N. 32 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 luglio 2007

Ricorso  per  questioni di legittimita' costituzionale, depositato in
cancelleria il 19 luglio 2007 (della Regione Veneto)
Sanita'  pubblica  -  Servizio  sanitario  nazionale  -  Ripiano  dei
  disavanzi  pregressi  del  settore  sanitario  di alcune Regioni da
  attuarsi  mediante  la  distribuzione  di  finanziamenti statali di
  importo pari a 3.000 milioni di euro - Ricorso della Regione Veneto
  - Lamentata deroga all'intero sistema di finanziamento e disciplina
  del  Servizio  sanitario  nazionale,  incidenza  nelle  materie  di
  potesta'  legislativa  concorrente  della tutela della salute e del
  coordinamento  della  finanza  pubblica  attraverso disposizioni di
  dettaglio  ed  autoapplicative e con istituzione di finanziamenti a
  destinazione vincolata, uso irragionevole e scorretto del potere di
  spesa  in  relazione  al sistema federale, discriminazione in danno
  delle  Regioni  «virtuose»,  pregiudizio  per  i livelli essenziali
  delle  prestazioni  garantiti  su  tutto  il  territorio,  indebita
  interferenza nella gestione organizzativa della sanita', intervento
  sostitutivo  dello  Stato  in  carenza  dei necessari presupposti -
  Denunciata   lesione  del  riparto  delle  competenze  legislative,
  lesione  dell'autonomia  finanziaria  delle Regioni, violazione del
  principio  della responsabilita' finanziaria, lesione del principio
  di  eguaglianza,  del  diritto  alla salute, lesione delle funzioni
  amministrative   regionali   e   dei  principi  di  sussidiarieta',
  differenziazione ed adeguatezza, irragionevolezza, contrasto con il
  principio  di  buon  andamento, violazione dei limiti alla potesta'
  sostitutiva dello Stato nei confronti delle Regioni, violazione del
  principio di leale collaborazione.
- Decreto-legge  20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modificazioni,
  nella legge 17 maggio 2007, n. 64, art. 1.
- Costituzione,  artt. 3,  5,  32, 97, 117, commi secondo, lett. m) e
  terzo,  118, 119 e 120; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3,
  art. 11.
Sanita'  pubblica  -  Servizio  sanitario  nazionale - Prestazioni di
  assistenza  specialistica  ambulatoriale  -  Pagamento di una quota
  fissa sulla ricetta pari a 10 euro - Abolizione fino al 31 dicembre
  2007   -   Ricorso  della  Regione  Veneto  -  Ritenuta  permanenza
  dell'interesse   a   far  valere  l'illegittimita'  della  norma  -
  Lamentata  incidenza  con  norma  di  dettaglio  nella  materia  di
  competenza  concorrente della «tutela della salute» e nella materia
  del    «coordinamento   della   finanza   pubblica»,   compressione
  dell'autonomia finanziaria relativamente al reperimento di risorse,
  assenza  di  intesa  o  accordo - Denunciata lesione dell'autonomia
  legislativa  e  finanziaria della Regione, violazione del principio
  di leale collaborazione.
- Decreto-legge  20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modificazioni,
  nella legge 17 maggio 2007, n. 64, art. 1-bis.
- Costituzione,   artt. 5,  117,  119  e  120;  legge  costituzionale
  18 ottobre 2001, n. 3, art. 11.
(GU n.32 del 22-8-2007 )
    Ricorso  per  la  Regione  Veneto,  in persona del Presidente pro
tempore  della  giunta  regionale, autorizzato mediante deliberazione
della  giunta  stessa  n. 1938  del  26  giugno 2007, rappresentata e
difesa,  come  da procura speciale a margine del presente atto, dagli
avv.   prof.   Mario  Bertolissi  del  Foro  di  Padova,  Ezio  Zanon
dell'Avvocatura  regionale  e  Luigi  Manzi  del Foro di Roma, presso
quest'ultimo domiciliata in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;

    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri pro tempore
rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso
la  quale e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,
per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per violazione
degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' del principio di
leale  collaborazione,  di  cui  agli  artt. 5 e 120 Cost. e 11 della
legge  costituzionale  18  ottobre 2001, n. 3 - delle norme contenute
nel d.-l. 20 marzo 2007, n. 23 (Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo
2007),  come risultanti dalla conversione, con modificazioni, operata
dalla  legge  17  maggio  2007,  n. 64  «Conversione  in  legge,  con
modificazioni,   del  decretolegge  20  marzo  2007,  n. 23,  recante
disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi
nel  settore  sanitario»,  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 115
del 19 maggio 2007, nonche' della stessa intera legge di conversione.

                              F a t t o

    Con decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale   n. 66  del  20  marzo  2007),  l'Esecutivo  nazionale  ha
autorizzato  una spesa di 3.000 milioni di euro (art. 1, comma 3) per
concorrere  al  ripiano dei disavanzi del settore sanitario, relativi
al  periodo 2001-2005, nei confronti delle Regioni che (art. 1, comma
1):
        sottoscrivano  con lo Stato un accordo sui piani di rientro e
accedano  al  fondo transitorio di cui all'art. 1, comma 796, lettera
b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007);
        destinino  in  modo  specifico  al settore sanitario quote di
addizionale   IRPEF   e   di   aliquota   IRAP   ulteriori   rispetto
all'incremento massimo, o, anche in via alternativa, quote di manovre
regionali  gia'  adottate o quote di tributi erariali attribuiti alle
Regioni o altre misure fiscali da attivarsi sul proprio territorio.
    L'individuazione delle «Regioni interessate» al suddetto riparto,
da  effettuarsi  sulla base dei debiti accumulati fino al 2005, della
capacita'  fiscale  regionale e della partecipazione delle Regioni al
finanziamento  del fabbisogno sanitario, veniva rimessa, dall'art. 1,
comma 3, del medesimo decreto, ad un successivo decreto ministeriale.
    Le  disposizioni  contenute  nel  suddetto decreto-legge venivano
considerate  dalla  Regione  Veneto  lesive  delle  proprie  potesta'
costituzionalmente  garantite e, pertanto, con delibera n. 830 del 28
marzo  2007, la giunta regionale autorizzava il presidente a proporre
ricorso  in  via  diretta  avanti alla Corte costituzionale contro lo
Stato,  in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, ricorso
ritualmente notificato, depositato ed iscritto al ruolo con il numero
25/07.
    Successivamente,  con la legge 17 maggio 2007, n. 64 «Conversione
in  legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23,
recante  disposizioni  urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi
pregressi del settore sanitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 115   del  19  maggio  2007,  il  Parlamento  ha  convertito,  con
modificazioni, il menzionato decreto.
    Conseguentemente  a questo intervento, il decreto-legge n. 23 del
2007,  ora  convertito in legge e rubricato «Disposizioni urgenti per
il  ripiano  selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario,
nonche' in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di
assistenza specialistica», e' composto di tre articoli.
    All'art. 1   sono   riprese  integralmente  tutte  le  previsioni
normative  del  corrispondente  art.  dell'originario decreto, con le
sole aggiunte di:
        un  comma  1-bis,  nel  quale si prevede che «Gli esiti della
verifica  annuale dei piani di rientro sono tempestivamente trasmessi
dal  Ministro dell'economia e delle finanze al Presidente della Corte
dei  conti  per  le valutazioni di competenza dell'Istituto, anche ai
tini   dell'avvio   di   un  eventuale  giudizio  di  responsabilita'
amministrativa e contabile»;
        due  periodi  di  chiusura  al  terzo  comma: «Il decreto del
Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  di  cui al presente comma
[n.d.a.:  quello  di  riparto  tra  le  "Regioni  interessate"  delle
disponibilita'   finanziarie   per  il  ripiano]  e'  trasmesso  alle
competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei
deputati.  Il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze, sentito il
Ministro  della  salute,  trasmette al Parlamento una relazione sullo
stato del monitoraggio e del riscontro dell'estinzione dei debiti».
    Segue,  poi,  un  nuovo  art.  1-bis,  nel  quale si prevede che:
«L'importo  della  manovra  derivante dalle disposizioni dell'art. 1,
comma  796,  lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006,
n. 296, e' rideterminato per il solo anno 2007 da 811 milioni di euro
a  300  milioni  di  euro, anche per le finalita' di cui alla lettera
p-bis)  del  medesimo  comma. A tal fine il livello del finanziamento
del  Servizio  sanitario  nazionale,  cui  concorre ordinariamente lo
Stato,  e'  incrementato  per  l'anno 2007 di 511 milioni di euro. Il
predetto  incremento  e'  ripartito  tra  le  regioni  con i medesimi
criteri  adottati per lo stesso anno. Conseguentemente la quota fissa
sulla  ricetta e' abolita con effetto dalla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre
2007.  Il  comma  I  dell'art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre
2006,  n. 300, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio
2007, n. 17, e' abrogato (comma 1)».
    Ai  due  commi successivi si stabilisce come provvedere all'onere
derivante dall'attuazione del primo comma, pari a 511 milioni di euro
per  l'anno  2007,  e  si autorizza il Ministro dell'economia e delle
finanze  ad  apportare,  con  decreti,  le  occorrenti  variazioni di
bilancio.
    Il  decreto-legge  in esame, infine, si chiude con la previsione,
di cui all'art. 2, relativa all'entrata in vigore della disciplina.
    In  estrema  sintesi,  dunque,  il  decreto-legge  20 marzo 2007,
n. 23,  cosi'  come  convertito  dalla  legge  17 maggio 2007, n. 64,
conferma  la disciplina relativa al ripiano statale dei disavanzi del
settore  sanitario  di  alcune  Regioni,  con cio' mantenendo tutti i
profili  di  illegittimita'  denunciati  con  il ricorso n. 25/07, ed
introduce  ex  novo previsioni relative al ripiano e alla quota fissa
su   ricetta   del  pari  lesive  delle  potesta'  costituzionalmente
garantite alla regione dalla Costituzione.
    Per  questo  la Regione Veneto, con l'odierno ricorso, impugna le
norme  contenute negli artt. 1, 1-bis e 2 del decreto-legge n. 23 del
2007,  cosi'  come  risultanti  dalla conversione, con modificazioni,
operata  dalla  legge  17 maggio  2007,  n. 64  e  la stessa legge di
conversione per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118, 119 e del
principio  di  leale  collaborazione di cui agli artt. 120 Cost. e 11
della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

                           P r e m e s s a

    Come appare in modo evidente gia' dalle poche parole spese sopra,
tutti  gli  interventi  normativi  richiamati  incidono  nel  settore
sanita',  ossia  in  un'area  particolarmente  importante  e delicata
dell'ordinamento.
    Per  la concreta tutela del valore «salute», garantito e protetto
dalla  Costituzione  (art. 32 Cost.) come dimensione fondamentale del
benessere  del  cittadino  e  fattore  decisivo  per  la capacita' di
«svolgere  la  sua  personalita»  (art. 2  Cost.),  di  sviluppare le
proprie  potenzialita'  e  di  partecipare  effettivamente  alla vita
politica,  sociale  ed  economica  del Paese (art. 3 Cost.), e' stato
istituito  il  Servizio  sanitario  nazionale  (d'ora  in  poi  anche
S.S.N.).
    Il  sistema  di  responsabilita' e finanziamento di questa che e'
stata  correttamente definita una delle piu' grandi conquiste sociali
della  recente  storia  italiana  e'  oggi interessato da sempre piu'
frequenti  provvedimenti  legislativi,  tra i quali, da ultimi, anche
quelli  del  decreto-legge e della legge di conversione qui impugnati
dalla Regione Veneto.
    La  necessita'  di intervenire in modo tanto massiccio e incisivo
in materia di Servizio sanitario nazionale e', con ogni probabilita',
dettata  dall'esigenza  di  adeguarne  la disciplina originaria a due
esigenze    distinte    eppure    tra   loro   contemporaneamente   e
indistricabilmente  legate:  il  controllo sulla spesa e l'attuazione
del  disegno  costituzionale  di  stampo  federale inequivocabilmente
tracciato  per il nostro ordinamento dalla riforma del Titolo V della
Costituzione.
    Con  riguardo  al  primo  profilo,  come  codesta ecc.ma Corte ha
sottolineato,  «nel  sistema  di assistenza sanitaria - delineato dal
legislatore  fin dall'emanazione della legge di riforma sanitaria, 23
dicembre  1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale)
-  l'esigenza  di  assicurare  la  universalita' e la completezza del
sistema  assistenziale del nostro Paese si e' scontrata, e si scontra
ancora   attualmente,   con   la   limitatezza  delle  disponibilita'
finanziarie che annualmente e' possibile destinare, nel quadro di una
programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e
sociale,  al  settore  sanitario»  (cfr. Corte cost., sent., 8 maggio
2007,  n. 162, riprendendo Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 111;
e   Corte   cost.,   sent.,   15  febbraio  2000,  n. 59),  cosicche'
sostanzialmente  la  spesa  sanitaria  non  puo'  concretamente esser
rapportata  al  suo  costo,  ma  alle  disponibilita'  della  finanza
pubblica (cfr. Corte cost., sent., 31 dicembre 1986, n. 296).
    Da qui i numerosi interventi recenti sul sistema di finanziamento
del  S.S.N.,  l'estrema delicatezza dei quali merita di esser, pero',
evidenziata.  Un  servizio  sanitario  che  faccia  conto  su risorse
finanziarie  limitate,  inadeguate  o  scorrettamente  gestite  e' un
servizio  che  mette  a  serio  rischio i caratteri di universalita',
globalita'  e  accessibilita' imposti per esso, prima che dalla legge
istitutiva  (cfr.  legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 1, 3, 4, 14,
25,  26, 28 e 36), dalla stessa Costituzione, non solo quando prevede
che  la  Repubblica  tuteli  la  salute  come  «fondamentale  diritto
dell'individuo  e  interesse  della  collettivita» (art. 32 Cost.) e,
conseguentemente,  affida  alla  competenza  concorrente  di  Stato e
regioni  il  compito di legiferare in materia (art. 117, terzo comma,
Cost.),  ma  anche  quando  riserva  allo Stato la determinazione dei
livelli  essenziali  delle  prestazioni  da  garantire  su  tutto  il
territorio (art. 117, secondo comma, lettera m).
    Con  riguardo  al  secondo  profilo  suaccennato,  invece, sembra
opportuno  rilevare  qui  che,  al contrario di quanto avvenuto nelle
maggiori  federazioni  occidentali  in cui i sistemi sanitari si sono
inseriti  in  strutture federali gia' mature, in Italia l'istituzione
del  S.S.N.  ha  preceduto  di  quasi  vent'anni  la  stagione  delle
progressive  devoluzioni  di  poteri dal centro ai livelli di governo
periferici.   Per   questo,   oggi  che  l'effettiva  attuazione  del
federalismo  e'  imposta  dalla  Costituzione, e precisamente dal suo
Titolo  V a seguito della riforma del 2001, e sentita come necessaria
da  molte  autonomie  territoriali,  si  fa  piu' forte l'esigenza di
adeguare  la  disciplina  del  settore sanitario alla nuova geometria
federale  e  si  appalesano sempre piu' spesso problemi di «tenuta» e
coerenza dell'ordinamento.
    L'obiettivo da raggiungere, dunque, in materia di sanita' come in
altre  parimenti sostanzialmente devolute, e' quello di un equilibrio
tra  interesse  nazionale  e  autonomie  regionali  che  consenta  un
adeguato  reperimento  delle  risorse  finanziarie  necessarie ed una
successiva efficiente gestione delle stesse.
                             Parte prima
Il  ripiano  selettivo  dei pregressi disavanzi regionali del settore
                              sanitario
                (art. 1 del decreto-legge convertito)
    L'art.  1 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, come convertito
dalla  legge  17 maggio 2007, n. 64, contiene una serie di previsioni
normative  relative  al  ripiano  dei disavanzi pregressi del settore
sanitario  di alcune Regioni da attuarsi mediante la distribuzione di
finanziamenti statali di importo pari a 3.000 milioni di euro.
    Quest'intervento  del legislatore statale costituisce una deroga,
non  solo  all'art.  4, comma 3, del decreto-legge 18 settembre 2001,
n. 347   convertito  dalla  legge  16  novembre  2001,  n. 405  (come
riconosciuto  espressamente  all'art.  1,  comma  1,  del decreto qui
censurato),  ma dell'intero sistema di finanziamento e disciplina del
Servizio  sanitario  nazionale,  di  cui  sembra  opportuno ricordare
preliminarmente i tratti essenziali.
    1. - Nell'intento di dare attuazione all'art. 32, comma 1, Cost.,
la  legge 23 dicembre 1978, n. 833 ha istituito il Servizio Sanitario
Nazionale, costituito dal «complesso delle funzioni, delle strutture,
dei   servizi   e  delle  attivita'  destinati  alla  promozione,  al
mantenimento  ed  al recupero della salute fisica e psichica di tutta
la  popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali
e  secondo  modalita'  che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei
confronti del servizio» (art. 1, comma 2).
    L'attuazione di tale servizio, demandata allo Stato, alle regioni
e  agli enti locali territoriali, era finanziata, originariamente, da
uno  specifico  «fondo  sanitario  nazionale»,  il cui importo doveva
venir  iscritto  «annualmente  nel  bilancio dello Stato» (artt. 51 e
53).
    Agli inizi degli anni novanta il Governo tento' un riordino della
disciplina  in  materia  sanitaria  con  il  decreto  legislativo  30
dicembre  1992,  n. 502.  Tra  le  disposizioni  in esso contenute ed
espressamente    qualificate    «principi   fondamentali   ai   sensi
dell'art. 117  Cost.» (art. 19), si ritrovano le seguenti previsioni:
«il   Servizio   sanitario  nazionale  assicura,  attraverso  risorse
finanziarie  pubbliche  (...),  i  livelli  essenziali  e uniformi di
assistenza»  (art. 1,  comma 1), la cui individuazione «e' effettuata
contestualmente    all'individuazione   delle   risorse   finanziarie
destinate   al  Servizio  sanitario  nazionale,  nel  rispetto  delle
compatibilita'  finanziarie  definite per l'intero sistema di finanza
pubblica» (art. 1, comma 2) e che, d'altra parte, spetta alle regioni
«far  fronte  con risorse proprie agli effetti finanziari conseguenti
all'erogazione  di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli
uniformi di cui all'art. 1 (...), nonche' agli eventuali disavanzi di
gestione  delle  unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere»
(art. 13)  a  fronte  di  una  loro  ampia  competenza  legislativa e
amministrativa  in  materia  di  assistenza  sanitaria ed ospedaliera
(art. 2).
    Da  qui  in  poi  il principio di esclusiva responsabilita' delle
regioni  per  i  disavanzi  di  gestione prodotti e' stato piu' volte
confermato,  non  solo  nei  successivi  provvedimenti legislativi in
materia e nelle pronunce di codesta ecc.ma Corte su di essi, ma anche
nei  successivi  atti  di  accordo  o  intesa  tra Governo, regioni e
province autonome.
    Successivamente,  a  fronte di un sempre maggiore riconoscimento,
da parte dell'ordinamento, di competenza decisionale organizzativa in
capo alle regioni in materia sanitaria e sulla base del principio del
c.d. «parallelismo fra responsabilita' di disciplina e di controllo e
responsabilita'  finanziaria» piu' volte riaffermato anche da codesto
ecc.mo  Collegio,  il legislatore nazionale ha deciso, agli inizi del
Duemila, di intervenire in modo incisivo sul sistema di finanziamento
del S.S.N. disegnato dal d.lgs. n. 502/1992 e da allora articolato in
un  fondo sanitario nazionale alimentato annualmente e interamente da
stanziamenti a carico dello Stato e in una quota di autofinanziamento
regionale, costituito di «risorse proprie» delle regioni con le quali
queste  ultime  dovevano  far  fronte  all'erogazione  di  livelli di
assistenza  sanitaria superiori ai LEA concordati con lo Stato e alla
copertura di eventuali disavanzi.
    Cosi',  con  il  decreto  legislativo  18  febbraio  2000,  n. 56
(Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'art. 10
della  legge 13 maggio 1999, n. 133), il fondo sanitario nazionale e'
stato  soppresso  ed  il finanziamento e' stato garantito mediante la
previsione  di  compartecipazioni  regionali  ai  tributi  statali  e
l'istituzione  di un fondo perequativo nazionale. Contestualmente, il
decreto  in esame, rimasto tuttora in parte inattuato, all'art. 2, ha
stabilito  che  il  Governo  pubblichi  annualmente una tabella nella
quale  si  quantifichi  l'entita' della redistribuzione delle risorse
finanziarie  tra  le regioni, in modo tale da evidenziare quali siano
da considerarsi «donatrici» e quali «beneficiarie».
    Nello   stesso   anno,   la   legge   23  dicembre  2000,  n. 388
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato.  Legge  finanziaria  2001), al suo art. 83, comma 4, ha
imposto  alle  singole  regioni  di  provvedere  alla copertura degli
eventuali  disavanzi  di  gestione, attivando nella misura necessaria
l'autonomia impositiva secondo modalita' e procedure prestabilite. Le
norme che si occupavano di queste modalita' procedimentali sono state
modificate dal decreto-legge 18 settembre 2001., n. 347.
    Quest'ultimo  provvedimento governativo, poi convertito in legge,
con  modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, all'art. 4,
comma  3,  tuttora  vigente,  conferma  il  principio  per  cui  «gli
eventuali  disavanzi  di  gestione  accertati o stimati, nel rispetto
dell'accordo  Stato-regioni  di cui all'art. 1, comma 1, sono coperti
dalle  regioni  con  le modalita' stabilite da norme regionali» ossia
mediante  «misure  di  compartecipazione  alla  spesa  sanitaria, ivi
inclusa   l'introduzione  di  forme  di  corresponsabilizzazione  dei
principali  soggetti che concorrono alla determinazione della spesa»,
«variazione  dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul
reddito  delle  persone fisiche o altre misure fiscali previste dalla
normativa vigente» e/o «altre misure idonee a contenere la spesa, ivi
inclusa  l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei
farmaci».
    A  sanzione  del  fondamentale principio di responsabilita' delle
regioni per la gestione del Servizio sanitario, l'art. 40 della legge
28  dicembre  2001, n. 448 (Legge finanziaria 2002) ha previsto, poi,
una riduzione del finanziamento dello Stato a danno delle regioni non
adempienti  alle  prescrizioni  in  materia  di  misure organizzative
stabilite   nell'accordo   Stato-Regioni  per  l'anno  2001,  e,  con
decreto-legge  15  aprile  2002,  n. 63,  questa  previsione e' stata
estesa anche agli anni 2002, 2003 e 2004 (art. 4).
    Successivamente,  con  legge  27  dicembre  2002,  n. 289  (Legge
finanziaria  2003),  all'art. 29, comma 2, veniva ampliato lo spettro
degli   adempimenti   previsti   per   l'accesso   delle  regioni  al
finanziamento  statale  e,  al  contempo,  si  decideva  la riduzione
temporanea   delle  entrate  regionali  sospendendo  gli  effetti  di
eventuali aumenti delle addizionali IRPEF e delle maggiorazioni IRAP.
Tale   riduzione   veniva   prorogata  anche  al  2004  dal  disposto
dell'art. 2,  comma  21,  della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Legge
finanziaria 2004).
    Con  la  successiva legge finanziaria, ossia la legge 30 dicembre
2004,  n. 311  (Legge finanziaria 2005), le addizionali, con riguardo
al  settore  sanitario,  venivano  sbloccate  (art. 1, comma 175) per
divenire   addirittura   automatiche.   L'art. 1,   comma   174,  del
provvedimento  legislativo  in  esame,  infatti, a tutt'oggi, dispone
che,  qualora  dal  monitoraggio  trimestrale emerga uno «squilibrio»
economico-finanziario,  la regione adotti i provvedimenti necessari e
che,  ove  questo  non avvenga e si evidenzi comunque un disavanzo di
gestione  nel  quarto  trimestre,  il  Presidente  del  Consiglio dei
ministri diffidi la regione a provvedere entro il 30 aprile dell'anno
successivo.  Nell'ipotesi,  poi,  di  perdurante  inadempimento della
regione,  e'  dato  al Presidente della Regione, quale commissario ad
acta,  il compito di determinare gli aumenti dell'addizionale IRPEF e
le  maggiorazioni  IRAP, aumenti e maggiorazione che sono destinate a
scattare  automaticamente  e  nella misura massima in caso di inerzia
del Presidente.
    La  legge finanziaria per il 2005 ha fissato, poi, nuovi tetti di
spesa  per  il  triennio 2005-2007, ma, al contempo, ha previsto, «in
deroga  a quanto stabilito dall'art. 4, comma 3, del decreto-legge 18
settembre  2001,  n. 347  (...)», il concorso dello Stato «al ripiano
dei disavanzi del S.S.N. per gli anni 2001, 2002 e 2003».
    A   partire   dalla   legge  finanziaria  del  2004,  dunque,  il
legislatore  statale  ha  stanziato  fondi per ripianare il disavanzo
sanitario  dellerRegioni,  pur  chiarendo il carattere derogatorio di
tali  stanziamenti  e  subordinandone  espressamente  l'accesso  alla
stipula  di  apposite  intese  fra Stato e regioni finalizzate almeno
negli  intenti  a  migliorare  la  qualita'  del servizio erogato e a
contenere la dinamica dei costi.
    Successivamente,  infatti,  con  l'art.  1,  commi 279, 280 e 281
della  legge  23  dicembre  2005,  n. 266 (Legge finanziaria 2006) lo
Stato  ha deciso di concorrere al ripiano dei disavanzi regionali per
gli anni 2002, 2003 e 2004 con una somma di 2.000 milioni di euro, la
cui  erogazione  e'  stata subordinata all' «adozione, da parte delle
regioni, dei provvedimenti di copertura del residuo disavanzo posto a
loro  carico  per i medesimi anni», all'intesa su uno schema di piano
sanitario   nazionale   2006-2008   e  alla  stipula  di  un  accordo
Stato-regione per il contenimento dei tempi di attesa.
    Per  il  triennio  2007-2009,  infine, l'art. 1, comma 796, della
legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007), ha istituito
un  fondo  complessivo  di 2.550 milioni di euro da ripartirsi tra le
Regioni  interessate  da  elevati  disavanzi,  il cui accesso risulta
subordinato   alla   sottoscrizione   di  un  accordo  con  lo  Stato
comprensivo di un piano di rientro.
    Il  quadro  normativo di riferimento, pero', non sarebbe completo
se  non  si  considerassero le numerose intese stipulate tra Governo,
regioni  e province autonome in materia sanitaria a partire dal 2001.
Come  rilevato di recente anche da codesta ecc.ma Corte, infatti, «la
vigente   legislazione   di   finanziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale  trova origine in una serie di accordi fra Stato e regioni,
che  spesso ne hanno anche successivamente sviluppato ed integrato la
normativa,  quantificando  anche i rispettivi livelli di spesa» (cfr.
Corte  cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98). Tra le piu' importanti si
ricordano:  l'Accordo  Stato-regioni  dell'8  agosto  2001,  l'intesa
23 marzo  2005,  l'intesa  del  22 settembre 2006 «Nuovo patto per la
salute» e la recentissima Intesa del 5 ottobre 2006.
    Non  e'  possibile  dar  qui compiutamente conto del contenuto di
ciascuna  di  queste  intese,  ma  cio'  che  conta e' che in esse si
rilevano   i  principali  punti  di  criticita'  del  sistema-sanita'
(costante  sottostima  del fabbisogno sanitario da parte dello Stato,
divaricazione   tra   risorse   utilizzabili   e  spese,  complessiva
limitatezza  delle  risorse  finanziarie, necessita' di incentivare i
comportamenti  «virtuosi»),  se  ne  riaffermano  i  principi cardine
(responsabilita'  dello  Stato  per la determinazione dei LEA e piena
responsabilita'  delle  regioni per i disavanzi di gestione prodotti)
e,  infine,  si  ritrovano  impegni  reciproci tra diversi livelli di
governo,  in  particolare,  quello  di  finanziare  adeguatamente  il
Servizio  sanitario per l'erogazione dei LEA, da parte dello Stato, e
quello  di  perseguire  e  raggiungere  l'equilibrio  finanziario  di
gestione,  da  parte  delle  regioni.  Impegni  tanto  solenni quanto
puntualmente   ignorati   come   dimostrano,  in  tutta  evidenza,  i
provvedimenti oggi oggetto di impugnativa.
    A  soli tre mesi di distanza dall'ultima finanziaria, infatti, e'
entrato  in  vigore il decreto-legge n. 23 del 2007, oggi convertito,
con  modificazioni,  con  legge  17  maggio  2007, n. 64, il quale ha
previsto  un  ulteriore  stanziamento statale di ben 3.000 milioni di
euro  per  ripianare i disavanzi sanitari delle «regioni interessate»
per il periodo 2001-2005.
    2. - Tanto chiarito, si passa ora a delineare le puntuali censure
che la Regione Veneto muove alla disciplina del ripiano selettivo dei
disavanzi  sanitari  delle  «regioni interessate», come disegnata dal
decreto-legge  20  marzo  2007,  n. 23,  nel  testo  risultante dalla
conversione con legge 17 maggio 2007, n. 64.
    2.1.  -  La  disposizione  di cui all'art. 1 del decreto-legge 20
marzo  2007,  n. 23  viola, innanzitutto, il riparto delle competenze
legislative  disegnato dall'art. 117 Cost., e l'autonomia finanziaria
delle regioni sancita all'art. 119 Cost.
    In  materia  sanitaria e di relativa spesa, allo Stato spetta, ai
sensi dell'art. 117 Cost. nel testo attualmente vigente, una potesta'
legislativa  esclusiva  per  quanto  attiene  la  «determinazione dei
livelli  essenziali  delle prestazioni concernenti i diritti civili e
sociali»  e la competenza a porre i principi fondamentali nell'ambito
della  «tutela  della  salute»  e  del  «coordinamento  della finanza
pubblica»,  materie  di  potesta' legislativa concorrente tra Stato e
regione.
    Ora,  come  insegna codesta ecc.ma Corte, i conflitti che sorgano
in  materia  di  interventi  di ripiano dei disavanzi di gestione del
S.S.N.  vanno  valutati  «nel  quadro  della  competenza  legislativa
regionale  concorrente  in  materia  di  salute  (...) e specialmente
nell'ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento
della spesa, al cui rispetto sono tenute Regioni e Province autonome»
(cfr.  Corte  cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent.,
27 gennaio 2005, n. 36).
    Le  previsioni  normative  oggetto  di  censura  devono,  dunque,
iscriversi  in  materia di competenza legislativa concorrente, ma non
possono  in alcun modo definirsi «principi fondamentali», dal momento
che   mancano   del   necessario  relativo  grado  di  generalita'  e
astrattezza   e  sono  inidonee  ad  orientare  i  futuri  interventi
regionali.  La  disciplina  impugnata,  al contrario, ha un carattere
minuzioso,  dettagliato,  autoapplicativo:  indica  quali  regioni  e
secondo   quali  modalita'  potranno  beneficiare  del  finanziamento
statale per ripianare i propri debiti sanitari.
    E,   del  resto,  anche  a  tacer  d'altro,  si  rileva  come,  a
riconoscere  alle  previsioni  in  esame  il  rango  di  principi, si
finirebbe  col  ritenere  recepita  nel  nostro ordinamento la regola
dell'assoluta deresponsabilizzazione degli enti regionali.
    La  disposizione  in  esame,  inoltre,  viola  il disposto di cui
all'art. 119 Cost.
    Chiarito che la disciplina normativa impugnata va collocata, come
si  e' detto, a cavallo tra la materia «tutela della salute» e quella
del  «coordinamento  della  finanza  pubblica»,  entrambe  annoverate
nell'elenco  di  cui  al  comma  3,  dell'art. 117,  e che, pertanto,
relativamente  ad  esse,  la  Costituzione  ha  previsto una potesta'
legislativa concorrente tra Stato e regioni, si deve rilevare che, ai
sensi  dell'art. 119  Cost., allo Stato non e' consentito istituire e
disciplinare  finanziamenti a destinazione vincolata nelle materie di
potesta'  legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), sia
che  questi  fondi  prevedano  la  diretta  attribuzione di risorse a
regioni, province, citta' metropolitane, sia che prevedano la diretta
attribuzione  di  risorse  a  soggetti  privati,  persone  fisiche  o
giuridiche.
    Infatti,  «il  ricorso  a  finanziamenti  ad  hoc rischierebbe di
divenire  uno  strumento  indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello
Stato  nell'esercizio  delle  funzioni  delle  regioni  e  degli enti
locali,  e  di  sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati
centralmente  a  quelli  legittimamente  decisi  dalle  regioni negli
ambiti materiali di propria competenza» (cosi' Corte cost., sent., 16
gennaio  2004,  n. 16).  E  cio' - sembra evidente - vale anche se il
finanziamento  riguarda  non  il  Veneto  come  beneficiario, ma come
«coobbligato solidale» sul piano passivo.
    Nel   contesto   dell'art. 119   Cost.,  infatti,  sono  previste
solamente  due  tipologie  di  fondi: (i) un fondo perequativo, senza
vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale
per  abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate
e  tributi  propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali
riferibile  al  proprio  territorio (art. 119, secondo comma, Cost.),
serve  a  finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a
regioni  ed  enti  locali  (art. 119,  quarto  comma,  Cost.)  e (ii)
«risorse   aggiuntive»   ed   «interventi   speciali»  in  favore  di
determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine
di  «promuovere  lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta'
sociale,  (...)  rimuovere  gli  squilibri economici e sociali, (...)
favorire  l'effettivo  esercizio  dei  diritti  della  persona, (...)
provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni»
(art. 119, quinto comma, Cost.).
    In ordine a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha,
poi,  precisato  che essi, oltre a doversi indirizzare «a determinati
comuni  o  categorie  di  comuni  (o  province, citta' metropolitane,
regioni)»,  «debbono  essere  aggiuntivi  rispetto  al  finanziamento
integrale (...) delle funzioni spettanti ai comuni o agli altri enti,
e  riferirsi  alle  finalita' di perequazione e di garanzia enunciate
nella  norma  costituzionale,  o comunque a scopi diversi dal normale
esercizio delle funzioni» (cosi' Corte cost., sent., 16 gennaio 2004,
n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222).
    Come  appare  palese  dalla  semplice  lettura  della  disciplina
impugnata,   invece,   il   finanziamento   della   cui  legittimita'
costituzionale oggi si discute, non presenta alcuno dei caratteri dei
fondi previsti all'art. 119 Cost. e sopra ricordati.
    Infine,  sembra  interessante evidenziare che il legislatore, con
la previsione di cui al decreto-legge n. 23/2007, come convertito, ha
fatto  un  uso  del proprio potere di spesa del tutto irragionevole e
scorretto   in   relazione  al  sistema  federale  che  dal  2001  la
Costituzione ha inequivocabilmente disegnato.
    Ove  il  vigente  testo  del  Titolo  V  della Costituzione fosse
attuato,  infatti,  a  fronte di una potesta' legislativa chiaramente
ripartita  tra Stato e regioni (nel senso di riconoscere in capo alle
seconde  un  amplissimo potere decisionale e organizzativo in materia
sanitaria,  con la sola eccezione dei principi fondamentali di tutela
della salute e coordinamento delle finanze pubbliche, e di attribuire
allo  Stato  il  compito  di  determinare  i livelli essenziali delle
prestazioni da garantire su tutto il territorio) e in presenza di una
effettiva  autonomia  fiscale  degli enti regionali, la previsione di
fondi  statali  vincolati nel settore in parola conserverebbe una sua
importante  funzione: convincere i governi periferici a rispettare e,
ove  possibile,  a migliorare l'erogazione delle prestazioni anche al
di  sopra del livello essenziale (sul punto, cfr. Corte cost., sent.,
21 marzo 2007, n. 98).
    L'efficacia  di  un  tale  potere  di  spesa  e' inscindibilmente
connessa,  pero',  alla  possibilita/volonta' del governo centrale di
ridurre  o  sopprimere i finanziamenti qualora non vengano rispettate
le condizioni concordate.
    Ora,  nel  sistema  effettivamente vigente, invece, la perdurante
inattuazione del «federalismo fiscale» di cui all'art. 119 Cost., per
cui   i  trasferimenti  centrali  continuano  ad  essere  l'unica  (o
comunque)  la principale, fonte di finanziamento dei servizi sanitari
regionali, rende poco credibile - per non dire impossibile da attuare
- la minaccia di tagliare i finanziamenti statali.
    Anzi,  il risultato della combinazione tra finanziamento centrale
e  rilevante autonomia locale non puo' che essere l'irresponsabilita'
gestionale e fiscale delle regioni, irresponsabilita' sulla quale non
puo'  in alcun modo incidere positivamente il finanziamento vincolato
oggetto di impugnazione - a dispetto delle intenzioni riportate anche
nella  relazione  di  presentazione  del relativo disegno di legge al
Senato.
    Alla  luce  di  quanto  esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del
decreto-legge  20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla
legge  17  maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per
contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost.
    2.2.  -  La  disciplina  legislativa  di  ripiano  selettivo  dei
disavanzi  sanitari  di  alcune  regioni,  poi,  soffre  di un palese
contrasto  con il dettato dell'art. 3 Cost., sia sotto il profilo del
rispetto  del principio di legislatore statale, finendo con il ledere
le  prerogative  costituzionalmente  riconosciute  alle  regioni e il
violare altri importanti principi costituzionali.
    Per   quanto   attiene   il   primo  aspetto,  si  evidenzia  che
l'elargizione di risorse ad un numero limitato di regioni, al fine di
ripianare  il  disavanzo  da  esse  stesse  creato mediante una spesa
eccessiva o, quantomeno, inefficiente, si risolve in un'inaccettabile
discriminazione  di  tutti  gli  enti  regionali  «virtuosi».  Questi
ultimi,  infatti,  in  applicazione  della  regola  della  loro piena
responsabilita',  hanno  attuato  una  gestione  oculata  e, a volte,
addirittura  severa  delle  risorse  pubbliche  destinate  al settore
sanitario,  imponendo  ai cittadini residenti nel proprio territorio,
sacrifici  di  natura  prettamente fiscale o, comunque, in termini di
maggiore  partecipazione  al  costo  delle prestazioni erogate, e ora
sono   costrette   a   concorrere   a   questa  nuova  ingiustificata
elargizione.
    Che  il Veneto appartenga a quest'ultima categoria di regioni, e'
un  dato  che non puo' in alcun modo esser messo in discussione e che
e' stato di recente autorevolmente confermato dalla sezione regionale
di controllo della Corte dei conti.
    Quest'ultima,  infatti,  nella  sua  relazione annuale ex art. 3,
legge  14 gennaio 1994, n. 20, approvata con delibera del 27 novembre
2006,  n. 96,  al normale referto sulla gestione della Regione Veneto
per  la verifica dell'attuazione delle leggi regionali di principio e
di  programma,  ha  allegato una parte speciale, intitolata «Indagine
sull'assistenza   sanitaria   nel   Veneto.   Aspetti   finanziari  e
gestionali, con particolare riferimento alla gestione dell'assistenza
distrettuale  - esercizio finanziario 2005 con ricostruzione di serie
storiche a partire dal 2003».
    In  essa  si da' atto al Veneto di aver «svolto su tutti i piani,
un'attivita'  tesa  a  perseguire  obiettivi di razionalizzazione del
proprio   sistema  sanitario,  si  lodano  in  modo  particolare  tre
iniziative  progettuali e di studio finalizzate al contenimento della
spesa,  ossia  i  progetti  «area vasta» e «acquisti centralizzati» e
l'istituzione  di  una  «Commissione  antisprechi»,  e  si procede ad
un'analisi  estremamente accurata di ciascuna delle aziende sanitarie
venete,  il  cui  esito,  con  riferimento al contenimento dei costi,
merita di essere ricordato.
    La  Corte  dei  conti,  infatti, riconosce che le «aziende, anche
attraverso  la  costante  attivita'  di organizzazione e di indirizzo
della  regione,  concentrano  gli  sforzi  per  raggiungere  gestioni
economicamente  equilibrate»  e,  rilevato  che, ciononostante, torna
annualmente   a  prodursi  un  disavanzo  di  gestione,  denuncia  la
permanenza  di  «condizioni  di  deficitarieta' strutturale dovute al
sottofinanziamento complessivo del sistema in relazione alla missione
istituzionale  affidata  al  S.S.N.  (garantire i LEA), difficilmente
riassorbibili  con  la  sola, oculata gestione», dal momento che, tra
l'altro,  «la  composizione  delle  entrate  (per  l'80% derivanti da
contributi  regionali)  non  consente apprezzabili margini di manovra
alle  singole  aziende» e che, d'altro canto, «alcune importanti voci
di  costo,  per  le  loro oggettive caratteristiche di rigidita' o di
incomprimibilita'  (si  pensi  alla  spesa per il personale), poco si
prestano ad ulteriori azioni di contenimento».
    Disavanzo,  dunque,  c'e'  stato, seppur in forma limitata, anche
per  la  Regione Veneto e alla produzione dello stesso anche lo Stato
ha  concorso sottofinanziando il fabbisogno, ma alla sua copertura il
Veneto  ha provveduto, in attuazione del principio di responsabilita'
e  della normativa vigente, quasi interamente con risorse proprie. In
particolare  la  regione  e'  intervenuta mediante la manovra fiscale
annuale  e  il  prelievo  tributario  dai  propri  residenti e con la
manovra  di bilancio, realizzata in sede di assestamento, nella quale
sono  state  destinate maggiori risorse alla sanita'   attraverso una
riduzione di pari importo della spesa corrente extrasanitaria.
    Questi  dati  si  sono  voluti  riportare  per rendere ancor piu'
evidente  -  ove  ve  ne  fosse  bisogno - l'ingiusta discriminazione
perpetrata dal legislatore quando sostanzialmente impone al Veneto di
contribuire  al  ripiano di disavanzi prodottosi in sistemi regionali
strutturalmente e, forse, irrimediabilmente inefficienti.
    La  disparita'  operata  a  livello  regionale,  poi, finisce per
riflettersi direttamente sul cittadino che, non solo ha contribuito -
e   in   modo  determinante  -,  mediante  il  prelievo  fiscale,  al
reperimento  delle  risorse,  ma  soffre  anche della contrazione del
livello  qualitativo  e  quantitativo delle prestazioni sanitarie che
inevitabilmente  consegue al rilevante spreco delle risorse stesse. E
cio'  -  come  si  dira'  -  con  pregiudizio del diritto alla salute
riconosciuto  e tutelato dall'art. 32 Cost., in verita', non solo con
riferimento  alle  gestioni passate o in corso, bensi' - ed e' questo
il  profilo  forse  piu'  grave  - con ogni probabilita', anche delle
future.  Lo  scialacquamento  dei  gia'  scarsi  mezzi  finanziari  a
disposizione,  infatti,  portera'  presto ad una temibile contrazione
dei livelli essenziali delle prestazioni che, ai sensi dell'art. 117,
secondo  comma,  lettera  m),  potranno  essere garantiti su tutto il
territorio.
    Da  quanto  si  e'  detto  sopra, inoltre, appare evidente che, a
causa  della  sempre piu' rilevante limitazione delle risorse causate
da   gestioni   inefficienti   e  da  ripiani  insensati,  interventi
finanziari del livello di governo centrale quale quello qui censurato
si   risolvono   in  un'indebita  interferenza  nella  gestione  piu'
propriamente   organizzativa   della  sanita',  ossia,  in  concreto,
nell'esercizio  delle  funzioni  amministrative  che l'art. 118 Cost.
vuole  distribuite  tra  i  diversi enti territoriali «sulla base dei
principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  ed  adeguatezza»  e,
quindi, per una parte rilevantissima, alle regioni.
    Sotto   il   profilo   dell'irragionevolezza   della   disciplina
legislativa impugnata, si rileva, poi, quanto segue.
      La  previsione  del  ripiano  selettivo del disavanzo sanitario
dettata  dal decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 cosi' come risultante
dalla  conversione  operata  con  legge  17  maggio  2007,  n. 64  e'
irragionevole, innanzitutto, ove sana retroattivamente i disavanzi di
alcune  regioni  senza  preoccuparsi di agire sulle causa strutturali
determinanti i risultati negativi di gestione.
    L'irrazionalita' dell'intervento ed il contrasto con il principio
di buon andamento sono, poi, aggravate dall'assoluta assenza di forme
di  monitoraggio,  controllo  e  sanzione,  per  il  caso  di mancato
raggiungimento degli obiettivi di risanamento, degne di questo nome.
    A  sanare questo originario vizio del decreto-legge in parola non
possono ritenersi sufficienti, infatti, le previsioni di cui al nuovo
comma  1-bis  e  ai  due  ultimi  periodi del comma 3 dell'art. 1. La
prima,  quella  di  cui  al nuovo comma 1-bis si limita a disporre la
trasmissione  degli  esiti  di  una  non meglio determinata «verifica
annuale  dei  piani  di  rientro»  dal Ministro dell'economia e delle
finanze  al Presidente della Corte dei conti, e le ultime, quelle che
chiudono  il  comma  3,  semplicemente stabiliscono che il decreto di
ripartizione delle risorse finanziarie sia trasmesso alle «competenti
Commissioni  del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati»
e  che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro
della  salute, trasmetta al Parlamento una «relazione sullo stato del
monitoraggio e del riscontro dell'estinzione dei debiti».
    Il  ripiano  selettivo  dei  disavanzi  sanitari  di  cui oggi si
discute  e',  inoltre, irragionevole perche' tradisce il principio di
responsabilita' delle singole regioni per la gestione della sanita' e
per   la   copertura   degli  eventuali  relativi  disavanzi,  regola
costantemente  riaffermata  dallo  Stato  stesso,  sia  nella propria
produzione normativa sia in sede di accordo e intesa con le regioni e
le province autonome, e divenuta ormai imprescindibile cardine per la
corretta  attuazione  del  disegno  costituzionale  federale. Cio' e'
tanto  piu'  vero,  ove si consideri che questa «deroga» - che per la
sua  ricorrenza  sempre  piu'  frequente  sta  perdendo  il carattere
d'eccezione - si risolve in un sacrificio ingiusto per le regioni che
si  sforzano  di  adempiere ai precetti legislativi e in un incentivo
per tutti gli enti regionali ad abbandonare la difficile strada della
gestione  oculata delle risorse, per intraprendere quella, molto piu'
facile  da seguire, dell'utilizzo irrazionale dei mezzi finanziari e.
quindi,  alla  fine,  della  dissipazione  degli  stessi,  con  grave
detrimento   del   principio  di  buon  andamento  costituzionalmente
previsto all'art. 97.
    Alla  luce  di  quanto  esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del
decreto-legge  20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla
legge  17  maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per
contrasto  con  gli artt. 3, 32, 97, 117, secondo comma, lettera m) e
118 Cost.
    2.3.  -  Da  quanto fino ad ora evidenziato, infine, il complesso
delle  previsioni  normative  impugnate  con l'odierno ricorso appare
quale  effettivamente  e':  un  intervento  sostitutivo  dello  Stato
assolutamente illegittimo.
    Sembra opportuno ricordare, infatti, che l'art. 120 Cost., al suo
secondo comma, testualmente prevede che: «Il Governo puo' sostituirsi
a  organi delle regioni, delle citta' metropolitane, delle province e
dei  comuni  nel  caso  di  mancato  rispetto  di  norme  e  trattati
internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave
per   l'incolumita'   e  la  sicurezza  pubblica,  ovvero  quando  lo
richiedono  la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e
in  particolare  la  tutela  dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti  i  diritti  civili  e  sociali, prescindendo dai confini
territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte
a  garantire  che  i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto
del   principio   di   sussidiarieta'   e   del  principio  di  leale
collaborazione».
    L'intervento previsto cori il decreto n. 23/2007, convertito, con
modificazioni,  dalla  legge  n. 64/2007, pero', e' stato adottato in
carenza    dei    tassativi   presupposti   elencati   dal   disposto
costituzionale appena ricordato.
    Anzi,  peggio, la sua attuazione si risolve in un aggravamento di
quelle  situazioni  patologiche  per  risolvere  le quali esso appare
esser  stato  previsto.  Il  riferimento  e',  ovviamente, al mancato
rispetto  della  normativa  comunitaria,  con  i  relativi penetranti
limiti  di  spesa  e debito, e all'insoddisfacente tutela dei livelli
essenziali  delle prestazioni. Da quanto gia' ampiamente rilevato nei
precedenti motivi di censura, infatti, e' emerso come unico risultato
possibile dell'intervento di ripiano selettivo dei disavanzi sanitari
congeniato     dal     legislatore     statale     sia    l'incentivo
all'irresponsabilita'  delle regioni, con pesanti ricadute in termini
di  spreco  delle  risorse  e,  dunque,  di scostamento dai parametri
europei  e  di  significativa  contrazione dei livelli quantitativi e
qualitativi  delle  prestazioni essenziali effettivamente erogabili a
fronte delle risorse presenti.
    Anche   a   voler  ritenere  sussistenti  i  presupposti  per  un
intervento  sostitutivo  dello Stato nel caso di specie, comunque, si
dovrebbe  rilevare la violazione dell'art. 120 Cost., dal momento che
la  previsione normativa impugnata non «definisce le procedure atte a
garantire  che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del
principio  di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione»
e  che  nessun  accordo  e'  stato  chiesto  ne'  ottenuto a riguardo
alle/dalle regioni.
    Come  codesta ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito: «perche' possa
ritenersi  legittima  la  previsione del potere di sostituzione dello
Stato   alle   regioni  e'  necessario  che  l'esercizio  dei  poteri
sostitutivi  sia  previsto  e disciplinato dalla legge, la quale deve
altresi'  definirne  i  presupposti sostanziali e procedurali; che la
sostituzione  riguardi  il  compimento  di  atti o attivita' prive di
discrezionalita' nell'an; che il potere sostitutivo sia esercitato da
un  organo di Governo o sulla base di una decisione di questo; che la
legge  predisponga congrue garanzie procedimentali, in conformita' al
principio  di  leale  collaborazione»  (cfr.  Corte  cost., sent., 19
luglio  2004,  n. 240).  Diversamente,  infatti,  la sostituzione del
Governo  alle  regioni  e'  destinata  a sfociare in un'inaccettabile
compressione  dell'autonomia  delle  seconde  e  a  non  garantire il
risultato  prefissato,  ossia quello di impedire l'aggravamento della
situazione  di  fatto  per  cui  esso  venga  esercitato, sia essa il
rispetto della normativa comunitaria o la tutela dei c.d. LEA.
    Ed e' chiaro che qui l'abuso del potere rileva per i riflessi che
ha  sull'ordinamento  regionale del Veneto come si e' precedentemente
chiarito.
    Alla  luce  di  quanto  esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del
decreto-legge  20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla
legge  17  maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per
contrasto  con  la  previsione di cui all'art. 120 Cost., nonche' del
principio  di  leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e
11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
                            Parte seconda
Le previsioni relative alla quota fissa su ricetta per le prestazioni
              di assistenza specialistica ambulatoriale
              (art. 1-bis del decreto-legge convertito)
    Con  ricorso iscritto al ruolo con il numero 10/07, notificato il
23 febbraio  2007  e  depositato  in  data  1° marzo 2007, la Regione
Veneto  impugnava,  in  via  principale,  avanti codesta ecc.ma Corte
numerose  disposizioni normative della legge 27 dicembre 2006, n. 296
(legge finanziaria 2007) e, in particolare, la previsione relativa al
c.d.  ticket  sanitario,  di  cui  all'art. 1, comma 796, lettera p),
primo periodo.
    Di   seguito  si  riporta  il  testo  della  disposizione  appena
richiamata,  nella  parte  fatta  oggetto  del ricorso dal Veneto: «a
decorrere  dal  1°  gennaio  2007,  per  le prestazioni di assistenza
specialistica ambulatoriale gli assistiti non esentati dalla quota di
partecipazione  al  costo sono tenuti al pagamento di una quota fissa
sulla ricetta pari a 10 euro».
    Successivamente,  in  sede  di  conversione  in legge 26 febbraio
2007,  n. 17,  del  decreto-legge  28  dicembre  2006, n. 300 recante
proroga  dei  termini  previsti  da  disposizioni legislative (meglio
conosciuto  come  decreto  «Mille-proroghe»), il Parlamento inseriva,
tra  le  modificazioni all'originario testo del predetto decreto, una
previsione    relativa   al   ticket   sanitario,   quella   di   cui
all'art. 6-quater.
    Rubricato  «Partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie»,
esso prevedeva, al primo comma,: «Le disposizioni relative alla quota
fissa  di  cui  all'art. 1,  comma  796,  lettera  p), della legge 27
dicembre  2006, n. 296, si applicano fino al 31 marzo 2007 e comunque
fino   all'entrata   in  vigore  delle  misure  o  alla  stipulazione
dell'accordo di cui al comma 2 del presente articolo».
    Il  secondo comma proseguiva, poi, cosi': «All'art. l, comma 796,
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dopo la lettera p), e' inserita
la  seguente:  p-bis)  per le prestazioni di assistenza specialistica
ambulatoriale,  di  cui  al  primo  periodo  della  lettera p), fermo
restando  l'importo  di manovra pari a 811 milioni di euro per l'anno
2007,  834  milioni  di  euro  per l'anno 2008 e 834 milioni euro per
l'anno  2009,  le regioni, sulla base della stima degli effetti della
complessiva  manovra  nelle  singole  regioni, definita dal Ministero
della  salute  di  concerto  con  il  Ministero dell'economia e delle
finanze,  anziche'  applicare  la quota fissa sulla ricetta pari a 10
euro, possono alternativamente:
        1)  adottare  altre  misure  di partecipazione al costo delle
prestazioni  sanitarie,  la  cui  entrata  in  vigore  nella  regione
interessata  e'  subordinata  alla certificazione del loro effetto di
equivalenza per il mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario
e  per  il controllo dell'appropriatezza, da parte del tavolo tecnico
per  la  verifica  degli  adempimenti  di cui all'art. 12 dell'Intesa
stato-regioni del 23 marzo 2005;
        2)  stipulare  con  il  Ministero della salute e il Ministero
dell'economia  e delle finanze un accordo per la definizione di altre
misure  di  partecipazione  al  costo  delle  prestazioni  sanitarie,
equivalenti   sotto   il  profilo  del  mantenimento  dell'equilibrio
economico-finanziario  e del controllo dell'appropriatezza. Le misure
individuate  dall'accordo  si applicano, nella regione interessata, a
decorrere   dal   giorno   successivo  alla  data  di  sottoscrizione
dell'accordo medesimo"».
    Ritenendo  che  gli  originali profili di illegittimita' rilevati
per l'istituzione della quota fissa su ricetta permanessero ed, anzi,
fossero  aggravati, dalla novella legislativa, la Regione Veneto, con
ricorso in via principale n. 21/2007, impugnava avanti codesta ecc.ma
Corte  anche  la  previsione  di cui all'art. 6-quater della legge 26
febbraio 2007, n. 17.
    Nel   frattempo,  il  legislatore  statale  coglieva  l'occasione
dell'urgente  conversione  del  decreto-legge  20  marzo 2007, n. 23,
relativo  al  ripiano selettivo dei disavanzi sanitari pregressi, per
intervenire  nuovamente  in  materia  di ticket su ricetta. Cosi', la
legge  17  maggio  2007,  n. 64,  introduce, ex novo, nell'originario
testo del predetto decreto, un art. 1-bis.
    Quest'ultimo,  al  suo  primo  comma,  stabilisce  quanto  segue:
«L'importo della manovra derivante dalle disposizioni di cui all'art.
1,  comma  796,  lettera  p),  primo periodo, della legge 27 dicembre
2006.  n. 296,  e' rideterminato per il solo anno 2007 da 811 milioni
di  euro  a  300  milioni di curo, anche per le finalita' di cui alla
lettera  p-bis)  del  medesimo  comma.  A  tal  fine  il  livello  di
finanziamento   del   Servizio   sanitario  nazionale,  cui  concorre
ordinariamente  lo  Stato,  e'  incrementato  per  l'anno 2007 di 511
milioni  di  euro. Il predetto incremento e' ripartito tra le regioni
con  i medesimi criteri adottati per lo stesso anno. Conseguentemente
la  quota  fissa  sulla  ricetta e' abolita con effetto dalla data di
entrata  in  vigore della legge di conversione del presente decreto e
fino  al  31  dicembre  2007.  11  comma  1  dell'art.  6-quater  del
decreto-legge    28    dicembre   2006,   n. 300,   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, e' abrogato».
    A  partire  dal 20 maggio 2007, giorno di entrata in vigore della
legge  di  conversione  17  maggio 2007, n. 64, qui impugnata, e solo
fino al 31 dicembre 2007, la previsione di cui all'art. 1, comma 796,
lettera  p),  della  legge  27 dicembre 2006, n. 296, con la quale si
impone  alle  regioni  l'applicazione  di  una quota fissa su ricetta
medica di 10 euro e' per cosi' dire congelata.
    Da  qui  la  permanenza dell'interesse della Regione Veneto a far
valere  i  rilevanti  aspetti  di illegittimita' costituzionale della
stessa:   l'odierna   ricorrente,   infatti,   non   solo  a  partire
dall'entrata  in  vigore  della  legge  finanziaria per il 2007 si e'
attivata  in  modo da rendere possibile il puntuale adempimento delle
disposizioni  normative  statali  (ed ha, dunque, gia' sofferto della
produzione  degli  effetti della disciplina normativa sul ticket), ma
teme  anche  le  conseguenze  derivanti dalla «rediviva» operativita'
della  disciplina incostituzionale del ticket fisso sulle prestazioni
mediche specialistiche a partire dal 1° gennaio del prossimo anno.
    Per  questo  torna  sulla  materia, facendo salvo tutto quanto in
precedenza gia' rilevato, evidenziando i profili di difformita' della
disciplina statale rispetto al dettato costituzionale.
    2.   -   La   previsione   del   c.d.  ticket  sulle  prestazioni
ambulatoriali  specialistiche obbligatorio, con l'unica eccezione dei
pazienti  esentati, e', innanzitutto, palesemente in contrasto con il
sistema  di riparto di competenze legislative disegnato dall'art. 117
Cost.,  cosi'  come  riformato  dalla legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3.
    Ai  sensi  del  terzo  comma  del  menzionato  art.  della  Carta
costituzionale, infatti, la «tutela della salute» e il «coordinamento
delle  finanze» - materie all'incrocio delle quali senza alcun dubbio
ricadono  le  previsioni  oggetto  di  censura  -  sono di competenza
legislativa concorrente delle regioni. Relativamente ad esse, dunque,
«spetta  alle  regioni  la  potesta'  legislativa,  salvo  che per la
determinazione  dei  principi fondamentali, riservata alla competenza
dello Stato» (art. 117, quarto comma).
    L'aver  determinato  e,  per  di  piu'  in una quota fissa (di 10
euro), il corrispettivo dovuto dai cittadini assistiti non esenti per
le  prestazioni  di  assistenza specialistica ambulatoriale, non puo'
certo dirsi principio fondamentale, bensi' disciplina di dettaglio e,
per questo, incostituzionale.
    Non  solo, con l'imposizione di un ticket fisso sulle prestazioni
ambulatoriali, le regioni hanno visto compressa significativamente la
loro autonomia finanziaria relativamente al reperimento di risorse da
destinare  alla  gestione  di  un  settore, quello della tutela della
salute,  nel  quale  amplissime  sono  le  competenze  legislative  e
amministrative dell'ente regionale, in aperta violazione del disposto
di cui all'art. 119 Cost.
    Il  legislatore  statale, infatti, anziche' indicare alle regioni
l'obiettivo   finanziario   da  raggiungere,  limitandosi  a  fissare
l'importo  di  manovra,  per  lasciare poi all'autonomia regionale il
compito  di  attuare  il fine prefissato, continua ad imporre i mezzi
con i quali realizzarlo (e per di piu' mezzi irragionevoli, visto che
l'imposizione  di  un  ticket  di  dieci euro su tutte le prestazioni
ambulatoriali specialistiche non consente alle regioni di graduare la
partecipazione   alla   spesa   pubblica   sanitaria   con   i  costi
effettivamente sostenuti per ciascuna delle suddette prestazioni, con
conseguente  lesione  del  diritto  fondamentale  di  cui all'art. 32
Cost.).
    Non  si  puo'  non  denunciare,  infine, che l'imposizione di una
quota  fissa  sulle  ricette  relative  a  prestazioni  ambulatoriali
specialistiche  lede gravemente il principio di leale collaborazione.
Infatti,  non  solo  essa  non  e'  stata  adottata in attuazione del
protocollo d'intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute approvato
in  sede  di  Conferenza  con le Regioni e le Province autonome nella
riunione  del  28  settembre  2006,  ma  in  relazione ad essa nessun
accordo  si  e'  cercato  con le Regioni, ne e' stato, d'altra parte,
ottenuto.  E  cio'  pur vertendosi certamente in ambiti di competenza
legislativa   concorrente   delle   regioni   e  di  piena  autonomia
finanziaria delle stesse.
    Alla  luce  di  quanto  esposto, si chiede, pertanto, che codesto
ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del
decreto-legge  20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla
legge  17  maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per
contrasto  con  gli artt. 117 e 119 Cost., nonche' per violazione del
principio  di  leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e
11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
    In  conclusione,  riprendendo  le sintetiche riflessioni fatte in
premessa  circa la difficolta' di disciplinare la materia sanitaria e
il   finanziamento   del   S.S.N.,  si  fanno  seguire  alcune  brevi
riflessioni,   gia'   fatte   proprie   da   Codesta   Ecc.ma   Corte
nell'esemplare sentenza n. 245 del 5 novembre 1984.
    Sembra evidente che, per trovare un equilibrio tra federalismo ed
esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica che
rispetti  i valori costituzionalmente tutelati e garantiti agli artt.
2, 3 e 32 Cost., e', innanzitutto, necessaria una chiara e rispettata
distribuzione  dei  poteri  legislativi e amministrativi tra gli enti
che,  ai sensi dell'art. 114 Cost., costituiscono la Repubblica. Cio'
vale,  in particolare, per quanto riguarda Stato e egioni, in modo da
attenuare  quell'ormai insostenibile e controproducente conflitto tra
gli  stessi.  Questo  scontro  continua, pero', a rendersi necessario
quando  lo Stato sistematicamente viola, come e' avvenuto nel caso di
specie, le competenze regionali.
    Per  riformare  il  sistema  di finanziamento del S.S.N. sarebbe,
poi, indispensabile il rispetto del principio di leale collaborazione
di  cui  agli  artt.  5  e  120 Cost. e 11 della legge costituzionale
n. 3/2001, che, invece, troppo spesso, come anche qui e' avvenuto, il
legislatore  statale  viola  non  cercando  neppure dialogo, intese e
accordi  con  le  regioni  o, comunque, tradendo la fiducia di queste
ultime  non  adempiendo alle solenni promesse fatte (in primis quella
di non sottostimare le esigenze finanziarie in materia sanitaria e di
rafforzare,   «l'autonomia   organizzativa»   e  la  «responsabilita'
finanziaria delle regioni».
    Infine,  se a tutto questo si aggiunge la perdurante inattuazione
dell'autonomia  finanziaria  di  cui  all'art.  119  Cost., il quadro
complessivo si aggrava, in particolare sotto il profilo dell'uniforme
ed  effettiva  tutela  della  salute  sul territorio nazionale. Si e'
evidenziato,   infatti,  che  solo  con  la  realizzazione  del  c.d.
federalismo     fiscale    le    Regioni    saranno    effettivamente
responsabilizzate  nella gestione delle risorse nei propri settori di
competenza  e  lo  Stato  potra'  correttamente utilizzare il proprio
potere  di spesa per garantire i livelli essenziali delle prestazioni
di assistenza nel territorio nazionale.
    Nel  frattempo,  invece,  finanziamenti  vincolati  quali  quello
destinato dalle norme impugnate al ripiano dei disavanzi non sono che
strumenti   in   palese   violazione  delle  potesta'  delle  regioni
costituzionalmente  previste  per esse dagli artt. 117 e 119 Cost. e,
per  di  piu',  assolutamente  inidonei  a  conseguire  il  risultato
prefissato,  ossia  il  «risanamento strutturale dei servizi sanitari
regionali sistematicamente in disavanzo».
    Quando,  con provvedimenti contingenti e a carattere derogatorio,
ingenti  risorse  finanziarie  sono  distribuite  a centri di governo
incapaci   di   creare  e  attuare  politiche  sanitarie  conformi  a
Costituzione  e  di contenere e razionalizzare la spesa, infatti, non
si  possono  ottenere  miglioramenti strutturali di alcun genere, dal
momento  che  non  si  incide  sulla vera causa del disavanzo, ossia,
nella maggior parte dei casi, sull'arretratezza dell'apparato.
    Gli  unici  risultati  che, invece, si ottengono sono, in primis,
quello  di  far  divenire  l'«irresponsabilita»  la regola, con grave
nocumento  del  buon  andamento  e  della  stessa tutela della salute
perfino  nella limitata prospettiva dei LEA, per la cui erogazione e'
necessaria  la  disponibilita'  di  ingenti  risorse finanziarie che,
invece,  cosi'  si  sprecano,  e, in secundiis, quello di far scemare
significativamente  il  senso  di  solidarieta'  e  benevolenza delle
regioni  a  disavanzo  minore  o assente, mettendo a forte rischio la
tenuta stessa della nostra forma di Stato.
                              P. Q. M.
    Voglia  l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita'
costituzionale  delle  norme  contenute nel d.l. 20 marzo 2007, n. 23
(Gazzetta  Ufficiale  n. 66 del 20 marzo 2007), come risultanti dalla
conversione,  con  modificazioni, operata dalla legge 17 maggio 2007,
n. 64  «Conversione  in  legge,  con modificazioni, del d.l. 20 marzo
2007,  n. 23,  recante  disposizioni urgenti per il ripiano selettivo
dei   disavanzi  pregressi  nel  settore  sanitario»,  pubblicata  in
Gazzetta  Ufficiale  n. 115  del 19 maggio 2007, nonche' della stessa
intera  legge  di  conversione, per violazione degli artt. 3, 32, 97,
117,  118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione,
di  cui  agli  artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3.
        Padova-Roma, addi' 12 luglio 2007
  Avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Ezio Zanon - Avv. Luigi Manzi
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          1)  Intendendosi per «universalita» la capacita' di offrire
          assistenza   a   tutti   i   cittadini  e  per  «globalita»
          l'idoneita'  ad erogare un pacchetto di prestazioni il piu'
          ampio  possibile.  Il principio di «accessibilita», invece,
          impone  un  accesso  al  servizio  ragionevole,  libero  da
          barriere  finanziarie  o  con remunerazione ragionevole per
          gli erogatori.
          2)  Recentemente,  ad  esempio,  in  Corte cost., sent., 21
          marzo 2007, n. 98.
          3)  In  particolare,  si  vedano:  l'Accordo 8 agosto 2001,
          l'Intesa 23 marzo 2005, il Nuovo Patto per la salute del 28
          settembre 2006 e l'Intesa 5 ottobre 2006.
          4)  Si  pensi,  in particolare, al conferimento di funzioni
          normative e amministrative in materia di salute operato dal
          decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, artt. 22 e ss.
          5)  Quest'espressione  si  ritrova,  tra le altre, in Corte
          cost., sent., 28 luglio 1993, n. 355.
          6)  Lo  stesso decreto legislativo, infatti, attribui' alle
          Regioni   la   proprieta'   delle   entrate  derivanti  dai
          contributi   sanitari   obbligatori   riscossi   nei   loro
          territori.   Nel   1997,   questi   contributi  sono  stati
          sostituiti dall'IRAP.
          7)  Come  avvenuto,  ad esempio, con decreto del Presidente
          del  Consiglio dei Ministri 14 maggio 2004, «Determinazione
          delle  quote  previste dall'art. 2, comma 4, del d.legs. 18
          febbraio  2000,  n. 56  - Anno 2002», in Gazzetta Ufficiale
          n. 179 del 2 agosto 2002.
          8)  Come  ha  rilevato anche Codesta Corte nella sentenza 7
          novembre 2003. n. 334.
          9)  Tutte  queste condizioni di accesso al riparto - sembra
          opportuno  rilevare in questa sede - sono state ritenute da
          codesto  ecc.mo  Giudice conformi a Costituzione, avendo il
          medesimo  fatto  perno  sul  rilevante  ruolo  svolto,  nel
          sistema   vigente   e  pur  nella  perdurante  inattuazione
          dell'art. 119 Cost., proprio dalle Regioni nella gestione e
          nel finanziamento del Servizio sanitario nazionale, che non
          permetterebbe piu' di «attribuire esclusivamente allo Stato
          la  causa  del  deficit  del  servizio  sanitario»  (cosi',
          recentemente,  in Corte cost., 21 marzo 2007, n. 98). Delle
          problematiche   sollevate   dalle   stesse,   tuttavia,  si
          riferira' oltre sub 2.1.
          10)  Sul  punto  di rinvia a Corte cost., sent., 7 novembre
          1995, n. 482 e a Corte cost., sent., 16 marzo 2001, n. 65.
          11) Cfr. Corte cost., sent. 23 dicembre 2003, n. 370; Corte
          cost.,  sent. 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent. 29
          gennaio 2004, n. 49.
          12) Cfr. Corte cost., sent. 29 dicembre 2004, n. 423; Corte
          cost., sent. 18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent. 18
          marzo  2005,  n. 107;  Corte  cost.,  sent.  24 marzo 2006,
          n. 118.
          13)  Sul  punto,  interessanti  sono  le  riflessioni di G.
          France,  che si ritrovano in Federalismi e sanita', Milano,
          2006.
          14)  Relazione  annuale  di  controllo  ex art. 3, legge 14
          gennaio 1994, n. 20 (approvata con delibera del 27 novembre
          2006, n. 96), 398.
          15)  Cosi' in Relazione annuale di controllo, 393 e ss. Con
          riguardo,  in  particolare, alla «Commissione antisprechi»,
          istituita con D.G.R. n. 2876/2003, si riferisce che essa e'
          composta  di  cinque  esperti  il  cui compito e' quello di
          individuare  i  tagli  agli  sprechi e alle spese superflue
          delle  ULSS  e  delle  ASL, svolgendo attivita' di supporto
          alla  Segreteria  sanita'  e  sociale  della  regione, e di
          redigere  un documento da sottoporre all'esame della Giunta
          regionale    contenente    anche    indicazioni    per   la
          razionalizzazione della spesa.
          16) Cfr. Relazione annuale di controllo, cit., 289.
          17) Si veda Relazione annuale di controllo, cit., 392.
          18)  Il  riferimento  e' sia al cittadino delle regioni che
          mal  amministrano  i  finanziamenti, sia ai residenti nelle
          c.d.  regioni virtuose, che, per esser tali, sono costrette
          ad  operare  una  gestione  molto  rigida,  per certi versi
          penalizzante, del settore sanitario.
          19)  Della  quale  si  riporta,  qui, uno dei passaggi piu'
          significativi  (punto  1  l  del considerato in diritto, in
          fine),   a  proposito  della  necessita'  di  riconsiderare
          organicamente  il  Servizio  sanitario:  «non  servono allo
          scopo  le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di
          carattere  urgente o comunque contingente: la' dove sono in
          gioco  funzioni  e  diritti  costituzionalmente  previsti e
          garantiti,    e'   infatti   indispensabile   superare   la
          prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per
          assicurare  la  certezza  del  diritto ed il buon andamento
          delle   pubbliche   amministrazioni,   mediante  discipline
          coerenti e destinate a durare nel tempo».
          20) Da ultimo confermate nel Protocollo di Intesa sul Nuovo
          Patto  sulla  salute,  il  5  ottobre  2006,  in  sede  di'
          Conferenza  permanente  per i rapporti tra Stato, regioni e
          province autonome.
          21)   Cosi'  nelle  prime  righe  della  relazione  che  ha
          presentato   il   disegno   di  legge  di  conversione  del
          decreto-legge   20   marzo  2007,  n. 23  al  Senato  della
          Repubblica.
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