N. 726 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 luglio 2007

Ordinanza   emessa  il  6 luglio  2007  dal  tribunale  di  Roma  nel
procedimento penale a carico di Berle Rodrigues Paolo

Straniero   e  apolide  -  Espulsione  amministrativa  -  Delitto  di
  trattenimento,  senza  giustificato  motivo,  nel  territorio dello
  Stato,  in  violazione  dell'ordine di allontanamento impartito dal
  questore  -  Reclusione  da  uno  a  quattro  anni - Violazione del
  principio di proporzionalita' e di ragionevolezza della pena, anche
  con  riferimento al trattamento sanzionatorio previsto per analoghe
  fattispecie  -  Lesione  del  principio della finalita' rieducativa
  della pena.
- Decreto  legislativo  25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-ter,
  sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, del decreto-legge 14 settembre
  2004,  n. 241, convertito con modificazioni nella legge 12 novembre
  2004, n. 271.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.42 del 31-10-2007 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  processo  nei  confronti  di  Berle Rodriguez Paolo, nato in
Brasile il 26 aprile 1973, ha emesso la seguente ordinanza.
    1.  -  In  data 8 novembre 2006 il Berle veniva tratto in arresto
perche' trovato sul territorio nazionale in violazione del decreto di
espulsione  emesso  dal  Prefetto  di  Roma  il  24  ottobre  2006  e
dell'ordine  a  lasciare  il  territorio nazionale entro i successivi
cinque  giorni  emesso  lo  stesso  giorno dal Questore di Roma. Alla
udienza  del  9 novembre  2006  il  pubblico  ministero  chiedeva  la
convalida  dell'arresto  e la celebrazione del giudizio direttissimo:
l'arresto veniva convalidato, dopo di che l'imputato chiedeva termine
a  difesa  ed  all'udienza del 14 marzo 2007 la difesa sottoponeva al
giudice  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma
5-ter,  d.lgs.  n. 286/1998  come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis
della  legge  n. 271/2004,  nella  parte in cui prevede la pena della
reclusione  da un anno e quattro anni, in relazione agli artt. 3 e 27
della Costituzione per le ragioni ampiamente riportate in memoria. Il
pubblico ministero si opponeva, sul presupposto che il bene giuridico
tutelato dalla norma invocata non e' solo quello dell'ordine pubblico
e della sicurezza, ma anche quello della tutela dei confini.
    Ebbene  ritiene  il  giudice  che, dal di la' degli apprezzamenti
dovuti sul merito del l'accusa elevata a carico dell'imputato, appare
preliminare  la  valutazione  dovuta  in ordine alla conformita' alla
Carta costituzionale delle previsioni edittali stabilite per il reato
in esame, peraltro nei limiti in cui tale valutazione e' consentita a
questo  giudice  dall'art. l  della  legge  costituzionale 9 febbraio
1948, n. 1 e dall'art. 23, comma 3 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    2.  -  Il  testo  originario  dell'art. 14  non  prevedeva alcuna
sanzione   penale   per  lo  straniero  che  non  avesse  ottemperato
all'ordine emesso da questore in esecuzione del decreto di espulsione
del  prefetto.  La  fattispecie  penale  di  cui  trattasi  e'  stata
introdotta  dalla  legge  n. 189/2002,  come  reato contravvenzionale
punibile  con  l'arresto  da sei mesi ad un anno, prevedendo per tale
reato  l'arresto  obbligatorio.  Con la sentenza n. 223 del 15 luglio
2004   la   Corte   costituzionale   ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, per contrasto con gli
art. 3  e  13  Cost.  «nella parte in cui stabilisce che per il reato
previsto  dal  comma  5-ter  del  medesimo  art. 14  e'  obbligatorio
l'arresto  dell'autore  del fatto», per la manifesta irragionevolezza
della  previsione di misura precautelare non suscettibile di sfociare
in   alcuna   misura   cautelare   in  base  al  vigente  ordinamento
processuale.
    E'  quindi intervenuto il d.l. 14 settembre 2004, n. 241, che non
modificava  per  la fattispecie in esame la pena prevista dalla legge
n. 189/2002, ma riformulava il testo dell'art. 14, comma 5-quinquies,
limitando l'arresto obbligatorio all'ipotesi di cui al comma 5-quater
(reingresso nel territorio dello Stato dello straniero espulso), gia'
prevista  come  delitto  punibile  con la reclusione da uno a quattro
anni.  In  sede  di  conversione  del  d.l.  citato  il  reato di cui
all'art. 14,  comma  5-ter, veniva previsto come delitto punibile con
la  reclusione  da  uno  a quattro anni (ad eccezione dell'ipotesi di
espulsione  motivata  dall'essere  scaduto  il permesso di soggiorno,
ipotesi  per  la  quale  veniva mantenuta la pena dell'arresto da sei
mesi a un anno); veniva nuovamente stabilito l'arresto obbligatorio.
    3.  -  E' dunque intervenuto un notevole inasprimento della pena,
della  cui  proporzionalita'  e ragionevolezza si dubita. Deve essere
qui   richiamato  il  criterio  costantemente  adottato  dalla  Corte
costituzionale,   che,  pur  riservando  alla  «discrezionalita'  del
legislatore  stabilire  quali  comportamenti  debbano  essere puniti,
determinare  quali  debbano essere la qualita' e la misura della pena
ed apprezzare parita' e disparita' di situazioni», ha pero' affermato
che  «l'esercizio  di  tale  discrezionalita'  puo'  essere censurato
quando  esso  non rispetti il limite dell ragionevolezza e dia quindi
luogo  ad  una  disparita'  di  trattamento  palese e ingiustificata»
(sentenza  n. 25  del  1994;  il  principio e' richiamato anche nella
sentenza  n. 333  del  1992,  nell'ordinanza  n. 220  del 1996, nella
sentenza  n. 84 del 1997). Ancora, e' stato chiarito (sentenza n. 409
del  1989)  che il principio di uguaglianza. di cui all'art. 3, primo
comma,  Cost.  esige  che  la pena sia proporzionata al disvalore del
fatto illecito commesso, in modo che il sistema sanzionatorio adempia
nel  contempo  alla  funzione di difesa sociale ed a quella di tutela
delle  posizioni  individuali».  Tale funzione non verrebbe adempiuta
qualora non venisse rispettato il limite della ragionevolezza. A cio'
si  aggiunge  (sempre  nella  sentenza  citata)  che  il principio di
proporzionalita'  porta  a  negare  legittimita' alle «incriminazioni
che, anche se presumibilmente idonee a raggiungere finalita' statuali
di  prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo
(ai  suoi  diritti fondamentali) ed alla societa' sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni e dei valori offesi dalle predette incriminazioni».
Questo  principio  e'  ora  recepito anche dalla Costituzione europea
(«le  pene  inflitte  non  devono  essere  sproporzionate rispetto al
reato»,  art. II-109).  Inoltre,  la Corte ha ripetutamente affermato
(sentenze  n. 313  del  1995  e  n. 343  del  1993)  che la manifesta
mancanza di proporzionalita' rispetto ai fatti reato vanifica il fine
rieducativo della pena sancito dall'art. 27, terzo comma Cost.
    4.  -  In  primo  luogo,  poiche'  il dubbio di costituzionalita'
riguarda  un inasprimento della pena, non puo' omettersi di ricordare
quanto   affermato   dalla   Corte   costituzionale  su  un'eccezione
concernente l'elevazione nel 1991 del minimo edittale per il reato di
cui   all'art. 629   c.p.  Nel  dichiarare  manifestamente  infondata
l'eccezione,  la Corte (ordinanza n. 368 del 1995) ritenne rispettato
il  limite  della ragionevolezza rilevando che l'inasprimento in quel
caso   non   dava  luogo  «a  macroscopiche  differenze  rispetto  al
trattamento   sanzionatorio   previsto  per  il  reato  di  rapina  -
fattispecie  peraltro  non  del  tutto  assimilabile  a  quella della
estorsione». La questione oggi in esame e' totalmente diversa per due
ordini  di  ragioni. Innanzitutto, l'inasprimento e', in questo caso,
certamente  macroscopico: il massimo edittale della pena detentiva in
precedenza   prevista   per   lo   stesso   fatto,  qualificato  come
contravvenzione,  corrisponde  ora al minimo edittale previsto per il
delitto.  In  secondo  luogo,  l'aumento  di  pena  per il delitto di
estorsione, come rileva tra le righe la Corte con il riferimento alla
«difficile  individuazione  in  concreto dell'aggravante di far parte
dell'associazione   di  tipo  mafioso»,  costituiva  la  risposta  al
fenomeno  del  «pizzo»  emerso  con  particolare  gravita'  in alcune
regioni nel corso degli anni ottanta e, quindi, a decenni di distanza
(e  quindi  in  un  contesto  sociale  certamente  diverso) da quando
vennero  scritte le sanzioni per la rapina e l'estorsione. Una simile
ragione  non  e' invece dato rinvenire per l'inasprimento di pena per
lo  straniero che non ottempera all'ordine del questore. Nei soli due
anni che intercorrono tra legge n. 189 e la legge n. 271, il fenomeno
dell'immigrazione  clandestina  (per  contrastare  il  quale  vennero
scritte  le  norme  della  legge  n. 189  del  2002)  non  ha  subito
variazioni   tali   da   giustificare   la   conversione  in  delitto
dell'inottemperanza  dello straniero all'ordine di allontanamento del
questore  e  l'elevazione  macroscopica di pena introdotta in sede di
conversione   in   legge   del   d.l.   n. 241/2002.   Ne'  una  tale
giustificazione  si rinviene nella relazione all'emendamento del d.l.
n. 241/2004 che ha introdotto una sanzione cosi' elevata, posto che i
relatori fanno riferimento soltanto alla necessita' di adeguarsi alla
sentenza  n. 223 del 2004 della Corte costituzionale, intendendo tale
adeguamento  come  un  inasprimento  della  pena, cosi' da consentire
l'arresto obbligatorio per coloro che noti ottemperino all'ordine del
questore. Che questo fosse l'unico fine per il quale e' stata elevata
in  misura  cosi'  rilevante la sanzione e' confermato dall'essere la
stessa  pena  prevista  per  il  fatto  di chi rientra nel territorio
nazionale    dopo   un'espulsione   disposta   dal   giudice   (fatto
evidentemente  ben piu' grave, in quanto presuppone la commissione di
un  reato  o  quantomeno  la  pendenza di un procedimento penale). E'
evidente  che la trasposizione di un'esigenza processuale nel diritto
penale  sostanziale non integra il criterio della ragionevolezza e si
pone  in contrasto con i principi costituzionali posti dagli art. 3 e
27, terzo comma Cost.
    5.  -  Per  valutare  se  l'inasprimento di pena introdotto dalla
legge n. 271/2004 sia compatibile con l'art. 3 Cost. si deve poi fare
riferimento  a  norme  incriminatrici  poste  a  tutela  degli stessi
interessi   (individuati   nell'ordine  pubblico  e  nella  sicurezza
pubblica)  con  previsione  di  analoghe  modalita' di condotta. Tale
comparazione  e'  stata effettuata dalla Corte costituzionale al fine
di  valutare  la  proporzionalita'  e  la  ragionevolezza  della pena
prevista  per  il reato di cui all'art. 8, comma 2, legge n. 772/1972
(sentenza  n. 409 del 1989) e della pena prevista per il reato di cui
all'art. 341  c.p.  (sentenza  n. 341 del 1994). In questo caso, deve
essere  preso  in  considerazione  l'art. 650  c.p.  che  punisce con
l'arresto  fino  a tre mesi o con la sola ammenda l'inottemperanza ad
un  provvedimento  legalmente  dato  dall'autorita'  per  ragioni  di
sicurezza  pubblica  o  d'ordine pubblico. Ancora, sempre alla tutela
dell'ordine  pubblico  e  della  pubblica  sicurezza  e'  ispirata la
fattispecie  di cui all'art. 2 della legge n. 1423/1956. Anche qui vi
e'  un  ordine  della  pubblica  autorita'  (il  questore, come nella
fattispecie  di  cui  all'art. 14,  comma  4-ter) concernente persone
ritenute  «pericolose  per  la sicurezza pubblica» (si osserva che si
tratta  non  di una pericolosita' «potenziale», quale e' quella dello
straniero  clandestino, ma di una pericolosita' concreta) e anche qui
l'inottemperanza  configura  una  contravvenzione,  per  la  quale e'
previsto  l'arresto  da  uno a sei mesi. Marginalmente si osserva che
completamente   diversa   e'  la  fattispecie  del  delitto  previsto
dall'art. 9  della  legge citata. Si tratta della violazione da parte
del  sorvegliato  speciale  dell'obbligo  o  del divieto di soggiorno
impostogli  dal  tribunale  e,  sebbene  gli interessi tutelati dalla
norma  siano  ancora  quelli  della  sicurezza pubblica e dell'ordine
pubblico,  non  soltanto  vi  e'  una  valutazione  in concreto della
pericolosita'  sociale (effettuata dal tribunale e non dall'autorita'
amministrativa),  ma  soprattutto  e'  prevista  una  condotta attiva
dell'autore,  consistente  nella  violazione  di  un  obbligo o di un
divieto  (anche  questo imposto dal tribunale) al quale e' gia' stata
data  esecuzione  a  cura  del questore (art. 7, legge cit.) e quindi
nell'allontanamento  dal  luogo  di  soggiorno  obbligato  ovvero nel
ritorno nel territorio per il quale sussiste il divieto. L'ipotesi in
questione  potrebbe quindi costituire parametro di riferimento per il
delitto  previsto dall'art. 14, comma 5-quater del d.lgs. n. 286/1998
(reingresso  dello  straniero espulso nel territorio dello Stato), ma
non per la norma oggetto della presente questione, norma che sanziona
la   mera  inosservanza  di  un  ordine  dell'autorita'  di  polizia.
Coerentemente  con  le  sanzioni  dettate  per analoghe violazioni il
legislatore del 2002 aveva previsto come contravvenzione l'ipotesi di
cui  all'art. 14,  comma  5-ter,  potendo a una maggiore pena (da sei
mesi ad un anno di arresto) dettata per lo straniero (inottemperante,
ma    non   necessariamente   pericoloso)   trovare   giustificazione
nell'esigenza    di   contrastare   il   fenomeno   dell'immigrazione
clandestina,  inesistente all'epoca della redazione del codice penale
e   della   legge   n. 1423/1956.   Sussiste   invece  una  rilevante
sproporzione  tra  la  pena  ora  prevista  per  la  stessa  ipotesi,
configurata  come  delitto  e  le  sanzioni  penali  dettate  per  le
contravvenzioni  (ad  essa  analoghe) di cui agli artt. 650 c.p. e 2,
legge  n. 1423/1956.  L'irragionevolezza  sussiste  dunque  sotto  un
duplice  profilo  e  cioe'  sia  con  riferimento  alla  pena  che il
legislatore  solo due anni prima aveva ritenuto congrua per l'ipotesi
in  esame,  sia  con  riferimento  alle  pene  previste  per analoghe
fattispecie.  Come  si  e' visto, la Corte ha ripetutamente affermato
che  l'art. 3  Cost. impone che il bilanciamento tra gli interessi da
tutelare  e  il  bene  della liberta' personale (che, se si tratta di
straniero,  non  e'  per  questo  di  rango  inferiore  a  quello dei
cittadino)  venga  effettuato  con riferimento alle sanzioni previste
per condotte analoghe, che minacciano gli stessi interessi e che solo
quando   la   sanzione  penale  viene  stabilita  con  la  necessaria
proporzionalita'  la  pena  puo' avere la funzione rieducativa di cui
all'art. 27, terzo comma Cost.
    Ebbene  ritenuto  che  il  presente  giudizio  non  possa  venire
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione della questione sopra
evidenziata,  apparendo  che  - in caso di condanna - necessariamente
dovrebbe  farsi  riferimento alla vigente previsione edittale. Per le
ragioni  sopra  indicate,  questo  giudice ritiene non manifestamente
infondata l'esposta questione di legittimita' costituzionale.
    Il processo percio' deve venire sospeso e gli atti immediatamente
trasmessi   alla  Corte  costituzionale,  per  la  risoluzione  della
questione.  Va  ordinata  altresi',  a  cura  della  cancelleria,  la
notifica  della  presente  ordinanza  al Presidente del Consiglio dei
ministri e la sua comunicazione ai Presidenti delle Camere.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma  5-ter prima parte
d.lgs.  n. 286/1998,  come sostituito dall'art. 1, comma 5-bis, legge
12   novembre   2004,   n. 271   (che  ha  convertito  in  legge  con
modificazioni  il  d.l. 14 settembre 2004, n. 241) nella parte in cui
prevede  la  pena  della  reclusione  da  uno  a  quattro anni per lo
straniero  che  senza giustificato motivo si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi
del  comma  5-bis, in riferimento agli art. 3 e 27, terzo comma della
Costituzione;
    Dispone  la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per
la risoluzione della questione;
    Sospende il giudizio nei confronti dell'imputato;
    Dispone  la  notifica  della  presente  ordinanza,  a  cura della
cancelleria, al Presidente del Consiglio dei ministri;
    Dispone  la  comunicazione della presente ordinanza, a cura della
cancelleria, ai Presidenti delle Camere;
    Manda alla cancelleria per gli altri adempimenti di competenza;
    Letto  in  udienza ed allegato al verbale di udienza del 6 luglio
2007.
        Roma, addi' 6 luglio 2007
                         Il giudice: Attura
07C1239