N. 775 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 agosto 2006
Ordinanza del 30 agosto 2006 emessa dalla Commissione tributaria regionale per il Lazio sul ricorso proposto da DA.RO.ER. S.r.l. contro Comune di Ladispoli Imposte e tasse - Imposta comunale sugli immobili (ICI) - Nozione di area fabbricabile ai fini dell'applicazione dell'imposta - Norme di interpretazione autentica secondo cui l'edificabilita' deve essere ritenuta solo sulla base delle disposizioni del piano regolatore generale, anche in assenza degli strumenti urbanistici attuativi - Lamentata irragionevole equiparazione di terreni siti in zona munita di strumento attuativo e terreni siti in zona solo ritenuta edificabile dal piano regolatore generale - Denunciata violazione dei principi di eguaglianza e di capacita' contributiva, nonche' dei principi di ragionevolezza, razionalita', non contraddizione. - Decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella legge 2 dicembre 2005, n. 248, art. 11-quaterdecies, comma 16; d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella legge 4 agosto 2006, n. 248, art. 36, comma 2. - Costituzione, artt. 3 e 53.(GU n.47 del 5-12-2007 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente ordinanza sull'appello n. 3708/04 depositato il 17/luglio 2004, avverso la sentenza n. 167/24/2003 emessa dalla commissione tributaria provinciale di Roma contro Comune di Ladispoli proposto dal ricorrente: DA.RO.ER. S.r.l. V.le Scalo San Lorenzo, 40/C - 00185 Roma, difeso da: avv. D'Ippolito Michele Via Ruggero Bonghi, 32/D - 00184 Roma; atti impugnati: avviso di accertamento n. 8002/02 I.C.I. 1999. F a t t o Con atto notificato il 22 dicembre 2000 il comune di Ladispoli accertava l'imposta I.C.I. per l'anno 1999 nei confronti della DA.RO.ER S.r.l. contestando l'omessa denuncia ed l'omesso pagamento della relativa imposta. Precisava che il terreno oggetto dell'imposizione era da considerarsi area fabbricabile. Avverso l'alto la societa' ricorreva alla Commissione tributaria provinciale di Roma, lamentando: 1) - Erroneita' del presupposto. L'area in questione non e' da considerarsi fabbricabile, ed anzi proprio la mancata adozione del piano particolareggiato del PRG rende l'area non fabbricabile ai sensi dell'art. 13 della legge n. 10 del 1977; 2) - Omissione dell'indicazione dei presupposti di fatto e di diritto su cui si basa la valutazione, atteso il generico richiamo ad una non meglio precisata perizia giurata; 3) - L'erroneita' dell'applicazione dell'imposta su un presunto valore di mercato e non sulle rendite catastali; 4) - Il regolare pagamento dell'imposta in base ai valori catastali effettuato al comune di Cerveteri. Si costituiva in giudizio il comune eccependo: 1) - Che in base alla disciplina urbanistica l'area doveva considerarsi fabbricabile in quanto ubicata in zona destinata dal PRG ad impianti alberghieri e ricreativi e che l'avvenuta adozione della variante al PRG, per costante giurisprudenza, muta la natura dei terreni da agricoli in edificabili; 2) - Ai sensi dell'art. 5, comma 5 del decreto legislativo n. 504 del 1992 la base imponibile per l'I.C.I. e' data dal valore venale in comune commercio dell'immobile, pertanto, premessa la natura edificabile del terreno, tale valore e' stato rilevato con perizia giurata affidata con convenzione alla societa' Sipa Servizi S.r.l. ed al suo tecnico geometra Ramazzotti. Con sentenza n. 167/24/03 del 10 febbraio - 6 maggio 2003 la Commissione adita respingeva il ricorso. Osservava che l'avviso doveva considerarsi motivato con riferimento alle ragioni che avevano condotto alla valutazione del valore in comune commercio. Osservava ancora che i pagamenti eccepiti dalla ricorrente si riferivano agli anni 1993 e 1994 e non all'annualita' in esame. Infine osservava che la semplice iscrizione del terreno in zona edificatoria induce la potenzialita' edificatoria dello stesso. Con atto notificato il 21 giugno 2004 la societa' impugna la detta sentenza lamentando: 1) - Contrasto con altra sentenza della stessa Commissione su fattispecie analoga, in particolare con la sentenza n. 429/43/03 resa in relazione all'I.C.I. su terreni analoghi di proprieta' della stesa ricorrente. 2) - Contraddittorieta' della sentenza appellata. I giudici di prime cure affermano che l'edificabilita' deriva dalla lottizzazione d'ufficio effettuata con deliberazione comunale del 25 marzo 2002, successiva al periodo d'imposta in questione; 3) - Illegittima alterazione dei valori catastali. Osserva che nel 1999 non sussisteva alcuna edificabilita', nemmeno potenziale, dell'area, per altro oggetto di espropriazione per pubblica utilita'; 4) - Nullita' e genericita' dell'avviso di accertamento. Osserva che nell'atto impugnato non sono riscontrabili specifici riferimenti alle caratteristiche reali del terreno ne calcoli estimatori specifici, mentre l'approvazione del regolamento comunale sull'I.C.I. e' avvenuta con deliberazione n. 21 del 30 marzo 1999 applicabile solo dal 2000. Il comune di Ladispoli non si e' costituito. D i r i t t o L'art. 11-quaterdecies, comma 16 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, stabilisce che «ai fini dell'applicazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, la disposizione, prevista dall'art. 2, comma 1, lettera b), dello stesso decreto si interpreta nel senso che un'area e' da considerare comunque fabbricabile se e' utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo». Per altro il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, articolo 36, comma secondo, stabilisce: Ai fini dell'applicazione ... omissis ... del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, un'area e da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall'approvazione della regione e dall'adozione di strumenti attuativi del medesimo». Il Collegio ritiene, d'ufficio, che sia rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' sull'art. 11-quaterdecies, comma 16 e sull'art. 36, comma secondo appena citati, per violazione dell'art. 53e dell'art. 3 della Costituzione nonche' dei principi di ragionevolezza, razionalita' e non contraddizione. Sulla rilevanza La Corte di cassazione, con sentenza n. 21573 del 15 novembre 2004, ha ritenuto che in tema d'imposta comunale sugli immobili (I.C.I.), l'art. 2, comma primo, lettera b), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 - secondo il quale `per area fabbricabile si' intende l'area utilizzabile a scopo edificatorio in base aglistrumenti urbanistici generali o attuativi ovvero in base alle possibilita' effettive di edificazione determinate secondo i criteri previsti agli effetti dell'indennita' di espropriazione per pubblica utilita' - deve essere interpretato, anche in conformita' al principio di capacita' contributiva di cui all'art. 53 della costituzione, nel senso che vanno assoggettate ad imposta le aree che sono immediatamente utilizzabili a scopo edificatorio, per le quali, cioe', sussiste la possibilita' legale ed effettiva di rilascio della concessione edilizia al momento dell'imposizione fiscale. Ne consegue che sono escluse dall'imposta le aree che, pur essendo comprese nel piano regolatore generale, non sono effettivamente suscettibili di edificazione a causa della mancata approvazione dei necessari piani attuativi (particolareggiati o di lottizzazione), ovvero dell'esistenza di misure di salvaguardia adottate dal comune. La Cassazione, con la detta sentenza, e' intervenuta in una vexata quaestio, che ha visto alternarsi pronunce contrastanti sia in sede di legittimita' sia di merito tributario. L'art. 11-quaterdecies, comma 16 citato, 1 canto suo, e' intervenuto su tale questione con norma di interpretazione autentica, chiarendo che ai fini I.C.I. l'edificabilita' deve essere ritenuta solo sulla base delle disposizioni del piano regolatore generale, anche in assenza degli strumenti urbanistici attuativi. La questione prospettata nel giudizio in esame concerne, per l'appunto, il criterio di valutazione di alcuni terreni agricoli, siti in una zona del comune di Ladispoli, inseriti in zona edificabile secondo il piano regolatore generale, ma per la quale non sono stati adottati strumenti attuativi. Il valore determinato dal comune considera la cosi' detta edificabilita' di fatto, mentre il ricorrente oppone l'inedificabilita' degli stessi, proprio per l'assenza degli strumenti che rende impossibile il rilascio di un permesso di costruzione. La valenza retroattiva della norma d'interpretazione autentica contenuta nell'art. 11-quaterdecies, comma 16 citato la rende applicabile anche ai periodi d'imposta pendenti, per cui essa, di fatto, interviene legittimando una prassi amministrativa che, viceversa, sarebbe da considerare illegittima, secondo questo orientamento della Suprema Corte da cui la Commissione non ha motivi di discostarsi, per altro con cio' confermando la sua consolidata giurisprudenza. E quindi evidente che l'applicazione del citato art. 11-quaterdecies e' idonea a definire la questione. Analogamente l'art. 36, comma secondo del d.l. n. 223 del 2006 dispone con norma di valenza retroattiva generale. Esso, infatti, applica il principio che in questa sede si esamina a tutti gli effetti tributari, richiamando espressamente le norme impositive di tutte le imposte. Ove si intendesse attribuire a tale nonna un significato interpretativo, essa sarebbe idonea, di per se', a definire il giudizio cosi' come gia' osservato in relazione all'art. 11-quaterdecies, comma 16. Che la norma abbia natura interpretativa non e' considerazione priva di fondamento. Infatti, nell'interpretazione della volonta' del legislatore, non si puo' obliterare il disposto dei commi quarto, sesto, ottavo, undicesimo, quattordicesimo, quindicesimo, diciassettesimo, diciannovesimo, ventunesimo, ventiseiesimo, ventottesimo del medesimo articolo, i quali, riferendosi alle disposizioni dei commi immediatamente precedenti, (anche essa intesi a recuperare base imponibile in vari settori tributari) ne dispongono la applicabilita' solo dal periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge stesso. Cio' sembra sufficientemente indicativo che le norme dei commi primo e secondo, per le quali il legislatore non ha previsto analoga cautela, debbano essere lette, invece, come nonne interpretative, quindi con effetto retroattivo. In tal caso l'art. 11-quaterdecies, comma 16 piu' volte citato, dovrebbe ritenersi abrogato ai sensi dell'art. 15, ultima parte, delle disposizioni preliminare al codice civile, ma in ogni caso sostituito con norma di identico tenore, nei cui confronti si appunta il medesimo dubbio di costituzionalita' sollevato da questo Collegio nei confronti del piu' volte citato art. 11-quaterdecies. Come insegna la Corte costituzionale, tuttavia, la rilevanza deve essere giudicata anche in funzione dell'inesistenza di una possibile diversa interpretazione, conforme a Costituzione, della norma denunciata ed in funzione di una diversa soluzione della controversia che prescinda dall'applicazione della norma sospetta d'incostituzionalita'. Nel caso di specie ne' l'una, ne' l'altra soluzione sono possibili. In primo luogo nessun'altra interpretazione e' possibile del citato art. 11-quaterdecies, comma 16, atteso che essa e' chiara nella sua portata letterale e nella ratio legis seguita. Sotto il profilo letterale, l'utilizzazione dell'espressione «si interpreta» non puo' dare adito a dubbi, ne si puo' ritenere che la norma abbia portata innovativa. Essa, infatti, s'inserisce su situazioni fiscali identiche nel corso del tempo, ed anzi addirittura incide sui medesimi oggetti d'imposta (gli immobili) nel corso degli anni, per cui sarebbe illogico ritenere che essa abbia una portata non interpretativa-retroattiva, dato che costituisce una qualificazione giuridica del medesimo bene a legislazione invariata. Per altro la ratio legis e' chiara. Non solo la norma intende evitare i dubbi interpretativi i quali, come si e' detto, avevano dato luogo a pronunce difformi tra diverse Sezioni della stessa Corte di cassazione e tra questa e la giustizia tributaria, ma anche stabilire una piu' alta base imponibile ed una certezza nei rapporti tributari. La finalita' della maggiore imposizione e' evidente dal contesto del decreto legge e delle altre norme dello stesso, mentre l'obiettivo della certezza giuridica e' insito nello stesso strumento dell' interpretazione autentica. In secondo luogo non e' possibile risolvere la questione odierna senza la diretta applicazione del citatoart. 11-quaterdecies. Tutti i motivi d'appello s'incentrano sull'illegittimita' dell'interpretazione seguita dal comune circa l'edificabilita' di fatto, che ha condotto all'elaborazione di una stima del valore con riferimento al comune commercio, invece che alle rendite catastali formali, relative appunto alla natura agricola degli stessi. Pertanto tutti i motivi d'appello sono destinati ad essere respinti dinanzi ad un interpretazione autentica che, in ogni caso, assume la deliberazione del piano regolatore generale, non contestata dal ricorrente, a fattore determinante per la qualificazione di terreno edificabile, a prescindere dall'effettiva possibilita' giuridica dell'edificazione. Per altro identica linea di ragionamento deve essere seguita nella interpretazione dell'art. 36, comma secondo, del d.l. n. 223 del 2006. Sul presupposto che esso sia norma di interpretazione autentica, e quindi retroattiva, esso determinerebbe l'abrogazione applicata dell'art. 11-quaterdecies, ma ad esso si sostituirebbe con disposizione di identico significato, e dunque anche essa in grado di definire la controversia. Considerata la rilevanza della questione, occorre ora affrontare l'ulteriore profilo. Sulla non manifesta infondatezza L'imposta comunale sugli immobili si basa sul presupposto del possesso di un immobile. La sua base imponibile e' costituita dalla rendita catastale, aumentata secondo coefficienti predeterminati, ovvero dal valore venale in comune commercio, per le aree fabbricabili. Ne consegue che essa, nonostante la diversa qualificazione che ne da' parte della dottrina e la giurisprudenza di legittimita', e' da considerarsi un'imposta patrimoniale annuale, poiche' colpisce un cespite patrimoniale indipendentemente dal reddito prodotto. Il riferimento alla rendita catastale, che sembra adombrare un'imposizione. sul reddito, costituisce solo un parametro di commisurazione, tanto e' vero che, nell'ipotesi di area fabbricabile, lo stesso legislatore assume a base imponibile il valore venale in comune commercio, il quale, come e' evidente, si realizza solo nell'utilizzazione patrimoniale del bene (edificazione o vendita). In questa evenienza il legislatore intende colpire, appunto, non il reddito, ma la stessa proprieta', o disponibilita', del bene in vista di una sua utilizzazione piu' proficua di quanto non rossa essere il mero possesso, e dunque il suo valore intrinseco, non la sua redditivita'. In quest'ottica, tuttavia, si deve dubitare della conformita' delle norme di cui all'art. 11-quaterdecies e all'art. 36, comma secondo citati, con l'art. 53 della Costituzione. La capacita' contributiva invocata dal citato articolo a parametro delle norme fiscali, deve essere verificata nei suoi presupposti di fatto e di diritto. Costituisce un libera scelta del legislatore, come tale appartenente alla sua discrezionalita' insindacabile nel merito, se sottoporre un immobile ad un'imposta patrimoniale e se commisurare questa al suo valore venale in comune commercio, anziche' a parametri piu' certi quali la rendita catastale, sia pure aumentata di un coefficiente apposito. Tuttavia la discrezionalita' deve anche essere esercitata nel rispetto requisiti e principi di logica, congruenza e non contraddizione. Orbene, equiparare, sotto il, profilo dell'edificabilita', un terreno sito in zona munita di strumento attuativo ad uno sito in zona solo ritenuta edificabile dal piano regolatore generale, significa, appunto, violare i principi di logica e non contraddizione, oltre che di uguaglianza. Un terreno edificabile non puo' essere definito altrimenti che come quel terreno sul quale e' possibile legittimamente, costruire un immobile secondo i parametri di volume e superficie, distanze etc. stabiliti dallo strumento attuativo. A ben vedere, anzi, edificabile dovrebbe essere considerato solo il terreno per il quale sia stato rilasciato un permesso di costruire determinato. Solo in tal caso, infatti, e' stato rimosso l'impedimento allo jus aedificandi e sono state definite le caratteristiche dell'immobile da costruire, con cio' dando piena concretezza all'edificabilita', e quindi al valore del terreno stesso. E, infatti, noto come, secondo la scienza dell'estimo, il valore di un terreno edificabile e' correlato all'effettiva cubatura che si possa realizzare, ma questa non deriva solo dalle astratte previsioni del PRG, dello strumento attuativo o dei regolamenti edilizi, ma anche dalla prassi concreta seguita dall'Amministrazione comunale, dall'interpretazione della giurisprudenza, ed. in ultima analisi, dall'effettiva giustezza dell'opera realizzata. E ben noto, nell'esperienza del giudice Amministrativo, che di la' dalle norme astratte, l'applicazione concreta di concetti complessi quali la confrontanza, le distanze, l'orientamento, l'incidenza dei balconi, il rispetto delle norme di sicurezza e cosi' via, condizioni pesantemente l'edificabilita' teorica del terreno, tanto che il suo valore puo' ben aumentare o diminuire anche in funzione delle prassi seguite dal comune o dalla giurisprudenza del Tribunale amministrativo regionale competente e del Consiglio di Stato. Edificabilita' e' concetto che indica la potenzialita' rispetto all'atto, cioe' l'edificazione. Ma la potenzialita', per essere tale, secondo la logica, deve essere legata all'atto da un legame di consequenzialita' diretta per cui dalla potenzialita' all'atto il passaggio avviene solo per l'azione di un fattore di collegamento. Quando tra la presunta potenzialita' ed il suo atto s'inseriscono ulteriori passaggi, ciascuno dei quali caratterizzati dalle due condizione di potenzialita' ed atto, e' logicamente evidente che tra la prima potenzialita' e l'atto finale non sussiste alcuna correlazione. Tale e' la situazione tra l'edificabilita' derivante dal solo PRG e l'edificazione. Infatti, se questo tipo di edificabilita' rappresentasse lo stato di potenza della edificazione, sarebbe possibile, giuridicamente, che il proprietario legittimamente costruisse l'immobile. Poiche', invece, tra l'edificabilita' e l'edificazione si inserisce necessariamente il permesso di costruire, e questo e' rilasciato solo sul presupposto della esistenza dello strumento attuativo, ne consegue che l'edificabilita' in questione non e' potenza della edificazione, ma del rilascio del permesso di costruire, e quindi non vi e' nessuna conseguenza diretta sul piano patrimoniale. La graduazione di una tale consequenzialita' sarebbe possibile nella discrezionalita' del legislatore, ma la norma denunciata non ha operato alcuna graduazione, equiparando puramente e semplicemente due situazioni tra loro diverse e non correlate. E' quindi contraddittorio ed illogico ritenere, per interpretazione autentica, che l'edificabilita' si realizzi solo sulla base della previsione del PRG, cio' per due ordini di motivi. In primo luogo perche', ove il comune abbia adottato misure di salvaguardia, esse, per un periodo di almeno quindici anni, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, sono in grado di impedire il rilascio del permesso di costruire. In secondo luogo perche', anche scaduta la validita' delle norme di salvaguardia e nell'impossibilita' di reiterarle, l'edificabilita' e' legata ai ristretti limiti del PRG, solitamente identici a quelli in vigore con gli strumenti attuativi per le zone agricole, il che riporta il valore del terreno appunto a quella qualificazione agricola che si sarebbe voluta negare. Si puo' a ragion veduta ritenere di trovarci dinanzi ad una nonna che intende sovrapporre la realta' giuridica alla realta' di fatto, negandola. La giurisprudenza della Corte di cassazione difforme da quella sopra citata, come ad esempio la n. 16751 del 24 agosto 2004, ritiene, consapevolmente, che il terreno edificabile anche solo in virtu' del PRG abbia un valore, nell'esperienza quotidiana e comune, comunque maggiore del medesimo terreno inserito in zona agricola, anche se ammette, con consequenzialita' logica apprezzabile, che «l'assenza di un piano attuativo dello strumentogenerale attenua la potenzialita' edificatoria, influenzandone la base imponibile, ai sensi dell'art. 5, n. 5, d.lgs. n. 504 del 1992». A maggior ragione questa potenzialita' di fatto, sotto il profilo logico, non puo' essere la medesima tra un terreno assistito dallo strumento attuativo e quello solo inserito in zona edificabile del PRG, per i motivi sopra detti e per lo jato temporale sussistente tra l'edificabilita' di fatto e quella giuridica dovuto all'intermediazione di almeno altre due coppie potenzialita-atto. Sembra quindi che la norma di interpretazione autentica denunciata violi non solo, l'art. 53 della costituzione poiche' prescinde dalla capacita' contributiva reale che e' necessariamente mediata dalle norme imperative relative allo jus aedificandi, ma anche l'art. 3 della Costituzione, poiche' sottopone al medesimo trattamento giuridico situazioni oggettivamente diverse, con l'aggravante che la diversita' delle situazioni non deriva neppure da un dato di fatto, ma da una volonta' giuridica dello stesso ordinamento. Si vuol dire che nel momento stesso in cui si e' separato lo jus aedificandi dal diritto di proprieta', sottoponendolo ad una disciplina pubblicistica, lo si e' costituito in bene giuridico separato dalla proprieta' ed interamente sottoposto a normativa d'imperio. Di essa l'ordinamento giuridico deve tenere conto, traendo le conseguenze della separazione voluta in apicibus. Pertanto, se lo stesso ordinamento disciplina in maniera difforme i terreni in funzione dell'adozione o meno di uno strumento amministrativo, non puo' poi alterarne le conseguenze sul piano patrimoniale equiparando, ad altri fini, quelle medesime situazioni giuridiche che esso ha, consapevolmente, separato. In altri termini e' proprio di un ordinamento irrazionale, contraddittorio, e percio' ingiusto, adottare due diverse qualificazioni del medesimo fatto, a fini diversi, perche' in entrambi i casi esse ridondino a svantaggio del cittadino. Si tratta di un atteggiamento sicuramente vessatorio, proprio di regimi ben diversi dalla democrazia, che collide sotto il profilo del principio di uguaglianza, oltre che di razionalita', con la nostra Costituzione. In conclusione, ritenendo d'ufficio che la questione di legittimita' costituzionale per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione nonche' dei principi di ragionevolezza, razionalita', non contraddizione da parte dell'art. 11-quaterdecies, comma 16 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e dell'art. 36, comma secondo del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, sia rilevante e non manifestamente infondata, la Commissione sospende il giudizio, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1949, n. 1, e dell'art. 23 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87 e, riservata ogni altra decisione in rito e nel merito, invia gli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Ogni altra decisione in rito e nel merito riservata, sospende il giudizio. Manda la segreteria di inviare gli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23, secondo comma della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, nonche' di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicarla ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ai sensi del medesimo art. 23, quarto comma. Il Presidente: Caruso Il relatore estensore: Zucchelli