N. 790 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 - 24 maggio 2007

Ordinanza   del  24  maggio  2007  emessa  dal  Tribunale  di  Milano
sull'istanza proposta da Tulli Cosimo

Amnistia  ed  indulto - Concessione di indulto - Esclusioni - Mancata
  previsione  dell'inapplicabilita'  del  beneficio  per  il  delitto
  previsto   dall'art.   648-ter  del  codice  penale,  limitatamente
  all'ipotesi  che  l'impiego  in  attivita' economiche o finanziarie
  riguardi  denaro,  beni  o  altre  utilita' provenienti dai delitti
  concernenti  la produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o
  psicotrope  -  Diversita'  di  trattamento  rispetto  alla prevista
  esclusione  dall'indulto  per  l'ipotesi  analoga  di  cui all'art.
  648-bis  del  medesimo  codice  -  Violazione  del  principio della
  finalita' rieducativa della pena.
- Legge 31 luglio 2006, n. 241, art. 1, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 27, comma terzo.
(GU n.48 del 12-12-2007 )
                            IL TRIBUNALE
Decidendo  ex  art.  672 c.p.p. in ordine all'istanza di applicazione
dell'indulto  ex  legge n. 241 del 2006 avanzata il 28 settembre 2006
dal difensore di Tulli Cosimo, ha pronunciato la seguente ordinanza.
Tulli  Cosimo  e' stato condannato per un reato, impiego di denaro di
provenienza  illecita  di  cui all'art. 648-ter c.p. commesso fino al
1994,  alla  pena  di  anni cinque di reclusione ed euro 10.000,00 di
multa  con  sentenza del Tribunale di Milano, sez. III penale, del 29
giugno   2002,  divenuta  definitiva  a  seguito  della  declaratoria
d'inammissibilita'  dell'impugnazione  pronunciata con sentenza della
Corte d'appello di Milano del 25 marzo 2004 (irr. 11 febbraio 2005).
Nella  motivazione  della  sentenza emessa dal Tribunale di Milano e'
affermato  in  modo  chiaro  e  diffuso  (cfr.  Parte IV, capitolo I,
paragrafi  1 e 2) che i capitali investiti nella societa' Doge S.r.l.
poi  Vela  S.r.l.  - gestita da Tulli Cosimo insieme al fratello ed a
Mollica Domenico e Morabito Leo - provengono dall'imponente attivita'
di  traffico  di  stupefacenti  posta  in  essere,  anche  a  livello
internazionale, appunto dal Mollica e dal Morabito, quali capi di una
vasta ed articolata organizzazione criminale a cio' finalizzata.
Orbene,  si  chiede  oggi al tribunale di dichiarare estinta in parte
(altra  parte e' gia' stata scontata dal Tulli in custodia cautelare)
la  pena  inflitta  con la sentenza sopra menzionata, in applicazione
della legge n. 241 del 2006.
Ritiene  tuttavia  il  tribunale  che  la  legge  n. 241 del 2006 sia
affetta da un vizio di legittimita' costituzionale nella parte in cui
non   prevede,   tra   i  delitti  rispetto  alle  quali  e'  esclusa
l'applicazione  dell'indulto,  quello  di  cui all'art. 648-ter c.p.,
limitatamente  all'ipotesi  che il denaro, i beni o le altre utilita'
impiegate  in  attivita'  economiche  o finanziarie siano provento di
delitti concernenti il traffico di sostanze stupefacenti.
Tale  questione  e'  all'evidenza rilevante nella presente decisione,
che  ha  appunto  ad  oggetto  l'applicabilita'  dell'indulto ex lege
n. 241  del  2006  a  pena  inflitta  per  il delitto di cui all'art.
648-ter  c.p.  commesso  mediante  impiego in attivita' economiche di
denaro proveniente da reati concernenti il traffico di stupefacenti.
La  questione  non  e'  manifestamente infondata con riferimento agli
artt. 3 e 27 terzo comma della Costituzione.
In  materia  di  sindacabilita'  dei  provvedimenti di clemenza - con
specifico   riferimento   all'amnistia,  ma  la  ratio  decidendi  e'
pacificamente estensibile all'indulto - la Corte costituzionale ha da
sempre  affermato  che: «... compete esclusivamente al legislatore la
scelta  del criterio di discriminazione tra reati amnistiabili e non,
e  che  le  relative  valutazioni  di  politica criminale non possono
essere  sindacate,  salvo  che ricorrano casi in cui la sperequazione
normativa  tra  figure  omogenee di reati assuma aspetti e dimensioni
tali  da  non  potersi  considerare  sorretta  da  alcuna ragionevole
giustificazione  (sentenza  n. 4  del  1974).  In precedenza e' stato
anche  riconosciuto  che  la  diversita'  del bene giuridico tutelato
consente   sempre  una  diversa  valutazione  politico-sociale  e  un
differente  trattamento  ai  fini  dell'amnistia (sentenza n. 175 del
1971)» (Corte cost. sent. n. 214 del 1975).
Quanto ai criteri di valutazione della ragionevolezza dell'inclusione
od  esclusione  di  determinati  reati nel provvedimento di clemenza,
poi,  la  corte aveva gia' precisato che essa «non e' necessariamente
legata  all'entita'  della pena edittale prevista rispettivamente per
gli  uni  e per gli altri, ma puo' farsi discendere da considerazioni
di  diverso ordine, come per esempio la maggiore diffusione di alcuni
[reati]  in  un  certo  momento  ed  il  conseguente maggiore allarme
sociale,  tale  da  sconsigliare  per  casi  l'adozione di un atto di
clemenza»; quanto poi alla valutazione del grado di omogeneita' delle
fattispecie  volata a vola incluse od escluse dal beneficio, la Corte
ha  accennato  all'oggetto di tutela: «Una irrazionalita' potrebbe se
mai  prospettarsi  ...  quando  la  differente disciplina riguardasse
reati  lesivi  dello  stesso  bene voluto proteggere: cio' che non si
verifica  nella  specie  ...» (Corte cost., sent. n. 175 del 1971; v.
anche Corte cost., ord. n. 201 del 1983).
Orbene,  la  legge  n. 241  del  2006,  all'art. 1, comma 2, lett. a)
n. 26,  indica tra i casi tassativi di inapplicabilita' dell'indulto,
quello  in  cui  la  pena sia inflitta per il delitto di cui all'art.
648-bis  c.p. «limitatamente all'ipotesi che la sostituzione riguardi
denaro, beni o altre utilita' provenienti dal delitto di sequestro di
persona a scopo di estorsione o dai delitti concernenti la produzione
o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Considera  il tribunale che non sussiste ragione alcuna per conferire
un diverso ed opposto trattamento giuridico alla pena inflitta, nelle
stesse ipotesi, per il delitto di cui all'art. 648-ter c.p.
I  due  delitti,  infatti,  sono  caratterizzati dal medesimo scopo e
dalla  stessa  oggettivita'  giuridica: ostacolare la separazione dei
proventi  del  reato dall'azione criminosa, cosi' agevolando la prova
dei  fatto-reato originario e rendendone economicamente inservibili i
risultati;   dunque,   piu'   ampiamente,  la  tutela  dell'economica
pubblica, della trasparenza del mercato, della concorrenza.
Il  delitto  di  impiego  in  attivita'  economiche e finanziarie dei
proventi  di delitto, poi si pone, a livello di condotta, come ultimo
momento  di  una  azione  di contrasto ordinamentale che e' svolta in
stadi  successivi,  ma  contigui e collegati non solo sul piano della
fenomenologia  criminale  e,  in ultima analisi, sul piano fattuale e
storico  ma  anche  e soprattutto, per quel che qui rileva, sul piano
giuridico.
Cio'  e' dimostrato anzitutto dalla successione sistematica - per una
volta  indubbiamente significativa, degli artt. 648, 648-bis, 648-ter
del  codice  penale,  e  poi  dall'ancor  piu' importante clausola di
specialita'  inserita  in  esordio  di  tutte  e  tre  le  norme:  il
ricettatore  e'  punito solo se non ha concorso nel reato principale,
il   riciclatore  solo  se  non  ha  concorso  e  non  ha  ricettato,
l'investitore  di  capitali  illeciti solo se non ha concorso, non ha
ricettato e non ha riciclato. Cio' significa che, in astratto come in
concreto, e' ben possibile - e del resto lo si verifica empiricamente
assai  di  frequente nell'attivita' giudiziaria - che chi ha posto in
essere il reato presupposto, sia anche il riciclatore e l'investitore
del capitale illecitamente ricavato.
Cio'  significa ancora che le condotte di cui si tratta sono talmente
contigue  da rendere necessario l'inserimento di apposita clausola di
consunzione,  per  evitare  che  il  reo  sia  punito  piu' volte per
un'azione  che, qualora le comprenda tutte o ne comprenda piu' d'una,
il legislatore considera unitariamente sul piano oggettivo - tanto e'
stretta  la loro connessione spazio-temporale -, sul piano soggettivo
--  comune  essendo  il  nesso  teleologico  che  le  connota -  e di
disvalore.
Sul  piano  puramente  soggettivo, inoltre, sia le fattispecie di cui
all'art.  648-bis  c.p.  che quelle di cui all'art. 648-ter c.p. sono
caratterizzate  da  dolo  generico che, nell'inveramento processuale,
diviene,   in  entrambi  i  casi,  critico  sul  medesimo  punto:  la
dimostrazione  della  consapevolezza,  da  parte del soggetto attivo,
della provenienza delittuosa del bene riciclato o investito.
Tale equipollenza oggettiva, soggettiva e di disvalore tra il delitto
di  cui  all'art.  648-ter  c.p. e l'art. 648-bis c.p. si traduce poi
nell'identico trattamento sanzionatorio, molto aspro, previsto per le
due  ipotesi:  in  entrambi  i casi la reclusione da quattro a dodici
anni e la multa da euro 1.032,00 ad euro 15.493,00.
Anche  sotto  l'aspetto  processuale  i delitti di cui si tratta sono
trattati  allo  stesso modo: procedibilita' d'ufficio, competenza del
tribunale    in   composizione   collegiale,   consentiti   l'arresto
facoltativo  in  flagranza,  il  fermo,  tutte  le  misure  cautelari
personali.  Entrambi  rientrano in casi di indagini collegate ex art.
371,  comma  2, lett. b), c.p.p., a riprova della stretta connessione
fattuale  e  probatoria  che  essi determinano tra loro e rispetto al
reato presupposto (cfr., quindi, artt. 197, lett. a) e 197-bis, comma
2   c.p.p.).   Viceversa   nessuno  dei  due  delitti  e'  menzionato
nell'ambito di norme speciali in materia di attribuzioni del pubblico
ministero   distrettuale   (art.   51,   comma   3-bis  c.p.),  o  di
prolungamento dell'ordinario termine per le indagini (art. 407, comma
1, lett. a) c.p.p.).
Anche  il  trattamento  in  fase  esecutiva delle pene inflitte per i
reati  di  cui si discute e' identico: non si tratta di reati per cui
sia  vietata  la  concessione di benefici penitenziari ex art. 4-bis,
legge  n. 354  del  1975,  con  i  conseguenti riflessi in materia di
emissione dell'ordine di esecuzione della pena ex art. 659 c.p.p.
Da  questa  rapida  panoramica  di  desume che il legislatore ne' sul
piano   sostanziale,   ne'  sul  piano  processuale,  ne'  sul  piano
dell'esecuzione  della  pena, diversifica mai la disciplina collegata
ai reati di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p.
Si  deve esaminare, allora la questione se, con specifico riferimento
all'indulto,  sussista  una  qualche  ragione  che  possa  fondare la
rilevata   discriminazione.  Ma  la  risposta  non  puo'  che  essere
negativa. L'indulto e' causa di estinzione della pena. Il legislatore
ha  stabilito  che  la pena inflitta per il delitto di riciclaggio di
cui  all'art.  648-bis  c.p., nella specifica ipotesi in cui abbia ad
oggetto  proventi  derivanti dal traffico di stupefacenti, e' esclusa
dall'applicazione  dell'indulto. La regola trova un solido fondamento
politico-criminale, avendo all'evidenza il legislatore ritenuto che -
al  pari  di  altri delitti in materia di stupefacenti - si tratta di
comportamenti  cosi'  gravi  da  non  meritare  sgravio  alcuno  e da
escludere  dal  novero  di  quelli  il  cui  minore impatto criminale
giustifica   un   trattamento   piu'   mite,   anche   in  chiave  di
alleggerimento,   per   l'amministrazione,   degli   oneri   connessi
all'esecuzione della pena. In altre parole il legislatore ha ritenuto
che,  rispetto  a  quei  comportamenti,  il fine general preventivo e
specialpreventivo  della  pena  - costituzionalmente tutelati a mente
dell'art.  27,  terzo  comma Cost. -, attuati in concreto mediante la
pena irrogata in via definitiva, non possono trovare affievolimento -
in ragione della entita' e tipologia del danno criminale arrecato dai
reati  in  questione - rispetto alle ragioni sottese al provvedimento
di  clemenza,  di  carattere molto generale e legate soprattutto alle
condizioni di vita dei detenuti e di gestione delle carceri.
Cio'  posto,  in  relazione  alla  omogeneita'  intrinseca  delle due
fattispecie  ed  alla  conseguente  omogeneita'  di  trattamento loro
costantemente   riservata   sul  piano  sostanziale,  processuale  ed
esecutivo,   non   si   puo'  che  rilevare  la  totale  mancanza  di
giustificazione   che   possa   sorreggere   la  scelta  normativa  -
diametralmente  opposta  a  quella  adottata  per il riciclaggio - di
ammettere  il  beneficio  dell'indulto  per  le  pene inflitte per il
delitto,  punito  ai sensi dell'art. 648-ter c.p., di investimento di
proventi  derivanti  da  traffico  di  stupefacenti.  La discrasia e'
talmente  macroscopica  da far ritenere trattarsi del frutto non gia'
di  una consapevole scelta di politica criminale, quanto piuttosto di
una banale svista nella redazione della norma.
Di  qui  la palese violazione del parametro costituzionale che impone
di  trattare  in  modo  identico  situazioni  identiche rispetto alla
disciplina  di  riferimento  (art. 3 Cost.) e di quello che impone di
tutelare  il  fine general preventivo e special preventivo della pena
(art. 27, comma 3, Cost.).
Appare  dunque non manifestamente infondata - in relazione agli artt.
3   e   27,   terzo comma   Cost.  -  la  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  1,  comma  2, legge 31 luglio 2006, n. 241
nella  parte  in  cui non prevede che l'indulto non si applica per il
delitto  previsto  dall'art.  648-ter del codice penale limitatamente
all'ipotesi  che  l'impiego  in attivita' economiche o finanziarie di
denaro,  beni o altre utilita' provenienti dai delitti concernenti la
produzione o il traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope.
                              P. Q. M.
Visto  l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante
e  non  manifestamente  infondata  -  in relazione agli artt. 3 e 27,
terzo comma  Cost. -  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 2, legge 31 luglio 2006, n. 241 nella parte in cui
non  prevede  che  l'indulto  non  si applica per il delitto previsto
dall'art.  648-ter  del  codice  penale limitatamente all'ipotesi che
l'impiego in attivita' economiche o finanziarie riguardi denaro, beni
o  altre utilita' provenienti dai delitti concernenti la produzione o
il  traffico  di  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope;  Sospende il
procedimento; Dispone l'immediata trasmissione degli atti della Corte
costituzionale;  Ordina  che  la presente ordinanza sia notificata, a
cura  della  cancelleria,  alle parti del procedimento, al Presidente
del  Consiglio  dei  ministri e comunicata al Presidente del Senato e
della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.
     Milano, addi' 22 maggio 2007
                 Il Presidente estensore: Mambriani