N. 32 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 19 luglio 2007
Ricorso per questioni di legittimita' costituzionale, depositato in cancelleria il 19 luglio 2007 (della Regione Veneto) Sanita' pubblica - Servizio sanitario nazionale - Ripiano dei disavanzi pregressi del settore sanitario di alcune Regioni da attuarsi mediante la distribuzione di finanziamenti statali di importo pari a 3.000 milioni di euro - Ricorso della Regione Veneto - Lamentata deroga all'intero sistema di finanziamento e disciplina del Servizio sanitario nazionale, incidenza nelle materie di potesta' legislativa concorrente della tutela della salute e del coordinamento della finanza pubblica attraverso disposizioni di dettaglio ed autoapplicative e con istituzione di finanziamenti a destinazione vincolata, uso irragionevole e scorretto del potere di spesa in relazione al sistema federale, discriminazione in danno delle Regioni «virtuose», pregiudizio per i livelli essenziali delle prestazioni garantiti su tutto il territorio, indebita interferenza nella gestione organizzativa della sanita', intervento sostitutivo dello Stato in carenza dei necessari presupposti - Denunciata lesione del riparto delle competenze legislative, lesione dell'autonomia finanziaria delle Regioni, violazione del principio della responsabilita' finanziaria, lesione del principio di eguaglianza, del diritto alla salute, lesione delle funzioni amministrative regionali e dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, irragionevolezza, contrasto con il principio di buon andamento, violazione dei limiti alla potesta' sostitutiva dello Stato nei confronti delle Regioni, violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 2007, n. 64, art. 1. - Costituzione, artt. 3, 5, 32, 97, 117, commi secondo, lett. m) e terzo, 118, 119 e 120; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 11. Sanita' pubblica - Servizio sanitario nazionale - Prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale - Pagamento di una quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro - Abolizione fino al 31 dicembre 2007 - Ricorso della Regione Veneto - Ritenuta permanenza dell'interesse a far valere l'illegittimita' della norma - Lamentata incidenza con norma di dettaglio nella materia di competenza concorrente della «tutela della salute» e nella materia del «coordinamento della finanza pubblica», compressione dell'autonomia finanziaria relativamente al reperimento di risorse, assenza di intesa o accordo - Denunciata lesione dell'autonomia legislativa e finanziaria della Regione, violazione del principio di leale collaborazione. - Decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 2007, n. 64, art. 1-bis. - Costituzione, artt. 5, 117, 119 e 120; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 11.(GU n.32 del 22-8-2007 )
Ricorso per la Regione Veneto, in persona del Presidente pro tempore della giunta regionale, autorizzato mediante deliberazione della giunta stessa n. 1938 del 26 giugno 2007, rappresentata e difesa, come da procura speciale a margine del presente atto, dagli avv. prof. Mario Bertolissi del Foro di Padova, Ezio Zanon dell'Avvocatura regionale e Luigi Manzi del Foro di Roma, presso quest'ultimo domiciliata in Roma, via F. Confalonieri, n. 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 - delle norme contenute nel d.-l. 20 marzo 2007, n. 23 (Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2007), come risultanti dalla conversione, con modificazioni, operata dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 «Conversione in legge, con modificazioni, del decretolegge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 115 del 19 maggio 2007, nonche' della stessa intera legge di conversione. F a t t o Con decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2007), l'Esecutivo nazionale ha autorizzato una spesa di 3.000 milioni di euro (art. 1, comma 3) per concorrere al ripiano dei disavanzi del settore sanitario, relativi al periodo 2001-2005, nei confronti delle Regioni che (art. 1, comma 1): sottoscrivano con lo Stato un accordo sui piani di rientro e accedano al fondo transitorio di cui all'art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007); destinino in modo specifico al settore sanitario quote di addizionale IRPEF e di aliquota IRAP ulteriori rispetto all'incremento massimo, o, anche in via alternativa, quote di manovre regionali gia' adottate o quote di tributi erariali attribuiti alle Regioni o altre misure fiscali da attivarsi sul proprio territorio. L'individuazione delle «Regioni interessate» al suddetto riparto, da effettuarsi sulla base dei debiti accumulati fino al 2005, della capacita' fiscale regionale e della partecipazione delle Regioni al finanziamento del fabbisogno sanitario, veniva rimessa, dall'art. 1, comma 3, del medesimo decreto, ad un successivo decreto ministeriale. Le disposizioni contenute nel suddetto decreto-legge venivano considerate dalla Regione Veneto lesive delle proprie potesta' costituzionalmente garantite e, pertanto, con delibera n. 830 del 28 marzo 2007, la giunta regionale autorizzava il presidente a proporre ricorso in via diretta avanti alla Corte costituzionale contro lo Stato, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, ricorso ritualmente notificato, depositato ed iscritto al ruolo con il numero 25/07. Successivamente, con la legge 17 maggio 2007, n. 64 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi del settore sanitario», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 115 del 19 maggio 2007, il Parlamento ha convertito, con modificazioni, il menzionato decreto. Conseguentemente a questo intervento, il decreto-legge n. 23 del 2007, ora convertito in legge e rubricato «Disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario, nonche' in materia di quota fissa sulla ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica», e' composto di tre articoli. All'art. 1 sono riprese integralmente tutte le previsioni normative del corrispondente art. dell'originario decreto, con le sole aggiunte di: un comma 1-bis, nel quale si prevede che «Gli esiti della verifica annuale dei piani di rientro sono tempestivamente trasmessi dal Ministro dell'economia e delle finanze al Presidente della Corte dei conti per le valutazioni di competenza dell'Istituto, anche ai tini dell'avvio di un eventuale giudizio di responsabilita' amministrativa e contabile»; due periodi di chiusura al terzo comma: «Il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di cui al presente comma [n.d.a.: quello di riparto tra le "Regioni interessate" delle disponibilita' finanziarie per il ripiano] e' trasmesso alle competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della salute, trasmette al Parlamento una relazione sullo stato del monitoraggio e del riscontro dell'estinzione dei debiti». Segue, poi, un nuovo art. 1-bis, nel quale si prevede che: «L'importo della manovra derivante dalle disposizioni dell'art. 1, comma 796, lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e' rideterminato per il solo anno 2007 da 811 milioni di euro a 300 milioni di euro, anche per le finalita' di cui alla lettera p-bis) del medesimo comma. A tal fine il livello del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cui concorre ordinariamente lo Stato, e' incrementato per l'anno 2007 di 511 milioni di euro. Il predetto incremento e' ripartito tra le regioni con i medesimi criteri adottati per lo stesso anno. Conseguentemente la quota fissa sulla ricetta e' abolita con effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2007. Il comma I dell'art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, e' abrogato (comma 1)». Ai due commi successivi si stabilisce come provvedere all'onere derivante dall'attuazione del primo comma, pari a 511 milioni di euro per l'anno 2007, e si autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Il decreto-legge in esame, infine, si chiude con la previsione, di cui all'art. 2, relativa all'entrata in vigore della disciplina. In estrema sintesi, dunque, il decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, cosi' come convertito dalla legge 17 maggio 2007, n. 64, conferma la disciplina relativa al ripiano statale dei disavanzi del settore sanitario di alcune Regioni, con cio' mantenendo tutti i profili di illegittimita' denunciati con il ricorso n. 25/07, ed introduce ex novo previsioni relative al ripiano e alla quota fissa su ricetta del pari lesive delle potesta' costituzionalmente garantite alla regione dalla Costituzione. Per questo la Regione Veneto, con l'odierno ricorso, impugna le norme contenute negli artt. 1, 1-bis e 2 del decreto-legge n. 23 del 2007, cosi' come risultanti dalla conversione, con modificazioni, operata dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 e la stessa legge di conversione per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118, 119 e del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. P r e m e s s a Come appare in modo evidente gia' dalle poche parole spese sopra, tutti gli interventi normativi richiamati incidono nel settore sanita', ossia in un'area particolarmente importante e delicata dell'ordinamento. Per la concreta tutela del valore «salute», garantito e protetto dalla Costituzione (art. 32 Cost.) come dimensione fondamentale del benessere del cittadino e fattore decisivo per la capacita' di «svolgere la sua personalita» (art. 2 Cost.), di sviluppare le proprie potenzialita' e di partecipare effettivamente alla vita politica, sociale ed economica del Paese (art. 3 Cost.), e' stato istituito il Servizio sanitario nazionale (d'ora in poi anche S.S.N.). Il sistema di responsabilita' e finanziamento di questa che e' stata correttamente definita una delle piu' grandi conquiste sociali della recente storia italiana e' oggi interessato da sempre piu' frequenti provvedimenti legislativi, tra i quali, da ultimi, anche quelli del decreto-legge e della legge di conversione qui impugnati dalla Regione Veneto. La necessita' di intervenire in modo tanto massiccio e incisivo in materia di Servizio sanitario nazionale e', con ogni probabilita', dettata dall'esigenza di adeguarne la disciplina originaria a due esigenze distinte eppure tra loro contemporaneamente e indistricabilmente legate: il controllo sulla spesa e l'attuazione del disegno costituzionale di stampo federale inequivocabilmente tracciato per il nostro ordinamento dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Con riguardo al primo profilo, come codesta ecc.ma Corte ha sottolineato, «nel sistema di assistenza sanitaria - delineato dal legislatore fin dall'emanazione della legge di riforma sanitaria, 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del Servizio sanitario nazionale) - l'esigenza di assicurare la universalita' e la completezza del sistema assistenziale del nostro Paese si e' scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilita' finanziarie che annualmente e' possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (cfr. Corte cost., sent., 8 maggio 2007, n. 162, riprendendo Corte cost., sent., 18 marzo 2005, n. 111; e Corte cost., sent., 15 febbraio 2000, n. 59), cosicche' sostanzialmente la spesa sanitaria non puo' concretamente esser rapportata al suo costo, ma alle disponibilita' della finanza pubblica (cfr. Corte cost., sent., 31 dicembre 1986, n. 296). Da qui i numerosi interventi recenti sul sistema di finanziamento del S.S.N., l'estrema delicatezza dei quali merita di esser, pero', evidenziata. Un servizio sanitario che faccia conto su risorse finanziarie limitate, inadeguate o scorrettamente gestite e' un servizio che mette a serio rischio i caratteri di universalita', globalita' e accessibilita' imposti per esso, prima che dalla legge istitutiva (cfr. legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 1, 3, 4, 14, 25, 26, 28 e 36), dalla stessa Costituzione, non solo quando prevede che la Repubblica tuteli la salute come «fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita» (art. 32 Cost.) e, conseguentemente, affida alla competenza concorrente di Stato e regioni il compito di legiferare in materia (art. 117, terzo comma, Cost.), ma anche quando riserva allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio (art. 117, secondo comma, lettera m). Con riguardo al secondo profilo suaccennato, invece, sembra opportuno rilevare qui che, al contrario di quanto avvenuto nelle maggiori federazioni occidentali in cui i sistemi sanitari si sono inseriti in strutture federali gia' mature, in Italia l'istituzione del S.S.N. ha preceduto di quasi vent'anni la stagione delle progressive devoluzioni di poteri dal centro ai livelli di governo periferici. Per questo, oggi che l'effettiva attuazione del federalismo e' imposta dalla Costituzione, e precisamente dal suo Titolo V a seguito della riforma del 2001, e sentita come necessaria da molte autonomie territoriali, si fa piu' forte l'esigenza di adeguare la disciplina del settore sanitario alla nuova geometria federale e si appalesano sempre piu' spesso problemi di «tenuta» e coerenza dell'ordinamento. L'obiettivo da raggiungere, dunque, in materia di sanita' come in altre parimenti sostanzialmente devolute, e' quello di un equilibrio tra interesse nazionale e autonomie regionali che consenta un adeguato reperimento delle risorse finanziarie necessarie ed una successiva efficiente gestione delle stesse. Parte prima Il ripiano selettivo dei pregressi disavanzi regionali del settore sanitario (art. 1 del decreto-legge convertito) L'art. 1 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, come convertito dalla legge 17 maggio 2007, n. 64, contiene una serie di previsioni normative relative al ripiano dei disavanzi pregressi del settore sanitario di alcune Regioni da attuarsi mediante la distribuzione di finanziamenti statali di importo pari a 3.000 milioni di euro. Quest'intervento del legislatore statale costituisce una deroga, non solo all'art. 4, comma 3, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 convertito dalla legge 16 novembre 2001, n. 405 (come riconosciuto espressamente all'art. 1, comma 1, del decreto qui censurato), ma dell'intero sistema di finanziamento e disciplina del Servizio sanitario nazionale, di cui sembra opportuno ricordare preliminarmente i tratti essenziali. 1. - Nell'intento di dare attuazione all'art. 32, comma 1, Cost., la legge 23 dicembre 1978, n. 833 ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, costituito dal «complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attivita' destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalita' che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (art. 1, comma 2). L'attuazione di tale servizio, demandata allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, era finanziata, originariamente, da uno specifico «fondo sanitario nazionale», il cui importo doveva venir iscritto «annualmente nel bilancio dello Stato» (artt. 51 e 53). Agli inizi degli anni novanta il Governo tento' un riordino della disciplina in materia sanitaria con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. Tra le disposizioni in esso contenute ed espressamente qualificate «principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 Cost.» (art. 19), si ritrovano le seguenti previsioni: «il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso risorse finanziarie pubbliche (...), i livelli essenziali e uniformi di assistenza» (art. 1, comma 1), la cui individuazione «e' effettuata contestualmente all'individuazione delle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilita' finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica» (art. 1, comma 2) e che, d'altra parte, spetta alle regioni «far fronte con risorse proprie agli effetti finanziari conseguenti all'erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi di cui all'art. 1 (...), nonche' agli eventuali disavanzi di gestione delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere» (art. 13) a fronte di una loro ampia competenza legislativa e amministrativa in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera (art. 2). Da qui in poi il principio di esclusiva responsabilita' delle regioni per i disavanzi di gestione prodotti e' stato piu' volte confermato, non solo nei successivi provvedimenti legislativi in materia e nelle pronunce di codesta ecc.ma Corte su di essi, ma anche nei successivi atti di accordo o intesa tra Governo, regioni e province autonome. Successivamente, a fronte di un sempre maggiore riconoscimento, da parte dell'ordinamento, di competenza decisionale organizzativa in capo alle regioni in materia sanitaria e sulla base del principio del c.d. «parallelismo fra responsabilita' di disciplina e di controllo e responsabilita' finanziaria» piu' volte riaffermato anche da codesto ecc.mo Collegio, il legislatore nazionale ha deciso, agli inizi del Duemila, di intervenire in modo incisivo sul sistema di finanziamento del S.S.N. disegnato dal d.lgs. n. 502/1992 e da allora articolato in un fondo sanitario nazionale alimentato annualmente e interamente da stanziamenti a carico dello Stato e in una quota di autofinanziamento regionale, costituito di «risorse proprie» delle regioni con le quali queste ultime dovevano far fronte all'erogazione di livelli di assistenza sanitaria superiori ai LEA concordati con lo Stato e alla copertura di eventuali disavanzi. Cosi', con il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133), il fondo sanitario nazionale e' stato soppresso ed il finanziamento e' stato garantito mediante la previsione di compartecipazioni regionali ai tributi statali e l'istituzione di un fondo perequativo nazionale. Contestualmente, il decreto in esame, rimasto tuttora in parte inattuato, all'art. 2, ha stabilito che il Governo pubblichi annualmente una tabella nella quale si quantifichi l'entita' della redistribuzione delle risorse finanziarie tra le regioni, in modo tale da evidenziare quali siano da considerarsi «donatrici» e quali «beneficiarie». Nello stesso anno, la legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2001), al suo art. 83, comma 4, ha imposto alle singole regioni di provvedere alla copertura degli eventuali disavanzi di gestione, attivando nella misura necessaria l'autonomia impositiva secondo modalita' e procedure prestabilite. Le norme che si occupavano di queste modalita' procedimentali sono state modificate dal decreto-legge 18 settembre 2001., n. 347. Quest'ultimo provvedimento governativo, poi convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 16 novembre 2001, n. 405, all'art. 4, comma 3, tuttora vigente, conferma il principio per cui «gli eventuali disavanzi di gestione accertati o stimati, nel rispetto dell'accordo Stato-regioni di cui all'art. 1, comma 1, sono coperti dalle regioni con le modalita' stabilite da norme regionali» ossia mediante «misure di compartecipazione alla spesa sanitaria, ivi inclusa l'introduzione di forme di corresponsabilizzazione dei principali soggetti che concorrono alla determinazione della spesa», «variazione dell'aliquota dell'addizionale regionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche o altre misure fiscali previste dalla normativa vigente» e/o «altre misure idonee a contenere la spesa, ivi inclusa l'adozione di interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci». A sanzione del fondamentale principio di responsabilita' delle regioni per la gestione del Servizio sanitario, l'art. 40 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge finanziaria 2002) ha previsto, poi, una riduzione del finanziamento dello Stato a danno delle regioni non adempienti alle prescrizioni in materia di misure organizzative stabilite nell'accordo Stato-Regioni per l'anno 2001, e, con decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63, questa previsione e' stata estesa anche agli anni 2002, 2003 e 2004 (art. 4). Successivamente, con legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Legge finanziaria 2003), all'art. 29, comma 2, veniva ampliato lo spettro degli adempimenti previsti per l'accesso delle regioni al finanziamento statale e, al contempo, si decideva la riduzione temporanea delle entrate regionali sospendendo gli effetti di eventuali aumenti delle addizionali IRPEF e delle maggiorazioni IRAP. Tale riduzione veniva prorogata anche al 2004 dal disposto dell'art. 2, comma 21, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria 2004). Con la successiva legge finanziaria, ossia la legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge finanziaria 2005), le addizionali, con riguardo al settore sanitario, venivano sbloccate (art. 1, comma 175) per divenire addirittura automatiche. L'art. 1, comma 174, del provvedimento legislativo in esame, infatti, a tutt'oggi, dispone che, qualora dal monitoraggio trimestrale emerga uno «squilibrio» economico-finanziario, la regione adotti i provvedimenti necessari e che, ove questo non avvenga e si evidenzi comunque un disavanzo di gestione nel quarto trimestre, il Presidente del Consiglio dei ministri diffidi la regione a provvedere entro il 30 aprile dell'anno successivo. Nell'ipotesi, poi, di perdurante inadempimento della regione, e' dato al Presidente della Regione, quale commissario ad acta, il compito di determinare gli aumenti dell'addizionale IRPEF e le maggiorazioni IRAP, aumenti e maggiorazione che sono destinate a scattare automaticamente e nella misura massima in caso di inerzia del Presidente. La legge finanziaria per il 2005 ha fissato, poi, nuovi tetti di spesa per il triennio 2005-2007, ma, al contempo, ha previsto, «in deroga a quanto stabilito dall'art. 4, comma 3, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347 (...)», il concorso dello Stato «al ripiano dei disavanzi del S.S.N. per gli anni 2001, 2002 e 2003». A partire dalla legge finanziaria del 2004, dunque, il legislatore statale ha stanziato fondi per ripianare il disavanzo sanitario dellerRegioni, pur chiarendo il carattere derogatorio di tali stanziamenti e subordinandone espressamente l'accesso alla stipula di apposite intese fra Stato e regioni finalizzate almeno negli intenti a migliorare la qualita' del servizio erogato e a contenere la dinamica dei costi. Successivamente, infatti, con l'art. 1, commi 279, 280 e 281 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Legge finanziaria 2006) lo Stato ha deciso di concorrere al ripiano dei disavanzi regionali per gli anni 2002, 2003 e 2004 con una somma di 2.000 milioni di euro, la cui erogazione e' stata subordinata all' «adozione, da parte delle regioni, dei provvedimenti di copertura del residuo disavanzo posto a loro carico per i medesimi anni», all'intesa su uno schema di piano sanitario nazionale 2006-2008 e alla stipula di un accordo Stato-regione per il contenimento dei tempi di attesa. Per il triennio 2007-2009, infine, l'art. 1, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Legge finanziaria 2007), ha istituito un fondo complessivo di 2.550 milioni di euro da ripartirsi tra le Regioni interessate da elevati disavanzi, il cui accesso risulta subordinato alla sottoscrizione di un accordo con lo Stato comprensivo di un piano di rientro. Il quadro normativo di riferimento, pero', non sarebbe completo se non si considerassero le numerose intese stipulate tra Governo, regioni e province autonome in materia sanitaria a partire dal 2001. Come rilevato di recente anche da codesta ecc.ma Corte, infatti, «la vigente legislazione di finanziamento del Servizio sanitario nazionale trova origine in una serie di accordi fra Stato e regioni, che spesso ne hanno anche successivamente sviluppato ed integrato la normativa, quantificando anche i rispettivi livelli di spesa» (cfr. Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98). Tra le piu' importanti si ricordano: l'Accordo Stato-regioni dell'8 agosto 2001, l'intesa 23 marzo 2005, l'intesa del 22 settembre 2006 «Nuovo patto per la salute» e la recentissima Intesa del 5 ottobre 2006. Non e' possibile dar qui compiutamente conto del contenuto di ciascuna di queste intese, ma cio' che conta e' che in esse si rilevano i principali punti di criticita' del sistema-sanita' (costante sottostima del fabbisogno sanitario da parte dello Stato, divaricazione tra risorse utilizzabili e spese, complessiva limitatezza delle risorse finanziarie, necessita' di incentivare i comportamenti «virtuosi»), se ne riaffermano i principi cardine (responsabilita' dello Stato per la determinazione dei LEA e piena responsabilita' delle regioni per i disavanzi di gestione prodotti) e, infine, si ritrovano impegni reciproci tra diversi livelli di governo, in particolare, quello di finanziare adeguatamente il Servizio sanitario per l'erogazione dei LEA, da parte dello Stato, e quello di perseguire e raggiungere l'equilibrio finanziario di gestione, da parte delle regioni. Impegni tanto solenni quanto puntualmente ignorati come dimostrano, in tutta evidenza, i provvedimenti oggi oggetto di impugnativa. A soli tre mesi di distanza dall'ultima finanziaria, infatti, e' entrato in vigore il decreto-legge n. 23 del 2007, oggi convertito, con modificazioni, con legge 17 maggio 2007, n. 64, il quale ha previsto un ulteriore stanziamento statale di ben 3.000 milioni di euro per ripianare i disavanzi sanitari delle «regioni interessate» per il periodo 2001-2005. 2. - Tanto chiarito, si passa ora a delineare le puntuali censure che la Regione Veneto muove alla disciplina del ripiano selettivo dei disavanzi sanitari delle «regioni interessate», come disegnata dal decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, nel testo risultante dalla conversione con legge 17 maggio 2007, n. 64. 2.1. - La disposizione di cui all'art. 1 del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 viola, innanzitutto, il riparto delle competenze legislative disegnato dall'art. 117 Cost., e l'autonomia finanziaria delle regioni sancita all'art. 119 Cost. In materia sanitaria e di relativa spesa, allo Stato spetta, ai sensi dell'art. 117 Cost. nel testo attualmente vigente, una potesta' legislativa esclusiva per quanto attiene la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» e la competenza a porre i principi fondamentali nell'ambito della «tutela della salute» e del «coordinamento della finanza pubblica», materie di potesta' legislativa concorrente tra Stato e regione. Ora, come insegna codesta ecc.ma Corte, i conflitti che sorgano in materia di interventi di ripiano dei disavanzi di gestione del S.S.N. vanno valutati «nel quadro della competenza legislativa regionale concorrente in materia di salute (...) e specialmente nell'ambito di quegli obiettivi di finanza pubblica e di contenimento della spesa, al cui rispetto sono tenute Regioni e Province autonome» (cfr. Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98; Corte cost., sent., 27 gennaio 2005, n. 36). Le previsioni normative oggetto di censura devono, dunque, iscriversi in materia di competenza legislativa concorrente, ma non possono in alcun modo definirsi «principi fondamentali», dal momento che mancano del necessario relativo grado di generalita' e astrattezza e sono inidonee ad orientare i futuri interventi regionali. La disciplina impugnata, al contrario, ha un carattere minuzioso, dettagliato, autoapplicativo: indica quali regioni e secondo quali modalita' potranno beneficiare del finanziamento statale per ripianare i propri debiti sanitari. E, del resto, anche a tacer d'altro, si rileva come, a riconoscere alle previsioni in esame il rango di principi, si finirebbe col ritenere recepita nel nostro ordinamento la regola dell'assoluta deresponsabilizzazione degli enti regionali. La disposizione in esame, inoltre, viola il disposto di cui all'art. 119 Cost. Chiarito che la disciplina normativa impugnata va collocata, come si e' detto, a cavallo tra la materia «tutela della salute» e quella del «coordinamento della finanza pubblica», entrambe annoverate nell'elenco di cui al comma 3, dell'art. 117, e che, pertanto, relativamente ad esse, la Costituzione ha previsto una potesta' legislativa concorrente tra Stato e regioni, si deve rilevare che, ai sensi dell'art. 119 Cost., allo Stato non e' consentito istituire e disciplinare finanziamenti a destinazione vincolata nelle materie di potesta' legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), sia che questi fondi prevedano la diretta attribuzione di risorse a regioni, province, citta' metropolitane, sia che prevedano la diretta attribuzione di risorse a soggetti privati, persone fisiche o giuridiche. Infatti, «il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle regioni e degli enti locali, e di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle regioni negli ambiti materiali di propria competenza» (cosi' Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16). E cio' - sembra evidente - vale anche se il finanziamento riguarda non il Veneto come beneficiario, ma come «coobbligato solidale» sul piano passivo. Nel contesto dell'art. 119 Cost., infatti, sono previste solamente due tipologie di fondi: (i) un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacita' fiscale per abitante (art. 119, terzo comma, Cost.), che, insieme ad entrate e tributi propri e compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (art. 119, secondo comma, Cost.), serve a finanziare integralmente le funzioni pubbliche attribuite a regioni ed enti locali (art. 119, quarto comma, Cost.) e (ii) «risorse aggiuntive» ed «interventi speciali» in favore di determinate regioni, province, citta' metropolitane e comuni, al fine di «promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale, (...) rimuovere gli squilibri economici e sociali, (...) favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, (...) provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, quinto comma, Cost.). In ordine a questi ultimi, codesto ecc.mo Giudice delle leggi ha, poi, precisato che essi, oltre a doversi indirizzare «a determinati comuni o categorie di comuni (o province, citta' metropolitane, regioni)», «debbono essere aggiuntivi rispetto al finanziamento integrale (...) delle funzioni spettanti ai comuni o agli altri enti, e riferirsi alle finalita' di perequazione e di garanzia enunciate nella norma costituzionale, o comunque a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni» (cosi' Corte cost., sent., 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent., 8 giugno 2005, n. 222). Come appare palese dalla semplice lettura della disciplina impugnata, invece, il finanziamento della cui legittimita' costituzionale oggi si discute, non presenta alcuno dei caratteri dei fondi previsti all'art. 119 Cost. e sopra ricordati. Infine, sembra interessante evidenziare che il legislatore, con la previsione di cui al decreto-legge n. 23/2007, come convertito, ha fatto un uso del proprio potere di spesa del tutto irragionevole e scorretto in relazione al sistema federale che dal 2001 la Costituzione ha inequivocabilmente disegnato. Ove il vigente testo del Titolo V della Costituzione fosse attuato, infatti, a fronte di una potesta' legislativa chiaramente ripartita tra Stato e regioni (nel senso di riconoscere in capo alle seconde un amplissimo potere decisionale e organizzativo in materia sanitaria, con la sola eccezione dei principi fondamentali di tutela della salute e coordinamento delle finanze pubbliche, e di attribuire allo Stato il compito di determinare i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio) e in presenza di una effettiva autonomia fiscale degli enti regionali, la previsione di fondi statali vincolati nel settore in parola conserverebbe una sua importante funzione: convincere i governi periferici a rispettare e, ove possibile, a migliorare l'erogazione delle prestazioni anche al di sopra del livello essenziale (sul punto, cfr. Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98). L'efficacia di un tale potere di spesa e' inscindibilmente connessa, pero', alla possibilita/volonta' del governo centrale di ridurre o sopprimere i finanziamenti qualora non vengano rispettate le condizioni concordate. Ora, nel sistema effettivamente vigente, invece, la perdurante inattuazione del «federalismo fiscale» di cui all'art. 119 Cost., per cui i trasferimenti centrali continuano ad essere l'unica (o comunque) la principale, fonte di finanziamento dei servizi sanitari regionali, rende poco credibile - per non dire impossibile da attuare - la minaccia di tagliare i finanziamenti statali. Anzi, il risultato della combinazione tra finanziamento centrale e rilevante autonomia locale non puo' che essere l'irresponsabilita' gestionale e fiscale delle regioni, irresponsabilita' sulla quale non puo' in alcun modo incidere positivamente il finanziamento vincolato oggetto di impugnazione - a dispetto delle intenzioni riportate anche nella relazione di presentazione del relativo disegno di legge al Senato. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost. 2.2. - La disciplina legislativa di ripiano selettivo dei disavanzi sanitari di alcune regioni, poi, soffre di un palese contrasto con il dettato dell'art. 3 Cost., sia sotto il profilo del rispetto del principio di legislatore statale, finendo con il ledere le prerogative costituzionalmente riconosciute alle regioni e il violare altri importanti principi costituzionali. Per quanto attiene il primo aspetto, si evidenzia che l'elargizione di risorse ad un numero limitato di regioni, al fine di ripianare il disavanzo da esse stesse creato mediante una spesa eccessiva o, quantomeno, inefficiente, si risolve in un'inaccettabile discriminazione di tutti gli enti regionali «virtuosi». Questi ultimi, infatti, in applicazione della regola della loro piena responsabilita', hanno attuato una gestione oculata e, a volte, addirittura severa delle risorse pubbliche destinate al settore sanitario, imponendo ai cittadini residenti nel proprio territorio, sacrifici di natura prettamente fiscale o, comunque, in termini di maggiore partecipazione al costo delle prestazioni erogate, e ora sono costrette a concorrere a questa nuova ingiustificata elargizione. Che il Veneto appartenga a quest'ultima categoria di regioni, e' un dato che non puo' in alcun modo esser messo in discussione e che e' stato di recente autorevolmente confermato dalla sezione regionale di controllo della Corte dei conti. Quest'ultima, infatti, nella sua relazione annuale ex art. 3, legge 14 gennaio 1994, n. 20, approvata con delibera del 27 novembre 2006, n. 96, al normale referto sulla gestione della Regione Veneto per la verifica dell'attuazione delle leggi regionali di principio e di programma, ha allegato una parte speciale, intitolata «Indagine sull'assistenza sanitaria nel Veneto. Aspetti finanziari e gestionali, con particolare riferimento alla gestione dell'assistenza distrettuale - esercizio finanziario 2005 con ricostruzione di serie storiche a partire dal 2003». In essa si da' atto al Veneto di aver «svolto su tutti i piani, un'attivita' tesa a perseguire obiettivi di razionalizzazione del proprio sistema sanitario, si lodano in modo particolare tre iniziative progettuali e di studio finalizzate al contenimento della spesa, ossia i progetti «area vasta» e «acquisti centralizzati» e l'istituzione di una «Commissione antisprechi», e si procede ad un'analisi estremamente accurata di ciascuna delle aziende sanitarie venete, il cui esito, con riferimento al contenimento dei costi, merita di essere ricordato. La Corte dei conti, infatti, riconosce che le «aziende, anche attraverso la costante attivita' di organizzazione e di indirizzo della regione, concentrano gli sforzi per raggiungere gestioni economicamente equilibrate» e, rilevato che, ciononostante, torna annualmente a prodursi un disavanzo di gestione, denuncia la permanenza di «condizioni di deficitarieta' strutturale dovute al sottofinanziamento complessivo del sistema in relazione alla missione istituzionale affidata al S.S.N. (garantire i LEA), difficilmente riassorbibili con la sola, oculata gestione», dal momento che, tra l'altro, «la composizione delle entrate (per l'80% derivanti da contributi regionali) non consente apprezzabili margini di manovra alle singole aziende» e che, d'altro canto, «alcune importanti voci di costo, per le loro oggettive caratteristiche di rigidita' o di incomprimibilita' (si pensi alla spesa per il personale), poco si prestano ad ulteriori azioni di contenimento». Disavanzo, dunque, c'e' stato, seppur in forma limitata, anche per la Regione Veneto e alla produzione dello stesso anche lo Stato ha concorso sottofinanziando il fabbisogno, ma alla sua copertura il Veneto ha provveduto, in attuazione del principio di responsabilita' e della normativa vigente, quasi interamente con risorse proprie. In particolare la regione e' intervenuta mediante la manovra fiscale annuale e il prelievo tributario dai propri residenti e con la manovra di bilancio, realizzata in sede di assestamento, nella quale sono state destinate maggiori risorse alla sanita' attraverso una riduzione di pari importo della spesa corrente extrasanitaria. Questi dati si sono voluti riportare per rendere ancor piu' evidente - ove ve ne fosse bisogno - l'ingiusta discriminazione perpetrata dal legislatore quando sostanzialmente impone al Veneto di contribuire al ripiano di disavanzi prodottosi in sistemi regionali strutturalmente e, forse, irrimediabilmente inefficienti. La disparita' operata a livello regionale, poi, finisce per riflettersi direttamente sul cittadino che, non solo ha contribuito - e in modo determinante -, mediante il prelievo fiscale, al reperimento delle risorse, ma soffre anche della contrazione del livello qualitativo e quantitativo delle prestazioni sanitarie che inevitabilmente consegue al rilevante spreco delle risorse stesse. E cio' - come si dira' - con pregiudizio del diritto alla salute riconosciuto e tutelato dall'art. 32 Cost., in verita', non solo con riferimento alle gestioni passate o in corso, bensi' - ed e' questo il profilo forse piu' grave - con ogni probabilita', anche delle future. Lo scialacquamento dei gia' scarsi mezzi finanziari a disposizione, infatti, portera' presto ad una temibile contrazione dei livelli essenziali delle prestazioni che, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), potranno essere garantiti su tutto il territorio. Da quanto si e' detto sopra, inoltre, appare evidente che, a causa della sempre piu' rilevante limitazione delle risorse causate da gestioni inefficienti e da ripiani insensati, interventi finanziari del livello di governo centrale quale quello qui censurato si risolvono in un'indebita interferenza nella gestione piu' propriamente organizzativa della sanita', ossia, in concreto, nell'esercizio delle funzioni amministrative che l'art. 118 Cost. vuole distribuite tra i diversi enti territoriali «sulla base dei principi di sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza» e, quindi, per una parte rilevantissima, alle regioni. Sotto il profilo dell'irragionevolezza della disciplina legislativa impugnata, si rileva, poi, quanto segue. La previsione del ripiano selettivo del disavanzo sanitario dettata dal decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 cosi' come risultante dalla conversione operata con legge 17 maggio 2007, n. 64 e' irragionevole, innanzitutto, ove sana retroattivamente i disavanzi di alcune regioni senza preoccuparsi di agire sulle causa strutturali determinanti i risultati negativi di gestione. L'irrazionalita' dell'intervento ed il contrasto con il principio di buon andamento sono, poi, aggravate dall'assoluta assenza di forme di monitoraggio, controllo e sanzione, per il caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di risanamento, degne di questo nome. A sanare questo originario vizio del decreto-legge in parola non possono ritenersi sufficienti, infatti, le previsioni di cui al nuovo comma 1-bis e ai due ultimi periodi del comma 3 dell'art. 1. La prima, quella di cui al nuovo comma 1-bis si limita a disporre la trasmissione degli esiti di una non meglio determinata «verifica annuale dei piani di rientro» dal Ministro dell'economia e delle finanze al Presidente della Corte dei conti, e le ultime, quelle che chiudono il comma 3, semplicemente stabiliscono che il decreto di ripartizione delle risorse finanziarie sia trasmesso alle «competenti Commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati» e che il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro della salute, trasmetta al Parlamento una «relazione sullo stato del monitoraggio e del riscontro dell'estinzione dei debiti». Il ripiano selettivo dei disavanzi sanitari di cui oggi si discute e', inoltre, irragionevole perche' tradisce il principio di responsabilita' delle singole regioni per la gestione della sanita' e per la copertura degli eventuali relativi disavanzi, regola costantemente riaffermata dallo Stato stesso, sia nella propria produzione normativa sia in sede di accordo e intesa con le regioni e le province autonome, e divenuta ormai imprescindibile cardine per la corretta attuazione del disegno costituzionale federale. Cio' e' tanto piu' vero, ove si consideri che questa «deroga» - che per la sua ricorrenza sempre piu' frequente sta perdendo il carattere d'eccezione - si risolve in un sacrificio ingiusto per le regioni che si sforzano di adempiere ai precetti legislativi e in un incentivo per tutti gli enti regionali ad abbandonare la difficile strada della gestione oculata delle risorse, per intraprendere quella, molto piu' facile da seguire, dell'utilizzo irrazionale dei mezzi finanziari e. quindi, alla fine, della dissipazione degli stessi, con grave detrimento del principio di buon andamento costituzionalmente previsto all'art. 97. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per contrasto con gli artt. 3, 32, 97, 117, secondo comma, lettera m) e 118 Cost. 2.3. - Da quanto fino ad ora evidenziato, infine, il complesso delle previsioni normative impugnate con l'odierno ricorso appare quale effettivamente e': un intervento sostitutivo dello Stato assolutamente illegittimo. Sembra opportuno ricordare, infatti, che l'art. 120 Cost., al suo secondo comma, testualmente prevede che: «Il Governo puo' sostituirsi a organi delle regioni, delle citta' metropolitane, delle province e dei comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione». L'intervento previsto cori il decreto n. 23/2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 64/2007, pero', e' stato adottato in carenza dei tassativi presupposti elencati dal disposto costituzionale appena ricordato. Anzi, peggio, la sua attuazione si risolve in un aggravamento di quelle situazioni patologiche per risolvere le quali esso appare esser stato previsto. Il riferimento e', ovviamente, al mancato rispetto della normativa comunitaria, con i relativi penetranti limiti di spesa e debito, e all'insoddisfacente tutela dei livelli essenziali delle prestazioni. Da quanto gia' ampiamente rilevato nei precedenti motivi di censura, infatti, e' emerso come unico risultato possibile dell'intervento di ripiano selettivo dei disavanzi sanitari congeniato dal legislatore statale sia l'incentivo all'irresponsabilita' delle regioni, con pesanti ricadute in termini di spreco delle risorse e, dunque, di scostamento dai parametri europei e di significativa contrazione dei livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni essenziali effettivamente erogabili a fronte delle risorse presenti. Anche a voler ritenere sussistenti i presupposti per un intervento sostitutivo dello Stato nel caso di specie, comunque, si dovrebbe rilevare la violazione dell'art. 120 Cost., dal momento che la previsione normativa impugnata non «definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarieta' e del principio di leale collaborazione» e che nessun accordo e' stato chiesto ne' ottenuto a riguardo alle/dalle regioni. Come codesta ecc.ma Corte ha piu' volte ribadito: «perche' possa ritenersi legittima la previsione del potere di sostituzione dello Stato alle regioni e' necessario che l'esercizio dei poteri sostitutivi sia previsto e disciplinato dalla legge, la quale deve altresi' definirne i presupposti sostanziali e procedurali; che la sostituzione riguardi il compimento di atti o attivita' prive di discrezionalita' nell'an; che il potere sostitutivo sia esercitato da un organo di Governo o sulla base di una decisione di questo; che la legge predisponga congrue garanzie procedimentali, in conformita' al principio di leale collaborazione» (cfr. Corte cost., sent., 19 luglio 2004, n. 240). Diversamente, infatti, la sostituzione del Governo alle regioni e' destinata a sfociare in un'inaccettabile compressione dell'autonomia delle seconde e a non garantire il risultato prefissato, ossia quello di impedire l'aggravamento della situazione di fatto per cui esso venga esercitato, sia essa il rispetto della normativa comunitaria o la tutela dei c.d. LEA. Ed e' chiaro che qui l'abuso del potere rileva per i riflessi che ha sull'ordinamento regionale del Veneto come si e' precedentemente chiarito. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per contrasto con la previsione di cui all'art. 120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Parte seconda Le previsioni relative alla quota fissa su ricetta per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale (art. 1-bis del decreto-legge convertito) Con ricorso iscritto al ruolo con il numero 10/07, notificato il 23 febbraio 2007 e depositato in data 1° marzo 2007, la Regione Veneto impugnava, in via principale, avanti codesta ecc.ma Corte numerose disposizioni normative della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) e, in particolare, la previsione relativa al c.d. ticket sanitario, di cui all'art. 1, comma 796, lettera p), primo periodo. Di seguito si riporta il testo della disposizione appena richiamata, nella parte fatta oggetto del ricorso dal Veneto: «a decorrere dal 1° gennaio 2007, per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale gli assistiti non esentati dalla quota di partecipazione al costo sono tenuti al pagamento di una quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro». Successivamente, in sede di conversione in legge 26 febbraio 2007, n. 17, del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300 recante proroga dei termini previsti da disposizioni legislative (meglio conosciuto come decreto «Mille-proroghe»), il Parlamento inseriva, tra le modificazioni all'originario testo del predetto decreto, una previsione relativa al ticket sanitario, quella di cui all'art. 6-quater. Rubricato «Partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie», esso prevedeva, al primo comma,: «Le disposizioni relative alla quota fissa di cui all'art. 1, comma 796, lettera p), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si applicano fino al 31 marzo 2007 e comunque fino all'entrata in vigore delle misure o alla stipulazione dell'accordo di cui al comma 2 del presente articolo». Il secondo comma proseguiva, poi, cosi': «All'art. l, comma 796, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dopo la lettera p), e' inserita la seguente: p-bis) per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, di cui al primo periodo della lettera p), fermo restando l'importo di manovra pari a 811 milioni di euro per l'anno 2007, 834 milioni di euro per l'anno 2008 e 834 milioni euro per l'anno 2009, le regioni, sulla base della stima degli effetti della complessiva manovra nelle singole regioni, definita dal Ministero della salute di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, anziche' applicare la quota fissa sulla ricetta pari a 10 euro, possono alternativamente: 1) adottare altre misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, la cui entrata in vigore nella regione interessata e' subordinata alla certificazione del loro effetto di equivalenza per il mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario e per il controllo dell'appropriatezza, da parte del tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti di cui all'art. 12 dell'Intesa stato-regioni del 23 marzo 2005; 2) stipulare con il Ministero della salute e il Ministero dell'economia e delle finanze un accordo per la definizione di altre misure di partecipazione al costo delle prestazioni sanitarie, equivalenti sotto il profilo del mantenimento dell'equilibrio economico-finanziario e del controllo dell'appropriatezza. Le misure individuate dall'accordo si applicano, nella regione interessata, a decorrere dal giorno successivo alla data di sottoscrizione dell'accordo medesimo"». Ritenendo che gli originali profili di illegittimita' rilevati per l'istituzione della quota fissa su ricetta permanessero ed, anzi, fossero aggravati, dalla novella legislativa, la Regione Veneto, con ricorso in via principale n. 21/2007, impugnava avanti codesta ecc.ma Corte anche la previsione di cui all'art. 6-quater della legge 26 febbraio 2007, n. 17. Nel frattempo, il legislatore statale coglieva l'occasione dell'urgente conversione del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, relativo al ripiano selettivo dei disavanzi sanitari pregressi, per intervenire nuovamente in materia di ticket su ricetta. Cosi', la legge 17 maggio 2007, n. 64, introduce, ex novo, nell'originario testo del predetto decreto, un art. 1-bis. Quest'ultimo, al suo primo comma, stabilisce quanto segue: «L'importo della manovra derivante dalle disposizioni di cui all'art. 1, comma 796, lettera p), primo periodo, della legge 27 dicembre 2006. n. 296, e' rideterminato per il solo anno 2007 da 811 milioni di euro a 300 milioni di curo, anche per le finalita' di cui alla lettera p-bis) del medesimo comma. A tal fine il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale, cui concorre ordinariamente lo Stato, e' incrementato per l'anno 2007 di 511 milioni di euro. Il predetto incremento e' ripartito tra le regioni con i medesimi criteri adottati per lo stesso anno. Conseguentemente la quota fissa sulla ricetta e' abolita con effetto dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2007. 11 comma 1 dell'art. 6-quater del decreto-legge 28 dicembre 2006, n. 300, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2007, n. 17, e' abrogato». A partire dal 20 maggio 2007, giorno di entrata in vigore della legge di conversione 17 maggio 2007, n. 64, qui impugnata, e solo fino al 31 dicembre 2007, la previsione di cui all'art. 1, comma 796, lettera p), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, con la quale si impone alle regioni l'applicazione di una quota fissa su ricetta medica di 10 euro e' per cosi' dire congelata. Da qui la permanenza dell'interesse della Regione Veneto a far valere i rilevanti aspetti di illegittimita' costituzionale della stessa: l'odierna ricorrente, infatti, non solo a partire dall'entrata in vigore della legge finanziaria per il 2007 si e' attivata in modo da rendere possibile il puntuale adempimento delle disposizioni normative statali (ed ha, dunque, gia' sofferto della produzione degli effetti della disciplina normativa sul ticket), ma teme anche le conseguenze derivanti dalla «rediviva» operativita' della disciplina incostituzionale del ticket fisso sulle prestazioni mediche specialistiche a partire dal 1° gennaio del prossimo anno. Per questo torna sulla materia, facendo salvo tutto quanto in precedenza gia' rilevato, evidenziando i profili di difformita' della disciplina statale rispetto al dettato costituzionale. 2. - La previsione del c.d. ticket sulle prestazioni ambulatoriali specialistiche obbligatorio, con l'unica eccezione dei pazienti esentati, e', innanzitutto, palesemente in contrasto con il sistema di riparto di competenze legislative disegnato dall'art. 117 Cost., cosi' come riformato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Ai sensi del terzo comma del menzionato art. della Carta costituzionale, infatti, la «tutela della salute» e il «coordinamento delle finanze» - materie all'incrocio delle quali senza alcun dubbio ricadono le previsioni oggetto di censura - sono di competenza legislativa concorrente delle regioni. Relativamente ad esse, dunque, «spetta alle regioni la potesta' legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla competenza dello Stato» (art. 117, quarto comma). L'aver determinato e, per di piu' in una quota fissa (di 10 euro), il corrispettivo dovuto dai cittadini assistiti non esenti per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale, non puo' certo dirsi principio fondamentale, bensi' disciplina di dettaglio e, per questo, incostituzionale. Non solo, con l'imposizione di un ticket fisso sulle prestazioni ambulatoriali, le regioni hanno visto compressa significativamente la loro autonomia finanziaria relativamente al reperimento di risorse da destinare alla gestione di un settore, quello della tutela della salute, nel quale amplissime sono le competenze legislative e amministrative dell'ente regionale, in aperta violazione del disposto di cui all'art. 119 Cost. Il legislatore statale, infatti, anziche' indicare alle regioni l'obiettivo finanziario da raggiungere, limitandosi a fissare l'importo di manovra, per lasciare poi all'autonomia regionale il compito di attuare il fine prefissato, continua ad imporre i mezzi con i quali realizzarlo (e per di piu' mezzi irragionevoli, visto che l'imposizione di un ticket di dieci euro su tutte le prestazioni ambulatoriali specialistiche non consente alle regioni di graduare la partecipazione alla spesa pubblica sanitaria con i costi effettivamente sostenuti per ciascuna delle suddette prestazioni, con conseguente lesione del diritto fondamentale di cui all'art. 32 Cost.). Non si puo' non denunciare, infine, che l'imposizione di una quota fissa sulle ricette relative a prestazioni ambulatoriali specialistiche lede gravemente il principio di leale collaborazione. Infatti, non solo essa non e' stata adottata in attuazione del protocollo d'intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per un patto nazionale per la salute approvato in sede di Conferenza con le Regioni e le Province autonome nella riunione del 28 settembre 2006, ma in relazione ad essa nessun accordo si e' cercato con le Regioni, ne e' stato, d'altra parte, ottenuto. E cio' pur vertendosi certamente in ambiti di competenza legislativa concorrente delle regioni e di piena autonomia finanziaria delle stesse. Alla luce di quanto esposto, si chiede, pertanto, che codesto ecc.mo Collegio voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23, convertito, con modifiche, dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 e della stessa legge di conversione per contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost., nonche' per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. In conclusione, riprendendo le sintetiche riflessioni fatte in premessa circa la difficolta' di disciplinare la materia sanitaria e il finanziamento del S.S.N., si fanno seguire alcune brevi riflessioni, gia' fatte proprie da Codesta Ecc.ma Corte nell'esemplare sentenza n. 245 del 5 novembre 1984. Sembra evidente che, per trovare un equilibrio tra federalismo ed esigenze di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica che rispetti i valori costituzionalmente tutelati e garantiti agli artt. 2, 3 e 32 Cost., e', innanzitutto, necessaria una chiara e rispettata distribuzione dei poteri legislativi e amministrativi tra gli enti che, ai sensi dell'art. 114 Cost., costituiscono la Repubblica. Cio' vale, in particolare, per quanto riguarda Stato e egioni, in modo da attenuare quell'ormai insostenibile e controproducente conflitto tra gli stessi. Questo scontro continua, pero', a rendersi necessario quando lo Stato sistematicamente viola, come e' avvenuto nel caso di specie, le competenze regionali. Per riformare il sistema di finanziamento del S.S.N. sarebbe, poi, indispensabile il rispetto del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale n. 3/2001, che, invece, troppo spesso, come anche qui e' avvenuto, il legislatore statale viola non cercando neppure dialogo, intese e accordi con le regioni o, comunque, tradendo la fiducia di queste ultime non adempiendo alle solenni promesse fatte (in primis quella di non sottostimare le esigenze finanziarie in materia sanitaria e di rafforzare, «l'autonomia organizzativa» e la «responsabilita' finanziaria delle regioni». Infine, se a tutto questo si aggiunge la perdurante inattuazione dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 Cost., il quadro complessivo si aggrava, in particolare sotto il profilo dell'uniforme ed effettiva tutela della salute sul territorio nazionale. Si e' evidenziato, infatti, che solo con la realizzazione del c.d. federalismo fiscale le Regioni saranno effettivamente responsabilizzate nella gestione delle risorse nei propri settori di competenza e lo Stato potra' correttamente utilizzare il proprio potere di spesa per garantire i livelli essenziali delle prestazioni di assistenza nel territorio nazionale. Nel frattempo, invece, finanziamenti vincolati quali quello destinato dalle norme impugnate al ripiano dei disavanzi non sono che strumenti in palese violazione delle potesta' delle regioni costituzionalmente previste per esse dagli artt. 117 e 119 Cost. e, per di piu', assolutamente inidonei a conseguire il risultato prefissato, ossia il «risanamento strutturale dei servizi sanitari regionali sistematicamente in disavanzo». Quando, con provvedimenti contingenti e a carattere derogatorio, ingenti risorse finanziarie sono distribuite a centri di governo incapaci di creare e attuare politiche sanitarie conformi a Costituzione e di contenere e razionalizzare la spesa, infatti, non si possono ottenere miglioramenti strutturali di alcun genere, dal momento che non si incide sulla vera causa del disavanzo, ossia, nella maggior parte dei casi, sull'arretratezza dell'apparato. Gli unici risultati che, invece, si ottengono sono, in primis, quello di far divenire l'«irresponsabilita» la regola, con grave nocumento del buon andamento e della stessa tutela della salute perfino nella limitata prospettiva dei LEA, per la cui erogazione e' necessaria la disponibilita' di ingenti risorse finanziarie che, invece, cosi' si sprecano, e, in secundiis, quello di far scemare significativamente il senso di solidarieta' e benevolenza delle regioni a disavanzo minore o assente, mettendo a forte rischio la tenuta stessa della nostra forma di Stato.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale delle norme contenute nel d.l. 20 marzo 2007, n. 23 (Gazzetta Ufficiale n. 66 del 20 marzo 2007), come risultanti dalla conversione, con modificazioni, operata dalla legge 17 maggio 2007, n. 64 «Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 20 marzo 2007, n. 23, recante disposizioni urgenti per il ripiano selettivo dei disavanzi pregressi nel settore sanitario», pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 115 del 19 maggio 2007, nonche' della stessa intera legge di conversione, per violazione degli artt. 3, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5 e 120 Cost. e 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Padova-Roma, addi' 12 luglio 2007 Avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Ezio Zanon - Avv. Luigi Manzi -------- 1) Intendendosi per «universalita» la capacita' di offrire assistenza a tutti i cittadini e per «globalita» l'idoneita' ad erogare un pacchetto di prestazioni il piu' ampio possibile. Il principio di «accessibilita», invece, impone un accesso al servizio ragionevole, libero da barriere finanziarie o con remunerazione ragionevole per gli erogatori. 2) Recentemente, ad esempio, in Corte cost., sent., 21 marzo 2007, n. 98. 3) In particolare, si vedano: l'Accordo 8 agosto 2001, l'Intesa 23 marzo 2005, il Nuovo Patto per la salute del 28 settembre 2006 e l'Intesa 5 ottobre 2006. 4) Si pensi, in particolare, al conferimento di funzioni normative e amministrative in materia di salute operato dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, artt. 22 e ss. 5) Quest'espressione si ritrova, tra le altre, in Corte cost., sent., 28 luglio 1993, n. 355. 6) Lo stesso decreto legislativo, infatti, attribui' alle Regioni la proprieta' delle entrate derivanti dai contributi sanitari obbligatori riscossi nei loro territori. Nel 1997, questi contributi sono stati sostituiti dall'IRAP. 7) Come avvenuto, ad esempio, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 maggio 2004, «Determinazione delle quote previste dall'art. 2, comma 4, del d.legs. 18 febbraio 2000, n. 56 - Anno 2002», in Gazzetta Ufficiale n. 179 del 2 agosto 2002. 8) Come ha rilevato anche Codesta Corte nella sentenza 7 novembre 2003. n. 334. 9) Tutte queste condizioni di accesso al riparto - sembra opportuno rilevare in questa sede - sono state ritenute da codesto ecc.mo Giudice conformi a Costituzione, avendo il medesimo fatto perno sul rilevante ruolo svolto, nel sistema vigente e pur nella perdurante inattuazione dell'art. 119 Cost., proprio dalle Regioni nella gestione e nel finanziamento del Servizio sanitario nazionale, che non permetterebbe piu' di «attribuire esclusivamente allo Stato la causa del deficit del servizio sanitario» (cosi', recentemente, in Corte cost., 21 marzo 2007, n. 98). Delle problematiche sollevate dalle stesse, tuttavia, si riferira' oltre sub 2.1. 10) Sul punto di rinvia a Corte cost., sent., 7 novembre 1995, n. 482 e a Corte cost., sent., 16 marzo 2001, n. 65. 11) Cfr. Corte cost., sent. 23 dicembre 2003, n. 370; Corte cost., sent. 16 gennaio 2004, n. 16; Corte cost., sent. 29 gennaio 2004, n. 49. 12) Cfr. Corte cost., sent. 29 dicembre 2004, n. 423; Corte cost., sent. 18 febbraio 2005, n. 77; Corte cost., sent. 18 marzo 2005, n. 107; Corte cost., sent. 24 marzo 2006, n. 118. 13) Sul punto, interessanti sono le riflessioni di G. France, che si ritrovano in Federalismi e sanita', Milano, 2006. 14) Relazione annuale di controllo ex art. 3, legge 14 gennaio 1994, n. 20 (approvata con delibera del 27 novembre 2006, n. 96), 398. 15) Cosi' in Relazione annuale di controllo, 393 e ss. Con riguardo, in particolare, alla «Commissione antisprechi», istituita con D.G.R. n. 2876/2003, si riferisce che essa e' composta di cinque esperti il cui compito e' quello di individuare i tagli agli sprechi e alle spese superflue delle ULSS e delle ASL, svolgendo attivita' di supporto alla Segreteria sanita' e sociale della regione, e di redigere un documento da sottoporre all'esame della Giunta regionale contenente anche indicazioni per la razionalizzazione della spesa. 16) Cfr. Relazione annuale di controllo, cit., 289. 17) Si veda Relazione annuale di controllo, cit., 392. 18) Il riferimento e' sia al cittadino delle regioni che mal amministrano i finanziamenti, sia ai residenti nelle c.d. regioni virtuose, che, per esser tali, sono costrette ad operare una gestione molto rigida, per certi versi penalizzante, del settore sanitario. 19) Della quale si riporta, qui, uno dei passaggi piu' significativi (punto 1 l del considerato in diritto, in fine), a proposito della necessita' di riconsiderare organicamente il Servizio sanitario: «non servono allo scopo le leggi finanziarie, ne' gli altri provvedimenti di carattere urgente o comunque contingente: la' dove sono in gioco funzioni e diritti costituzionalmente previsti e garantiti, e' infatti indispensabile superare la prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica, per assicurare la certezza del diritto ed il buon andamento delle pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a durare nel tempo». 20) Da ultimo confermate nel Protocollo di Intesa sul Nuovo Patto sulla salute, il 5 ottobre 2006, in sede di' Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome. 21) Cosi' nelle prime righe della relazione che ha presentato il disegno di legge di conversione del decreto-legge 20 marzo 2007, n. 23 al Senato della Repubblica. 07C1042