N. 636 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 aprile 2007

Ordinanza  emessa  il  27  aprile  2007  dal  tribunale  di  Como nel
procedimento penale a carico di Dormishi Andi

Straniero  -  Espulsione  amministrativa  - Divieto di espulsione del
  convivente  more  uxorio  con  cittadino  italiano - Ingiustificato
  deteriore trattamento del convivente more uxorio rispetto al marito
  -  Violazione  di  diritto fondamentale della persona - Lesione del
  principio  di  uguaglianza  - Lesione del principio di tutela della
  famiglia naturale.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 13, comma 3-bis,
  come  modificato dall'art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002,
  n. 189.
- Costituzione, artt. 2, 3, 29 e 30.
Straniero  -  Espulsione  amministrativa  -  Nulla  osta  del giudice
  all'atto di convalida - Automaticita' del provvedimento del giudice
  -  Irragionevolezza  -  Lesione  del  diritto di difesa - Incidenza
  sulle  norme  di diritto internazionale generalmente riconosciute -
  Violazione dei principi del giusto processo.
- Decreto  legislativo  25 luglio  1998,  b.  286,  art. 19, comma 2,
  lett. c).
- Costituzione, artt. 3, 10, 24 e 111.
(GU n.37 del 26-9-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Pronunziando  nel  procedimento  n. 684/2007  RGNR  e n. 174/2007
R.Trib a carico di Dormishi Andi nato a Durazzo il 7 gennaio 1984:
        arrestato   in   flagranza  del  reato  di  cui  all'art. 14,
comma 5-ter,  d.lgs.  n. 286/1998 cosi' come modificato dall'art. 13,
comma  5-ter  e  quinquies,  legge  n. 189/2002  (unitamente ad altra
persona, Louhichi Sofian, la cui posizione e' stata stralciata);
        sciogliendo  la  riserva  assunta  in  data  5 aprile 2007 in
ordine  alla  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 19,  comma 2,
lett. c) del d.lgs. n. 286/1998 sollevata dal difensore dell'imputato
avv. Francesca Binaghi alla predetta udienza, sentite le osservazioni
del p.m., rileva quanto segue.
La  questione di illegittimita' sollevata dal difensore dell'imputato
avv. Francesca Binaghi.
    La  questione sollevata, oltre ad apparire rilevante perche' deve
trovare concreta applicazione nel presente giudizio, appare anche non
manifestamente infondata.
    L'imputato   Dormishi   deve  rispondere  in  questa  sede  della
violazione  dell'art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286/1998 perche',
quale   cittadino  straniero  colpito  dall'ordine  del  questore  di
lasciare  il  territorio  dello  Stato  non  ha  ottemperato  a  tale
intimazione  se  e'  vero  come  e'  vero  che  e'  stato  fermato e,
conseguentemente,  arrestato  in  Fenegro'  a  bordo  di un autocarro
condotto da altra persona (vedi il provvedimento del Questore di Como
del  23 maggio  2006 disposto in esecuzione del decreto di espulsione
del Prefetto di Como emesso in pari data).
    L'istruttoria  dibattimentale  condotta  subito dopo la convalida
dell'arresto  a  seguito  dell'instaurazione del rito direttissimo ha
permesso  di  accertare  che  il  Dormishi  risiede in Italia gia' da
quando  era  minorenne nel 1999 e che da anni convive stabilmente con
una  cittadina  italiana  con  la  quale  ha  instaurato  una stabile
relazione  affettiva  tante' che e' in attesa di contrarre matrimonio
con lei al piu' presto.
    Le  dichiarazioni  rese  sul  punto  dall'arrestato  in  sede  di
interrogatorio,  infatti, hanno trovato pieno riscontro nei documenti
e nelle deposizioni testimoniali acquisite.
     Emerge dagli atti che il Dormishi, giunto in Italia nel 1999, in
quanto  minorenne  senza  fissa dimora e senza alcun familiare che si
facesse carico di lui, e' stato affidato al Comune di Como per essere
collocato  in  idonea  struttura  (vedi  il decreto del Tribunale dei
minorenni di Milano del 4 ottobre 1999).
    Risulta altresi' che egli venne collocato presso la Casa Famiglia
di  Como e che ebbe modo di seguire un percorso di crescita personale
oltre  che di avviamento ed inserimento lavorativo poiche' frequento'
un  corso di lingua italiana ed uno di addetto ai servizi alberghieri
in  cio' seguito dai volontari del «Coordinamento Comasco Profughi ed
Emigrati»:  il  che indusse il Tribunale dei minorenni a disporre che
il  suo  affidamento  al  Comune  di  Como  proseguisse anche dopo il
compimento  della  maggiore eta' e fino al compimento del ventunesimo
anno  (vedi  il  decreto  del  Tribunale  dei minorenni di Milano del
17 dicembre  2001  e  vedi  altresi'  la  copia del primo permesso di
soggiorno rilasciato al Dormishi in data 5 ottobre 1999 per motivi di
«affidamento»).
    E'  infine,  documentato  in  atti  che  il  Dormishi  scaduto il
ventunesimo  anno  di eta' nonostante il mancato rinnovo del permesso
di  soggiorno  (di  cui  l'arrestato  e' pacificamente sprovvisto) ha
continuato  a risiedere in Italia dove, nel frattempo ha iniziato una
stabile relazione affettiva con una donna italiana separata in attesa
di  divorzio, Tedesco Margherita, relazione affettiva che, a far data
dal 2005 si e' tradotta in una stabile convivenza.
    Anche  in  questo  caso  le  dichiarazioni  rilasciate  sul punto
dall'arrestato  hanno  trovato  pieno  conforto  oltre  che in alcuni
documenti  (vedi  ad  esempio  il  verbale  di  denuncia  di furto di
autovettura  che  l'arrestato  presento'  in  data 15 marzo 2006 alla
Stazione  dei carabinieri di Lurate Caccivio dando atto di abitare in
Albiolo  in  via  Patriarca  n. 12,  che  e' esattamente l'abitazione
intestata a Tedesco Margherita come risulta, ad esempio dalla fattura
commerciale  intestata  alla  donna  e  relativa  alla  tassa rifiuti
dell'anno 2005; vedi altresi' la dichiarazione sostitutiva di atto di
notorieta'  datata  12 febbraio  2007  con  cui  la donna dichiara di
essere  convivente  con il Dormishi dal 2005 e di avere vissuto prima
in  Albiolo in via Petrarca, n. 12 e poi in Beregazzo con Figliaro in
via  Risorgimento,  n. 6)  anche  nelle  dichiarazioni  rilasciate in
pubblico  dibattimento  sia dalla stessa Tedesco Margherita (la quale
ha  confermato  di  convivere  con  il Dormishi gia' da tre anni e di
essere  in attesa della sentenza di divorzio per contrarre matrimonio
con  lui)  e  soprattutto  dal  teste  Capiaghi  Luigi Presidente del
Coordinamento  Comasco  Profughi  e Immigrati di Sagnino (il quale ha
confermato  di avere frequentato negli anni l'abitazione del Dormishi
che,  a sua memoria, da oltre tre anni vive con la signora Tedesco la
quale sta aspettando il divorzio per coniugarsi con lui).
    Siamo  pertanto  a fronte di una relazione di convivenza di fatto
che  non  e'  semplicemente  dichiarata  dagli  interessati ma che e'
ampiamente  comprovata  da  riscontri documentali e testimoniali, una
relazione  che  per la sua stabilita' e per la sua natura meriterebbe
di ricevere la stessa tutela che, nell'attuale ordinamento, riceve la
stabile  convivenza  con una persona italiana con cui si e' contratto
matrimonio.
    Ed   invece,   mentre  in  tale  ultimo  caso  lo  stesso  d.lgs.
n. 286/1998 all'art. 19, comma 2, lett. c), operando un bilanciamento
tra  l'interesse costituzionalmente protetto alla tutela della vita e
degli  affetti  familiari  e  quello di regolamentare l'accesso degli
stranieri  nel  territorio nazionale, vieta che possa essere disposta
l'espulsione dello straniero, nel primo caso, ovvero nel caso che qui
ci   riguarda,   nulla   e'   detto  e,  pertanto,  alla  luce  della
interpretazione   letterale   e  sistematica  della  norma  l'odierno
arrestato  non  ha  alcun  diritto di restare nel territorio italiano
dove  ha  ormai  intrapreso  un evidente percorso di integrazione per
avere  scelto  da  anni di convivere e di condividere la sua vita con
una cittadina italiana.
    E   neppure  e'  in  alcun  modo  possibile  una  interpretazione
adeguatrice  della  norma  invocata  in  maniera  tale  da  ritenerla
applicabile  anche  al caso concreto: lo si e' gia' detto che il dato
letterale  e'  esplicito  sul  punto  (ed elenca casi specifici tra i
quali  non  rientra quello che qui ci occupa) e peraltro il carattere
derogatorio  dell'art. 19  del  d.lgs.  n. 286/1998  ne impedisce una
interpretazione analogica ad altri casi in essa non contemplati.
    Pertanto,  nel caso di specie, coerentemente il Prefetto di Como,
considerato  che  l'imputato  non  e' piu' in possesso di un regolare
permesso  di  soggiorno,  ha  emesso nei suoi confronti un decreto di
espulsione  (vedi  il decreto del 23 maggio 2006) ed in esecuzione di
tale decreto il questore ha notificato all'arrestato l'intimazione ad
allontanarsi   dal   territorio  nazionale  (vedi  l'intimazione  del
23 maggio 2006).
    Occorre,   a  questo  punto,  chiedersi  se  tale  disparita'  di
trattamento possa essere ritenuta ragionevole quando la situazione di
fatto presupposta sia assolutamente identica, ovvero quando, come nel
caso  di  specie, vi sia in atto da anni una stabile ed assolutamente
verificata  convivenza  tra  uno  straniero  extracomunitario  ed una
cittadina  italiana  e  l'unico distinguo risieda nel fatto che in un
caso  il  vincolo  affettivo  e  di  convivenza  e'  certificato  dal
matrimonio e nell'altro caso no.
    E  per  interrogarsi  sulla  ragionevolezza  della  disparita' di
trattamento  occorre  interrogarsi  sulla ratio della norma di cui si
invoca  l'incostituzionalita' per verificare se la mancata previsione
del  divieto  di  espulsione  di  un extracomunitario che stabilmente
convive,  pur senza essere sposato, con una cittadina italiana, possa
essere ritenuto ragionevole.
    Sul  punto  non  puo' non rilevarsi che la norma nella sua ratio,
sicuramente  pone  l'accento  sulla  realta'  sociale  della  stabile
convivenza  con  una persona italiana e non sulla unione formalizzata
tra  due persone conviventi: ne e' riprova il fatto che il divieto di
espulsione  e'  previsto  anche in caso di convivenza persona diversa
dal  coniuge  laddove  stabilisce  che  non  puo'  essere  espulso lo
straniero   extracomunitario  che  conviva  con  un  parente,  sempre
italiano, entro il quarto grado.
    Per  questo  appare  contrario  ad un principio di ragionevolezza
escludere  dalla tutela una relazione interpersonale tra un cittadino
extracomunitario  ed  una cittadina italiana che presenti i caratteri
di  tendenziale  stabilita', natura affettiva e parafamiliare, che si
esplichi  in  una  comunanza di vita e di interessi e nella reciproca
assistenza materiale e morale sol perche' tale relazione non e' stata
mai ufficializzata con un matrimonio.
    Che la norma intenda tutelare la realta' sottesa di fatto, ovvero
l'effettiva e stabile e duratura convivenza tra una persona straniera
ed  una  persona  italiana  trova  conferma nel fatto che il semplice
vincolo  del matrimonio di per se' non e' sufficiente ad impedire che
lo  straniero  venga  espulso  occorrendo a tal fine che sia comunque
dimostrata  una  convivenza:  infatti  l'art. 19,  comma 2,  lett. c)
testualmente  vieta  l'espulsione degli stranieri «... conviventi con
parenti  entro  il  quarto  grado  o  con  il coniuge di nazionalita'
italiana  ...»: pertanto e' irragionevole che tale vincolo formale di
per  se'  costituisca  il  discrimine  e  che la comprovata e stabile
comunanza  di vita, di interessi, di affetti non assuma alcun rilievo
sol perche' non esiste un riconoscimento formale della convivenza.
    D'altronde   tale   relazione   di   fatto,   oltre   ad   essere
costituzionalmente  protetta  ai sensi dell'art. 2 della Costituzione
(trattandosi  di  formazione sociale nel cui ambito puo' svolgersi la
personalita'   dell'individuo),   in   linea   con  la  significativa
evoluzione  sociale,  ha  progressivamente  assunto rilievo giuridico
perche' esprime caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia
stricto sensu intesa ovvero quella fondata sul matrimonio.
    Se  questa  e'  la ratio legis della norma oggi invocata e che si
vorrebbe potesse essere applicata anche al caso concreto di cui ci si
occupa,  e'  irragionevole  che nell'elencazione dei soggetti che non
possono    essere    espulsi   non   compaia   anche   il   cittadino
extracomunitario sprovvisto di permesso di soggiorno che convive more
uxorio ma stabilmente con una cittadina italiana.
    Una  volta  che  il  legislatore  ha  riconosciuto  l'esigenza di
operare  una  deroga  al  principio  generale  in  base  al  quale lo
straniero  extracomunitario  sprovvisto di permesso di soggiorno deve
essere  espulso  non puo' non realizzare interamente le finalita' che
con  tale  deroga ha voluto perseguire che sono nella sostanza quelle
di  evitare  lo smembramento di nuclei familiari che si sono di fatto
instaurati  con  un  regime  di  stabilita'  e  che si caratterizzano
perche'  il  legame  affettivo  e  di convivenza si e' saldato con un
cittadino  od  una  cittadina italiana, il che lascia presupporre che
quello  straniero  e'  una  persona  che ha intrapreso un percorso di
piena integrazione nel territorio italiano.
    Insomma  si  intende qui invocare l'art. 3 della Costituzione non
tanto  per  la sua portata uguagliatrice, perche' non v'e' dubbio che
la  condizione  del  coniuge e' diversa da quella del convivente more
uxorio, ma per la irrazionalita' e la contraddittorieta' logica della
scelta  discrezionale  operata dal legislatore nel caso di specie: la
situazione  della  stabile  convivenza  tra  il  cittadino  straniero
extracomunitario   e   la   cittadina   italiana   e'   assolutamente
comparabile,  perche'  assolutamente  analoga,  alla  situazione  del
cittadino   straniero   extracomunitario   convivente  con  cittadina
italiana con la quale abbia anche contratto matrimonio.
    L'ufficializzazione  del matrimonio nel caso di specie ha il solo
scopo  di  offrire  una  migliore  garanzia  in ordine alla effettiva
esistenza  della  situazione  di  fatto  sottesa che la norma intende
tutelare  che  e'  quella  della  stabile  relazione  affettiva ormai
instauratasi  tra lo straniero e la cittadina italiana: e nel caso in
cui,  come  nel  caso  di  specie,  pur in assenza di un contratto di
matrimonio,   tale   stabile   relazione   affettiva  sia  ampiamente
comprovata,  ogni  disparita'  di  trattamento  tra le due situazioni
assolutamente comparabili appare irragionevole ed irrazionale.
    Questo perche' il divieto di espulsione di cui all'art. 19, lett.
c)  del  d.lgs.  n. 286/1998 intende in realta' offrire tutela ad una
situazione   di  fatto,  ovvero  all'abituale  e  stabile  convivenza
affettiva  di  uno  straniero  con  una  persona  italiana in base al
ragionevole  presupposto  che  tale  tipo  di  relazione di fatto sia
significativa  di  pieno  e stabile inserimento dello straniero nella
societa'  italiana:  ecco  perche'  discriminare  la  posizione dello
straniero  che  conviva  stabilmente con la cittadina italiana avendo
contratto  matrimonio  rispetto  a quella dello straniero che conviva
senza avere contratto matrimonio appare manifestamente irragionevole.
    D'altra  parte e' stata la stessa Corte costituzionale in passato
a  ribadire che: «... la distinta considerazione costituzionale della
convivenza   e   del   rapporto  coniugale  non  esclude  affatto  la
comparabilita'   delle  discipline  riguardanti  aspetti  particolari
dell'una  e  dell'altra  che  possono presentare analogie ai fini del
controllo  di  ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione ...» (vedi
Corte  cost.,  sent. n. 8 del 1996 e Corte cost. ord. n. 121/2004): e
nel  caso  di  specie, per le ragioni suesposte non v'e' razionalita'
nel tenere distinta la posizione del convivente more uxorio da quella
del convivente sposato.
    Ne', come chiarito dalla stessa Corte costituzionale con sentenza
n. 416/1996  una  declaratoria  di  incostituzionalita'  che porti ad
aggiungere all'art. 19, lett. c) del d.lgs. n. 286/1998 altre ipotesi
di  divieti di espulsione rispetto a quelli gia' previsti dalla norma
deve ritenersi vietato dal carattere derogatorio della norma rispetto
alla regola generale in base alla quale gli stranieri extracomunitari
possono trattenersi in territorio italiano solo se muniti di permesso
di soggiorno.
    Il  legislatore,  infatti, «... una volta riconosciuta l'esigenza
di un'eccezione rispetto ad una normativa piu' generale, non puo', in
mancanza   di   un  giustificato  motivo,  esimersi  dal  realizzarne
integralmente   la   ratio   senza   per   cio'   stesso  peccare  di
irrazionalita'...».
Altre questioni di illegittimita' sollevate d'ufficio.
    Ritiene  altresi'  il giudice di dovere sollevare altra questione
di   illegittimita'   costituzionale,  con  riferimento  all'art. 13,
comma 3-bis  laddove  prevede che «nel caso di arresto in flagranza o
di fermo, il giudice rilascia il nulla osta all'atto della convalida,
salvo  che  applichi la misura della custodia cautelare in carcere ai
sensi  dell'art. 391  comma  5, del codice di procedura penale, o che
ricorra  una  delle  ragioni  per  il quale il nulla osta puo' essere
negato ai sensi del comma 3».
    Dalla  rigorosa  applicazione  del disposto di cui al comma 3-bis
dell'art. 13  del  d.lgs.  n. 286/1998  consegue  l'obbligo,  per  il
giudice  che ha convalidato l'arresto, del rilascio del nulla osta al
questore   affinche'   venga   disposta  l'espulsione  dell'imputato.
Espulsione  che,  nel caso in esame, consistera' nell'accompagnamento
dello straniero alla frontiera a mezzo della forza pubblica.
    L'imputato,  dunque,  a  seguito dell'obbligato rilascio di nulla
osta  dovrebbe essere immediatamente espulso con accompagnamento alla
frontiera.
    L'art. 17  del d.lgs. n. 286/1998, intitolato «diritto di difesa»
dispone,   a  sua  volta,  che  «lo  straniero  parte  offesa  ovvero
sottoposto a procedimento penale e' autorizzato a rientrare in Italia
per  il  tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di
difesa,  al  solo  fine di partecipare al giudizio o al compimento di
atti  per  i quali e' necessaria la sua presenza. L'autorizzazione e'
rilasciata  dal  questore  anche per il tramite di una rappresentanza
diplomatica o consolare su documentata richiesta della parte offesa o
dell'imputato o del difensore».
    La  disciplina  richiamata  determina  infatti un automatismo nel
rilascio  del  nulla  osta, al quale consegue la espulsione immediata
dello  straniero  eseguita dal questore mediante accompagnamento alla
frontiera.
    Tale  disciplina  contrasta  con  la  possibilita'  e  il diritto
(costituzionalmente garantito) per l'imputato di difendersi, e dunque
di  fare emergere anche ed eventualmente il proprio diritto ad essere
nel territorio dello Stato italiano.
    La  questione  sollevata deve essere ritenuta, pertanto rilevante
sia  con  riferimento  all'art. 10  della  Costituzione,  e dunque in
considerazione    della    condizione   giuridica   dello   straniero
(soprattutto  ove  vengano  in  rilievo, a seguito della applicazione
della normativa censurata, lesioni di diritti e liberta' fondamentali
democratiche  garantite  dalla  nostra Costituzione, e cio' nel senso
che una immediata espulsione potrebbe portare il soggetto straniero a
rientrare  in  uno Stato dove appunto per la sua condizione personale
tali  liberta' non siano attribuite e garantite), che con riferimento
all'art. 24  (correlato  per  i motivi che seguono all'art. 111 della
Costituzione).
    Difatti la applicazione rigorosa della disciplina di legge di cui
all'art. 13  del  d.lgs.  n. 286/1998 comporterebbe una sostanziale e
concreta lesione del diritto dell'imputato in un procedimento penale,
qualunque  sia  la  nazionalita' dello stesso, ad una piena difesa ex
art. 24  della  Costituzione  e  ad  un  giusto  processo  (con pieno
svolgimento  delle  funzioni  connesse alla difesa) ex art. 111 della
Costituzione.
    In  particolare,  quanto  all'art. 10,  occorre  considerare come
sebbene  sia  stata  per  lungo tempo sostenuta la teoria del dominio
riservato dello Stato quanto alla gestione della condizione giuridica
dello  straniero, tuttavia tale principio abbia subito una costante e
progressiva   erosione  in  virtu'  di  interpretazione  sopravvenuta
secondo  la  quale  lo  Stato  italiano  e'  tenuto  a  parificare 1a
condizione  giuridica dello straniero a quella dei cittadini tutte le
volte che cio' non contrasti con i suoi preminenti interessi.
    Tale  principio e' chiaramente deducibile dalla previsione di cui
all'art. 10,  secondo  comma  e  terzo  comma della Costituzione, che
richiama  la  tutela  dei  diritti inviolabili dell'uomo e il diritto
all'asilo,  con l'unico limite rappresentato dalla impossibilita' per
lo   straniero  di  esercitare  diritti  e  doveri  politici,  ovvero
situazioni   giuridiche   strettamente   connesse  alla  qualita'  di
cittadino.
    Dalla  applicazione  di  tali principi consegue il riconoscimento
del  diritto  dello  straniero a soggiornare nello Stato italiano sia
alle  condizioni  ordinarie  previste  dalla  legge  (per effetto del
rilascio  del  permesso  di  soggiorno)  che  in  considerazione  del
riconoscimento   di   eventuale   diritto  di  asilo  (o  diritto  al
ricongiungimento familiare o altre ipotesi previste dalla legge).
    Tali  principi  interpretativi  risultano  tra  l'altro  recepiti
nell'ordinamento  giuridico  italiano  anche  nella previsione di cui
all'art. 2  del  d.lgs.  n. 286/1998,  nonche' dall'art. 10, comma 4,
d.lgs.  n. 286/1998, secondo il quale le norme sul respingimento alle
frontiere e sulla espulsione non si applicano nei casi previsti dalle
disposizioni   vigenti   che   disciplinano   l'asilo   politico,  il
riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la adozione di misure
di protezione temporanea per motivi umanitari.
    In  tal  senso  si ritiene rilevante la questione di legittimita'
costituzionale  nel  senso che occorra verificare la irragionevolezza
di  una disposizione che mediante un automatismo «irrazionale» (Corte
cost.   n. 174/1997)   impedisce   al   giudice   una   verifica  del
bilanciamento degli interessi coinvolti (ovvero gestione efficace dei
flussi   di   immigrazione   clandestina   e   diritto  di  difesa  e
partecipazione  dello straniero al processo, anche per fare valere la
ricorrenza di diritti tutelati ex art. 10 della Costituzione).
    Inoltre si valuta in senso positivo la fondatezza della questione
sollevata  poiche'  l'automatismo previsto appare limitativo e avulso
dal  contesto dei diritti fondamentali del nostro ordinamento, mentre
sembrerebbe  opportuno  riscontrare  la  necessita' o meno che sia il
giudice  in  sede  giurisdizionale,  sulla base del suo apprezzamento
prudente,  a  distinguere  le  diverse  condotte  da  sussumere nella
astratta   previsione   di   legge   (Corte   cost.  n. 24/1989),  od
eventualmente  per  assicurare  in  caso  di vuoto normativo adeguata
tutela dei diritti costituzionali.
    In   concreto   la  previsione  di  cui  all'art. 17  del  d.lgs.
n. 286/1998  non  appare  adeguata  allo  scopo di garantire un pieno
diritto   di   difesa   del   soggetto  straniero  oggetto  di  nuovo
provvedimento   di   espulsione   (art. 14,   comma   5-ter,   d.lgs.
n. 286/1998):  sembra  predisporre  una  garanzia di difesa meramente
formale  e non volta a rendere possibile una sostanziale ed effettiva
difesa e partecipazione del soggetto straniero imputato al processo.
    In  tal  senso non puo' non essere rilevato come dalla espulsione
con  accompagnamento  alla  frontiera conseguano per lo straniero una
serie  di effetti onerosissimi e tali da rendere di fatto impossibile
la  partecipazione  dell'imputato al processo e la predisposizione di
una valida difesa dello stesso.
    Sara'  difatti estremamente improbabile che i soggetti arrestati,
perche'  nelle  condizioni  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs.
n. 286/1998  come  il Sali Habib, riescano ad essere nelle condizioni
economiche  e  materiali  necessarie  per  ottenere  il  permesso dal
questore,  mediante  rappresentanza  diplomatica e consolare e previa
adeguata  giustificazione,  per  rientrare  in  Italia  per  il tempo
strettamente   necessario  per  l'esercizio  del  diritto  di  difesa
(concetto   questo  quanto  mai  vago  e  con  cio'  suscettibile  di
interpretazioni varie e in senso restrittivo quanto al rientro) o per
gli altri incombenti previsti dalla norma.
    L'interprete  della  norma non puo' non considerare le condizioni
materiali  dei  soggetti coinvolti e destinatari della disciplina del
presente  procedimento,  e  dunque  la oggettiva impossibilita' degli
stessi,  una  volta  espulsi, di trovare adeguata protezione e tutela
nel disposto di cui all'art. 17 del d.lgs. n. 286/2002 contrariamente
a quanto previsto per ogni cittadino o straniero comunitario ai sensi
dell'art. 24 e 111 della Costituzione.
    Le   previsioni   costituzionali  citate  appunto  prevedono  per
l'imputato  la  possibilita' di essere informato nel piu' breve tempo
possibile  della  natura  e  dei  motivi  della  accusa elevata a suo
carico,  di  avere  a disposizione tempo e condizioni tali da rendere
possibile  una  adeguata  difesa,  di  essere  interrogato  o rendere
dichiarazioni  al  giudice,  di  interrogare  o  fare  interrogare le
persone  che  rendono  dichiarazioni  a  suo  carico,  di riuscire ad
acquisire ogni altro mezzo di prova a suo favore.
    Ne'  si puo' ritenere concretamente realizzabile una tale ipotesi
per  il  tramite  del  mandato  espletato dal difensore (molto spesso
nominato  d'ufficio  ai  sensi  della legge n. 60/2001), che dovrebbe
dunque  assumersi  l'onere  di  ricercare il soggetto imputato (nella
maggioranza   dei   casi   privo  di  fissa  dimora  e  di  mezzi  di
sussistenza),  di  predisporre i contatti tra lo stesso imputato e la
rappresentanza  consolare  o  diplomatica  di  apportare una adeguata
motivazione  allo  scopo  del rientro con conseguenti oneri economici
(che poi probabilmente andrebbero a gravare in capo allo Stato ove lo
straniero goda dei requisiti per accedere al patrocinio a spese dello
Stato   ex  art. 1,  comma  6  della  legge  n. 217/1990  e  seguenti
modifiche, con ulteriore irragionevolezza evidente quanto all'aumento
esponenziale dei costi di un tale procedimento penale).
    Ancora   occorre   evidenziare   come   la  disposizione  di  cui
all'art. 17  si presenti in contrasto, e dunque foriera di equivoci e
difficolta'  per  il  destinatario  quanto  all'esercizio del proprio
diritto  di  difesa,  con la previsione di cui all'art. 13, comma 13,
come   modificato  dalla  legge  n. 189/2002  secondo  il  quale  «lo
straniero espulso non puo' rientrare nel territorio dello Stato senza
una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno».
    Emerge  dunque  una disciplina ambigua o comunque contraddittoria
con  la  conseguenza che lo straniero potrebbe trovarsi a chiedere la
autorizzazione  al questore e poi essere ritenuto in difetto e dunque
passibile  di  nuova  e piu' grave sanzione per non aver richiesto la
autorizzazione anche al Ministro dell'interno.
    Una   ulteriore   previsione   di   legge   vale  a  rendere  non
manifestamente  infondata  a  parere  di  questo giudice la questione
sollevata  quanto  all'automatismo  del meccanismo di concessione del
nulla osta, dal quale consegue la espulsione con accompagnamento alla
frontiera.
    L'art. 13,  comma 3-quater prevede infatti che «nei casi previsti
dai  commi 3, 3-bis (caso in esame) e 3-ter, il giudice, acquisita la
prova  della  avvenuta  espulsione,  se non e' ancora stato emesso il
provvedimento  che  dispone  il  giudizio,  pronuncia sentenza di non
luogo a procedere».
    La  norma  sembra quasi prevedere un obbligo per il giudice e per
il pubblico ministero di bloccare l'esercizio della azione penale ove
sia  stata  effettivamente  eseguita  la  espulsione,  e  dunque  una
impossibilita'  per  lo  straniero arrestato di accedere ad un giusto
processo   quanto   ai   fatti   contestati   con  chiara  violazione
dell'art. 111 della Costituzione, dell'art. 24 Costituzione quanto al
diritto  di  difesa,  ed  ancora  dell'art. 3  della  Costituzione in
relazione  al  disposto  di  cui agli art. 5, commi 4 e 6 della legge
n. 848/1955  (ratifica  della  Convenzione  per  la  salvaguardia dei
diritti   dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali),  che  appunto
prevedono  il diritto per ogni persona privata della propria liberta'
con  un  arresto  a  presentare  un  ricorso  davanti ad un tribunale
affinche'  decida  sulla legittimita' della sua detenzione, ed ancora
il   diritto  a  che  la  sua  causa  sia  esaminata  imparzialmente,
pubblicamente  e  in  un  tempo  ragionevole da parte di un tribunale
indipendente e imparziale costituito dalla legge quanto al fondamento
di ogni accusa penale.
    In  sostanza la previsione predetta sembra superare tali principi
giungendo tra l'altro a configurare anche una ipotesi di contrarieta'
alla  previsione di cui all'art. 13 della Costituzione ipotizzando un
caso  di  restrizione della liberta' personale (arresto obbligatorio)
che  non  trova  il  suo naturale sbocco nel vaglio giurisdizionale e
nell'esercizio  della  azione  penale, che viene invece sostituita da
una  pronunzia  di  non  luogo  a procedere conseguente alla avvenuta
esecuzione della espulsione che consegue dal rilascio, obbligatorio e
sostanzialmente  automatico,  del nulla osta da parte della autorita'
giudiziaria.
    La   norma   predetta   poi  rivela  la  sua  irragionevolezza  e
incongruenza,  con  conseguenti difficolta' applicative e lesione del
diritto  di  difesa, anche in relazione al disposto dell'art. 14 come
modificato comma 5-quinquies del d.lgs. n. 286/1998, il quale prevede
che  «per  i reati previsti ai commi 5-ter e 5-quater e' obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del fatto e si procede con rito direttissimo.
Al  fine  di  assicurare  l'espulsione  il  questore  puo' disporre i
provvedimenti di cui al comma 1 del presente articolo».
    La  scelta  del legislatore con la quale si impone la adozione di
un  anomalo rito direttissimo «obbligatorio» si presenta in contrasto
non  solo  con  il principio di uguaglianza come sopra richiamato, ma
anche con il diritto di difesa.
    La  previsione  predetta  infatti non consente in concreto da una
parte  l'esercizio della azione penale secondo i canoni ordinamentali
generali  (il  pubblico  ministero ex art. 449. c.p.p. «se ritiene di
dover  procedere» puo' presentare direttamente l'imputato in stato di
arresto  davanti al giudice del dibattimento, cosa che potrebbe anche
non  accadere  ove,  acquisite  le necessarie informazioni, sentiti i
soggetti coinvolti, si renda conto che ricorrono circostanze concrete
che  possano  in  effetti  far  ritenere giustificata la presenza sul
territorio   dello   Stato   del  soggetto  arrestato  straniero),  e
dall'altra   un   pieno  esercizio  del  diritto  di  difesa  con  la
conseguente  possibilita'  di svolgere quelle indagini difensive (che
trovano  poi  il  loro referente e fondamento normativo nell'art. 111
della  Costituzione) che potrebbero condurre la autorita' giudiziaria
a riscontrare la presenza di una serie di cause giustificative quanto
alla imputazione contestata.
    Quanto  osservato  evidenzia  come  la  disciplina  richiamata si
presenti  lesiva  delle  garanzie fondamentali dell'imputato per come
sancite   dalla   Costituzione,   situazione   certamente   aggravata
dall'automatismo  del  meccanismo  di  concessione  del  nulla osta e
conseguente espulsione dell'imputato.
    Ed  ancora  e a conforto di quanto sopra esposto occorre rilevare
come  la  disciplina  di  cui  all'art. 13, comma 3-quater non appare
coordinata  con  quanto  previsto  dall'art. 14, comma 3-quinquies in
ordine alla eventuale necessita' di pronunziare sentenza di non luogo
a  procedere  quando  non e' ancora stato emesso il provvedimento che
dispone il giudizio.
    Appare  infatti  fuorviante,  e  certamente  crea  incertezza, la
coesistenza  tra  questa previsione e la disciplina appena richiamata
di rito obbligatorio direttissimo, con la conseguenza che il soggetto
straniero  imputato  ed  arrestato  si  trova  a  confronto con norme
contraddittorie  che  rallentano  la  possibilita'  di  un  effettivo
esercizio   del   diritto   di  difesa  per  come  costituzionalmente
garantito.
    In  tal  senso  e  concludendo  non  puo'  in generale non essere
richiamata   da   questo  giudice  la  irragionevolezza  della  norma
presupposto  della  disciplina  oggetto  di questione di legittimita'
costituzionale;  infatti  la  concessione del predetto nulla osta, in
sostanza  automatica,  con l'effetto che l'espulsione dello straniero
e'  una conseguenza necessaria del rilascio sostanzialmente dovuto da
parte  del  giudice  del  nulla  osta con evidente impossibilita' per
l'imputato di difendersi adeguatamente.
    Ad   ulteriore   conforto   della   rilevanza   e  non  manifesta
infondatezza  della  questione  occorre poi ricordare come secondo il
disposto  di  cui  all'art. 13, comma 3, d.lgs. come modificato dalla
legge   n. 189/2002  «il  nulla  osta  si  intende  concesso  qualora
l'autorita' giudiziaria non provveda entro quindici giorni dalla data
del  ricevimento  della  richiesta»  (e  conseguentemente  dalla data
dell'arresto per interpretazione analogica e secondo criteri generali
della norma).
    Quanto  alle  finalita'  della  normativa  citata,  e dunque alla
efficace  realizzazione dell'allontanamento dei soggetti sottoposti a
provvedimento   di   espulsione,   si   deve  osservare  come  appare
suscettibile  di  considerazione  una  normativa  con  la quale nuove
ipotesi  di  reato  a carico degli stranieri vengono ipotizzate senza
pero'  apprestare  quelle forme minime di tutela e garanzia di difesa
che  il  nostro ordinamento attribuisce ad ogni soggetto sottoposto a
procedimento penale.
    E  dunque  si pone il problema di una composizione di interessi e
finalita'  ordinamentali  sancite  sia  nella  legge che nei principi
costituzionali,  e  relativi  da  una parte alla concreta ed efficace
gestione  dei  flussi  di  immigrazione clandestina e dall'altra alla
tutela   dell'imputato   a   partecipare  al  proprio  processo  e  a
predisporre una adeguata difesa.
    Tale    finalita'    sarebbe   ovviamente   frustrata   a   causa
dell'automatismo   del  meccanismo  di  concessione  del  nulla  osta
previsto e oggetto della odierna censura, considerato altresi' che al
giudice  penale  adito  con  rito  direttissimo  obbligatorio  non e'
presentata  la documentazione relativa al provvedimento di espulsione
e  di  tutti gli atti del procedimento relativo, con la conseguente e
oggettiva  impossibilita'  di  valutarne la legittimita' e di rendere
possibile al riguardo l'esercizio un completo diritto di difesa.
    Da  cio'  consegue  che  l'accertamento  del giudice designato si
risolverebbe  nel mero riscontro della ricorrenza di un provvedimento
di  espulsione  e nella impossibilita' di vagliare, quale conseguenza
dell'esercizio  del  diritto  di  difesa  la  esistenza  di eventuali
elementi  e  cause  di  giustificazione  quanto alle nuove ipotesi di
reato  introdotte,  con  emissione  obbligatoria  del  nulla  osta  e
conseguente espulsione dello straniero arrestato.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge n. 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 19,  comma 2,  lett.  c)  del
d.lgs. n. 296/1998, nella parte in cui non contempla tra i divieti di
espulsione e di respingimento dello straniero il caso dello straniero
che   conviva  more  uxorio  con  cittadina  italiana  in  violazione
dell'art. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione la
questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art. 13,  legge
n. 286/1998,   comma   3-bis   cosi'   come  modificato  dalla  legge
n. 189/2002  laddove  prevede il nullaosta del giudice all'espulsione
per violazione degli art. 3, 10, 24 e 111 della Costituzione;
    Dispone   la   sospensione   del   procedimento  e  la  immediata
trasmissione   degli   atti  del  presente  procedimento  alla  Corte
costituzionale;
    Dispone  la  sospensione di ogni effetto e conseguenza allo stato
legato  alla  emissione  del nulla osta nei confronti dell'imputato e
dispone   che   del   presente  provvedimento  venga  data  immediata
comunicazione alla questura territorialmente competente;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  all'imputato, al difensore e al pubblico ministero, ed al
Presidente del Consiglio dei ministri e che venga altresi' comunicata
al  Presidente  della  Camera dei deputati e al Presidente del Senato
della Repubblica.
        Como, addi' 5 aprile 2007
                        Il giudice: Lo Gatto
07C1125