N. 806 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 2007
Ordinanza del 1° febbraio 2006 emessa dal Tribunale di Napoli nel procedimento civile promosso da Barletta Luigi ed altra contro Banca Fideuram S.p.A. ed altro Societa' - Controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria - Procedimento di primo grado dinanzi al tribunale in composizione collegiale - Disciplina introdotta dal legislatore delegante - Mancata o insufficiente indicazione di principi e criteri direttivi nella legge di delegazione - Illegittimita' derivata della disciplina introdotta dal legislatore delegato. - Legge 3 ottobre 2001, n. 366, art. 12; «per derivazione», decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17. - Costituzione, art. 76. In via subordinata: Societa' - Controversie in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria - Procedimento di primo grado dinanzi al tribunale in composizione collegiale - Disciplina introdotta dal legislatore delegato - Difformita' dai principi e criteri direttivi posti dalla legge n. 366/2001 - Eccesso di delega. - Decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17. - Costituzione, art. 76, in relazione all'art. 12 della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366.(GU n.50 del 27-12-2007 )
IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 26788/04 del Ruolo Contenzioso civile dell'anno 2004 tra Barletta Luigi e Fortunato Amelia, elett. dom. in Napoli alla via Lucilio n.15, presso gli avv. Amedeo Chiantera e Filippo Di Nardo, che li rappresentano e difendono, attori e Banca Fideuram S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Napoli, via Cilea n. 250, presso l'avv. Gianluca Scoleri, il quale la rappresenta e difende, conventuta e Cascone Nicola, convenuto contumace. Premesso in fatto Con citazione ritualmente notificata, Barletta Luigi e Fortunato Amelia, premesso di essersi rivolti nell'anno 1994 al promoter finanziario della Banca Fideuram, tale Nicola Cascone, che operava nella zona di Pozzuoli, per effettuare degli investimenti finanziari; di aver acquistato in data 15 novembre 1994 il fondo IMIREND per un importo complessivo di lire 33.000.000; di aver sottoscritto in data 13 marzo 1995 l'acquisto del fondo Fideuram Moneta per lire 40.000.000; di aver aperto nel marzo 1995 il c.c. n. 001-66-811335 con un versamento in data 17 marzo 1995 di lire 20.000.000; che, a seguito di tali operazioni, il Cascone aveva garantito loro il buon andamento degli investimenti, esaminando la documentazione che la banca inviava agli attori; che il Barletta in data 16 luglio 2003 si era recato personalmente presso la sede della Banca Fideuram S.p.A., apprendendo dal funzionario Carmine Timbone che Nicola Cascone non operava piu' come promoter della banca e che l'andamento degli investimenti finanziari degli attori, regolare fino a tutto il 2001, era precipitato successivamente; che, dall'estratto conto rilasciato dalla Banca relativo al periodo dal 29 gennaio 2001 al 21 luglio 2003, risultavano disinvestiti euro 43.479,69, a fronte di una sottoscrizione di euro 61.686,55, a mezzo di documenti che riportavano la sottoscrizione del Cascone e la firma falsa degli attori; che, con lettera del 22 settembre 2003 alla banca, gli attori avevano dichiarato di non conoscere le sottoscrizioni sulle disposizioni di bonifico del 13 marzo 1995, sulla lettera di mandato del 23 gennaio 2001, sulle lettere di liquidazione parziale del mandato del 28 marzo 2001, 21 febbraio 2001 e 14 settembre 2002; che, con successiva lettera di risposta, la banca aveva ammesso che le risultavano gravi irregolarita' commesse dal Cascone e che il contratto di agenzia con quest'ultimo era stato risolto dal 24 luglio 2002; tanto premesso, i coniugi Barletta-Fortunato convenivano Nicola Cascone e la Banca Fideuram S.p.A. per sentir dichiarare la responsabilita' del Cascone per l'indebito impossessamento degli investimenti degli attori; la responsabilita' della banca ex art. 2049 c.c. per i fatti addebitabili al promoter; condannare i convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti da essi attori ed, in particolare, alla restituzione della somma di euro 55.464,16, indebitamente sottratta dal Cascone; condananre i convenuti in solido al pagamento delle spese di giudizio. Si costituiva la sola banca convenuta la quale eccepiva preliminarmente che alla controversia era applicabile il c.d. «processo societario» di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, chiedendo, pertanto, a mente dell'art. 1, d.lgs. cit. la cancellazione della causa dal ruolo. Nel merito contestava la domanda attorea, deducendo di aver inviato nel tempo ai clienti tutte le informazioni relative alle operazioni compiute, nonche' gli estratti conto periodici, mai contestati dagli attori; di aver ricevuto un solo versamento di lire 20.000.000 a mezzo a.b. accreditato sul c.c. degli attori e poi utilizzato per l'acquisto delle quote Fideuram Moneta e di non sapere nulla dell'ulteriore versamento nelle mani del Cascone di lire 20.000.000, collocato temporalmente dagli attori nel marzo 1995; che, comunque, in ordine a tale cifra ogni restituzione era preclusa attesa la prescrizione del relativo diritto. Inoltre, la banca chiedeva la verificazione delle sottoscrizioni disconosciute dagli attori, contestava la quantificazione dei danni operata in citazione e la possibilita' di ricondurre la fattispecie in esame alla responsabilita' prevista ai sensi dell'art. 2049 c.c., avanzando comunque domanda riconvenzionale nei confronti di Nicola Cascone per essere tenuta indenne da qualsiasi pagamento in favore degli attori. All'esito dell'udienza di prima comparizione il giudicante, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, disponeva il mutamento del rito e la cancellazione della causa dal ruolo. Gli attori notificavano alla convenuta Fideuram S.p.A. e depositavano memoria di riassunzione del giudizio e la banca depositava memoria di replica, notificata agli attori il 5 aprile 2005 replica ex art. 6, decreto legislativo n. 5/2003. Gli attori notificavano l'istanza di fissazione di udienza. Designato il giudice relatore, lo stesso, con decreto del 28 giugno 2005, assegnava termine agli attori per la notifica dell'istanza di fissazione dell'udienza al convenuto contumace Nicola Cascone, attese le diverse conseguenze ricollegate alla contumacia nel rito societario, e con decreto del 29 settembre 2005 fissava l'udienza collegiale ai sensi dell'art. 12, decreto citato e provvedeva sulle richieste istruttorie. All'udienza collegiale del 9 novembre 2005 il tribunale assegnava nuovo termine alle parti per il deposito di memorie conclusionali, all'audienza del 14 dicembre 2005 il tribunale rinviava per impedimento del relatore ed all'udienza del 1° febbraio 2006 il tribunale si riservava la decisione. Osserva in diritto Preliminarmente questo tribunale ritiene di sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001 con riferimento all'art. 76 della Costituzione nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, nonche' , in via subordinata, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003 in relazione all'art. 76 della Costituzione, perche' difformi dai principi e dai criteri direttivi dettati dalla legge di delega n. 366/2001. Ed invero, quanto alla non manifesta infondatezza della prima delle questioni di legittimita' costituzionale sopra indicate, si osserva che l'art. 12 della legge n. 366/2001 dispone:«Il Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia, siano dirette ad assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti nelle seguenti materie: a) diritto societario, comprese le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali; b) materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni. 2) Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di cui al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la mera facoltativita' della successiva instaurazione della causa di merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso all'esito di un procedimento sommario cautelare in relazione alle controversie nelle materie di cui al comma 1, con la conseguente definitivita' degli effetti prodotti da detti provvedimenti, ancorche' gli stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri eventuali giudizi promossi per finalita' diverse; d) un giudizio sommario non cautelare, improntato a particolare celerita' ma con il rispetto del principio del contraddittorio, che conduca alla emanazione di un provvedimento esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato; e) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modificazione o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite; f) uno o piu' procedimenti camerali, anche mediante la modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile ed in estensione delle ipotesi attualmente previste che, senza compromettere la rapidita' di tali procedimenti, assicurino il rispetto dei principi del giusto processo; g) forme di comunicazione periodica dei tempi medi di durata dei diversi tipi di procedimento di cui alle lettere precedenti trattati dai tribunali, dalle Corti di appello e dalla Corte di cassazione». Cio' posto, si rileva che l'art. 76 della Costituzione stabilisce che l'esercizio della funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo se non con determinazione dei principi e criteri direttivi e soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti. La migliore dottrina e la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale hanno da sempre interpretato tale norma nel senso che essa intende vietare non solo il trasferimento di pieni poteri dalle Camere al Governo, ma qualunque legge delegante che non operi una previa determinazione della portata e del tipo della disciplina delegata, cosicche' l'attivita' del Governo risulti sostanzialmente vincolata a realizzare con un circoscritto margine di scelta operativa una serie di risultati gia' precostituiti da parte delle Camere, assolvendo in sostanza le norme delegate una funzione attuativa delle norme deleganti. Conseguentemente il legislatore ordinario deve stabilire principi e criteri cosi' specificati da far prevedere l'esito finale della delega, pena l'incostituzionalita' della legge delega per genericita' ed indeterminatezza. Orbene, ritiene questo tribunale che nel caso in esame il legislatore delegante non ha indicato con sufficiente determinazione i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare il legislatore delegato. Dal dettato dell'art. 12, legge n. 366/2001, infatti, â escludendo il riferimento ai principi dettati in tema di giudizio cautelare che riguardano profili non rilevanti nel presente giudizio â sono estrapolabili i seguenti principi: 1) divieto di modifica della competenza per territorio e per materia; 2) necessita' di assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti; 3) possibilita' di dettare regole processuali che in particolare possano prevedere: a) la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali; b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi eccezionali di giudizio monocratico in considerazione della natura degli interessi coinvolti; c) la possibilita' per il giudice di operare un tentativo preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi essenziali, assegnando eventualmente un termine per la modifica o la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso di mancata conciliazione, tenendo successivamente conto dell'atteggiamento al riguardo assunto dalle parti ai fini della decisione sulle spese di lite. Nella legge n. 366/2001, quindi, il legislatore si e' limitato ad indicare le materie nelle quali il governo sarebbe potuto intervenire, l'obiettivo di rendere piu' rapida ed efficace la definizione dei procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e per materia, la tendenziale collegialita' del procedimento, la possibilita' di valutare l'atteggiamento delle parti in sede di tentativo di conciliazione e la possibilita' di dettare regole che favorissero la riduzione dei termini e la concentrazione del procedimento. Nulla tuttavia la legge delega ha detto in ordine allo schema processuale da adottare, lasciato non piu' alla scelta discrezionale, ma all'arbitrio del legislatore delegato, come emerge chiaramente dal decreto legislativo n. 5 del 17 gennaio 2003, che ha creato un nuovo modello di processo. Ed infatti, come indicato dalla stessa relazione della commissione ministeriale, il nuovo rito societario previsto per il processo di cognizione davanti al tribunale costituisce un vero e proprio nuovo modello processuale, che si distacca volutamente sia dal modello processuale del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973 ed infine anche da quello delineatosi con la riforma del 1990. Il nuovo rito di cognizione di primo grado davanti al tribunale in materia societaria prevede tutta la prima fase del processo senza l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2 non e' piu' indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che l'attore fissa al convenuto per la comunicazione della comparsa di risposta e' fissato solo nel minimo, cosi' nella comparsa di risposta, ai sensi dell'art. 4, il convenuto puo' a sua volta fissare all'attore per eventuale replica un termine stabilito ancora una volta solo nel minimo e con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la possibilita' di una replica da parte dell'attore e l'art. 7 la possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi, ancora, ulteriori repliche e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di fissazione di udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice in un momento pero' in cui sia il thema decidendum che il thema probandum si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi, del controllo del giudice. D'alta parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli effetti preclusivi rilevantissimi stabiliti dall'art. 10, e' uno strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di una sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di contumacia o di costituzione tardiva del convenuto, che introduce l'innovativo principio ( di cui nella delega non vi e' traccia) per cui nel caso in cui il convenuto non notifichi la comparsa di risposta nel termine stabilito o anche solo si costituisca tardivamente «i fatti affermati dall'attore ....si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa». Emerge dunque chiaramente che il legislatore delegato, in forza di una delega assolutamente carente sotto il profilo dell'indicazione di criteri direttivi, ha potuto creare una disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione ordinaria, anticipando quel rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Questo tribunale, quindi, ritiene che non possa andare esente da dubbi di costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione di un nuovo processo, seppur circoscritto a determinate materie, si limiti ad indicare un obiettivo, quello di «assicurare una piu' rapida ed efficace definizione di procedimenti», un divieto di «modifica della competenza territoriale e per materia», una preferenza per la collegialita', un rilevante ruolo del tentativo di conciliazione e un'indicazione di massima a favore della «concentrazione del procedimento e riduzione dei termini processuali». Di conseguenza ad avviso del Collegio, in quanto non manifestamente infondata, va rimessa la questione di costituzionalita' dell'art. 12 della legge n. 336/2001 nella parte relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003. La questione e', altresi', rilevante in quanto la presente controversia, rientrando tra quelle di cui alla lettera d) dell'art. 1 del decreto legislativo n. 5/2003, e' stata promossa e va trattata secondo le norme previste dal predetto decreto - emanato in forza della suddetta legge di delega - disciplinante per l'appunto il giudizio di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale nelle materie di cui all'art. 1 del decreto citato e, come e' evidente, dalla pronunzia della Corte costituzionale dipende l'applicabilita' della intera nuova disciplina processuale alla concreta fattispecie sottoposta al vaglio di questo tribunale. In subordine, e per l'ipotesi in cui la Corte dovesse ritenere costituzionalmente legittimo l'art. 12 della legge n. 366/2001, questo tribunale ritiene che non sia manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita' degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 per contrasto con l'art. 76 della Costituzione, in quanto emanati eccedendo dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge n. 366 del 2001. Ed invero, per evitare il sospetto d'incostituzionalita' per indeterminatezza e genericita' dell'art. 12, legge citata, dovrebbe necessariamente leggersi la legge n. 366/2001, come gia' fatto da altri giudici ordinari (cfr. ordinanza del Tribunale di Brescia del 18 ottobre 2004 che ha rimesso la questione alla Corte costituzionale), facendo riferimento alla disciplina del vigente processo di cognizione davanti al tribunale, come contenuta nel libro II, titolo I, c.p.c., il rito cioe' che sino al 31 dicembre 2003 e' stato applicato anche alle controversie societarie. La disciplina del processo di cognizione davanti al tribunale contenuta nel codice di procedura civile prevede che il processo si svolga attraverso la successione di piu' udienze fisse e obbligatorie, in particolare quella di prima comparizione (art. 180 c.p.c.) , quindi la prima udienza di trattazione (art. 183 c.p.c.), cui puo' seguire un'udienza per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184 c.p.c.) ed eventualmente una seconda udienza, su richiesta delle parti, sempre per la discussione e l'ammissione delle prove (art. 184, primo comma, seconda parte, c.p.c.) e quindi, all'esito, un'ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni (art. 189 c.p.c.). Se si volesse individuare una determinatezza dei criteri direttivi nella legge di delega, quindi, dovrebbe necessariamente ritenersi che il legislatore delegante, indicando il principio di «concentrazione del procedimento», abbia fatto evidentemente riferimento proprio alla suddetta scansione prevista nel processo ordinario. Ugualmente il processo ordinario vigente prevede che fra il giorno della notificazione e quello dell'udienza di comparizione debbano intercorrere termini liberi non minori di sessanta giorni, fissa il termine meramente ordinatorio di quindici giorni per la successione fra le varie udienze (art. 81 delle norme di attuazione c.p.c.), stabilisce ai sensi dell'art. 183 c.p.c., quinto comma, un termine massimo di trenta giorni per il deposito di memorie e di altri trenta giorni per le repliche, non prestabilisce nessun termine per il deposito delle memorie istruttorie ex art. 184 c.p.c., primo comma, seconda parte, prevede il termine di sessanta giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di venti per eventuali repliche. Soltanto con il riferimento a tali termini potrebbe riempirsi di contenuto la generica indicazione del legislatore delegante del principio di «riduzione dei termini processuali». Solo questa lettura â estremamente riduttiva e per questo sottoposta in via subordinata rispetto all'altra â dei principi fissati dal legislatore delegante, altrimenti invero generici, sarebbe possibile per evitare il dubbio di costituzionalita' della legge n. 366 del 2001. E' pero' evidente che in questo caso l'articolato contenuto negli artt. da 2 a 17, d.1gs. 17 gennaio 2003, n. 5, con cui si e' data attuazione alla delega, contrasterebbe con i principi fissati dal legislatore delegante per «eccesso di delega», alla luce delle caratteristiche del nuovo rito societario come gia' sopra sintetizzate. Il decreto legislativo n. 5/2003, infatti, non ha previsto un rito concentrato rispetto all'attuale rito ordinario disciplinato dagli artt. 163 ss. c.p.c., ma, come gia' sopra evidenziato, ha introdotto nell'ordinamento un'anticipazione del rito ordinario prefigurato dal testo redatto dalla commissione ministeriale per la riforma del processo civile. Anche la questione di costituzionalita' proposta in via subordinata e' rilevante ai fini del presente giudizio per le stesse ragioni indicate per la questione proposta in via principale. Tanto premesso in fatto ed in diritto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione sulla questione pregiudiziale di legittimita' costituzionale, siccome rilevante e non manifestamente infondata, ed il presente giudizio va sospeso. Alla cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, di cui alla predetta norma.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge n. 366/2001 nella parte in cui, in relazione al giudizio ordinario di primo grado in materia societaria, non indica i principi ed i criteri direttivi che avrebbero dovuto guidare le scelte del legislatore delegato e, per derivazione, degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo 5/2003; In via subordinata, dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione all'art. 76 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale degli articoli da 2 a 17 del decreto legislativo n. 5/2003 perche' difformi dai principi e criteri direttivi dettati dalla legge delega n. 366/2001; Ordina alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati e alle parti del presente giudizio; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso. Si comunichi a cura della cancelleria. Cosi' deciso in Napoli, nella Camera di consiglio del 1° febbraio 2006. Il Presidente: Baldini