  di  contenuti  tra  le
dichiarazioni  del  deputato  Sgarbi  e l'interrogazione del deputato
Veneto   sul   presupposto   che   «le   dichiarazioni  esternate  si
distaccherebbero,   persino   marcatamente   [...],  dalla  pregressa
interrogazione»,  cosi'  da  divenire  «altro  fatto, altra opinione,
opinione  integrata  e modificata». Cosi' facendo, pero', la Corte di
appello  di  Venezia  mostra  di ritenere che il nesso contenutistico
«debba  avere  un  carattere letteralmente ripetitivo», mentre esso -
come  ricordato  dalla  stessa giurisprudenza costituzionale (vengono
richiamate  tra  le  altre le sentenze n. 298 e n. 347 del 2004) - si
configura come «sostanziale identita' di contenuto critico», cosi' da
rendere    partecipi   della   garanzia   costituzionale   anche   le
dichiarazioni  che,  sebbene  collegate  ad  atti  parlamentari,  «ne
reiterino  il contenuto critico che ne scaturisce, ossia manifestando
opinione adesive e confermative, e se del caso anche rafforzative, di
siffatto nucleo contenutistico».
    Peraltro,   si   argomenta  ancora  nella  memoria,  non  sarebbe
ammissibile una lettura che sminuisca «la portata dell'atto ispettivo
di  cui  si parla, convertendolo in una sorta di asettico tramite del
memoriale  del  quale  si fa menzione nella medesima interrogazione»,
mentre  sarebbe  evidente  in essa l'intenzione - peraltro confermata
nel  suo  significato anche da successive interrogazioni dello stesso
deputato   Veneto   (del  20 gennaio  1997,  n. 5/01387,  «pressoche'
contestuale  alle  dichiarazioni  dell'on. Sgarbi», e del 24 novembre
1998,  n. 4/20934)  - di porre in rilievo l'esigenza di «salvaguardia
degli   utenti   della   giustizia  e  della  stessa  dignita'  delle
Istituzioni»  a  fronte  della «esistenza di una quadro assolutamente
degradato  dell'amministrazione della giustizia in Pordenone, tale da
ritenere  non  piu'  rinviabile  un immediato intervento degli organi
disciplinari».
    3.3.4.  -  La  difesa  della  Camera assume, altresi', che non vi
sarebbe  «distanza  incolmabile»  tra  l'interrogazione  del deputato
Veneto  e le dichiarazioni oggetto della delibera di insindacabilita'
impugnata,  giacche'  nelle  seconde  si fa esplicito riferimento sia
alla  denuncia  citata nell'interrogazione parlamentare, «sia ai suoi
specifici brani», tanto da potersi «riscontrare che in ambedue, al di
la'  degli  aspetti  espositivi  o  di  quelli  di  mero contorno, e'
indicata nominativamente la fonte delle accuse e delle rivelazioni in
ordine   alle   ragioni   dell'anomalo   funzionamento  degli  uffici
giudiziari  presso il Tribunale di Pordenone con particolare riguardo
alla vicenda dell'on. Agrusti».
    Sicche',   conclude  la  Camera  dei  deputati,  ne  risulterebbe
«ulteriormente  comprovato  il  legame  con  l'interrogazione presa a
"parametro"   dal  ricorrente»,  dal  momento  che  le  dichiarazioni
incriminate  non  solo richiamano l'interrogazione suddetta, oltre ad
evocare i medesimi fatti, ma espongono la vicenda in questione - come
pure   era  accaduto  nell'atto  ispettivo  -  «sotto  la  forma  del
resoconto,  vivace quanto si vuole ma non per questo meno pertinente,
del tenore delle denunzie inoltrate al riguardo».
    4.  -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Camera dei deputati ha
depositato  memoria  con  la  quale,  riportandosi  alle  eccezioni e
deduzioni   gia'   svolte  nell'atto  di  costituzione,  insiste  per
l'inammissibilita'  o,  comunque,  per  il  rigetto  nel  merito  del
ricorso.
    Nel   soffermarsi  ad  illustrare  ulteriormente  l'eccezione  di
inammissibilita'  del  ricorso collegata alla circostanza per cui, in
relazione  alle  medesime dichiarazioni sulle quali e' intervenuta la
delibera  di insindacabilita' attualmente oggetto di impugnazione, la
Corte  costituzionale  si e' gia' pronunciata, in ben due giudizi per
conflitto    di    attribuzione   tra   poteri   dello   Stato,   per
l'inammissibilita'  (sentenza  n. 364 del 2001 e ordinanza n. 358 del
2003),  la  Camera dei deputati ribadisce che, nel presente giudizio,
non  puo'  non trovare applicazione «la giurisprudenza costituzionale
che,  a  far  data  dalla  sentenza  n. 116  del  2003, ha escluso la
riproponibilita'  di  un  ricorso  per  conflitto  che sia stato gia'
dichiarato inammissibile e improcedibile».
    Ad  avviso  della  resistente,  a siffatta soluzione non potrebbe
opporsi  che  «il  presente  conflitto  e' stato elevato nel corso di
altro  procedimento  giudiziario  e  che  esso  investa  comunque una
diversa delibera di insindacabilita' ancorche' relativa alle medesime
dichiarazioni rese extra moenia dal deputato». Opinando in tal senso,
si  argomenta  ancora  nella  memoria,  verrebbe  frustrata  la ratio
decidendi alla base della ricordata giurisprudenza, la quale si fonda
su  «un'esigenza  di  certezza  nei rapporti tra poteri dello Stato»,
tale  da  non  consentire  il mantenimento «in via definitiva» di una
situazione  di  conflittualita'.  E tale esigenza di certezza sarebbe
frustrata  anche la' dove «alla dichiarazione di inammissibilita' del
conflitto  non  fossero  ricollegati  effetti  preclusivi  di  ordine
generale,  che  non  si  rivolgono,  cioe', al singolo giudice che ha
elevato  il conflitto inammissibile o improcedibile, bensi' al potere
giudiziario nella sua interezza».
    Peraltro,   la  nuova  deliberazione  di  insindacabilita'  sulle
medesime dichiarazioni assumerebbe - secondo la Camera dei deputati -
«un  ruolo  puramente  reiterativo  (e  per  di  piu'  motivata da un
criterio  chiaramente prudenziale)», giacche' i giudizi per conflitti
di  attribuzione  ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost. «hanno ad
oggetto  in  via  diretta  le  opinioni  espresse  dal  deputato e la
sussistenza  dei  requisiti  richiesti ai fini dell'attivazione della
garanzia costituzionale»; sicche', le argomentazioni innanzi svolte a
sostegno  della  inammissibilita'  o  improcedibilita'  del  presente
conflitto   non   potrebbero  essere  inficiate  dal  fatto  che  sia
sopravvenuta tale seconda deliberazione di insindacabilita'.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La Corte di appello di Venezia, quarta sezione penale, con
ricorso  depositato  il  27 maggio  2005,  ha  sollevato conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato, in relazione alla delibera della
Camera  dei  deputati del 7 ottobre 2003 (Doc. IV-quater, n. 19), con
la  quale  l'Assemblea  ha dichiarato che i fatti per cui e' in corso
procedimento  penale  nei  confronti  del  deputato  Vittorio Sgarbi,
pendente  innanzi  ad  essa  Corte  di  appello,  riguardano opinioni
espresse  da  un  membro  del  Parlamento  nell'esercizio  delle  sue
funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68,  primo comma, della Costituzione,
chiedendo che la predetta delibera venga annullata.
    Secondo  la  Corte  di  appello,  la  Camera dei deputati, con la
predetta  delibera,  avrebbe  illegittimamente  esercitato il proprio
potere,   affermando  arbitrariamente  l'insindacabilita',  ai  sensi
dell'art. 68,  primo  comma,  della Costituzione, delle dichiarazioni
rese  dal  deputato  Vittorio  Sgarbi,  quale  conduttore  di quattro
trasmissioni   televisive   della   serie  «Sgarbi  quotidiani»,  nei
giorni 10, 14, 18 gennaio e 24 luglio 1997.
    Ricorda,   infatti,   la   Corte   ricorrente  che,  in  base  al
capo d'imputazione,   il   deputato,   nel   corso   delle   predette
trasmissioni televisive, avrebbe offeso la reputazione del magistrato
Raffaele  Tito  in riferimento all'attivita' di sostituto procuratore
della  Repubblica  presso il Tribunale di Pordenone da lui svolta nei
procedimenti  penali a carico del deputato Michelangelo Agrusti e del
sindaco  del  comune  di  Buia,  Molinaro.  Diffamazione  che,  nella
sostanza,  si  sarebbe  concretata  nell'addebito  al  Tito  di  aver
approfittato  della  sua  relazione  sentimentale con la collega Anna
Fasan,  all'epoca  dei  fatti giudice per le indagini preliminari del
Tribunale  di  Pordenone,  per  ottenere  provvedimenti restrittivi e
decisioni giurisdizionali compiacenti.
    Ad  avviso  della  Corte  di  appello  di  Venezia,  non  sarebbe
possibile   ricondurre  i  fatti  oggetto  di  cognizione  penale  ad
attivita'  connessa  alla  funzione  parlamentare, giacche', in primo
luogo,    la   prerogativa   dell'insindacabilita'   deve   reputarsi
circoscritta   «alle   sole  proprie  opinioni  espresse  nei  lavori
parlamentari»,  risultando irrilevanti gli atti parlamentari posti in
essere  da  altri  membri  del  Parlamento  e,  quindi, nella specie,
l'interrogazione  del  deputato  Armando Veneto del 22 dicembre 1996,
alla  quale  si  fa  riferimento nella delibera impugnata. Ma anche a
ritenere diversamente, nella fattispecie - sostiene sempre il giudice
ricorrente  - non potrebbe comunque giustificarsi la delibera assunta
dalla Camera dei deputati, in quanto non vi sarebbe quella necessaria
«sostanziale   corrispondenza»   tra   il  contenuto  della  predetta
interrogazione  parlamentare e le successive dichiarazioni televisive
del deputato Sgarbi. Non solo, infatti, detta delibera non coprirebbe
la  vicenda  del  sindaco  del  comune  di  Buia,  ma,  in ogni caso,
«l'opinione  parlamentare del deputato Veneto nell'esternazione dello
Sgarbi  diviene  altro  fatto,  altra  opinione, opinione integrata e
modificata»   e,  come  tale,  non  riconducibile  nell'ambito  della
prerogativa di cui all'art. 68, primo comma, Cost.
    Donde  il  proposto conflitto di attribuzione, per aver la Camera
dei  deputati,  tramite  l'arbitrario  esercizio  del  potere ad essa
conferito  dall'art. 68  Cost.,  interferito  illegittimamente  nelle
attribuzioni dell'autorita' giudiziaria, costituzionalmente garantite
dall'art. 102 della Costituzione.
    2.  -  Preliminarmente,  nello  scrutinare  l'ammissibilita'  del
conflitto,  gia'  dichiarata  nella  fase  senza  contraddittorio con
l'ordinanza  n. 473  del  2005,  devono essere esaminate le eccezioni
sollevate dalla difesa della Camera dei deputati.
    2.1.  -  In  base  ad  una prima eccezione, il conflitto dovrebbe
essere  dichiarato  inammissibile,  perche' le medesime dichiarazioni
oggetto della delibera di insindacabilita' attualmente impugnata sono
state gia' oggetto di una precedente delibera di insindacabilita' (in
data  24 febbraio  1999), rispetto alla quale l'Autorita' giudiziaria
ha proposto ben due conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato,
entrambi  conclusisi  con pronunce di inammissibilita' rese da questa
Corte  (rispettivamente,  con  la  sentenza  n. 364  del  2001  e con
l'ordinanza  n. 358  del  2003). Ad avviso della Camera dei deputati,
nel  presente  giudizio  dovrebbe,  quindi,  trovare applicazione «la
giurisprudenza  costituzionale  che, a far data dalla sentenza n. 116
del  2003, ha escluso la riproponibilita' di un ricorso per conflitto
che sia stato gia' dichiarato inammissibile e improcedibile».
    2.1.2. - L'eccezione non puo' trovare accoglimento.
    Innanzitutto,  la  sua  portata  deve  essere  circoscritta  alle
dichiarazioni  che,  in  riferimento  alle  due  diverse  delibere di
insindacabilita'  innanzi  menzionate, si sovrappongono interamente e
cioe' alle dichiarazioni rese dallo Sgarbi nelle trasmissioni del 10,
14  e  18 gennaio  1997. Resterebbero fuori, dunque, le dichiarazioni
concernenti il «caso del sindaco di Buia», relative alla trasmissione
del  24 luglio  1997,  anch'esse coperte dalla delibera del 7 ottobre
2003,  attualmente  impugnata,  ma non da quella del 24 febbraio 1999
che  concerne,  appunto,  le  dichiarazioni  rese  dal deputato nelle
predette   trasmissioni   del gennaio  1997  relative  -  per  quanto
interessa in questa sede - alla vicenda «Tito-Fasan-Agrusti».
    Cio'  precisato,  le  dichiarazioni  in  esame,  sebbene  assunte
unitariamente  da  entrambe  le  delibere  di  insindacabilita', sono
apprezzabili  partitamente  in  relazione  alle  posizioni  dei  vari
soggetti alle quali si indirizzano, tant'e' che esse hanno concretato
(nella  prospettazione  accusatoria  dei capi d'imputazione e, per il
Tito,  anche  secondo  la  sentenza di condanna dello Sgarbi in primo
grado)  due  distinti  reati  di  diffamazione,  per la lesione della
reputazione  di  due  diverse persone. E difatti, in relazione a tali
reati  si sono aperti due differenti procedimenti giudiziari, dinanzi
a   distinti   giudici   penali:  il  Tribunale  di  Treviso  per  le
dichiarazioni concernenti la Fasan e, per quelle concernenti il Tito,
dapprima  il Tribunale di Venezia e poi l'attuale ricorrente Corte di
appello di Venezia.
    Di  qui,  la  necessita'  delle due delibere di insindacabilita',
rispetto  alle  dichiarazioni  indirizzate  alla  Fasan  ed  al Tito,
avvertita  consapevolmente  anche  dalla Camera dei deputati, come si
evince  chiaramente  la'  dove,  nella  relazione della Giunta per le
autorizzazioni  presentata  il  4 luglio 2002, viene affermato che la
delibera   assunta  il  24 febbraio  1999  ha  «riguardato  un  fatto
parzialmente  diverso,  vale  a  dire  le affermazioni rese, sia pure
nelle stesse puntate di una trasmissione televisiva, ma all'indirizzo
di   una   persona   diversa   e  senza  alcuni  riferimenti  rivolti
precipuamente alla parte offesa del procedimento di Venezia».
    In tale prospettiva, va ribadito quanto gia' in precedenza questa
Corte  ha  avuto  modo  di  affermare  con  la  sent. n. 265 del 1997
(richiamata    nella   stessa   relazione   della   Giunta   per   le
autorizzazioni), e cioe' che l'effetto inibitorio della deliberazione
di  insindacabilita',  rappresentando una deroga eccezionale, fondata
sull'art. 68  della  Costituzione,  alla  normale  esplicazione della
funzione   giurisdizionale,   presuppone   che   essa   si  riferisca
specificamente  alle  «opinioni»  che  sono  oggetto del giudizio che
viene  «inibito»,  non  essendo sufficiente «una generica valutazione
del  contesto documentale nel quale le dichiarazioni sono contenute a
«coprire» manifestazioni di opinione diverse da quelle sulle quali la
Camera  sia  stata  chiamata  a  pronunciarsi»  e  che  a  loro volta
delimitano   l'oggetto   e  dunque  gli  effetti  della  delibera  di
insindacabilita'.
    Non  e',  quindi,  pertinente  invocare  l'estensione della ratio
decidendi  seguita  dalla  sentenza  n. 116 del 2003 di questa Corte,
giacche' l'esigenza costituzionale che il giudizio per conflitto, una
volta  instaurato,  sia  concluso  in  termini certi non rimessi alle
parti  confliggenti  puo'  trovare rilievo nelle ipotesi di conflitto
sollevato  piu'  volte  dalla  stessa  autorita'  giudiziaria per gli
stessi   fatti,   coperti  da  specifica  e  pertinente  delibera  di
insindacabilita';  dunque,  in presenza di una fattispecie, con tutta
evidenza, differente da quella in esame.
    2.1.3.  -  Con la seconda eccezione la Camera dei deputati chiede
che   il   conflitto   sia  dichiarato  inammissibile  rispetto  alle
dichiarazioni  pronunciate  dal  deputato  Sgarbi  nella trasmissione
televisiva  «Sgarbi  quotidiani»  del  24 luglio  1997,  in cui si fa
riferimento  al  caso del sindaco di Buia - delle quali, diversamente
dalle  dichiarazioni  rese nelle trasmissioni televisive del 10, 14 e
18 gennaio  1997, non e' allegata al ricorso la relativa trascrizione
integrale  - non avendo il ricorrente assolto, in tal modo, all'onere
di cui all'art. 26 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte  costituzionale. Peraltro, ad avviso della difesa della Camera,
siffatto  profilo di inammissibilita' dovrebbe «ripercuotersi, stante
la sua intima unitarieta', sull'intero atto introduttivo».
    La  giurisprudenza  di  questa  Corte ha piu' volte rammentato la
necessita'  che  il  ricorso  per  conflitto,  perche'  possa  essere
scrutinato  nel  merito,  indichi  i fatti che ne sono all'origine e,
segnatamente,  il  reale  contenuto delle dichiarazioni attribuite al
deputato,  oggetto  della  delibera  di  insindacabilita' (da ultimo,
sentenze n. 152, n. 97, n. 53, n. 52 del 2007).
    Nella fattispecie, appare evidente che, in relazione alla vicenda
del  sindaco  di  Buia,  non  soltanto  manca  la  trascrizione della
trasmissione  televisiva  (del  24 luglio 1997) nel corso della quale
sono  state  rese  le  dichiarazioni  incriminate  ed  oggetto  della
delibera  di insindacabilita', ma del contenuto di tali dichiarazioni
neppure sommariamente viene dato conto nel ricorso.
    Del  resto,  il  fatto  che  dette  dichiarazioni  non  risultino
specificate nemmeno nella delibera della Camera del 7 ottobre 2003 (e
neanche  nella  relazione  della  Giunta del 2002), non puo' assumere
rilievo  alcuno,  giacche'  appare  incontrovertibile che la medesima
deliberazione della Camera investa anche le predette dichiarazioni.
    L'eccezione  deve  quindi essere accolta in riferimento alle sole
dichiarazioni  rese dal deputato Sgarbi nella trasmissione televisiva
del 24 luglio 1997, mentre e' priva di fondamento nella sua richiesta
estensione  a  tutto  il  ricorso introduttivo del presente giudizio,
giacche' risultano del tutto scindibili, gia' in punto di solo fatto,
le  dichiarazioni  rese  dal  predetto parlamentare concernenti i due
casi sopra menzionati.
    Il  conflitto  va  dunque  dichiarato inammissibile in parte qua;
deve  trovare,  invece, conferma la sua ammissibilita' in riferimento
alle restanti dichiarazioni del 10, 14 e 18 gennaio 1997, oggetto sia
del  procedimento  penale pendente dinanzi al giudice ricorrente, sia
della impugnata delibera di insindacabilita'.
    3. - Nella parte in cui e' ammissibile la delibazione nel merito,
il ricorso e' fondato.
    3.1.  -  In punto di verifica della sussistenza della prerogativa
di  cui  all'art. 68,  primo  comma, Cost., questa Corte e' ferma nel
ritenere  che  il  mero  «contesto politico», o comunque l'inerenza a
temi  di  rilievo  generale,  entro  cui  le dichiarazioni si possono
collocare,  non  vale  in  se'  a  connotarle  quali espressive della
funzione  parlamentare,  ove  esse,  non  costituendo  la sostanziale
riproduzione  delle  specifiche opinioni manifestate dal parlamentare
nell'esercizio delle proprie attribuzioni, siano non gia' il riflesso
del  peculiare  contributo  che  ciascun  deputato e ciascun senatore
apporta alla vita democratica mediante le proprie opinioni e i propri
voti,   ma   una   ulteriore  e  diversa  articolazione  di  siffatto
contributo,    elaborata    ed   offerta   alla   pubblica   opinione
nell'esercizio  della libera manifestazione del pensiero assicurata a
tutti  dall'art. 21  della  Costituzione  (tra  le  molte, da ultimo,
sentenza n. 152 del 2007).
    Vanno  annoverate  nel  piu'  generale  «contesto  politico» - e,
specificamente,  nel  tema  della  cosiddetta  «malagiustizia»  (cfr.
delibera  Camera  del  7 ottobre  2003)  -  le  opinioni espresse dal
deputato  Sgarbi  nella  sede  parlamentare tramite le interrogazioni
prodotte  dalla  difesa  della Camera [interrogazioni del 15 dicembre
1995   (n. 4/17030),   del   17   giugno 1994  (n. 4/01516),  del  16
giugno 1994    (4/01430),   del   15 settembre   1998   (n. 4/19564);
quest'ultima,  peraltro,  successiva alle dichiarazioni incriminate].
Gli  atti indicati non possono, dunque, essere invocati utilmente per
fondare  un  positivo  giudizio  di  verifica  sul  cosiddetto «nesso
funzionale» rispetto alle dichiarazioni incriminate.
    3.2.  -  Non  potrebbe,  invece,  negarsi  che  tra queste ultime
dichiarazioni  e  l'interrogazione  parlamentare del deputato Armando
Veneto del 22 dicembre 1996, temporalmente contigua alle trasmissioni
televisive  in questione, si possa profilare un legame contenutistico
diverso da quello che connota la mera comunanza di tema politico.
    Sennonche'  e'  dirimente  il  fatto  stesso che l'interrogazione
proviene  da  parlamentare  diverso  da  quello  che  e' autore delle
dichiarazioni  oggetto  della delibera di insindacabilita' impugnata.
Questa  Corte, infatti, si e' piu' volte espressa in ipotesi analoghe
(sentenze  n. 151  del 2007, n. 317 del 2006, n. 260 del 2006, n. 249
del  2006,  n. 146  del  2005  e n. 347 del 2004) per l'insussistenza
della copertura dell'art. 68, primo comma, Cost., sul rilievo che, se
e'  vero  che  le  guarentigie ivi previste sono poste a tutela delle
istituzioni  parlamentari  nel  loro  complesso e non si risolvono in
privilegi  personali dei deputati e dei senatori, non si puo' trarre,
tuttavia,  la  conseguenza  che  esista  una  tale fungibilita' tra i
parlamentari  da  produrre  effetti  giuridici  sostanziali nel campo
della  loro  responsabilita' civile e penale per le opinioni espresse
al di fuori delle Camere.
    In siffatta prospettiva, l'interrogazione del deputato Veneto del
22 dicembre  1996  (e  tanto  piu' quella, del medesimo deputato, del
24 novembre   1998,   successiva   alle   dichiarazioni  incriminate)
costituisce, dunque, «atto parlamentare irrilevante».
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  inammissibile  il  conflitto di attribuzione tra poteri
dello  Stato,  proposto  dalla  Corte  di  appello di Venezia, quarta
sezione  penale,  nei  confronti  della  Camera  dei  deputati con il
ricorso  in  epigrafe  indicato, nella parte in cui si riferisce alle
dichiarazioni  del deputato Vittorio Sgarbi, oggetto del procedimento
penale  pendente  davanti  alla predetta Corte di appello ricorrente,
pronunciate  in data 24 luglio 1997 e dichiarate insindacabili con la
delibera   della   Camera  dei  deputati  del  7 ottobre  2003  (Doc.
IV-quater, n. 19);
    Dichiara che non spettava alla Camera dei deputati deliberare che
le  restanti  dichiarazioni  rese  dal deputato Vittorio Sgarbi nelle
date  10,  14  e  18 gennaio  1997,  oggetto  del procedimento penale
pendente  davanti  alla  Corte  di appello di Venezia, quarta sezione
penale,  costituiscono  opinioni espresse da un membro del Parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione;
    Annulla,  per  l'effetto,  la  deliberazione  di insindacabilita'
adottata  dalla  Camera  dei deputati nella seduta del 7 ottobre 2003
(Doc.  IV-quater,  n. 19),  nella  parte  in  cui  si  riferisce alle
dichiarazioni  del  deputato Vittorio Sgarbi rese nelle date 10, 14 e
18 gennaio 1997.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Maddalena
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 20 luglio 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
07C1014