N. 384 ORDINANZA 5 - 14 novembre 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale - Sentenza di proscioglimento - Appello del pubblico
  ministero    -    Preclusione   (salvo   nelle   ipotesi   previste
  dall'art. 603,  comma 2,  cod.  proc.  pen.,  se  la nuova prova e'
  decisiva)  - Applicazione della nuova disciplina ai procedimenti in
  corso  alla  data  di  entrata in vigore della novella - Denunciato
  contrasto   con   i   principi  di  buon  andamento  dell'attivita'
  giudiziaria,    della    ragionevole    durata   del   processo   e
  dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale  -  Inesatta  indicazione
  della  norma  oggetto di censura - Manifesta inammissibilita' della
  questione.
- Cod.  proc. pen., art. 593, come sostituito dall'art. 1 della legge
  20 febbraio 2006, n. 46; legge 20 febbraio 2006, n. 46, art. 10.
- Costituzione, artt. 97, 111 e 112.
(GU n.45 del 21-11-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Giovanni  Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO,
Paolo  MADDALENA,  Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO,
Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,
Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 593 del codice
di   procedura   penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della  legge
20 febbraio  2006,  n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e
dell'art. 10   della  medesima  legge,  promosso  con  ordinanza  del
10 aprile  2006  dalla  Corte  di  appello  di Lecce nel procedimento
penale  a  carico  di C. A. ed altri, iscritta al n. 230 del registro
ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 24 ottobre 2007 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  la  Corte  di  appello  di  Lecce ha sollevato, in
riferimento agli artt. 97, 111 e 112 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 593  del  codice di procedura
penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di
inappellabilita'  delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in
cui  limita  l'appello  del  pubblico ministero alle sole sentenze di
condanna e lo consente contro le sentenze di proscioglimento nei soli
casi   previsti   dall'art. 603,   comma 2,   cod.   proc.  pen.»;  e
dell'art. 10 della medesima legge, «che dichiara applicabile la nuova
disciplina introdotta ai processi in corso»;
        che   la   Corte   di  appello  rimettente  premette  che  il
procedimento  e'  stato  «definito  in  primo  grado con sentenza del
g.i.p.  del  Tribunale  di Lecce» e che «avverso la predetta sentenza
hanno  proposto  appello gli imputati in riferimento alle statuizioni
di  condanna  e  il  pubblico  ministero  in  relazione  a  quelle di
proscioglimento»;
        che,  rilevato  che  nelle  more  del  giudizio  d'appello e'
entrata  in  vigore la legge n. 46 del 2006 - che modifica l'art. 593
cod.  proc.  pen.,  prevedendo che l'imputato e il pubblico ministero
possano   appellare   contro  le  sentenze  di  proscioglimento  solo
nell'ipotesi  di  cui  all'art. 603,  comma 2, cod. proc. pen., se la
prova nuova e' decisiva - e che in base alla normativa transitoria di
detta  legge  (e  segnatamente  dell'art. 10)  l'appello del pubblico
ministero  dovrebbe  essere  dichiarato  inammissibile,  la  Corte di
appello  di  Lecce  solleva  questione di legittimita' costituzionale
della nuova disciplina in riferimento agli artt. 97, 111 e 112 Cost.;
        che,  nel  merito, la Corte rimettente - premesso che secondo
la  giurisprudenza  costituzionale  il principio del «doppio grado di
giurisdizione di merito non forma oggetto di garanzia costituzionale»
e non puo' neppure essere «derivato da convenzioni internazionali» e,
in  particolare,  dall'art. 2  del  Protocollo addizionale n. 7 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta'  fondamentali,  adottato  a  Strasburgo il 22 novembre 1984,
ratificato  e reso esecutivo con legge 9 aprile 1990, n. 98 - ricorda
che  la Corte costituzionale ha affermato che la previsione di limiti
al  potere  di  impugnazione  del  pubblico ministero, di per se' non
contrastante   con   la   Costituzione,  puo'  essere  censurata  per
irragionevolezza  «se  i poteri stessi, nel loro complesso, dovessero
risultare    inidonei    all'assolvimento    dei   compiti   previsti
dall'art. 112  Cost.»,  con  il  principio cioe' dell'obbligatorieta'
dell'azione penale;
        che,  secondo il rimettente, la giurisprudenza costituzionale
formatasi  anteriormente  alle modifiche apportate all'art. 111 Cost.
dalla  legge  23 novembre  1999, n. 2 escluderebbe la possibilita' di
«negare  in  linea  generale  al  pubblico  ministero»  il  potere di
impugnare  le  sentenze di proscioglimento: invero, «la condizione di
parita' delle parti garantita nel processo dal dettato costituzionale
[sarebbe] seriamente compromessa dal fatto che all'una - l'imputato -
e'  giustamente  garantita  la  possibilita'  di un nuovo giudizio di
merito  nel  caso  di  condanna,  mentre,  nell'ipotesi  speculare di
assoluzione dell'imputato, analoga possibilita' non e' data - e senza
un ragionevole motivo - al pubblico ministero»;
        che la residua possibilita' di impugnazione delle sentenze di
proscioglimento nell'ipotesi in cui sopravvengano o si scoprano nuove
prove  dopo  il  giudizio  di  primo  grado,  sempre  che  tali prove
risultino   decisive,   non  eliminerebbe  i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale  per  il  carattere  assolutamente  marginale  di tale
ipotesi;
        che  sarebbe,  inoltre,  violato  l'art. 111,  secondo comma,
Cost.,  in  riferimento  al  principio  della  ragionevole durata del
processo,  giacche'  per effetto delle modifiche recate dalla novella
del  2006  «in caso di esperimento con esito positivo del ricorso per
cassazione   da   parte   del   pubblico  ministero  (sostanzialmente
consentito  oggi  -  attraverso  l'ampliamento  dei  casi del ricorso
previsto  dall'art. 8  della  legge in esame - anche per un motivo di
merito)  il  processo  torna  irragionevolmente  al primo grado», con
inevitabili conseguenze negative sui tempi processuali;
        che, infine, il rimettente denuncia il contrasto dell'art. 10
della  legge n. 46 del 2006 con l'art. 97 Cost. («applicabile secondo
la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  anche  agli  organi
dell'amministrazione  della  giustizia»), in quanto tale disposizione
transitoria non solo «vanifica, senza un'apparente ragione, il lavoro
svolto  dal  pubblico  ministero,  costringendolo a rimodulare la sua
impugnazione e a trasformarla in ricorso» ma «aggrava di un eccessivo
carico  di  lavoro  la  Corte  di  cassazione  fino  a comprometterne
l'efficienza e la funzionalita».
    Considerato  che  la  Corte  di  appello  di  Lecce  dubita della
legittimita'  costituzionale  dell'art. 593  del  codice di procedura
penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10
della medesima legge;
        che  l'art. 593  cod.  proc.  pen.  censurato  disciplina  al
comma 2  l'appello  del pubblico ministero e dell'imputato avverso le
sentenze  dibattimentali di proscioglimento, stabilendo - per effetto
delle  modifiche introdotte dall'art. 1 della legge n. 46 del 2006 ed
immediatamente applicabili in forza dell'art. 10 della medesima legge
-  che l'appello e' consentito solo nell'ipotesi di cui all'art. 603,
comma 2, cod. proc. pen., se la nuova prova e' decisiva;
        che dalla stessa ordinanza di rimessione risulta che la Corte
rimettente e' investita degli appelli proposti dal pubblico ministero
e  dall'imputato  avverso  la sentenza pronunciata dal giudice per le
indagini   preliminari,   in   funzione   di  giudice  per  l'udienza
preliminare, del Tribunale di Lecce;
        che,  dunque,  la  Corte  di appello sottopone a scrutinio di
costituzionalita' una norma (l'art. 593 cod. proc. pen.) - unitamente
alla   relativa  disciplina  transitoria  -  di  cui  non  deve  fare
applicazione nel giudizio a quo;
        che  l'inesatta  indicazione  della  norma oggetto di censura
(aberratio  ictus)  implica,  per  costante  giurisprudenza di questa
Corte,  la  manifesta  inammissibilita' della questione (ex plurimis,
ordinanze n. 294, n. 187 e n. 42 del 2007).
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 593  del  codice di procedura
penale,  come  sostituito  dall'art. 1  della legge 20 febbraio 2006,
n. 46  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale  in  materia  di
inappellabilita'  delle  sentenze di proscioglimento), e dell'art. 10
della  medesima legge, sollevata, in riferimento agli artt. 97, 111 e
112   della  Costituzione,  dalla  Corte  di  appello  di  Lecce  con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 novembre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 14 novembre 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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