N. 542 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 febbraio 2007

Ordinanza  emessa  il  2  febbraio  2007  dal tribunale di Torino nel
procedimento  civile  promosso  da  Arace  Luigi  contro provincia di
Torino

Impiego  pubblico  -  Retribuzione  -  Festivita'  coincidenti con la
  domenica   -   Compenso   aggiuntivo   corrispondente  all'aliquota
  giornaliera  -  Diritto  gia'  riconosciuto  a  tutti  i lavoratori
  subordinati   retribuiti   in  misura  fissa  Inapplicabilita'  con
  efficacia  retroattiva  statuita  per i soli dipendenti pubblici, a
  seguito della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio
  1994/1997  - Lamentata ingiustificata disparita' di trattamento tra
  lavoratori privati e pubblici - Denunciata lesione del principio di
  eguaglianza.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 224.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.32 del 22-8-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Sciogliendo la riserva che precede,

                            O s s e r v a

    Il ricorrente Luigi Arace si e' rivolto al Tribunale di Torino in
funzione  di giudice del lavoro chiedendo la condanna della Provincia
di  Torino,  di  cui  e'  dipendente,  al pagamento di una somma pari
all'aliquota  giornaliera  di retribuzione prevista dall'art. 5 della
legge  27 maggio 1949, n. 260 in relazione alle giornate del 2 giugno
2002  e  25  aprile  2004  in cui la festa nazionale e l'anniversario
della liberazione coincisero con la domenica.
    A   tale   scopo   ha  sollevato  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  1, comma 224 della legge 23 dicembre 2005,
n. 266  che  ha  sancito  l'inapplicabilita'  della predetta norma ai
dipendenti  pubblici, denunciando la violazione da parte della stessa
dell'art.  3  della  Costituzione,  sia  perche'  essa  introduce una
disparita' di trattamento tra dipendenti pubblici e privati del tutto
ingiustificata  e  contrastante  con la tendenziale equiparazione tra
impiego  privato  e pubblico realizzata dalla riforma di quest'ultimo
sfociata  nel  decreto  legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sia per la
irragionevolezza della sua retroattivita'.
    La   Provincia   convenuta   ha   dato   atto   che,   a  seguito
dell'iniziativa  del  ricorrente  e di altri suoi colleghi, la giunta
provinciale   nell'adunanza   del  6  dicembre  2005  aveva  disposto
opportune  verifiche in ordine alla possibilita' di addivenire ad una
soluzione  concordata  con le OO.SS. volta al pagamento ai dipendenti
aventi  diritto  del compenso aggiuntivo delle festivita' coincidenti
con  la  domenica,  autorizzando il relativo pagamento entro i limiti
delle  disponibilita'  di  bilancio  ove  dette  verifiche si fossero
concluse  positivamente,  ma che queste ultime erano state interrotte
per  effetto  dell'entrata  in  vigore dell'art. 1, comma 224 citato.
Sottolineando  la  oggettiva impossibilita' giuridica di procedere al
pagamento  in questione a fronte di quest'ultima norma, si e' rimessa
al   giudice   in   ordine  alla  questione  della  sua  legittimita'
costituzionale.
    La questione appare innanzi tutto rilevante.
    Nella  parte  che  interessa  la  presente causa, l'art. 5, terzo
comma, legge n. 260/1949 stabilisce che, quando le festivita' da esso
previste  (tra  cui il 25 aprile ed il 2 giugno) ricorrono nel giorno
di  domenica,  lo  Stato, gli enti pubblici e gli imprenditori devono
corrispondere  ai  salariati  retribuiti  in misura fissa «oltre alla
retribuzione  globale  di  fatto  giornaliera, compreso ogni elemento
accessorio,    anche    un'ulteriore    retribuzione   corrispondente
all'aliquota giornaliera».
    Come  affermato  dalla  consolidata  giurisprudenza della suprema
Corte  a  partire  dalla  sentenza  n. 11117  del  26  ottobre  1995,
l'espressione   «salariati»   deve  essere  intesa  come  riferimento
all'intera   categoria   dei   lavoratori  subordinati  senza  alcuna
distinzione  tra  operai ed impiegati e la spettanza di tale compenso
aggiuntivo  fisso  e'  subordinata  soltanto  alla  coincidenza della
festivita'  con la domenica e non anche al fatto che in tale giornata
il  dipendente  abbia anche effettuato prestazioni lavorative, la sua
ratio  essendo  quella  di  compensarlo della perdita di un giorno di
riposo che in tali casi si verifica.
    L'individuazione dello Stato e degli enti pubblici tra i soggetti
obbligati a corrispondere tale compenso, d'altronde, non puo' lasciar
dubbi  sul  fatto  che  la  norma  sia  dettata anche per il pubblico
impiego.
    Nel  caso  di  specie ricorrono pacificamente tutti i presupposti
per  la  sua  applicazione:  il  ricorrente  e' dipendente di un ente
pubblico  retribuito  in misura fissa e le due festivita' indicate in
ricorso sono effettivamente cadute nel giorno di domenica.
    Come  e' confermato anche dalle difese della Provincia convenuta,
l'unico   ostacolo   all'accoglimento  della  domanda  e'  costituito
dall'art. 1, comma 224, legge n. 266/2005 laddove stabilisce che «Tra
le disposizioni ritenute inapplicabili dall'art. 69, comma 1, secondo
periodo,  del  decreto  legislativo  30 marzo 2001, n. 165, a seguito
della stipulazione dei contratti collettivi del quadriennio 1994/1997
e'  ricompreso  l'art.  5,  terzo  comma, della legge 27 maggio 1949,
n. 260, come sostituito dall'art. 1 della legge 31 marzo 1954, n. 90,
in   materia   di  retribuzione  nelle  festivita'  civili  nazionali
ricadenti  di  domenica»,  facendo  salva  soltanto  l'esecuzione dei
giudicati formatisi alla data della sua entrata in vigore.
    Si  tratta  di  una  norma  dal  chiaro  contenuto innovativo con
effetto retroattivo.
    Affermare  che l'art. 5 rientra tra le «norme generali e speciali
del  pubblico  impiego»  di  cui  all'art.  69,  d.lgs.  n. 165/2001,
infatti,  non  costituisce certo interpretazione dell'art. 69, bensi'
un'operazione  di  qualificazione  giuridica  dell'art. 5 stesso come
norma  del pubblico impiego nell'ambito della verifica di rispondenza
della  fattispecie  concreta  da  essa  costituita  alla  fattispecie
astratta costituita dall'art. 69.
    Si  puo'  osservare  che  l'art. 69 si riferisce chiaramente alla
preesistente  normativa  speciale  del  pubblico  impiego  -  di cui,
coerentemente con quanto disposto dall'art. 2, comma 2, seconda parte
del  medesimo  d.lgs.  n. 165/2001 per le «discipline dei rapporti di
lavoro  la  cui  applicabilita'  sia  limitata  ai  dipendenti  delle
amministrazioni  pubbliche,  o  a  categorie  di essi», stabilisce il
destino  conseguente  alla privatizzazione del medesimo agganciandolo
agli  esiti  della  contrattazione  collettiva  -  mentre l'art. 5 e'
altrettanto chiaramente una norma dettata per ogni rapporto di lavoro
subordinato,   pubblico  e  privato,  e  dunque  da  ricondurre  alla
previsione di incondizionata applicabilita' sancita gia' dall'art. 2,
comma 2, prima parte per le «leggi sui rapporti di lavoro subordinato
nell'impresa».
    E'  chiara,  in  ogni  caso, la volonta' legislativa di escludere
l'applicazione  dell'art.  5,  comma  3 ai dipendenti pubblici, quale
l'attuale ricorrente.
    Lo  e'  altrettanto  la  volonta'  che  cio'  valga  anche per il
passato.
    L'espressione   «e'   fatta   salva  l'esecuzione  dei  giudicati
formatisi  alla  data  di  entrata  in  vigore della presente legge»,
infatti,   costituisce   inequivocabile  espressione  della  volonta'
legislativa  di  rendere  la  previsione retroattivamente applicabile
anche  alle  fattispecie concrete verificatesi anteriormente alla sua
emanazione, una tale precisazione non avendo alcun senso in relazione
ad  una  norma che si applichi soltanto a fattispecie successive alla
sua  entrata  in vigore, la quale a priori non pone alcun problema di
interferenza  non  soltanto con i giudicati, ma neanche con i giudizi
pendenti.
    Per  sostenere  la  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
dell'art.   1,  comma  224  nel  presente  giudizio,  infine,  appare
necessario  evidenziare  come  nessuna diversa disciplina del diritto
rivendicato  dal  ricorrente  e' rinvenibile nei contratti collettivi
alla cui stipulazione l'art. 69 ha subordinato quell'inapplicabilita'
delle previgenti disposizioni relative al pubblico impiego che l'art.
1,  comma  224,  della cui legittimita' costituzionale si discute, ha
poi esteso anche all'art. 5, legge n. 260/1949.
    La  contrattazione collettiva successiva alla privatizzazione del
pubblico  impiego,  compresa quella del comparto regioni ed autonomie
locali  che interessa il presente giudizio, infatti, a differenza dei
contratti  collettivi  relativi  al  lavoro  privato e verosimilmente
sulla  scorta delle considerazioni sopra accennate in ordine al fatto
che  la stessa era gia' disciplinata da una norma di legge relativa a
tutti i rapporti di lavoro pubblici e privati e cioe' l'art. 5, legge
n. 260/1949, non ha proprio affrontato la materia delle festivita'.
    La  volonta'  collettiva al riguardo e' pertanto costituita dalle
generali  previsioni  di  cui  all'art. 43 CCNL 1994-1997 secondo cui
«Per  tutte  le  materie e gli istituti non disciplinati dal presente
contratto,   ai  sensi  dell'art.  72  del  d.lgs.  n. 29  del  1993,
continuano  ad  applicarsi  le  vigenti norme di legge, nonche' degli
accordi  di  lavoro  del  comparto  gia'  recepiti  con  decreti  del
Presidente  della  Repubblica  o  con  leggi regionali ai sensi della
legge  29  marzo 1983, n. 93» e del successivo art. 26 CCNL 1998-2001
secondo  cui  «In  via transitoria e fino alla completa attuazione di
quanto  previsto nell'art. 24, la regolamentazione di cui all'art. 2,
commi 2 e 3, del d.lgs. n. 29/1993 degli istituti e delle materie non
disciplinati dai contratti collettivi vigenti nel comparto, stipulati
ai  sensi  dello  stesso  decreto legislativo, quella contenuta nelle
previgenti  disposizioni di legge o degli accordi recepiti in decreti
del  Presidente  della  Repubblica  in  base alla legge n. 93/1983» e
dunque  proprio  da quell'art. 5, legge n. 260/1949 di la norma della
cui legittimita' costituzionale si dubita ha escluso l'applicabilita'
al caso di specie.
    Tutto  quanto  sopra  appare  sufficiente a concludere che per la
decisione della presente causa e' indispensabile la risoluzione della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 224 posta
dal  ricorrente,  la  cui  esistenza  impedisce l'accoglimento di una
domanda che sotto ogni altro profilo appare fondata.
    Tale   questione,   oltre   che   rilevante,   appare  anche  non
manifestamente infondata.
    L'art.  1,  comma 224 della legge n. 266/2005, infatti, introduce
sul  punto  una  completa ed inequivocabile disparita' di trattamento
tra lavoratori privati e pubblici retribuiti in misura fissa.
    I  primi, infatti, in forza di quanto previsto dall'art. 5, legge
n. 260/1949, in caso di perdita di una giornata di riposo dovuta alla
coincidenza  di  una  festivita'  nazionale  con  la  domenica, hanno
diritto   a   percepire   un'ulteriore   retribuzione  corrispondente
all'aliquota giornaliera, mentre gli altri, non potendo invocare tale
norma   a   causa   dell'art.  1,  comma  224,  non  ricevono  alcuna
contropartita economica per detta perdita di riposo.
    Tale disparita' di trattamento appare del tutto ingiustificata e,
come  tale,  lesiva  del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3
della Costituzione.
    La  riforma del pubblico impiego sfociata nel decreto legislativo
n. 165/2001,  infatti,  ha posto una chiara regola di assoggettamento
del  rapporto  di lavoro pubblico alla stessa disciplina del rapporto
di  lavoro  privato a cui, secondo quanto spiegato dalla stessa Corte
costituzionale  (ad  esempio nella sentenza n. 89 del 27 marzo 2003),
si puo' legittimamente derogare soltanto quando cio' sia giustificato
da una effettiva sostanziale non omogeneita' delle situazioni poste a
raffronto.
    Nel  caso  di specie, tuttavia, non si vede quale possa essere la
differenza  tra  la  situazione  del  dipendente  privato e di quello
pubblico  che  perdono  entrambi  una  giornata di riposo per effetto
della medesima coincidenza di una festivita' con la domenica, tale da
giustificare  che  il  primo  percepisca  un  compenso  economico  di
carattere sostitutivo ed il secondo no.
    La  completa assenza di profili distintivi tra tali situazioni, e
dunque  giustificativi  di  un  trattamento  normativo differenziato,
appare  di  tutta  evidenza  ove si consideri che era stato lo stesso
legislatore  -  tra  l'altro  in  tempi  in cui la regola era quella,
opposta  alla  attuale,  della  completa diversita' di disciplina tra
impiego  pubblico  e  privato  - a ritenere che esse dovessero essere
trattate  allo  stesso modo, dettando un'unica norma (l'art. 5, legge
n. 260/1949)  contemporaneamente  rivolta agli imprenditori e a Stato
ed enti pubblici.
    L'unica  ragione  della  scelta  legislativa  di differenziare il
trattamento  dopo  oltre  cinquant'anni  che  appare  ravvisabile  e'
quella, gia' invocata dall'Avvocatura dello Stato in analoghi giudizi
di  legittimita' costituzionale (ad es. quello deciso con la sentenza
n. 82  del  27  marzo  2003), costituita dall'esigenza di risanamento
della  finanza  pubblica che imporrebbe di contemperare la tutela del
pubblico dipendente con le disponibilita' di quest'ultima.
    A   parere   di  questo  giudice,  tuttavia,  si  tratta  di  una
motivazione  che,  seppure  fondata  su  una  preoccupazione  seria e
condivisibile,  non  e'  idonea  a  differenziare  la  condizione del
dipendente  pubblico da quello privato e giustificare di per se' sola
un  diverso  trattamento  giuridico  di una identica vicenda del loro
rapporto lavorativo.
    Si  tratta infatti di una esigenza che, riguardando la condizione
finanziaria  del  datore di lavoro stesso, interessa ogni aspetto del
rapporto di lavoro che abbia un risvolto economico.
    Quando  il  legislatore,  in  anni  non lontani in cui i problemi
della  finanza pubblica erano gia' evidenti, ha maturato e realizzato
la  scelta di equiparare il trattamento giuridico del lavoro pubblico
e  privato  ha  certamente  avuto  ben  presente  tale esigenza ed ha
ritenuto  che  essa  non  fosse  motivo sufficiente per mantenere una
distinzione.
    In  quanto  generalizzata, d'altronde, l'esigenza di tutela della
finanza  pubblica  non ha alcuna capacita' distintiva della questione
relativa  alle  festivita'  coincidenti  con  la  domenica rispetto a
qualunque altra pretesa retributiva del lavoratore.
    Ritenerla sufficiente per derogare alla regola della unificazione
della   disciplina   del   rapporto  di  lavoro  pubblico  e  privato
significherebbe   ritenere   a   priori  comunque  giustificata  ogni
differenziazione    di   disciplina   tra   gli   stessi   e   dunque
sostanzialmente  rinunciare  a  pretendere in sede giudiziaria che il
legislatore  sia  coerente  con  il  suo  stesso  chiaro  progetto di
tendenziale  eguaglianza  di trattamento tra pubblico e privato. Tale
assenza  di  una  valida  giustificazione  della differenziazione del
trattamento  normativo  delle  festivita' coincidenti con la domenica
tra   lavoratori   pubblici   e   privati   rende   quanto  meno  non
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'intero  art.  1,  comma  224,  legge  n. 266/2005 per violazione
dell'art.  3  della  Costituzione,  sia in relazione al suo contenuto
precettivo  sostanziale sia con riguardo all'efficacia retroattiva ad
esso  attribuita,  ed  induce pertanto questo giudice a sottoporre la
questione alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visti  gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
1958, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma 224 della legge 23
dicembre 2005, n. 266 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione;
    Sospende  il giudizio in corso e dispone l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che  la presente ordinanza sia notificata alle parti, al
Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente della Camera dei
deputati  ed  al  Presidente del Senato della Repubblica a cura della
cancelleria.
        Torino, addi' 2 febbraio 2007
                         Il giudice: Paliaga
07C0985