N. 806 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 2007

  Ordinanza  del  1° febbraio 2006 emessa dal Tribunale di Napoli nel
procedimento  civile promosso da Barletta Luigi ed altra contro Banca
Fideuram S.p.A. ed altro

  Societa'  -  Controversie  in  materia  di  diritto societario e di
  intermediazione  finanziaria  - Procedimento di primo grado dinanzi
  al tribunale in composizione collegiale - Disciplina introdotta dal
  legislatore  delegante  -  Mancata  o  insufficiente indicazione di
  principi   e   criteri  direttivi  nella  legge  di  delegazione  -
  Illegittimita' derivata della disciplina introdotta dal legislatore
  delegato.
  - Legge 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12; «per derivazione», decreto
  legislativo  17  gennaio  2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
  10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17.
  -   Costituzione,   art.   76.   In  via  subordinata:  Societa'  -
  Controversie  in materia di diritto societario e di intermediazione
  finanziaria  -  Procedimento di primo grado dinanzi al tribunale in
  composizione  collegiale  -  Disciplina  introdotta dal legislatore
  delegato - Difformita' dai principi e criteri direttivi posti dalla
  legge n. 366/2001 - Eccesso di delega.
  -  Decreto  legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6,
  7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17.
  -  Costituzione,  art.  76,  in  relazione  all'art. 12 della legge
  delega 3 ottobre 2001, n. 366.
(GU n.50 del 27-12-2007 )
                            IL TRIBUNALE
Riunito  in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente ordinanza
nella  causa  civile  iscritta  al  n. 26788/04 del Ruolo Contenzioso
civile  dell'anno  2004 tra Barletta Luigi e Fortunato Amelia, elett.
dom.  in  Napoli  alla  via  Lucilio  n.15,  presso  gli  avv. Amedeo
Chiantera  e  Filippo  Di  Nardo,  che  li rappresentano e difendono,
attori  e Banca Fideuram S.p.A., in persona del legale rappresentante
pro  tempore,  elettivamente domiciliata in Napoli, via Cilea n. 250,
presso  l'avv.  Gianluca  Scoleri, il quale la rappresenta e difende,
conventuta e Cascone Nicola, convenuto contumace.
                          Premesso in fatto
Con  citazione  ritualmente  notificata,  Barletta  Luigi e Fortunato
Amelia,  premesso  di  essersi  rivolti  nell'anno  1994  al promoter
finanziario  della  Banca  Fideuram, tale Nicola Cascone, che operava
nella zona di Pozzuoli, per effettuare degli investimenti finanziari;
di  aver  acquistato in data 15 novembre 1994 il fondo IMIREND per un
importo  complessivo di lire 33.000.000; di aver sottoscritto in data
13   marzo  1995  l'acquisto  del  fondo  Fideuram  Moneta  per  lire
40.000.000;  di  aver  aperto nel marzo 1995 il c.c. n. 001-66-811335
con  un  versamento  in data 17 marzo 1995 di lire 20.000.000; che, a
seguito  di  tali operazioni, il Cascone aveva garantito loro il buon
andamento  degli  investimenti,  esaminando  la documentazione che la
banca  inviava agli attori; che il Barletta in data 16 luglio 2003 si
era  recato personalmente presso la sede della Banca Fideuram S.p.A.,
apprendendo  dal  funzionario  Carmine Timbone che Nicola Cascone non
operava  piu'  come  promoter  della  banca  e  che l'andamento degli
investimenti  finanziari degli attori, regolare fino a tutto il 2001,
era  precipitato successivamente; che, dall'estratto conto rilasciato
dalla  Banca  relativo  al  periodo  dal 29 gennaio 2001 al 21 luglio
2003,  risultavano  disinvestiti  euro  43.479,69,  a  fronte  di una
sottoscrizione   di   euro   61.686,55,  a  mezzo  di  documenti  che
riportavano  la  sottoscrizione  del  Cascone  e la firma falsa degli
attori; che, con lettera del 22 settembre 2003 alla banca, gli attori
avevano   dichiarato   di   non  conoscere  le  sottoscrizioni  sulle
disposizioni  di  bonifico  del  13  marzo  1995,  sulla  lettera  di
mandato del  23  gennaio 2001, sulle lettere di liquidazione parziale
del  mandato del 28 marzo 2001, 21 febbraio 2001 e 14 settembre 2002;
che,  con  successiva lettera di risposta, la banca aveva ammesso che
le  risultavano  gravi  irregolarita'  commesse  dal Cascone e che il
contratto di agenzia con quest'ultimo era stato risolto dal 24 luglio
2002; tanto premesso, i coniugi Barletta-Fortunato convenivano Nicola
Cascone   e  la  Banca  Fideuram  S.p.A.  per  sentir  dichiarare  la
responsabilita'  del  Cascone  per  l'indebito  impossessamento degli
investimenti  degli  attori;  la  responsabilita' della banca ex art.
2049  c.c.  per  i  fatti  addebitabili  al  promoter;  condannare  i
convenuti  in  solido al risarcimento dei danni subiti da essi attori
ed,  in particolare, alla restituzione della somma di euro 55.464,16,
indebitamente sottratta dal Cascone; condananre i convenuti in solido
al pagamento delle spese di giudizio.
Si   costituiva   la   sola   banca   convenuta   la  quale  eccepiva
preliminarmente   che  alla  controversia  era  applicabile  il  c.d.
«processo  societario»  di  cui  al  d.lgs.  17  gennaio  2003, n. 5,
chiedendo,   pertanto,   a   mente   dell'art.   1,  d.lgs.  cit.  la
cancellazione della causa dal ruolo.
Nel  merito  contestava la domanda attorea, deducendo di aver inviato
nel  tempo  ai clienti tutte le informazioni relative alle operazioni
compiute,  nonche' gli estratti conto periodici, mai contestati dagli
attori;  di  aver  ricevuto  un  solo versamento di lire 20.000.000 a
mezzo  a.b.  accreditato  sul  c.c. degli attori e poi utilizzato per
l'acquisto  delle  quote  Fideuram  Moneta  e  di  non  sapere  nulla
dell'ulteriore  versamento nelle mani del Cascone di lire 20.000.000,
collocato  temporalmente  dagli attori nel marzo 1995; che, comunque,
in  ordine  a  tale  cifra  ogni  restituzione era preclusa attesa la
prescrizione del relativo diritto.
Inoltre,  la  banca  chiedeva  la  verificazione delle sottoscrizioni
disconosciute  dagli  attori, contestava la quantificazione dei danni
operata  in  citazione e la possibilita' di ricondurre la fattispecie
in  esame alla responsabilita' prevista ai sensi dell'art. 2049 c.c.,
avanzando  comunque  domanda  riconvenzionale nei confronti di Nicola
Cascone  per  essere  tenuta indenne da qualsiasi pagamento in favore
degli attori.
All'esito  dell'udienza di prima comparizione il giudicante, ai sensi
dell'ultimo   comma  dell'art.  1,  d.lgs.  17  gennaio  2003,  n. 5,
disponeva  il  mutamento  del rito e la cancellazione della causa dal
ruolo.
Gli attori notificavano alla convenuta Fideuram S.p.A. e depositavano
memoria di riassunzione del giudizio e la banca depositava memoria di
replica,  notificata  agli attori il 5 aprile 2005 replica ex art. 6,
decreto legislativo n. 5/2003.
Gli attori notificavano l'istanza di fissazione di udienza.
Designato  il  giudice relatore, lo stesso, con decreto del 28 giugno
2005,  assegnava  termine agli attori per la notifica dell'istanza di
fissazione dell'udienza al convenuto contumace Nicola Cascone, attese
le   diverse   conseguenze   ricollegate  alla  contumacia  nel  rito
societario,  e  con  decreto  del 29 settembre 2005 fissava l'udienza
collegiale  ai  sensi dell'art. 12, decreto citato e provvedeva sulle
richieste istruttorie.
All'udienza  collegiale  del  9  novembre 2005 il tribunale assegnava
nuovo  termine  alle  parti per il deposito di memorie conclusionali,
all'audienza   del   14  dicembre  2005  il  tribunale  rinviava  per
impedimento  del  relatore  ed  all'udienza  del  1° febbraio 2006 il
tribunale si riservava la decisione.
                         Osserva in diritto
Preliminarmente questo tribunale ritiene di sollevare la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001 con
riferimento  all'art.  76  della  Costituzione nella parte in cui, in
relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria,
non  indica  i  principi  ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto
guidare  le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli
articoli  da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003,
nonche'  ,  in  via subordinata, degli articoli da 2 a 17 del decreto
legislativo  n. 5  del 17 gennaio 2003 in relazione all'art. 76 della
Costituzione,  perche'  difformi dai principi e dai criteri direttivi
dettati dalla legge di delega n. 366/2001.
Ed  invero,  quanto alla non manifesta infondatezza della prima delle
questioni  di  legittimita' costituzionale sopra indicate, si osserva
che  l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone:«Il Governo e' inoltre
delegato  ad  emanare norme che, senza modifiche della competenza per
territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una piu' rapida
ed efficace definizione di procedimenti nelle seguenti materie:
     a)  diritto  societario,  comprese  le  controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
     b)  materie  disciplinate  dal testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo
24  febbraio  1998,  n. 58,  e  successive modificazioni, e dal testo
unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto
legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni.
2)  Per  il  perseguimento  delle finalita' e nelle materie di cui al
comma  1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che in
particolare possano prevedere:
     a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini
processuali;
     b)  l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui
al  comma  1  al  tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
     c)  la  mera facoltativita' della successiva instaurazione della
causa   di  merito  dopo  l'emanazione  di  un  provvedimento  emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
     d)  un giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare
celerita'  ma  con il rispetto del principio del contraddittorio, che
conduca  alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo
di efficacia di giudicato;
     e)  la  possibilita'  per  il  giudice  di  operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
     f)  uno o piu' procedimenti camerali, anche mediante la modifica
degli  articoli  737  e seguenti del codice di procedura civile ed in
estensione    delle   ipotesi   attualmente   previste   che,   senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
     g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei
diversi  tipi di procedimento di cui alle lettere precedenti trattati
dai tribunali, dalle Corti di appello e dalla Corte di cassazione».
Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce che
l'esercizio  della  funzione  legislativa non puo' essere delegato al
Governo  se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e
soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti.
La   migliore   dottrina  e  la  stessa  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale  hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che
essa  intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle
Camere  al  Governo,  ma  qualunque legge delegante che non operi una
previa  determinazione  della  portata  e  del  tipo della disciplina
delegata,  cosicche'  l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente
vincolata   a  realizzare  con  un  circoscritto  margine  di  scelta
operativa  una  serie  di risultati gia' precostituiti da parte delle
Camere,  assolvendo  in  sostanza  le  norme  delegate  una  funzione
attuativa delle norme deleganti.
Conseguentemente  il  legislatore ordinario deve stabilire principi e
criteri  cosi'  specificati  da  far  prevedere  l'esito finale della
delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita'
ed indeterminatezza.
Orbene, ritiene questo tribunale che nel caso in esame il legislatore
delegante  non  ha indicato con sufficiente determinazione i principi
ed  i  criteri  direttivi che avrebbero dovuto guidare il legislatore
delegato.
Dal  dettato dell'art. 12, legge n. 366/2001, infatti, ― escludendo
il  riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che
riguardano  profili  non  rilevanti  nel  presente  giudizio ― sono
estrapolabili  i  seguenti  principi:  1)  divieto  di modifica della
competenza  per territorio e per materia; 2) necessita' di assicurare
una   piu'   rapida  ed  efficace  definizione  di  procedimenti;  3)
possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano
prevedere:  a)  la concentrazione del procedimento e la riduzione dei
termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle
materie  di  cui  al comma 1 al tribunale in composizione collegiale,
salvo  ipotesi  eccezionali di giudizio monocratico in considerazione
della  natura  degli  interessi  coinvolti; c) la possibilita' per il
giudice   di  operare  un  tentativo  preliminare  di  conciliazione,
suggerendone   espressamente   gli  elementi  essenziali,  assegnando
eventualmente  un  termine  per la modifica o la rinnovazione di atti
negoziali  su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione,
tenendo  successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto
dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite.
Nella  legge  n. 366/2001,  quindi,  il legislatore si e' limitato ad
indicare   le   materie   nelle   quali  il  governo  sarebbe  potuto
intervenire,  l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida  ed  efficace la
definizione  dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza
per  territorio  e  per  materia,  la  tendenziale  collegialita' del
procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti
in  sede  di  tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare
regole  che  favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione
del procedimento.
Nulla  tuttavia  la  legge  delega  ha  detto  in  ordine allo schema
processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale,
ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal
decreto  legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo
modello di processo.
Ed  infatti,  come  indicato dalla stessa relazione della commissione
ministeriale,  il  nuovo  rito societario previsto per il processo di
cognizione  davanti  al tribunale costituisce un vero e proprio nuovo
modello  processuale,  che  si  distacca  volutamente sia dal modello
processuale  del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973
ed  infine  anche  da  quello delineatosi con la riforma del 1990. Il
nuovo  rito  di  cognizione  di  primo  grado davanti al tribunale in
materia  societaria  prevede  tutta  la prima fase del processo senza
l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2
non  e'  piu'  indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che
l'attore  fissa  al  convenuto per la comunicazione della comparsa di
risposta  e'  fissato  solo  nel  minimo,  cosi'  nella  comparsa  di
risposta, ai sensi dell'art. 4, il convenuto puo' a sua volta fissare
all'attore  per  eventuale  replica  un  termine stabilito ancora una
volta  solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la
possibilita'  di  una  replica  da  parte  dell'attore  e l'art. 7 la
possibilita'  di  una  controreplica  da  parte  del convenuto e poi,
ancora,   ulteriori   repliche   e  controrepliche.  Solo  a  seguito
dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il
giudice  in  un  momento  pero' in cui sia il thema decidendum che il
thema  probandum  si sono gia' definitivamente formati, totalmente al
di  fuori,  quindi, del controllo del giudice. D'alta parte la stessa
istanza   di  fissazione  di  udienza,  con  gli  effetti  preclusivi
rilevantissimi  stabiliti  dall'art.  10,  e'  uno strumento lasciato
nella  totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse,
che  puo'  utilizzarlo  a  suo  piacimento, nel momento ritenuto piu'
opportuno.
Ancora  poi  va  segnalato  l'art.  13  in  tema  di  contumacia o di
costituzione   tardiva  del  convenuto,  che  introduce  l'innovativo
principio  (  di cui nella delega non vi e' traccia) per cui nel caso
in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine
stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati
dall'attore  ....si  intendono  non  contestati e il tribunale decide
sulla domanda in base alla concludenza di questa».
Emerge  dunque  chiaramente  che il legislatore delegato, in forza di
una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione di
criteri  direttivi, ha potuto creare una disciplina interamente nuova
per  il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando quel
rito  ordinario  prefigurato  dal  testo  redatto  dalla  commissione
ministeriale per la riforma del processo civile.
Questo  tribunale,  quindi,  ritiene  che  non possa andare esente da
dubbi  di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la
creazione  di  un  nuovo  processo, seppur circoscritto a determinate
materie,  si  limiti  ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare
una  piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un divieto
di  «modifica  della  competenza  territoriale  e  per  materia», una
preferenza  per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di
conciliazione   e   un'indicazione   di   massima   a   favore  della
«concentrazione      del     procedimento     e     riduzione     dei
termini processuali».
Di  conseguenza  ad avviso del Collegio, in quanto non manifestamente
infondata,  va rimessa la questione di costituzionalita' dell'art. 12
della   legge   n. 336/2001  nella  parte  relativa  al  procedimento
ordinario di primo grado e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17
del decreto legislativo n. 5 del 2003.
La   questione   e',   altresi',  rilevante  in  quanto  la  presente
controversia,  rientrando tra quelle di cui alla lettera d) dell'art.
1  del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va trattata
secondo  le  norme  previste  dal predetto decreto - emanato in forza
della  suddetta  legge  di  delega  -  disciplinante per l'appunto il
giudizio  di  cognizione  di  primo  grado  davanti  al  tribunale in
composizione  collegiale  nelle materie di cui all'art. 1 del decreto
citato   e,   come   e'   evidente,   dalla   pronunzia  della  Corte
costituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina
processuale  alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo
tribunale.
In  subordine,  e  per  l'ipotesi  in  cui  la Corte dovesse ritenere
costituzionalmente  legittimo  l'art.  12  della  legge  n. 366/2001,
questo  tribunale  ritiene  che  non  sia manifestamente infondato il
dubbio  di  costituzionalita'  degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9,
10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003
per  contrasto  con  l'art.  76 della Costituzione, in quanto emanati
eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366
del 2001.
Ed   invero,   per  evitare  il  sospetto  d'incostituzionalita'  per
indeterminatezza  e  genericita' dell'art. 12, legge citata, dovrebbe
necessariamente  leggersi  la  legge  n. 366/2001, come gia' fatto da
altri  giudici  ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del
18   ottobre   2004   che   ha   rimesso   la  questione  alla  Corte
costituzionale),  facendo  riferimento  alla  disciplina  del vigente
processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro
II,  titolo  I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e'
stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del
processo  di  cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di
procedura  civile  prevede  che  il  processo si svolga attraverso la
successione  di  piu'  udienze  fisse  e obbligatorie, in particolare
quella  di  prima  comparizione  (art.  180 c.p.c.) , quindi la prima
udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza
per  la  discussione  e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed
eventualmente  una  seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre
per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma,
seconda  parte,  c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di
precisazione  delle  conclusioni  (art.  189  c.p.c.).  Se si volesse
individuare  una  determinatezza dei criteri direttivi nella legge di
delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il legislatore
delegante,    indicando   il   principio   di   «concentrazione   del
procedimento»,  abbia  fatto  evidentemente  riferimento proprio alla
suddetta scansione prevista nel processo ordinario.
Ugualmente  il  processo  ordinario vigente prevede che fra il giorno
della  notificazione  e  quello  dell'udienza di comparizione debbano
intercorrere  termini  liberi non minori di sessanta giorni, fissa il
termine  meramente  ordinatorio di quindici giorni per la successione
fra  le  varie  udienze  (art.  81 delle norme di attuazione c.p.c.),
stabilisce  ai  sensi  dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un termine
massimo di trenta giorni per il deposito di memorie e di altri trenta
giorni  per  le  repliche,  non  prestabilisce  nessun termine per il
deposito  delle  memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo comma,
seconda  parte, prevede il termine di sessanta giorni per il deposito
delle comparse conclusionali e di venti per eventuali repliche.
Soltanto  con  il  riferimento  a  tali termini potrebbe riempirsi di
contenuto  la  generica  indicazione  del  legislatore  delegante del
principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura
― estremamente riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata
rispetto   all'altra   ―   dei  principi  fissati  dal  legislatore
delegante,  altrimenti invero generici, sarebbe possibile per evitare
il dubbio di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001.
E'  pero'  evidente  che  in questo caso l'articolato contenuto negli
artt.  da  2  a  17, d.1gs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data
attuazione  alla  delega,  contrasterebbe  con i principi fissati dal
legislatore  delegante  per  «eccesso  di  delega»,  alla  luce delle
caratteristiche   del   nuovo   rito   societario   come  gia'  sopra
sintetizzate.
Il  decreto  legislativo  n. 5/2003, infatti, non ha previsto un rito
concentrato  rispetto  all'attuale  rito ordinario disciplinato dagli
artt.  163 ss. c.p.c., ma, come gia' sopra evidenziato, ha introdotto
nell'ordinamento  un'anticipazione del rito ordinario prefigurato dal
testo  redatto  dalla  commissione  ministeriale  per  la riforma del
processo civile.
Anche  la  questione di costituzionalita' proposta in via subordinata
e'  rilevante  ai  fini  del  presente giudizio per le stesse ragioni
indicate per la questione proposta in via principale.
Tanto  premesso  in  fatto ed in diritto, ai sensi dell'art. 23 della
legge  11  marzo  1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli atti
alla   Corte   costituzionale   per   la  decisione  sulla  questione
pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non
manifestamente infondata, ed il presente giudizio va sospeso.
Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di cui
alla predetta norma.
                              P. Q. M.
Visto  l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante
per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art.
76  della  Costituzione,  la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 12 della legge n. 366/2001 nella parte in cui, in relazione
al  giudizio  ordinario  di  primo  grado  in materia societaria, non
indica i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare
le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli
da  2  a  17  del  decreto  legislativo  5/2003;  In via subordinata,
dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in
relazione   all'art.   76   della   Costituzione,   la  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli  da  2 a 17 del decreto
legislativo   n. 5/2003  perche'  difformi  dai  principi  e  criteri
direttivi   dettati  dalla  legge  delega  n. 366/2001;  Ordina  alla
cancelleria  di  notificare  la  presente ordinanza al Presidente del
Consiglio  dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente
del  Senato  della  Repubblica  ed  al  Presidente  della  Camera dei
deputati  e  alle  parti  del  presente giudizio; Dispone l'immediata
trasmissione  degli atti, comprensivi della documentazione attestante
il  perfezionamento  delle  prescritte notificazioni e comunicazioni,
alla   Corte  costituzionale;  Sospende  il  giudizio  in  corso.  Si
comunichi a cura della cancelleria.
   Cosi'  deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 1° febbraio
2006.
                       Il Presidente: Baldini