N. 775 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 agosto 2006

Ordinanza  del  30  agosto  2006  emessa dalla Commissione tributaria
regionale  per  il  Lazio  sul  ricorso  proposto da DA.RO.ER. S.r.l.
contro Comune di Ladispoli

Imposte  e tasse - Imposta comunale sugli immobili (ICI) - Nozione di
  area fabbricabile ai fini dell'applicazione dell'imposta - Norme di
  interpretazione  autentica secondo cui l'edificabilita' deve essere
  ritenuta  solo  sulla  base delle disposizioni del piano regolatore
  generale,  anche in assenza degli strumenti urbanistici attuativi -
  Lamentata  irragionevole  equiparazione  di  terreni  siti  in zona
  munita  di strumento attuativo e terreni siti in zona solo ritenuta
  edificabile  dal  piano regolatore generale - Denunciata violazione
  dei  principi  di  eguaglianza e di capacita' contributiva, nonche'
  dei principi di ragionevolezza, razionalita', non contraddizione.
- Decreto-legge   30   settembre   2005,   n. 203,   convertito,  con
  modificazioni,   nella   legge   2   dicembre  2005,  n. 248,  art.
  11-quaterdecies,  comma 16; d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito,
  con  modificazioni,  nella  legge  4  agosto 2006, n. 248, art. 36,
  comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 53.
(GU n.47 del 5-12-2007 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE
   Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 3708/04 depositato
il  17/luglio  2004,  avverso la sentenza n. 167/24/2003 emessa dalla
commissione tributaria provinciale di Roma contro Comune di Ladispoli
proposto  dal  ricorrente:  DA.RO.ER.  S.r.l. V.le Scalo San Lorenzo,
40/C  -  00185  Roma,  difeso da: avv. D'Ippolito Michele Via Ruggero
Bonghi,  32/D  -  00184  Roma; atti impugnati: avviso di accertamento
n. 8002/02 I.C.I. 1999.
                              F a t t o
Con  atto  notificato  il  22  dicembre  2000  il comune di Ladispoli
accertava  l'imposta  I.C.I.  per  l'anno  1999  nei  confronti della
DA.RO.ER  S.r.l.  contestando l'omessa denuncia ed l'omesso pagamento
della   relativa   imposta.   Precisava   che   il   terreno  oggetto
dell'imposizione era da considerarsi area fabbricabile.
Avverso  l'alto  la  societa'  ricorreva  alla Commissione tributaria
provinciale di Roma, lamentando:
     1)  -  Erroneita' del presupposto. L'area in questione non e' da
considerarsi  fabbricabile,  ed  anzi proprio la mancata adozione del
piano  particolareggiato  del  PRG  rende  l'area non fabbricabile ai
sensi dell'art. 13 della legge n. 10 del 1977;
     2)  -  Omissione  dell'indicazione dei presupposti di fatto e di
diritto su cui si basa la valutazione, atteso il generico richiamo ad
una non meglio precisata perizia giurata;
     3)  - L'erroneita' dell'applicazione dell'imposta su un presunto
valore di mercato e non sulle rendite catastali;
     4)  -  Il  regolare  pagamento  dell'imposta  in  base ai valori
catastali effettuato al comune di Cerveteri.
Si costituiva in giudizio il comune eccependo:
     1)  -  Che  in  base  alla  disciplina urbanistica l'area doveva
considerarsi fabbricabile in quanto ubicata in zona destinata dal PRG
ad  impianti alberghieri e ricreativi e che l'avvenuta adozione della
variante  al  PRG,  per  costante  giurisprudenza, muta la natura dei
terreni da agricoli in edificabili;
     2)  -  Ai  sensi  dell'art.  5,  comma 5 del decreto legislativo
n. 504  del  1992  la base imponibile per l'I.C.I. e' data dal valore
venale  in  comune  commercio  dell'immobile,  pertanto,  premessa la
natura  edificabile  del  terreno,  tale valore e' stato rilevato con
perizia  giurata  affidata con convenzione alla societa' Sipa Servizi
S.r.l. ed al suo tecnico geometra Ramazzotti.
Con  sentenza  n. 167/24/03  del  10  febbraio  -  6  maggio  2003 la
Commissione adita respingeva il ricorso.
Osservava  che  l'avviso doveva considerarsi motivato con riferimento
alle  ragioni  che  avevano  condotto  alla valutazione del valore in
comune  commercio.  Osservava  ancora  che i pagamenti eccepiti dalla
ricorrente  si  riferivano agli anni 1993 e 1994 e non all'annualita'
in esame.
Infine  osservava  che  la  semplice  iscrizione  del terreno in zona
edificatoria induce la potenzialita' edificatoria dello stesso.
Con  atto  notificato  il 21 giugno 2004 la societa' impugna la detta
sentenza lamentando:
     1)  -  Contrasto  con altra sentenza della stessa Commissione su
fattispecie analoga, in particolare con la sentenza n. 429/43/03 resa
in relazione all'I.C.I. su terreni analoghi di proprieta' della stesa
ricorrente.
     2)  -  Contraddittorieta' della sentenza appellata. I giudici di
prime  cure affermano che l'edificabilita' deriva dalla lottizzazione
d'ufficio  effettuata  con  deliberazione comunale del 25 marzo 2002,
successiva al periodo d'imposta in questione;
     3)  -  Illegittima alterazione dei valori catastali. Osserva che
nel  1999  non  sussisteva alcuna edificabilita', nemmeno potenziale,
dell'area, per altro oggetto di espropriazione per pubblica utilita';
     4) - Nullita' e genericita' dell'avviso di accertamento. Osserva
che  nell'atto impugnato non sono riscontrabili specifici riferimenti
alle   caratteristiche   reali  del  terreno  ne  calcoli  estimatori
specifici, mentre l'approvazione del regolamento comunale sull'I.C.I.
e'  avvenuta  con  deliberazione  n. 21 del 30 marzo 1999 applicabile
solo dal 2000.
Il comune di Ladispoli non si e' costituito.
                            D i r i t t o
L'art. 11-quaterdecies, comma 16 del decreto-legge 30 settembre 2005,
n. 203,  convertito  in  legge, con modificazioni, dall'art. 1, della
legge   2   dicembre   2005,   n. 248,   stabilisce   che   «ai  fini
dell'applicazione  del  decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504,
la  disposizione,  prevista  dall'art.  2, comma 1, lettera b), dello
stesso  decreto si interpreta nel senso che un'area e' da considerare
comunque fabbricabile se e' utilizzabile a scopo edificatorio in base
allo  strumento urbanistico generale, indipendentemente dall'adozione
di strumenti attuativi del medesimo».
Per  altro il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 36, comma
secondo, stabilisce:
     Ai   fini   dell'applicazione   ...   omissis  ...  del  decreto
legislativo  30  dicembre  1992,  n. 504,  un'area  e  da considerare
fabbricabile  se  utilizzabile  a  scopo  edificatorio  in  base allo
strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente
dall'approvazione   della   regione   e  dall'adozione  di  strumenti
attuativi del medesimo».
Il   Collegio   ritiene,   d'ufficio,   che   sia   rilevante  e  non
manifestamente  infondato  il  dubbio  di costituzionalita' sull'art.
11-quaterdecies,  comma  16  e  sull'art.  36,  comma  secondo appena
citati,  per  violazione dell'art. 53e dell'art. 3 della Costituzione
nonche'   dei   principi   di   ragionevolezza,  razionalita'  e  non
contraddizione.
                           Sulla rilevanza
La  Corte  di cassazione, con sentenza n. 21573 del 15 novembre 2004,
ha  ritenuto  che in tema d'imposta comunale sugli immobili (I.C.I.),
l'art.  2,  comma  primo,  lettera  b),  del  decreto  legislativo 30
dicembre  1992,  n. 504 - secondo il quale `per area fabbricabile si'
intende   l'area   utilizzabile   a   scopo   edificatorio   in  base
aglistrumenti  urbanistici  generali  o attuativi ovvero in base alle
possibilita'  effettive di edificazione determinate secondo i criteri
previsti  agli effetti dell'indennita' di espropriazione per pubblica
utilita'   -  deve  essere  interpretato,  anche  in  conformita'  al
principio   di  capacita'  contributiva  di  cui  all'art.  53  della
costituzione, nel senso che vanno assoggettate ad imposta le aree che
sono  immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, per le quali,
cioe', sussiste la possibilita' legale ed effettiva di rilascio della
concessione edilizia al momento dell'imposizione fiscale. Ne consegue
che  sono  escluse dall'imposta le aree che, pur essendo comprese nel
piano  regolatore  generale,  non sono effettivamente suscettibili di
edificazione  a  causa della mancata approvazione dei necessari piani
attuativi    (particolareggiati    o    di   lottizzazione),   ovvero
dell'esistenza di misure di salvaguardia adottate dal comune.
La  Cassazione,  con  la detta sentenza, e' intervenuta in una vexata
quaestio,  che  ha visto alternarsi pronunce contrastanti sia in sede
di  legittimita'  sia  di  merito tributario. L'art. 11-quaterdecies,
comma  16  citato, 1  canto suo, e' intervenuto su tale questione con
norma  di  interpretazione  autentica,  chiarendo  che ai fini I.C.I.
l'edificabilita'   deve   essere   ritenuta  solo  sulla  base  delle
disposizioni  del  piano  regolatore generale, anche in assenza degli
strumenti urbanistici attuativi.
La   questione  prospettata  nel  giudizio  in  esame  concerne,  per
l'appunto,  il  criterio  di  valutazione di alcuni terreni agricoli,
siti   in  una  zona  del  comune  di  Ladispoli,  inseriti  in  zona
edificabile secondo il piano regolatore generale, ma per la quale non
sono  stati  adottati  strumenti attuativi. Il valore determinato dal
comune  considera  la  cosi' detta edificabilita' di fatto, mentre il
ricorrente   oppone  l'inedificabilita'  degli  stessi,  proprio  per
l'assenza  degli  strumenti  che  rende impossibile il rilascio di un
permesso di costruzione.
La   valenza  retroattiva  della  norma  d'interpretazione  autentica
contenuta   nell'art.  11-quaterdecies,  comma  16  citato  la  rende
applicabile  anche  ai  periodi  d'imposta pendenti, per cui essa, di
fatto,   interviene   legittimando  una  prassi  amministrativa  che,
viceversa,   sarebbe   da  considerare  illegittima,  secondo  questo
orientamento  della Suprema Corte da cui la Commissione non ha motivi
di  discostarsi,  per  altro  con cio' confermando la sua consolidata
giurisprudenza.
E  quindi evidente che l'applicazione del citato art. 11-quaterdecies
e' idonea a definire la questione.
Analogamente  l'art.  36,  comma  secondo  del  d.l.  n. 223 del 2006
dispone  con  norma  di  valenza retroattiva generale. Esso, infatti,
applica  il  principio  che  in  questa  sede  si esamina a tutti gli
effetti  tributari,  richiamando espressamente le norme impositive di
tutte  le  imposte.  Ove  si  intendesse  attribuire  a tale nonna un
significato  interpretativo,  essa  sarebbe  idonea,  di  per  se', a
definire  il giudizio cosi' come gia' osservato in relazione all'art.
11-quaterdecies,  comma  16. Che la norma abbia natura interpretativa
non    e'    considerazione    priva    di    fondamento.    Infatti,
nell'interpretazione  della  volonta'  del  legislatore,  non si puo'
obliterare  il  disposto dei commi quarto, sesto, ottavo, undicesimo,
quattordicesimo,   quindicesimo,   diciassettesimo,   diciannovesimo,
ventunesimo,  ventiseiesimo,  ventottesimo  del  medesimo articolo, i
quali,   riferendosi   alle  disposizioni  dei  commi  immediatamente
precedenti,  (anche  essa intesi a recuperare base imponibile in vari
settori  tributari)  ne dispongono la applicabilita' solo dal periodo
d'imposta  in  corso alla data di entrata in vigore del decreto legge
stesso.  Cio'  sembra  sufficientemente  indicativo  che le norme dei
commi  primo  e  secondo, per le quali il legislatore non ha previsto
analoga   cautela,   debbano   essere   lette,   invece,  come  nonne
interpretative, quindi con effetto retroattivo.
In  tal  caso  l'art.  11-quaterdecies,  comma  16 piu' volte citato,
dovrebbe  ritenersi  abrogato  ai  sensi  dell'art. 15, ultima parte,
delle  disposizioni  preliminare  al  codice  civile, ma in ogni caso
sostituito con norma di identico tenore, nei cui confronti si appunta
il  medesimo dubbio di costituzionalita' sollevato da questo Collegio
nei confronti del piu' volte citato art. 11-quaterdecies.
Come  insegna  la  Corte  costituzionale, tuttavia, la rilevanza deve
essere  giudicata anche in funzione dell'inesistenza di una possibile
diversa   interpretazione,   conforme  a  Costituzione,  della  norma
denunciata ed in funzione di una diversa soluzione della controversia
che     prescinda     dall'applicazione    della    norma    sospetta
d'incostituzionalita'.
Nel caso di specie ne' l'una, ne' l'altra soluzione sono possibili.
In  primo  luogo nessun'altra interpretazione e' possibile del citato
art.  11-quaterdecies,  comma 16, atteso che essa e' chiara nella sua
portata letterale e nella ratio legis seguita.
Sotto  il  profilo  letterale,  l'utilizzazione  dell'espressione «si
interpreta»  non  puo' dare adito a dubbi, ne si puo' ritenere che la
norma   abbia  portata  innovativa.  Essa,  infatti,  s'inserisce  su
situazioni fiscali identiche nel corso del tempo, ed anzi addirittura
incide  sui medesimi oggetti d'imposta (gli immobili) nel corso degli
anni,  per  cui  sarebbe illogico ritenere che essa abbia una portata
non    interpretativa-retroattiva,    dato    che   costituisce   una
qualificazione giuridica del medesimo bene a legislazione invariata.
Per altro la ratio legis e' chiara. Non solo la norma intende evitare
i  dubbi interpretativi i quali, come si e' detto, avevano dato luogo
a  pronunce  difformi  tra  diverse  Sezioni  della  stessa  Corte di
cassazione e tra questa e la giustizia tributaria, ma anche stabilire
una piu' alta base imponibile ed una certezza nei rapporti tributari.
La  finalita' della maggiore imposizione e' evidente dal contesto del
decreto  legge  e  delle altre norme dello stesso, mentre l'obiettivo
della  certezza  giuridica  e'  insito  nello  stesso strumento dell'
interpretazione autentica.
In  secondo  luogo  non  e'  possibile risolvere la questione odierna
senza la diretta applicazione del citatoart. 11-quaterdecies.
Tutti    i    motivi   d'appello   s'incentrano   sull'illegittimita'
dell'interpretazione  seguita  dal  comune  circa l'edificabilita' di
fatto,  che  ha condotto all'elaborazione di una stima del valore con
riferimento  al  comune  commercio, invece che alle rendite catastali
formali, relative appunto alla natura agricola degli stessi.
Pertanto  tutti  i motivi d'appello sono destinati ad essere respinti
dinanzi  ad un interpretazione autentica che, in ogni caso, assume la
deliberazione  del  piano  regolatore  generale,  non  contestata dal
ricorrente,  a  fattore determinante per la qualificazione di terreno
edificabile,  a  prescindere  dall'effettiva  possibilita'  giuridica
dell'edificazione.
Per  altro  identica  linea di ragionamento deve essere seguita nella
interpretazione  dell'art.  36,  comma  secondo,  del d.l. n. 223 del
2006.
Sul  presupposto  che  esso sia norma di interpretazione autentica, e
quindi   retroattiva,  esso  determinerebbe  l'abrogazione  applicata
dell'art.   11-quaterdecies,   ma   ad   esso  si  sostituirebbe  con
disposizione di identico significato, e dunque anche essa in grado di
definire la controversia.
Considerata  la  rilevanza  della  questione,  occorre ora affrontare
l'ulteriore profilo.
                  Sulla non manifesta infondatezza
L'imposta  comunale  sugli  immobili  si  basa  sul  presupposto  del
possesso  di  un immobile. La sua base imponibile e' costituita dalla
rendita  catastale,  aumentata  secondo  coefficienti predeterminati,
ovvero   dal   valore   venale  in  comune  commercio,  per  le  aree
fabbricabili.
Ne consegue che essa, nonostante la diversa qualificazione che ne da'
parte  della  dottrina  e  la  giurisprudenza  di legittimita', e' da
considerarsi  un'imposta  patrimoniale  annuale,  poiche' colpisce un
cespite  patrimoniale  indipendentemente  dal  reddito  prodotto.  Il
riferimento    alla   rendita   catastale,   che   sembra   adombrare
un'imposizione.   sul  reddito,  costituisce  solo  un  parametro  di
commisurazione, tanto e' vero che, nell'ipotesi di area fabbricabile,
lo  stesso  legislatore  assume a base imponibile il valore venale in
comune  commercio,  il  quale,  come  e'  evidente,  si realizza solo
nell'utilizzazione patrimoniale del bene (edificazione o vendita). In
questa  evenienza  il  legislatore  intende  colpire, appunto, non il
reddito, ma la stessa proprieta', o disponibilita', del bene in vista
di  una sua utilizzazione piu' proficua di quanto non rossa essere il
mero  possesso,  e  dunque  il  suo  valore  intrinseco,  non  la sua
redditivita'.
In  quest'ottica,  tuttavia, si deve dubitare della conformita' delle
norme  di  cui  all'art. 11-quaterdecies e all'art. 36, comma secondo
citati,  con  l'art. 53 della Costituzione. La capacita' contributiva
invocata  dal  citato  articolo a parametro delle norme fiscali, deve
essere verificata nei suoi presupposti di fatto e di diritto.
Costituisce  un libera scelta del legislatore, come tale appartenente
alla  sua discrezionalita' insindacabile nel merito, se sottoporre un
immobile  ad  un'imposta  patrimoniale e se commisurare questa al suo
valore  venale  in  comune commercio, anziche' a parametri piu' certi
quali  la  rendita  catastale,  sia pure aumentata di un coefficiente
apposito.  Tuttavia  la discrezionalita' deve anche essere esercitata
nel  rispetto  requisiti  e  principi  di  logica,  congruenza  e non
contraddizione.
Orbene, equiparare, sotto il, profilo dell'edificabilita', un terreno
sito  in  zona munita di strumento attuativo ad uno sito in zona solo
ritenuta   edificabile  dal  piano  regolatore  generale,  significa,
appunto, violare i principi di logica e non contraddizione, oltre che
di uguaglianza.
Un  terreno  edificabile non puo' essere definito altrimenti che come
quel  terreno  sul  quale  e'  possibile legittimamente, costruire un
immobile  secondo  i  parametri di volume e superficie, distanze etc.
stabiliti  dallo strumento attuativo. A ben vedere, anzi, edificabile
dovrebbe  essere  considerato  solo il terreno per il quale sia stato
rilasciato  un  permesso  di costruire determinato. Solo in tal caso,
infatti,  e'  stato rimosso l'impedimento allo jus aedificandi e sono
state  definite  le  caratteristiche  dell'immobile da costruire, con
cio'  dando  piena concretezza all'edificabilita', e quindi al valore
del  terreno  stesso.  E,  infatti,  noto  come,  secondo  la scienza
dell'estimo,  il  valore  di  un  terreno  edificabile  e'  correlato
all'effettiva  cubatura che si possa realizzare, ma questa non deriva
solo  dalle  astratte previsioni del PRG, dello strumento attuativo o
dei  regolamenti  edilizi,  ma  anche  dalla  prassi concreta seguita
dall'Amministrazione     comunale,     dall'interpretazione     della
giurisprudenza,  ed.  in  ultima  analisi,  dall'effettiva  giustezza
dell'opera realizzata.
E  ben  noto,  nell'esperienza del giudice Amministrativo, che di la'
dalle  norme  astratte, l'applicazione concreta di concetti complessi
quali  la  confrontanza, le distanze, l'orientamento, l'incidenza dei
balconi, il rispetto delle norme di sicurezza e cosi' via, condizioni
pesantemente  l'edificabilita'  teorica del terreno, tanto che il suo
valore  puo' ben aumentare o diminuire anche in funzione delle prassi
seguite   dal   comune   o   dalla   giurisprudenza   del   Tribunale
amministrativo regionale competente e del Consiglio di Stato.
Edificabilita'  e'  concetto  che  indica  la  potenzialita' rispetto
all'atto, cioe' l'edificazione. Ma la potenzialita', per essere tale,
secondo  la  logica,  deve  essere  legata  all'atto  da un legame di
consequenzialita'  diretta  per  cui  dalla potenzialita' all'atto il
passaggio  avviene  solo  per l'azione di un fattore di collegamento.
Quando  tra  la  presunta  potenzialita' ed il suo atto s'inseriscono
ulteriori  passaggi,  ciascuno  dei  quali  caratterizzati  dalle due
condizione  di potenzialita' ed atto, e' logicamente evidente che tra
la   prima   potenzialita'   e  l'atto  finale  non  sussiste  alcuna
correlazione.
Tale  e'  la situazione tra l'edificabilita' derivante dal solo PRG e
l'edificazione.   Infatti,   se   questo   tipo   di   edificabilita'
rappresentasse  lo  stato  di  potenza  della  edificazione,  sarebbe
possibile,   giuridicamente,   che   il  proprietario  legittimamente
costruisse   l'immobile.  Poiche',  invece,  tra  l'edificabilita'  e
l'edificazione si inserisce necessariamente il permesso di costruire,
e  questo  e'  rilasciato  solo sul presupposto della esistenza dello
strumento  attuativo,  ne  consegue che l'edificabilita' in questione
non  e'  potenza  della edificazione, ma del rilascio del permesso di
costruire,  e  quindi non vi e' nessuna conseguenza diretta sul piano
patrimoniale.  La  graduazione  di una tale consequenzialita' sarebbe
possibile   nella  discrezionalita'  del  legislatore,  ma  la  norma
denunciata non ha operato alcuna graduazione, equiparando puramente e
semplicemente due situazioni tra loro diverse e non correlate.
E'  quindi  contraddittorio ed illogico ritenere, per interpretazione
autentica,  che  l'edificabilita'  si  realizzi solo sulla base della
previsione del PRG, cio' per due ordini di motivi.
In  primo  luogo  perche',  ove  il  comune  abbia adottato misure di
salvaguardia,  esse,  per un periodo di almeno quindici anni, secondo
la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  sono  in  grado di
impedire il rilascio del permesso di costruire.
In  secondo  luogo perche', anche scaduta la validita' delle norme di
salvaguardia e nell'impossibilita' di reiterarle, l'edificabilita' e'
legata  ai ristretti limiti del PRG, solitamente identici a quelli in
vigore  con  gli  strumenti  attuativi  per  le zone agricole, il che
riporta  il  valore  del  terreno  appunto  a  quella  qualificazione
agricola che si sarebbe voluta negare.
Si puo' a ragion veduta ritenere di trovarci dinanzi ad una nonna che
intende  sovrapporre  la  realta'  giuridica  alla  realta' di fatto,
negandola.
La  giurisprudenza della Corte di cassazione difforme da quella sopra
citata,  come  ad  esempio  la  n. 16751 del 24 agosto 2004, ritiene,
consapevolmente,  che il terreno edificabile anche solo in virtu' del
PRG  abbia  un  valore, nell'esperienza quotidiana e comune, comunque
maggiore  del  medesimo  terreno  inserito in zona agricola, anche se
ammette, con consequenzialita' logica apprezzabile, che «l'assenza di
un  piano  attuativo dello strumentogenerale attenua la potenzialita'
edificatoria,  influenzandone  la base imponibile, ai sensi dell'art.
5, n. 5, d.lgs. n. 504 del 1992».
A  maggior  ragione  questa  potenzialita' di fatto, sotto il profilo
logico,  non  puo'  essere la medesima tra un terreno assistito dallo
strumento  attuativo  e  quello solo inserito in zona edificabile del
PRG, per i motivi sopra detti e per lo jato temporale sussistente tra
l'edificabilita'    di    fatto    e    quella    giuridica    dovuto
all'intermediazione di almeno altre due coppie potenzialita-atto.
Sembra  quindi  che  la norma di interpretazione autentica denunciata
violi  non solo, l'art. 53 della costituzione poiche' prescinde dalla
capacita'  contributiva  reale  che  e' necessariamente mediata dalle
norme  imperative  relative  allo  jus aedificandi, ma anche l'art. 3
della   Costituzione,   poiche'  sottopone  al  medesimo  trattamento
giuridico  situazioni oggettivamente diverse, con l'aggravante che la
diversita'  delle  situazioni non deriva neppure da un dato di fatto,
ma da una volonta' giuridica dello stesso ordinamento.
Si  vuol  dire  che  nel  momento stesso in cui si e' separato lo jus
aedificandi   dal   diritto  di  proprieta',  sottoponendolo  ad  una
disciplina  pubblicistica,  lo  si  e'  costituito  in bene giuridico
separato  dalla  proprieta'  ed  interamente  sottoposto  a normativa
d'imperio. Di essa l'ordinamento giuridico deve tenere conto, traendo
le  conseguenze della separazione voluta in apicibus. Pertanto, se lo
stesso  ordinamento  disciplina  in  maniera  difforme  i  terreni in
funzione  dell'adozione  o  meno di uno strumento amministrativo, non
puo' poi alterarne le conseguenze sul piano patrimoniale equiparando,
ad  altri  fini,  quelle  medesime situazioni giuridiche che esso ha,
consapevolmente,   separato.  In  altri  termini  e'  proprio  di  un
ordinamento   irrazionale,   contraddittorio,   e  percio'  ingiusto,
adottare  due  diverse  qualificazioni  del  medesimo  fatto,  a fini
diversi,  perche'  in entrambi i casi esse ridondino a svantaggio del
cittadino.  Si  tratta  di  un  atteggiamento sicuramente vessatorio,
proprio  di regimi ben diversi dalla democrazia, che collide sotto il
profilo  del principio di uguaglianza, oltre che di razionalita', con
la nostra Costituzione.
In  conclusione, ritenendo d'ufficio che la questione di legittimita'
costituzionale   per   violazione   degli   articoli  3  e  53  della
Costituzione  nonche'  dei  principi di ragionevolezza, razionalita',
non  contraddizione  da parte dell'art. 11-quaterdecies, comma 16 del
decreto-legge  30  settembre  2005,  n. 203, convertito in legge, con
modificazioni,  dall'art.  1,  della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e
dell'art.  36, comma secondo del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223,
sia rilevante e non manifestamente infondata, la Commissione sospende
il  giudizio,  ai  sensi  dell'art.  1  della  legge costituzionale 9
febbraio  1949,  n. 1,  e  dell'art. 23 della legge costituzionale 11
marzo  1953,  n. 87  e,  riservata ogni altra decisione in rito e nel
merito, invia gli atti alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
   Ogni  altra  decisione in rito e nel merito riservata, sospende il
giudizio.
   Manda  la segreteria di inviare gli atti alla Corte costituzionale
ai  sensi  dell'art.  23, secondo comma della legge costituzionale 11
marzo  1953,  n. 87,  nonche'  di notificare la presente ordinanza al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri e comunicarla ai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ai sensi del
medesimo art. 23, quarto comma.
                        Il Presidente: Caruso
                                     Il relatore estensore: Zucchelli