N. 776 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 giugno 2007
Ordinanza del 4 giugno 2007 emessa dal Tribunale di Milano nel procedimento civile promosso da Fallimento Editrice Portoria S.p.A. contro Arnolo Mondadori Editore S.p.A. Procedimento civile - Societa' - Controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche' in materia bancaria e creditizia - Procedimento di primo grado dinanzi al tribunale in composizione collegiale - Istanza di fissazione dell'udienza collegiale - Mancata notifica nel termine perentorio - Prevista estinzione del processo in luogo del differimento dell'udienza e successiva cancellazione dal ruolo - Lamentata sproporzione e incoerenza della sanzione rispetto alla finalita' di garantire la ragionevole durata del processo, con effetti pregiudizievoli per i diritti sostanziali e processuali della parte onerata - Lamentata disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi di mancata comparizione delle parti innanzi al collegio per la sentenza contestuale, nonche' di altre ipotesi previste nell'ambito del medesimo procedimento, e ad analoga ipotesi di inattivita' delle parti nel procedimento ordinario, per le quali tutte e' previsto il differimento dell'udienza e la successiva cancellazione dal ruolo - Denunciata lesione del diritto di difesa e dei principi di eguaglianza e ragionevolezza. - Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, art. 8, comma 4. - Costituzione, artt. 3, 24 e 111; d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 7, commi 2 e 3, 12 e 16, comma 1; cod. proc. civ., artt. 181 e 309(GU n.47 del 5-12-2007 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di I grado iscritta al n. 25576/2006 r.g. assunta in riserva all'udienza collegiale del giorno 22 marzo 2007 promossa da: fall.to Editrice Portoria S.p.A. elettivamente domiciliata in via Francesco Sforza n. 15 - Milano, presso e nello studio dell'avv. Jorio Alberto che la rappresenta e difende, attrice; Contro Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. elettivamente domiciliata in piazza Borromeo n. 8 - Milano, presso e nello studio dell'avv. Munari Alessandro che la rappresenta e difende, convenuta, in punto a: «153999 - Altri istituti di diritto societario soggetti al d.lgs. n. 5/2003». A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 22 marzo 2207 ha pronunciato la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 26, legge n. 87/1953. M o t i v i Con atto di citazione ex art. 2 d.lgs. n. 5/2003 il fallimento Editrice Portoria S.p.A. ha convenuto la societa' Arnoldo Mondatori S.p.A. per l'accoglimento delle conclusioni poi precisate nella memoria ex art. 10 d.lgs. n. 5/2003, trattandosi di controversia concernente rapporti societari. Scambiate le memorie di cui agli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 5/2003, l'attore ha notificato istanza di fissazione d'udienza ex art. 8, d.lgs. n. 5/2003 e la convenuta, nel precisare le proprie conclusioni, ha eccepito l'intervenuta estinzione del processo. Il giudice relatore ha quindi fissato udienza monocratica di discussione in data 6 febbraio, dopo di che, con decreto reso in data 7 febbraio 2007, ha respinto l'eccezione pregiudiziale della convenuta, emettendo i provvedimenti istruttori e fissando udienza collegiale di discussione per il 22 marzo 2007. Il provvedimento di rigetto veniva reclamato e il collegio investito della questione dichiarava l'inammissibilita' di detto reclamo, mancando una pronuncia di estinzione del giudizio. La questione sulla pretesa estinzione del giudizio, pertanto, veniva riproposta al tribunale investito del merito della controversia. Nel caso de quo, la dedotta estinzione del giudizio si sarebbe verificata perche' parte attrice, con istanza notificata il 20 ottobre 2006, provvedeva alla notifica della medesima decorsi venti giorni dalla notifica della memoria di replica ex art. 7, comma 2, d.lgs. n. 5/2003. Difatti, a norma dell'art. 8, comma primo, lettera c), d.lgs. n. 5/2003, parte attrice avrebbe dovuto notificare l'istanza di fissazione dell'udienza entro venti giorni dalla notifica della memoria alla quale non intendeva replicare, ossia entro e non oltre 1'11 ottobre 2006. Parte attrice, invece, ha notificato l'istanza solo in data 20 ottobre 2001, ossia decorsi ventinove giorni dalla notifica della memoria di parte convenuta alla quale ha dichiarato di non volere replicare. Conseguentemente, il procedimento dovrebbe a rigore dichiararsi estinto ai sensi dell'art. 8, quarto comma, d.lgs. n. 5/ 2003, laddove si indica la scadenza di quel termine per la notifica dell'istanza, non potendo valere diversi termini previsti per altre ipotesi. La tesi di parte attrice, invece, e' nel senso di non essere incorsa in detta causa di estinzione, posto che l'istanza e' stata notificata comunque entro il termine di trenta giorni indicato dalla controparte per la notifica di memoria: questo orientamento, per quanto proposto dal giudice relatore che ha respinto l'eccezione di estinzione, non viene condiviso dal tribunale, poiche' l'istanza di fissazione dell'udienza collegiale non potrebbe certamente essere equiparata, quanto ai suoi effetti processuali, a una memoria di replica, poiche' in detta istanza e' chiaro l'intendimento della parte di ritenere esaurita la fase di scambio di memorie. L'istanza di fissazione dell'udienza collegiale, invero, costituisce l'atto d'impulso unico e insostituibile che consente al procedimento in corso di passare da una fase di puro scambio di atti tra le parti a una fase apud iudicem. Nel disciplinare i diversi momenti in cui puo' inserirsi detta istanza, il legislatore ha previsto termini perentori mobili, quanto alla loro decorrenza, a seconda della fase endoprocessuale in cui si inserisce detto impulso, lasciando comunque fisso il termine di venti giorni per la notifica dell'istanza. Il termine per la proposizione di detta istanza, difatti, a seconda di come in concreto si e' svolto il contraddittorio, decorre da momenti la cui individuazione spetta precipuamente alle parti. Tuttavia, le disposizioni normative che regolano i termini a quo risultano difficilmente intelleggibili, perche' frutto di una formulazione certamente non chiara e lineare, facendo essa ricorso al rinvio a disposizioni incluse in diversi articoli o commi che, a seconda delle diverse fasi in cui si trova il processo, prevedono diversi termini di decorrenza: il che non contribuisce a garantire il regolare svolgimento di un processo in cui le parti interloquiscono tra loro solo attraverso lo scambio degli scritti difensivi, e ove, quindi, il giudice e' totalmente assente dalla sua funzione di direzione del procedimento (175 c.p.c.) che, nel rito ordinario, si pone a garanzia dell' ordinato e regolare svolgimento del contraddittorio - anche attraverso la chiara fissazione di termini perentori entro cui svolgere determinate attivita', pena, in taluni casi (art. 307 c.p.c.), l'estinzione del giudizio. Orbene, una formulazione normativa poco chiara e lineare, certamente, non contribuisce a dare ordine alla fase piu' delicata del processo (litis denuntiatio e litis contestatio), ove per ciascuna parte e' previsto il potere di far autonomamente scattare preclusioni nel momento ritenuto piu' conveniente. In tal modo, inevitabilmente il complesso delle norme in esame tende a premiare chi pratica il processo con maggiore abilita' per prendere di sorpresa il suo avversario, con assoluta indifferenza della precipua finalita' di distribuzione di torto e ragione che costituisce l'intima essenza del procedimento civile (ne cives ad arma ruant). Benche' l'interpretazione prospettata dal giudice relatore possa essere considerata come un tentativo di dare un'interpretazione conforme a Costituzione della norma processuale in questione, a questo tribunale non appare esserci spazio alcuno per interpretazioni costituzionalmente orientate. Tanto ritiene sulla base delle considerazioni che seguono. 1) Alla luce dei principi generali dai quali e' ragionevole ritenere che il legislatore non abbia inteso discostarsi, va rammentato che l'estinzione e' una vicenda anormale del processo, finalizzata a evitare la prosecuzione di attivita' processuale quando tutte le parti, per accordo esplicito (rinuncia agli atti) o per comportamento concludente (inattivita), non coltivino per un apprezzabile lasso di tempo le proprie pretese; in alcuni casi, poi, essa opera come sanzione immediata, perche' correlata alla mancata esecuzione di un ordine del giudice (art. 107 c.p.c.). Proprio perche' l'inattivita' e' uno dei presupposti che il legislatore pone a base del meccanismo d'estinzione, le parti sono tenute a compiere atti ritenuti essenziali per l'iter processuale entro termini perentori con funzione acceleratoria, e la loro inosservanza determina l'estinzione immediata del processo in casi eccezionali (cfr. artt. 182, comma 2, c.p.c. e 290, c.p.c.; art. 165, c.p.c.; art. 102, c.p.c.; art. 107, c.p.c.) o differita nei casi piu' ricorrenti (art. 181, c.p.c., 309, c.p.c.), non rilevando che detta inosservanza sia frutto di consapevole volonta' o di mera negligenza. Come gia' nel processo ordinario (i casi sono riassunti nell'art. 307, c.p.c. ), anche nel nuovo rito societario - coerentemente alle finalita' di celerita' e concentrazione che lo ispirano - il termine perentorio per il compimento di determinate attivita' e' stato introdotto con funzione esclusivamente acceleratoria, ma la conseguenza in caso di sua inosservanza e' l'estinzione immediata ove sia mancata l'istanza di fissazione dell'udienza collegiale nella fase endoprocessuale (art. 8, comma 4, d.lgs. n. 5/2003), mentre e' differita allorche' le parti non siano comparse innanzi al giudice (art. 16, comma 1, della stessa legge, difatti, dispone la cancellazione della causa dal ruolo). Dovendosi intepretare una norma che regola termini di decadenza, come e' noto, non e' possibile ricorrere ad applicazioni analogiche. Inoltre, anche ammettendo un intervento correttivo da parte del giudice relatore investito dell'eccezione di estinzione, difatti, si rischia di distorcere lo stesso spirito del rito societario, il quale prevede una fase autonomanente gestita dalle parti in cui ogni possibile interferenza del giudice relatore o del presidente del collegio e' espressamente regolata dal legislatore come eccezione alla regola di autonomia delle parti (v. artt. 8, comma 4, 5, 6, e art. 12, comma 4 e seg. d.lgs. n. 5/2003). In effetti, l'unica operazione correttiva possibile per il giudice investito della questione, sarebbe di considerare l'istanza che comunque e' stata proposta con osservanza del maggior termine di trenta giorni per replica (art. 7 del d.lgs. n. 5/ 2003), come atto equipollente di una memoria di replica. Questa soluzione consentirebbe al giudice di verificare se l'omissione corrisponda a un'effettiva inattivita' della parte. Cosi' ragionando, ricorrendo a previsioni generali in ordine al trattamento delle nullita' processuali, riscontrabili negli artt. 156, c.p.c. e seguenti (che notoriamente valgono per ogni atto processuale affetto da nullita' o invalidita' processuale), laddove stabiliscono il principio di salvezza degli atti che abbiano comunque raggiunto il loro scopo, permetterebbe di far si' che l'atto notificato fuori termine produca un effetto conservativo dell'endoprocedimento in cui si inserisce, potendo esso solo impedire il passaggio del procedimento alla fase apud iudicem. E allora, in questo caso, al giudice investito della questione di estinzione, ove l'omissione non sia indice di definitiva inerzia di una delle parti, rimarrebbe la possibilita' di convertire la questione sottoposta al suo esame in quella di ammissibilita' o meno dell'istanza presentata «fuori dei casi previsti dalla legge», come se l'istanza fosse stata presentata in un momento in cui pendevano ancora termini per ulteriori repliche (art. ex art. 5, d.lgs. n. 5/2003). Il tribunale, pero', ritiene che detto minore effetto non possa determinarsi in un caso in cui e' la stessa parte istante ad avere dichiarato di non volersi avvalere di ulteriori termini a difesa. Qualora si accedesse al suddetto orientamento, l'eventuale dichiarazione d'ufficio di inammissibilita' dell'istanza, introdurrebbe la possibilita' di porre termini giudiziali a difesa non richiesti in una fase che si e' chiusa per volonta' della parte stessa. Poiche' il superamento dell'eccezione di estinzione, rilevabile tra l'altro d'ufficio dallo stesso giudice relatore ex art. 8, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, non e' possibile con ricorso alla suddetta opzione interpretativa, il tribunale reputa che la fattispecie sottoposta al suo esame ponga in maniera non manifestamente infondata la questione della costituzionalita' della norma di cui all'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 5/2003 nella parte in cui stabilisce che «la mancata notifica dell'istanza di fissazione d'udienza nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi precedenti, o del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma 2 ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'art. 7, comma 3 «determina l'estinzione immediata del processo», anziche' l'effetto di cancellazione della causa dal ruolo. In particolare, la rilevanza della questione d'incostituzionalita', in relazione al caso di specie, si coglie laddove nell'art. 8, comma 1, lettera c), cui il comma 4 rinvia per regolare singole fasi del procedimento, indica detta decorrenza «dalla data della notifica dello scritto difensivo delle altre parti al quale non intende replicare, ovvero dalla data di scadenza del relativo termine». Questo tribunale ha gia' avuto modo di pronunciarsi in un caso analogo, precisando che l'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 5/2003, nel prevedere che la mancata notifica dell'istanza di fissazione udienza nei venti giorni successivi alla scadenza dei termini di cui ai commi precedenti determina l'estinzione del processo, fa riferimento esclusivamente alla data di notifica dell'atto avversario che impone la necessita' di un certo comportamento processuale (cfr. ordinanza 2 dicembre 2004, G. Rel. D'Isa, in www.judicium.it). Questo orientamento, invero, rappresenta il diritto vivente con il quale doversi confrontare per regolare il caso in esame, in quanto riaffermato in piu' recenti pronunce, tra le quali si annovera la ordinanza del 10 giugno 2006 del tribunale di Brindisi (in Foro It. 2006, 210). Ne consegue che parte attrice avrebbe dovuto notificare l'istanza di fissazione dell'udienza collegiale nel termine di venti giorni dalla notifica della memoria notificata da controparte ex art. 7, d.lgs. n. 5/2003 e che il presente giudizio deve essere dichiarato irrimediabilmente estinto, poiche' i diversi riferimenti temporali indicati dalla norma in discussione si attagliano al caso in cui la controparte non abbia articolato proprie memorie di replica. La conseguenza dell'estinzione immediata del giudizio a fronte dell'agire non tempestivo della parte onerata nel passaggio delicato del giudizio alla fase apud iudicem, che con l'istanza di fissazione dell'udienza collegiale manifesta all'altra parte la volonta' di chiudere la fase di scambio di scritti difensivi, per le ragioni sopra espresse, costituisce una sanzione spropositata perche' carica di effetti pregiudizievoli per i diritti sostanziali e processuali della parte che vi incappa: nel panorama processuale domestico un siffatto meccanismo di estinzione del processo, la cui decorrenza e' riposta sul libero agire delle parti del processo, appare del tutto sproporzionato e incoerente con i principi costituzionali cui dovrebbe essere improntato un procedimento che pretende di offrirsi come modello alternativo a quello ordinario. Detto meccanismo di estinzione, invero, contrasta immediatamente con il principio di cui all'art. 24 Cost., poiche' l'idea del processo il piu' possibile rapido non corrisponde a un modello processuale inteso come terreno di esperti e callidi giocatori, bensi' a un processo inteso come luogo di pronta affermazione e difesa dei diritti soggettivi riconosciuti da una norma sostanziale. Il diritto di difesa non si esaurisce al momento dell'accesso al processo, ma in virtu' dell'art. 111 Cost. che rafforza la garanzia sancita dall'art. 24 Cost. si esprime primariamente come diritto a ottenere una pronta pronuncia di merito, per cui le ipotesi di violazione delle norme rituali che precludono la cognizione del diritto sostanziale, favorendo soluzioni preclusive dell'esame del diritto controverso, dovrebbero essere previste solo nei casi ove sia certo ed effettivo il venir meno dell'interesse delle parti al conseguimento di un determinato risultato. Pertanto ove, in ipotesi, la scelta operata dal legislatore, qui in discussione, sia considerata coerente con i principi costituzionali al fine di garantire la ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), l'opzione di porre termini perentori sanzionati con l'estinzione al fine di governare la delicata fase di passaggio del processo apud iudicem appare del tutto sproporzionata e irragionevole rispetto alla finalita' che si vuole ottenere. Si rammenta che il Legislatore, regolando il procedimento ordinario, anziche' prevedere la sanzione dell'estinzione in ipotesi analoghe di carenza di impulso processuale (mancata comparizione delle parti all'udienza fissata dal giudice) ha previsto la meno penalizzante conseguenza della «cancellazione della causa dal ruolo» che, pur essendo essa il preludio di una possibile estinzione del processo, si articola in un doppio grado di omissioni (l'omessa comparizione delle parti innanzi al giudice e l'omessa riassunzione della causa cancellata entro il termine di un anno). La sanzione dell'estinzione immediata del giudizio, se confrontata con la disciplina del procedimento ordinario che regola un' ipotesi analoga d'inattivita' delle parti (artt. 181 e 309 c.p.c.), pertanto, si porge come eccessiva e punitiva perche' si inserisce a contradittorio compiutamente svolto e non appare coerente con la filosofia di una sanzione fondata sulla semplice presunzione legale del disinteresse delle parti alla pronuncia sul merito. 2) Se si considera, inoltre, che la condotta di cui all'art. 16, comma 1, d.lgs. n. 5/2003 (mancata presentazione delle parti avanti al collegio per la sentenza contestuale) - manifestazione di disinteresse ben piu' esplicita della semplice notifica non tempestiva di un'istanza di fissazione dell'udienza - e' sanzionata dal legislatore con la sola cancellazione della causa dal ruolo, la scelta legislativa relativa a una sanzione processuale che incide in una fase di puro scambio di scritti difensivi autogestita dalle parti appare vieppiu' incongrua e irragionevole. Da cio' l'ulteriore profilo di contrasto con l'art. 3 Cost., inteso come presupposto costituzionale irrinunciabile di scelte legislative sorrette da un'intrinseca razionalita' e ragionevoli quanto a valutazioni comparative con altre ispirate ad analoga logica. Reputa, difatti, il tribunale che la liberta' del legislatore di atteggiare i mezzi di tutela del diritto di difesa in relazione alla protezione di altri interessi costituzionalmente garantiti (celerita' del processo) non puo' spingersi a vanificare in sede giurisdizionale situazioni riconosciute in sede sostanziale, ponendo, piu' che incentivi a un procedere spedito del giudizio, ostacoli all'esercizio dell'azione che si rivelano tali in quanto non congrui e non ragionevoli. Volendo trarre sintetiche conclusioni di quanto sopra riferito, l'estinzione immediata del processo quale conseguenza prevista dal legislatore nelle ipotesi di cui all'art. 8, comma 4 - da individuarsi in virtu' di una lettura combinata e non agevole del disposto degli art. 8, commi 1, 2 e 3 dell'art. 7, d.lgs. n. 5/2003 appare sanzione processuale irragionevole con riguardo alla finalita' dell'istituto dell'«estinzione», in riferimento all'art. 3 della Costituzione, perche' crea una diversita' di trattamento essenziale, e non giustificabile tra il «non agire» costituito dal non comparire davanti al Collegio all'udienza ex art. 16, d.lgs. n. 5/2003 (sanzionato con la sola cancellazione della causa dal ruolo, benche' imputabile ad entrambe le parti e, quindi, anche percio' sintomatico in modo ben piu' chiaro e biunivoco del disinteresse per la pronuncia giurisdizionale ), e il «non agire» costituito dalla mancata notifica dell'istanza di fissazione udienza ex art. 12 della medesima legge nel termine di venti giorni dalla scadenza dei termini di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 8, o del termine per il deposito della memoria di controreplica del convenuto di cui all'art. 7, comma 2, ovvero dalla scadenza del termine massimo di cui all'art. 7, comma 3. Pertanto, il tribunale ritiene che, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, il quale protegge il diritto di agire giudizialmente per la tutela dei propri diritti, la questione di costituzionalita' della norma in esame si ponga chiaramente in termini di non manifesta infondatezza. Detta questione, poi, appare rilevare nel caso concreto, ove l'applicazione della regola di cui sopra porterebbe a un'immediata quanto (e' il caso di dirlo) ingiusta estinzione del processo. Da qui l'immediata rilevanza della questione sottoposta al vaglio della Corte costituzionale. A questo punto il tribunale, tutto quanto sopra premesso.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 1 marzo 1953, n. 87: a) rimette gli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso; b) dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria alle parti, nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso, in data 4 giugno 2007 Il Presidente: Ferraris Il giudice estensore: Fiecconi