N. 713 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 giugno 2007
Ordinanza emessa il 12 giugno 2007 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Lagana' Enzo Processo penale - Dibattimento - Nuove contestazioni - Contestazione suppletiva tardiva da parte del pubblico ministero di circostanze aggravanti, in particolare della recidiva - Rimessione in termini dell'imputato per la richiesta del rito abbreviato - Mancata previsione - Ingiustificata disparita' di trattamento tra imputati - Lesione del diritto di difesa e del diritto al giusto processo. - Codice di procedura penale, art. 517. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.(GU n.41 del 24-10-2007 )
IL TRIBUNALE Decidendo sull'istanza presentata dalla difesa di Lagana' Enzo all'udienza del 23 febbraio 2007 di adozione di un'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 517 c.p.p., per contrasto con l'art. 111 Cost., nella parte in cui non consente all'imputato, in caso di contestazione da parte del pubblico ministero della circostanza aggravante della recidiva, di essere rimesso in termini per la richiesta di definizione del processo con il rito abbreviato O s s e r v a Con decreto di citazione diretta a giudizio emesso in data 5 ottobre 2005 dal sost. proc. dott. Francesco Dall'Olio Lagana' Enzo veniva tratto a giudizio per rispondere dei delitti di cui all'art. 640 c.p. e all'art. 648 c.p. All'udienza del 20 febbraio 2006, conclusa la fase di verifica della regolare instaurazione del rapporto processuale con la declaratoria di contumacia dell'imputato, il giudice dichiarava aperto il dibattimento, raccoglieva le istanze istruttorie delle parti ed ammetteva l'assunzione dei mezzi di prova da esse richiesti ; all'esito e prima che avesse inizio l'istruzione dibattimentale, il pubblico ministero, nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 517 c.p.p, contestava all'imputato la recidiva specifica, infraquinquennale e reiterata ed il giudice, autorizzato l'inserimento nel verbale di udienza della contestazione suppletiva, disponeva la notifica del verbale per estratto all'imputato contumace. All'udienza del 23 febbraio 2007 la difesa dell'imputato sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 517 c.p.p., per contrasto con l'art. 111 Cost., nella parte in cui non prevede che l'imputato, in caso di contestazione suppletiva della rercidiva da parte del pubblico ministero, sia rimesso in termini per chiedere la definizione del processo con il rito abbreviato. La questione sollevata dalla difesa appare rilevante in quanto il potere di contestazione suppletiva esercitato dall'ufficio di accusa all'udienza del 26 febbraio 2006 rientra nella previsione dell'art. 517 c.p.p.; in particolare, non vi e' dubbio che la contestazione della recidiva da parte del pubblico ministero abbia aperto la serie procedimentale incidentale prevista e disciplinata dagli articoli 517 e 520 c.p.p. in un momento processuale successivo al compimento della formalita' di cui all'art. 491 c.p.p. (termine ultimo per l'esercizio da parte dell'imputato della facolta' di' chiedere la definizione del processo con uno dei riti alternativi) e che alla stregua di tali norme debba essere delibata dal giudice procedente l'ammissibiita' o meno della richiesta di giudizio abbreviato implicitamente anticipata dalla difesa dell'imputato. La questione appare altresi' non manifestamente infondata. L'art. 517 c.p.p. effettivamente non contempla per l'imputato la possibilita' di chiedere, all'esito della contestazione suppletiva avente ad oggetto un reato concorrente o una circostanza aggravante (ivi compresa la recidiva), la definizione del processo con il rito abbreviato e la Corte costituzionale e' stata in passato piu' volte investita del giudizio di legittimita' della norma proprio sotto il profilo della mancata restituzione in termini dell'imputato per i riti speciali. In una prima decisione la Corte costituzionale aveva dichiarato infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 517 c.p.p. rilevando come: «l'interesse dell'imputato a beneficiare dei vantaggi del giudizio abbreviato (tra i quali vi e' anche la preclusione del pubblico ministero ad effettuare contestazioni' ove o suppletive) in tanto rileva in quanto egli rinunzi al dibattimento e permetta di raggiungere obiettivo della rapida definizione del processo; sicche', quando ormai per l'inerzia dello stesso imputato, tale scopo non puo' essere pienamente raggiunto, sarebbe del tutto irrazionale consentire che, ciononostante, a quel giudizio si addivenga in base alle contingenti valutazioni dell'imputato sull'andamento del processo» (Corte cost. 28 dicembre 1990, n. 593) ; orientamento ribadito con le sentenze 8 luglio 1992 n. 316 e 11 maggio 1992 n. 213 di rigetto della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 516 c.p.p., sollevata con riferimento alla mancata rimessione in termini dell'imputato per la richiesta rispettivamente del rito abbreviato e del patteggiamento della pena di fronte alla contestazione da parte del pubblico ministero, nel corso dell'istruttoria dibattimentale e sulla base dei relativi esiti, di un fatto diverso da quello descritto nell'originaria imputazione e ritenuta infondata dalla Corte in considerazione della fisiologicita' e dunque della prevedibilita' al momento della scelta del rito dell'evenienza della modificazione dell'imputazione alla luce delle risultanze dibattimentali. In seguito la Corte costituzionale, investita della questione della legittimita' degli articoli 516 e 517 c.p.p. con riferimento ai casi di contestazione suppletiva cosi' detta tardiva, vale a dire compiuta dal pubblico ministero in limine litis, dopo l'apertura del dibattimento, in base alle risultanze degli atti delle indagini preliminari e non di elementi nuovi emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale, e' pervenuta ad una diversa conclusione dichiarando l'illegittimita' delle nonne denunciate nelle parti in cui non prevedevano la facolta' dell'imputato cli richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione di pena a norma dell'art. 444 c.p.p. (Corte cost. 30 giugno 1995, n. 265). La Corte costituzionale, in tale ultima sentenza, osservava, fra l'altro, quanto segue: «la libera determinazione dell'imputato verso i riti speciali risulta sviata da aspetti di "anomalia" caratterizzanti la condotta processuale del p.m. Tale anomalia deriva o dalla erroneita' della imputazione (il fatto e' diverso) o dalla sua incompletezza (manca l'imputazione relativa ad un reato connesso). L'erroneita' o l'incompletezza dell'imputazione non e' quindi un dato emergente dall'attivita' dibattimentale: esso viene apprezzato sulla base degli stessi atti di indagine. Non puo' quindi parlarsi in simili vicende di una libera assunzione del rischio del dibattimento da parte dell'imputato. La disciplina in esame risulta inoltre censurabile in riferimento all'art. 3 Cost., venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in ragione della maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal p.m. nell'esercitare l'azione penale alla chiusura delle indagini stesse». Orbene, nel solco di tale decisione della Corte costituzionale ed alla luce degli snodi argomentativi appena richiamati, appare evidente come, in caso di contestazione tardiva di circostanze aggravanti (la cui sussistenza fosse cioe' ravvisabile ed apprezzabile dal p.m. gia' sulla base degli atti delle indagini preliminari), la mancata previsione nell'art. 517 c.p.p. della rimessione in termini dell'imputato per la richiesta di riti speciali si risolva in un vulnus del diritto di difesa e in una ingiustificata discriminazione del giudicabile determinata dall'incompletezza dell'imputazione originariamente elevata dall'ufficio di accusa In particolare, si osserva come la scelta del rito da parte di un imputato gravato da piu' precedenti penali non possa non essere influenzata dalla contestazione o meno da parte del pubblico ministero della circostanza aggravante della recidiva, specie ove si tratti di recidiva reiterata considerato che, in caso di contestazione della stessa, il divieto di giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti eventualmente riconosciute introdotto dalla legge n. 251/2005 fa della scelta del rito abbreviato o dell'applicazione di pena su richiesta l'unica via di accesso ad una riduzione - di un terzo o fino ad un terzo - del trattamento sanzionatorio. E' di tutta evidenza, pertanto, come l'assunzione da parte dell'imputato del rischio del dibattimento possa dipendere anche - se non esclusivamente - dall'eventuale incompletezza dell'imputazione formulata in relazione alla mancata contestazione della recidiva; in questa prospettiva la contestazione tardiva della recidiva compiuta dal p.m. dopo il compimento delle formalita' di cui all'art. 491 c.p.p. e l'apertura del dibattimento si pone come un'anomia della condotta processuale della parte pubblica, idonea nell'attuale quadro normativo a frustrare irrimediabilmente la strategia difensiva dell'imputato in uno dei suoi punti chiave quale la scelta del rito. Appare, quindi, concreta l'esigenza di ricondurre la norma dell'art. 517 c.p.p. in sintonia con i principi costituzionali mediante l'individuazione di un punto di equilibrio fra la necessita' di garantire mediante il sistema delle contestazioni suppletive il recupero al processo di elementi di giudizio sfuggiti, per errore o per incompletezza, all'originaria discrezionale valutazione del pubblico ministero e quella dell'imputato di operare la scelta del rito sulla base di un'imputazione completa. Sussistono, quindi, i presupposti per rimettere alla Corte costituzionale il giudizio sulla legittimita' dell'art. 517 c.p.p. in base ai parametri fissati dagli artt. 3, 24 e 111 Cost., affinche' sia stabilito se l'attuale disciplina della contestazione suppletiva tardiva di circostanze aggravanti ed in particolare della recidiva determini in danno dell'imputato, per effetto della mancata previsione della rimessione in termini per l'accesso al rito abbreviato o al patteggiamento della pena, una discriminazione priva di giustificazione razionale ed una violazione del diritto del giudicabile di difendersi e di essere sottoposto ad un giusto processo (inteso come diritto ad una scelta del rito pienamente consapevole, assunta in base alla previsione ed alla ponderazione di rischi connessi ad una ordinata, corretta e fisiologica successione di atti processuali e sottratta al pericolo di distorsioni e di vanificazioni successive prodotte dalla correzione da parte dell'ufficio di accusa di contestazioni incomplete). Il procedimento va quindi sospeso e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Visti gli articoli 1 della legge n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini del giudizio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 517 c.p.p. nei sensi di cui alla motivazione, per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost.; Sospende il giudizio ad ogni effetto di legge ed ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che copia della presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera. Roma, addi' 12 giugno 2007 Il giudice: Marocchi 07C1222