N. 585 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 marzo 2007
Ordinanza emessa il 22 marzo 2007 dal giudice di pace di Udine sul ricorso proposto da Chuyanava Viktorya contro Prefetto di Udine Straniero - Espulsione amministrativa - Divieto di rientro nel territorio nazionale per un periodo minimo di cinque anni - Applicazione anche agli extracomunitari entrati legittimamente e non informati dei diritti e doveri relativi all'ingresso e soggiorno in Italia - Automaticita' della sanzione applicabile anche agli stranieri extracomunitari, pur in assenza della possibilita' di accesso alle fonti di cognizione - Lesione di diritto fondamentale della persona - Violazione del principio di uguaglianza per l'eguale trattamento sanzionatorio del cittadino extracomunitario entrato legittimamente nel territorio dello Stato e che non abbia chiesto il permesso di soggiorno entro 8 giorni e dello straniero extracomunitario entrato clandestinamente - Contrasto con il principio di graduazione delle sanzioni - Lesione delle norme di diritto internazionale e pattizio. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, artt. 13, comma 2, lett. b), e 14. - Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 27.(GU n.34 del 5-9-2007 )
IL GIUDICE DI PACE Nella causa civile promossa da Chuyanava Viktorya, nata il 20 settembre 1980 a Vrozlav (Bielorussia), rappresentata e difesa dall'avv. Cosimo D'Alessandro, contro Prefettura di Udine, in persona del prefetto in carica pro tempore, si premette in fatto: che il Prefetto di Udine, ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 286/1998, con decreto n. 592 dd. 26 agosto 2006 disponeva l'espulsione della cittadina bielorussa Chuyanava Viktorya la quale, entrata in Italia con un visto turistico rilasciato dall'Ambasciata greca in Bielorussia della durata di dieci giorni, si era trattenuta nel territorio nazionale senza chiedere il permesso di soggiorno entro il termine di otto giorni; che la Chuyanava Viktorya con tempestivo ricorso dd. 23 ottobre 2006 proponeva impugnazione avverso il citato decreto affidandolo a due doglianze: a) si duoleva anzitutto del fatto che nonostante l'espressa previsione di cui all'art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286/1998 non era stata informata dei diritti e doveri dello straniero in ordine all'ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale; b) si duoleva, inoltre, del fatto che la sanzione, comminata con il provvedimento impugnato, di non fare ritorno in Italia per cinque anni si rivelava non solo spropositata e irrazionale vista la legittimita' dell'ingresso nel territorio nazionale, ma soprattutto ingiusta se rapportata al medesimo trattamento riservato ai cittadini entrati clandestinamente. Sulla base di tali doglianze la Chuyanava Viktorya instava per il parziale annullamento del decreto di espulsione limitatamente alla parte sanzionatoria e contestualmente prospettava eccezione di non manifesta infondatezza di costituzionalita' dell'art. 13, comma 14, del d.lgs. n. 286/1998 in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 16 Cost. e al principio della ragionevolezza e proporzionalita' della sanzione; che all'udienza di discussione dell 8 febbraio 2007 la difesa della ricorrente ribadiva i dubbi di costituzionalita' anche con memoria dd. 7 febbraio 2007; che l'Amministrazione resistente non si presentava all'udienza di discussione ancorche' con comparsa di risposta e costituzione in giudizio dd. 7 novembre 2006 avesse chiesto il rigetto del ricorso. Il giudicante, essendo pacifici e non contestati i fatti di causa, ritiene che la relativa decisione postuli l'applicazione degli artt. 4 e 13, comma 2, lett. b) e comma 14 del d.lgs. n. 286/1998 nei cui confronti la ricorrente ha appuntato i dubbi di costituzionalita' che appaiono condivisibili per i seguenti M o t i v i La suprema Corte di cassazione con giurisprudenza ormai consolidata (Cass. civ. n. 15174/2000; n. 15832/2001; n. 5825/2006) ritiene che il prefetto e' tenuto, ai sensi dell'art. 13, comma 2, lett. b), ad emettere il decreto di espulsione dello straniero che si e' trattenuto nel territorio dello Stato italiano senza aver richiesto il permesso di soggiorno entro il termine di otto giorni, salvo che il ritardo sia dipeso da «forza maggiore». Secondo la suprema Corte di cassazione la «forza maggiore» costituente causa di non punibilita' ex art. 45 c.p. deve connotarsi come impedimento assoluto «tale da rendere vano ogni sforzo umano» e che derivi da «cause esterne e non sia imputabile a chi la invochi» (Cass. pen. n. 2103/1999; Cass. civ. n. 5584/1998; Cass. civ. n. 8561/1998 e Cass. civ. n. 9738/2000). Alla stregua della regola di diritto vivente derivante dalla citata giurisprudenza non par dubbio che il decreto di espulsione costituisce un atto dovuto per il prefetto giacche' l'esimente della «forza maggiore» espressamente prevista dalla norma in esame ed idoneo a recidere il nesso psicologico dell'atto illecito - permanenza nel territorio nazionale senza permesso di soggiorno - deve connotarsi, secondo la citata giurisprudenza, come "vis cui resisti non potest". Nella fattispecie concreta, pero', la ricorrente non ha invocato la «forza maggiore» oggettiva e cioe' quale fattore esteriore ed indipendente dalla volonta' del soggetto, ma l'ignoranza legis, ovvero l'inscentia, determinata da comportamento colpevole dell'amministrazione e costituente l'antecedente logico-fattuale della stessa «forza maggiore». E' indubbio che l'ignoranza legis opera automaticamente sul cittadino extracomunitario, non potendo dispiegare efficacia nei suoi confronti il principio della presunzione della conoscenza delle leggi statuali, non avendo accesso alle c.d. fonti di cognizione e versandosi, qui, in ipotesi di norma non riconducibile nell'alveo dello jus naturale, percepibile ex se da ogni persona umana. Per comprendere la difficolta' in cui versa il cittadino extracomunitario in Italia basti pensare all'illustre giurista italiano, che per turismo si trovi in Cina e non conosca quella lingua, quanta «inumana diligenza» dovrebbe utilizzare per rispettare le leggi sull'immigrazione di quel Paese. E' proprio questa naturale difficolta' che il legislatore ha voluto tenere in debita considerazione nel disporre a carico dell'autorita' diplomatica o consolare italiana l'onere di consegnare allo straniero una comunicazione scritta in lingua a lui comprensibile che illustri i suoi diritti e doveri relativi all'ingresso e al soggiorno. Trattasi, quindi, di un adempimento imposto alla p.a. proprio a tutela dell'insopprimibile esigenza dell'uomo a circolare liberamente quale diritto della persona umana come garantito dagli artt. 2 e 16 Cost. e di cui l'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 286/1998 costituente il giusto corollario. La violazione di tale obbligo, ancorche' non espressamente sanzionato dal legislatore, non puo' ritenersi sfornita di qualsivoglia rilievo giuridico perche' altrimenti si tradurrebbe in un'attivita' inutile si' da conferire alla norma di cui all'art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 286/1998 (sicuramente applicabile alla fattispecie concreta) un inammissibile portato d'irrazionalita'. Seguendo un'interpretazione non solo logica, ma anche teleologica della norma in esame e' evidente che la stretta osservanza dell'obbligazione posta a carico dell'amministrazione mira proprio ad evitare l'ignoranza legis in capo al cittadino extracomunitario cosi' da impedire allo stesso di invocare legittimamente l'ignoranza legis non altrimenti evitabile in applicazione del principio affermato nella sentenza n. 364/1988 della Corte cost. Quanto sin qui detto evidenzia come il cittadino extracomumtario si trovi, sia per la non conoscenza della lingua e sia per l'oggettiva inscentia della legge italiana, di fatto impossibilitato a rispettare una norma di cui non gli si e' consentito di avere piena contezza. E' indubbio che il comportamento omissivo della p.a. determina in capo al cittadino extracomunitario il difetto dell'elemento psicologico idoneo, non gia' ad impedire l'adozione del provvedimento di espulsione, che com'e' noto dipende dal fatto oggettivo dell'assenza di permesso di soggiorno, ma ad integrare un valido esimente all'irrogazione della sanzione del divieto di rientro sul territorio nazionale per un periodo compreso tra i cinque e i dieci anni. Tale sanzione consegue all'espulsione in modo automatico senza che l'autorita' giudiziaria possa esimersi dall'applicarla in termini meccanicistici e senza cioe' valutare il singolo grado di compromessa legalita'. Il criterio meccanicistico che il prefetto e soprattutto il giudice si trova costretto ad utilizzare comporta la violazione del principio di graduazione delle sanzioni e soprattutto di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. che, pur facendo espresso riferimento ai «cittadini», non puo' non trovare piena ed integrale applicazione anche nei confronti degli stranieri extracomunitari in ragione dell'art. 10 Cost. e delle norme di diritto internazionale consuetudinario e pattizio riconosciute dallo Stato italiano. Tale criterio importa che il cittadino extracomunitario entrato in territorio nazionale legittimamente, per il solo fatto di non aver incolpevolmente chiesto il permesso di soggiorno entro il termine di otto giorni, e' assoggettato alla sanzione del divieto di farvi ritorno per un periodo minimo di cinque anni al pari del cittadino extracomunitario entrato clandestinamente. Due comportamenti diversi sono, quindi, assoggettati alla stessa sanzione cosi' determinando una patente violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza.
P. Q. M. Dichiara la non manifesta infondatezza e la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 2, lett. b) e 14, d.lgs. n. 286/1998 in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27 Cost. nella parte in cui prevede l'automatica irrogazione della sanzione del divieto di rientro nel territorio nazionale per un periodo minimo di cinque anni anche per gli extracomunitari entrati legittimamente e non informati dei diritti e doveri relativi all'ingresso e al soggiorno in Italia. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria questa ordinanza sia notificata alle parti in causa, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; trasmettendo alla Corte costituzionale insieme agli atti la prova delle predette notifiche. Udine, addi' 18 marzo 2007 Il giudice di pace: Simboli 07C1071