N. 392 ORDINANZA 19 - 23 novembre 2007

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Corte  dei  conti  -  Giudizi  di responsabilita' - Norme della legge
  finanziaria  2006  -  Disposizioni  sulla  definizione agevolata in
  appello  dei giudizi di responsabilita' amministrativa dinanzi alla
  Corte  dei  conti  -  Lamentata  violazione  dei  principi  di buon
  andamento  della  pubblica  amministrazione, di ragionevolezza e di
  effettivita'  della  giurisdizione  contabile - Questioni sollevate
  sulla  base  di  erroneo  presupposto  interpretativo  -  Manifesta
  infondatezza.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 231, 232 e 233.
- Costituzione, artt. 3, 97, 101 e 103.
Corte  dei  conti  -  Giudizi  di responsabilita' - Norme della legge
  finanziaria  2006  -  Mancata  previsione  della  facolta',  per  i
  soggetti  assolti  in  primo  grado,  di  chiedere  la  definizione
  agevolata  del  procedimento  in  caso  di  condanna  in  appello -
  Lamentata violazione del principio di uguaglianza - Questioni prive
  di rilevanza - Manifesta inammissibilita'.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 231, 232 e 233.
- Costituzione, art. 3.
Corte  dei  conti  -  Giudizi  di responsabilita' - Norme della legge
  finanziaria  2006  -  Disposizioni  sulla  definizione agevolata in
  appello  dei giudizi di responsabilita' amministrativa dinanzi alla
  Corte  dei  conti  -  Lamentata  limitazione del ruolo del pubblico
  ministero  contabile  all'espressione  di un parere, con violazione
  del diritto di difesa e del principio del giusto processo - Mancata
  verifica di altre soluzioni interpretative ipotizzabili - Manifesta
  inammissibilita' delle questioni.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 231, 232 e 233.
- Costituzione, artt. 24 e 111.
(GU n.46 del 28-11-2007 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Franco BILE;
  Giudici:  Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO,  Alfonso  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino
CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231,
232  e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria  2006),  promossi  con  ordinanze  del 1° agosto, dell'11
luglio, del 28 giugno, del 17 luglio, del 29 novembre, del 26 ottobre
e del 15 novembre 2006 della Corte dei conti, sezione giurisdizionale
d'appello  per  la  Regione  Siciliana,  rispettivamente  iscritte ai
nn. 46,  47,  48,  146,  279, 311 e 392 del registro ordinanze 2007 e
pubblicate  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 9, 13, 17,
18 e n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
    Udito  nella  Camera  di consiglio del 10 ottobre 2007 il giudice
relatore Paolo Maddalena.
    Ritenuto che con ordinanza del 1 agosto 2006 (reg. ord. n. 46 del
2007),  la  Corte dei conti, sezione giurisdizionale d'appello per la
Regione  Siciliana,  nel  corso  di  un  giudizio  di responsabilita'
amministrativa  nel  quale  l'interessato, condannato in primo grado,
aveva  chiesto  di  potersi  avvalere  del  meccanismo di definizione
agevolata  del  procedimento introdotto dall'art. 1, commi 231, 232 e
233,  della  legge  23 dicembre  2005,  n. 266  (Disposizioni  per la
formazione  del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge
finanziaria 2006), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97, 101
e  103  della  Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
dei commi 231, 232 e 233 del citato art. 1;
        che  l'art. 1, comma 231, della legge n. 266 del 2005 prevede
che,  «Con  riferimento  alle sentenze di primo grado pronunciate nei
giudizi  di  responsabilita'  dinanzi  alla Corte dei conti per fatti
commessi  antecedentemente  alla  data  di  entrata  in  vigore della
presente  legge,  i  soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata
sentenza  di  condanna  possono  chiedere  alla competente sezione di
appello,  in sede di impugnazione, che il procedimento venga definito
mediante  il  pagamento  di una somma non inferiore al 10 per cento e
non superiore al 20 per cento del danno quantificato nella sentenza»;
        che  il  successivo  comma 232  aggiunge  che  «La sezione di
appello,  con  decreto in Camera di consiglio, sentito il procuratore
competente,   delibera  in  merito  alla  richiesta  e,  in  caso  di
accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30
per  cento  del  danno  quantificato  nella  sentenza di primo grado,
stabilendo il termine per il versamento»;
        che  il  comma 233  dispone  che  «Il  giudizio di appello si
intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di
versamento presso la segreteria della sezione di appello»;
        che il giudice a quo dubita della legittimita' costituzionale
del  sistema  introdotto  dalle  norme  censurate,  di definizione in
appello  dei  giudizi  di  responsabilita' amministrativa mediante il
pagamento  di  una  somma non superiore al trenta per cento del danno
quantificato nella sentenza di primo grado;
        che,  ad  avviso  della Corte rimettente, le norme denunciate
sarebbero  caratterizzate  da una indeterminatezza assoluta in ordine
allo   scopo   perseguito   dal   legislatore,   tale  da  precludere
definitivamente  la  ricerca di una qualsiasi ratio normativa diversa
da  quella  della  limitazione  patrimoniale  del risarcimento per se
stessa,  con  la  conseguenza che esse, «connotandosi unicamente come
effetto   premiale   ingiustificato»,   si  paleserebbero  «come  una
negazione illogica e ingiustificata dei principi del buon andamento e
del controllo contabile»;
        che  sarebbe  irragionevole  una  riduzione  predeterminata e
pressoche'  automatica  della  responsabilita' amministrativa e della
misura  del  risarcimento, senza che possa soccorrere una valutazione
sull'incidenza   del   comportamento  complessivo  e  sulle  funzioni
effettivamente  svolte nella produzione del danno, in occasione della
prestazione che ha dato luogo alla responsabilita';
        che  egualmente incostituzionale appare alla Corte rimettente
l'attribuzione  al  giudice  contabile  di  un  potere  discrezionale
illimitato  nella  individuazione delle ragioni da porre a fondamento
dell'accoglimento  della  domanda  di riduzione dell'addebito e della
concreta  determinazione  della  misura  del  risarcimento, avendo il
legislatore indicato solo i limiti quantitativi di tale potere fra un
minimo  e  un massimo risultanti dalla norma, senza fissare i criteri
direttivi ai quali il giudice stesso deve attenersi;
        che  le  norme  denunciate, essendo dirette ad introdurre una
disciplina  limitativa  in  forma generalizzata della responsabilita'
amministrativa  con  riferimento  indiscriminato  a  tutti i pubblici
dipendenti  e  a  tutte  le  possibili  situazioni,  confliggerebbero
altresi'  con  il  principio  secondo cui il giudice e' soggetto alla
legge,  con  grave  vulnus  del  principio  di separazione del potere
legislativo dal potere giudiziario;
        che identiche questioni sono state sollevate, con le medesime
argomentazioni,   dalla  Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale
d'appello  per  la Regione Siciliana, investita di analoghe richieste
di   definizione   agevolata   di   procedimenti  di  responsabilita'
amministrativa,  con  ordinanze  dell'11 luglio 2006 (reg. ord. n. 47
del  2007),  del  28  giugno 2006  (reg.  ord.  n. 48 del 2007) e del
15 novembre 2006 (reg. ord. n. 392 del 2007);
        che,  con  ordinanza del 17 luglio 2006 (reg. ord. n. 146 del
2007),  la  Corte dei conti, sezione giurisdizionale d'appello per la
Regione  Siciliana,  nel  corso  di  analogo  giudizio  nel  quale il
soggetto  condannato  in  primo  grado  aveva  chiesto la definizione
agevolata   del  procedimento,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3,  24,  97,  101,  103  e 111 della Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della
legge 23 dicembre 2005, n. 266;
        che,  ad  avviso del rimettente, le norme censurate sarebbero
caratterizzate  da  una  indeterminatezza  assoluta  circa  lo  scopo
perseguito  dal  legislatore,  tale  da precludere definitivamente la
ricerca  di  una  qualsiasi  ratio  normativa  diversa  da  quella  -
puramente  e  semplicemente  -  della  limitazione  del  risarcimento
patrimoniale   del   soggetto  condannato  in  primo  grado,  con  la
conseguenza  che  esse, dando luogo unicamente ad un effetto premiale
ingiustificato,  si  paleserebbero  come  una  negazione  illogica  e
ingiustificata  dei  principi  del  buon  andamento  e  del controllo
contabile;
        che   la  norme  denunciate  contrasterebbero  anche  con  il
principio  del  libero  convincimento  del  giudice (art. 101 Cost.),
giacche'  non  offrirebbero  alcun  criterio  di  orientamento per il
giudice contabile;
        che il principio di eguaglianza sarebbe violato anche perche'
la  normativa  censurata sarebbe applicabile soltanto ai soggetti nei
cui  confronti  sia  stata  pronunciata  in  primo  grado sentenza di
condanna,   con   la   conseguenza   che   essa,   irragionevolmente,
risulterebbe  inapplicabile  ai soggetti che, assolti in primo grado,
vedano  tale  sentenza  riformata  in  appello,  a seguito di gravame
interposto dal pubblico ministero;
        che sarebbe violato, inoltre, l'art. 24, secondo comma, della
Costituzione, perche' il pubblico ministero presso la Corte dei conti
viene  evocato  nel  solo  comma 232 e soltanto per essere sentito in
Camera  di  consiglio quando la sezione di appello deve deliberare in
merito  alla  richiesta  di definizione agevolata: infatti, «per tale
funzione,  limitata e marginale (che si sostanzia nell'espressione di
un  «parere»),  del  pubblico ministero, il procedimento regolato dai
commi 231-233  dell'art. 1  della  legge  n. 266 del 2005 non assume,
sostanzialmente, carattere bilaterale, per cui la funzione di «parte»
del  pubblico  ministero  contabile  (nell'ottica - anche del «giusto
processo»   -   dell'art. 111   Cost.)  viene,  nella  specie,  quasi
pretermessa  (con  la  conseguenza  - fra l'altro - che, in tal modo,
vengono  pesantemente  compressi  i  diritti  e  gli  interessi della
pubblica   amministrazione,   dei  quali  il  pubblico  ministero  e'
chiaramente     portatore,     in    uno    all'interesse    generale
dell'Ordinamento)»;
        che identiche questioni sono state sollevate, con le medesime
argomentazioni,   dalla  Corte  dei  conti,  Sezione  giurisdizionale
d'appello  per  la Regione Siciliana, investita di analoghe richieste
di   definizione   agevolata   di   procedimenti  di  responsabilita'
amministrativa,  con ordinanze del 29 novembre 2006 (reg. ord. n. 279
del 2007) e del 26 ottobre 2006 (reg. ord. n. 311 del 2007).
    Considerato  che  le  questioni  sollevate dalla Corte dei conti,
sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana, investono
le  norme sulla definizione in appello dei giudizi di responsabilita'
amministrativa  dinanzi alla Corte dei conti, introdotte dall'art. 1,
commi 231,   232   e   233,  della  legge  23 dicembre  2005,  n. 266
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2006);
        che  le  norme censurate prevedono: che «Con riferimento alle
sentenze  di  primo  grado pronunciate nei giudizi di responsabilita'
dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla
data  di  entrata  in vigore della presente legge, i soggetti nei cui
confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere
alla  competente  sezione di appello, in sede di impugnazione, che il
procedimento  venga  definito  mediante il pagamento di una somma non
inferiore  al  10 per cento e non superiore al 20 per cento del danno
quantificato nella sentenza» (comma 231); che «La sezione di appello,
con   decreto   in   camera  di  consiglio,  sentito  il  procuratore
competente,   delibera  in  merito  alla  richiesta  e,  in  caso  di
accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30
per  cento  del  danno  quantificato  nella  sentenza di primo grado,
stabilendo  il  termine  per  il  versamento»  (comma  232);  che «Il
giudizio  di  appello  si  intende definito a decorrere dalla data di
deposito  della  ricevuta  di  versamento  presso la segreteria della
sezione di appello» (comma 233);
        che,  secondo  tutte  le  ordinanze  di  rimessione, le norme
denunciate  violerebbero  gli  artt. 3,  97 e 103 della Costituzione,
perche'   sarebbero   ancorate   all'unica   ratio   di  limitare  il
risarcimento  patrimoniale  dovuto  dal  soggetto condannato in primo
grado  e determinerebbero percio' un effetto premiale ingiustificato,
con  conseguente  negazione,  illogica e ingiustificata, dei principi
del  buon  andamento e del controllo contabile; inoltre, in contrasto
con  l'art. 101 della Costituzione, le norme stesse inciderebbero sul
principio del libero convincimento del, non prevedendo alcun criterio
di  orientamento  per  il  giudice  contabile,  laddove  nel  sistema
positivo vigente l'attenuazione della responsabilita' amministrativa,
nei singoli casi, e' rimessa al potere riduttivo di tale giudice che,
a  tal  fine,  puo'  tenere  conto del comportamento e del livello di
responsabilita',  nonche'  delle  capacita'  economiche  del soggetto
responsabile;
        che  alcune ordinanze di rimessione (reg. ord. n. 146, n. 279
e n. 311 del 2007) prospettano ulteriori profili di illegittimita' in
riferimento  a parametri diversi: con esse, infatti, viene denunciata
la  violazione,  ancora,  dell'art. 3  della  Costituzione,  sotto il
profilo  del  principio  di  eguaglianza,  perche' le norme censurate
sarebbero  applicabili  soltanto  ai  soggetti  nei cui confronti sia
stata  pronunciata  in primo grado sentenza di condanna, e non anche,
irragionevolmente,  ai  soggetti  nei  cui  confronti  la sentenza di
assoluzione in primo grado sia stata riformata, in appello, a seguito
di   gravame   interposto  dal  pubblico  ministero;  viene  dedotto,
altresi',  il  contrasto delle norme censurate con gli artt. 24 e 111
della  Costituzione,  perche' al pubblico ministero contabile sarebbe
assegnata   una   funzione,   limitata   e  marginale,  di  carattere
consultivo;
        che,   considerata   l'identita'   di   materia,  nonche'  la
sostanziale  analogia  delle questioni prospettate, i giudizi possono
essere  riuniti,  per  essere  esaminati  congiuntamente e decisi con
unica pronuncia;
        che,   successivamente   all'emanazione  delle  ordinanze  di
rimessione,  questioni identiche sono state esaminate con la sentenza
n. 183 del 2007, e dichiarate non fondate e inammissibili;
        che, come la Corte ha gia' statuito nella citata sentenza, le
norme  censurate  non  producono  alcun  ingiustificato ed automatico
effetto   premiale,   in  quanto  l'operativita'  delle  disposizioni
denunciate presuppone una valutazione di merito, da parte del giudice
contabile,  sul  fatto  che  l'esigenza  di giustizia possa ritenersi
soddisfatta   a   mezzo  della  procedura  accelerata,  sicche'  alla
definizione  in  appello  non  puo' accedersi in presenza di dolo del
condannato o di particolare gravita' della condotta;
        che, inoltre, le norme denunciate vanno collocate nell'ambito
del sistema tradizionale della responsabilita' amministrativa, in cui
al  giudice  e'  affidato  il  compito di determinare e costituire il
debito  risarcitorio, stabilendo quanta parte del danno prodotto deve
ritenersi  risarcibile  in  relazione  all'intensita' della colpa del
responsabile,  da  individuare in relazione a tutte le circostanze di
fatto  in  cui  si  e'  svolta  l'azione  produttiva  del  danno;  e,
muovendosi   all'interno   del  perimetro  di  tale  discrezionalita'
decisionale,   esse   consentono   l'accoglimento   dell'istanza   di
definizione in appello solo se il giudice - avuto riguardo ai criteri
in  base  ai  quali egli forma la propria decisione - ritenga congrua
una  condanna  entro  il  limite  del  trenta  per  cento  del  danno
addebitato al responsabile nella sentenza di primo grado;
        che,   pertanto,   muovendo   da   un   erroneo   presupposto
interpretativo,  devono essere dichiarate manifestamente infondate le
questioni  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232
e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sollevate in riferimento
agli artt. 3, 97, 101 e 103 della Costituzione;
        che  manifestamente  inammissibili, per difetto di rilevanza,
sono le questioni di legittimita' costituzionale sollevate, ancora in
riferimento  all'art. 3  della  Costituzione,  sotto  il  profilo del
principio   di  eguaglianza,  sul  rilievo  che  le  norme  censurate
sarebbero  applicabili  soltanto  ai  soggetti  nei cui confronti sia
stata  pronunciata  in primo grado sentenza di condanna, e non anche,
irragionevolmente,  ai  soggetti  nei  cui  confronti  la sentenza di
assoluzione in primo grado sia stata riformata, in appello, a seguito
di  gravame interposto dal pubblico ministero: difatti, nei giudizi a
quibus, tutti i convenuti sono stati condannati in primo grado;
        che  del  pari manifestamente inammissibili sono le questioni
di  legittimita' costituzionale concernenti la limitazione dei poteri
del  pubblico ministero contabile, giacche' tali questioni sono state
sollevate  senza  una  previa verifica delle soluzioni interpretative
ipotizzabili,  non  avendo i rimettenti verificato se il procedimento
in  camera di consiglio, applicabile nella specie, consenta o meno la
partecipazione  di  tutte le parti ovvero se in detto procedimento il
giudice  si  debba  limitare  ad un vaglio dell'istanza scritta e del
parere scritto del pubblico ministero.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    riuniti in giudizi,
        1) dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle  questioni di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della
legge  23 dicembre  2005,  n. 266 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2006),
sollevate,   in  riferimento  agli  artt. 3,  97,  101  e  103  della
Costituzione,   dalla   Corte   dei  conti,  sezione  giurisdizionale
d'appello  per  la  Regione  Siciliana,  con le ordinanze indicate in
epigrafe;
        2)  dichiara la manifesta inammissibilita' delle questioni di
legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi 231, 232 e 233, della
stessa legge n. 266 del 2005, sollevate, in riferimento agli artt. 3,
sotto  altro  profilo,  24  e 111 della Costituzione, dalla Corte dei
conti,  sezione  giurisdizionale  d'appello per la Regione Siciliana,
con le ordinanze, indicate in epigrafe, iscritte ai numeri 146, 279 e
311 del registro ordinanze del 2007.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2007.
                         Il Presidente: Bile
                       Il redattore: Maddalena
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 23 novembre 2007.
              Il direttore della cancelleria: Di paola
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