N. 843 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 2007
Ordinanza del 26 settembre 2007 emessa dal Tribunale di Como nel procedimento penale a carico di Cere' Claudi Reati e pene - Delitti contro l'attivita' giudiziaria (nella specie: reato di favoreggiamento personale) - Casi di non punibilita' - Applicazione ai prossimi congiunti - Mancata previsione del convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari della scriminante - Disparita' di trattamento tra situazioni comparabili - Irragionevolezza - Lesione della tutela apprestata alla famiglia di fatto, quale formazione sociale che, al pari della famiglia di diritto, rende possibile lo svolgimento della personalita' dell'individuo. - Codice penale, art. 384. - Costituzione, artt. 2, 3 e 29.(GU n.4 del 23-1-2008 )
IL TRIBUNALE Pronunziando nel procedimento n. 3241/06 RGNR a carico di Cere' Claudio nato a Ronago il 25 settembre 1949, a scioglimento della riserva assunta in data 13 giugno 2007 in ordine alla illegittimita' costituzionale degli artt. 378, 384 e 307, quarto comma c.p. sollevata con riferimento all'art. 3 della Costituzione dal difensore dell'imputato avv. Irene Visconti del Foro di Varese, sentite le osservazioni del p.m., rileva quanto segue. La questione sollevata, nella sua parte essenziale, oltre ad apparire rilevante perche' deve trovare concreta applicazione nel presente giudizio, appare anche non manifestamente infondata. L'imputato Cere' deve rispondere in questa sede della violazione dell'art. 378 c.p. per avere offerto ospitalita' presso la propria abitazione a Mauri Daniela aiutandola cosi' a sottrarsi alle ricerche dell'autorita' poiche' colpita da provvedimento unificazione di pene concorrenti emesso dalla Proc. gen. rep. presso la Corte d'appello di Milano del 15 dicembre 2004 (fatto accertato in data 10 maggio 2006). L'imputato intenderebbe invocare l'esimente di cui all'art. 384 c.p. per essere stata con tutta evidenza la sua condotta determinata dalla necessita' di evitare alla convivente more uxorio le gravi e inevitabili conseguenze in tema di liberta' che sarebbero derivate dall'esecuzione dell'ordine di carcerazione emesso a suo carico con il provvedimento di unificazione di pene della procura. Ai sensi del dettato letterale di cui all'art. 384 c.p., pero', tale causa di non punibilita' e' applicabile solo a chi ha agito per salvare se stesso od un prossimo congiunto ed ai fini della legge penale, ai sensi dell'art. 307, quarto comma c.p.p., nella nozione di prossimo congiunto rientra solo il coniuge ma non il convivente more uxorio. E neppure e' in alcun modo possibile una interpretazione adeguatrice della norma invocata al fine di ritenerla applicabile anche al caso concreto, mediante un processo analogico in bonam partem poiche' il dato letterale che si ricava dal combinato disposto di cui all'art. 384 c.p. e 307, quarto comma c.p. e' esplicito sul punto ed elenca casi tassativi tra i quali non rientra quello che qui ci occupa (in questo senso non si ritiene di potere condividere l'interpretazione che della scriminante di cui all'art. 384 c.p. e' stata data con la sentenza della Cassazione, sez. VI, n. 22398 del 22 gennaio 2004 la quale, proprio in un caso in cui 1'imputata aveva invocato la non punibilita' per il favoreggiamento personale commesso per aiutare il convivente, ha sancito che: «... anche la stabile convivenza more uxorio puo' dar luogo per analogia al riconoscimento della scriminante prevista dall'art. 384 c.p.»). In tal modo, pero', si determina una irragionevole disparita' di trattamento tra situazioni, quella del coniuge e quella del convivente more uxorio, assolutamente identiche nella sostanza. La ratio dell'esimente di cui all'art. 384 c.p., infatti, e' quella di evitare per motivi etici che un soggetto sia obbligato ad arrecare un nocumento grave ad una persona a cui e' legata da un profondo vincolo affettivo perche' parente o perche' legato da una convivenza stabile consacrata con il vincolo del matrimonio: non v'e' ragione perche' tali motivi etici non debbano essere considerati anche all'interno della famiglia di fatto. Infatti l'art. 384 c.p. nella sua ratio, sicuramente pone l'accento sulla realta' sociale della stabile convivenza a cui sono connessi vincoli affettivi e non sulla unione formalizzata tra due persone conviventi, ovvero si fonda, oltre che sul principio del nemo tenetur se detegere, sul riconoscimento della forza degli affetti e dei legami di solidarieta' familiare che si basano sulle caratteristiche di quei vincoli interpersonali e non sull'esistenza dell'atto di matrimonio. L'ufficializzazione del matrimonio nel caso di specie ha il solo scopo di offrire una migliore garanzia in ordine alla effettiva esistenza della situazione di fatto sottesa che la norma intende tutelare che e' quella della stabile relazione affettiva ormai instauratasi: e nel caso in cui, come nel caso di specie, pur in assenza di un contratto di matrimonio, tale stabile relazione affettiva sia ampiamente comprovata, ogni disparita' di trattamento tra le due situazioni assolutamente comparabili appare irragionevole ed irrazionale. Ne' si obietti che gli interessi del coniuge e del convivente non sono equiparabili ai sensi dell'art. 3 della Costituzione perche' il rapporto di fatto e' privo di quella certezza e stabilita' che, invece, caratterizzano il matrimonio: in realta' nella famiglia legittima si puo' solo parlare di certezza nel senso della rilevanza pubblica del rapporto ma non certo di garanzia di stabilita' ed anche il matrimonio, come la convivenza di fatto, omosessuale o eterosessuale che sia, si basa sul costante rinnovarsi dell'accordo dei coniugi: se cosi' non fosse non esisterebbe il divorzio ed il matrimonio sarebbe indissolubile. Appare irragionevole, insomma, che tale vincolo formale di per se' costituisca il discrimine e appare contrario ad un principio di ragionevolezza escludere dalla tutela una relazione interpersonale tra due soggetti che presenti i caratteri di tendenziale stabilita', natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza materiale e morale sol perche' tale relazione non e' stata mai ufficializzata con un matrimonio. Nel caso di specie la documentazione acquisita in atti permette di ritenere acclarato che l'imputato da anni, almeno dal 1999, convive stabilmente con Mauri Daniela e con il figlio di lei e con entrambi ha instaurato una stabile e consolidata relazione affettiva. Sul punto le asserzioni dell'imputato trovano piena conferma nelle dichiarazioni acquisite in atti di sette testimoni nonche' dagli esiti della perquisizione domiciliare disposta dalla GDF che gia' in data 26 febbraio 2001 attestava la presenza del Cere' presso l'abitazione della Mauri. Siamo pertanto a fronte di una relazione di convivenza di fatto che non e' semplicemente dichiarata dagli interessati ma che e' anche comprovata da riscontri documentali e testimoniali, una relazione che per la sua stabilita' e per la sua natura e' comunque costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 2 della Costituzione (trattandosi di formazione sociale nel cui ambito puo' svolgersi la personalita' dell'individuo). Tale norma costituzionale, come peraltro sottolineato in piu' occasioni dalla stessa Corte costituzionale, e' stata dettata per garantire un livello di tutela «minimo», uno «statuto leggero» caratterizzato dal riconoscimento dei diritti inviolabili e dalla individuazione di doveri strettamente strumentali allo sviluppo della persona in seno alla convivenza: un livello, dunque, di tutela minimo delle coppie di fatto che deve trovare la sua attuazione in sede legislativa e giurisprudenziale (vedi per tutte le sent. 404/1988 e 559/1989 e n. 237/1986 la quale, dopo avere ribadito che la Costituzione tutela un rapporto affettivo consolidato ancorche' di fatto ha anche precisato che: «... per le basi di fondata affezione che li saldano e gli aspetti di solidarieta' che ne conseguono, sifatti interessi appaiono meritevoli indubbiamente, nel tessuto delle realta' sociali odierne, di compiuta, obiettiva valutazione...»). Tra il livello «minimo» di tutela garantito dall'art. 2 della Costituzione per le coppie di fatto ed il livello «massimo premiale» di tutela previsto dall'art. 29 della Costituzione esiste, insomma, uno spazio vuoto in cui il legislatore ed il giurista possono e debbono operare dando corpo e contenuto alla tutela delle forme di convivenza con l'unico limite che si fonda sulla diversita' strutturale tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio che preclude una completa assimilazione (vedi per tutte sentt. Corte cost. nn. 6/1977; 45/1980; 423/1988; 310/1989; 2/1998; 461/2000 e 491/2000). Insomma si intende qui invocare l'art. 3 della Costituzione non tanto per la sua portata uguagliatrice, perche' non v'e' dubbio che la condizione del coniuge e' diversa da quella del convivente more uxorio, ma per la irrazionalita' e la contraddittorieta' logica della scelta discrezionale operata dal legislatore nel caso di specie: la situazione del marito o della moglie e del convivente more uxorio che abbia instaurato uno stabile e durevole regime di convivenza sono in fatto assolutamente equiparabili quando si tratti di evitare che per motivi etici si sia obbligati ad arrecare grave nocumento alla persona a cui si e' affettivamente legati. D'altra parte e' stata la stessa Corte costituzionale in passato a ribadire che: «... la distinta considerazione costituzionale della convivenza e del rapporto coniugale non esclude affatto la comparabilita' delle discipline riguardanti aspetti particolari dell'una e dell'altra che possono presentare analogie ai fini del controllo di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione ...» (vedi Corte cost. sentt. n. 8 del 1996 e Corte cost. ord. n. 121/2004 le quali entrambe hanno ribadito che fuori dal controllo di ragionevolezza sulla diversita' del trattamento tra la famiglia di fatto e quella di diritto in casi specifici che possono rendere necessaria una identita' di disciplina, ogni intervento volto a parificare la famiglia di fatto e quella di diritto rientra nella sfera discrezionale del legislatore): e nel caso di specie, per le ragioni suesposte non v'e' razionalita' nel tenere distinta la posizione del convivente more uxorio da quella del convivente sposato. Considerata la ratio della norma oggi invocata e che si vorrebbe potesse essere applicata anche al caso concreto di cui ci si occupa, e' irragionevole che nell'elencazione dei soggetti che possono beneficiare della scriminante non compaia anche il soggetto che abbia instaurato una stabile convivenza affettiva con la persona che e' stata aiutata a sottrarsi alle ricerche o alle investigazioni dell'autorita'. Si chiede alla Corte una scelta selettiva e ragionevole (quindi non una parificazione tout court e per tutti gli istituti giuridici) della posizione del convivente con quella del coniuge: non c'e' una ragione perche' il convivente non debba potere godere anch'egli dell'esimente di cui all'art 384 c.p. e tale carenza di «causa» nella norma cosi' come disciplinata realizza un vizio di legittimita' costituzionale della stessa proprio perche' fondata sull'irragionevole e per cio' stesso arbitraria scelta di introdurre un regime che differenzia il trattamento di situazioni assolutamente analoghe. La questione di illegittimita', dunque, gia' rigettata in passato dalla Corte costituzionale va rivisitata alla luce della realta' sociale, del mutamento della coscienza e dei costumi sociali in punto di convivenza e matrimonio, dei vincoli di solidarieta' insiti nella famiglia di fatto e degli adeguamenti normativi che inevitabilmente sono seguiti nel corso degli ultimi anni e che hanno indotto il legislatore ed il giudice, anche nel settore penale, ad offrire tutela ad interessi che ne erano sprovvisti. Sul piano legislativo i principi fondanti possono essere ritrovati nella stessa Carta costituzionale e nella Carta europea dei diritti fondamentali dell'uomo. La stessa Corte costituzionale ha escluso da tempo che la tutela privilegiata riservata dall'art. 29 della Costituzione alla famiglia naturale fondata sul matrimonio precluda la salvaguardia, in via interpretativa od anche di innovazione legislativa anche delle famiglie extra matrimoniali. A sua volta Carta europea dei diritti fondamentali (che pur non essendo entrata in vigore e' stata richiamata come canone interpretativo dalla stessa Corte costituzionale vedi per tutte sent. 445/2002) all'art. 9, proprio al fine di non escludere le coppie omosessuali dalla tutela giuridica, individua in capo ad ogni persona il diritto di sposarsi e formare una famiglia anche se lascia alle legislazioni nazionali la disciplina e la regolamentazione di tali istituti. Sul piano legislativo nazionale basti ricordare che con il nuovo codice di procedura penale e' stata riconsociuta tutela, all'art. 199, terzo comma, lett. a) alla relazione - attuale o anche pregressa - di convivenza di fatto sul piano della facolta' di astenersi dal testimoniare limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall'imputato durante la convivenza. Questa previsione, che implica il relativo avviso da parte del giudice circa la facolta' di avvalersene (assistito dalla sanzione di nullita' dell'atto in caso di omissione), comporta altresi' effetti sul piano sostanziale: infatti l'art. 384, secondo comma c.p. esclude la punibilita' per i reati di falsa testimonianza e false informazioni al p.m. in caso di omesso avviso, da parte del giudice, della facolta' di astenersi dal rendere la testimonianza o le informazioni. Ed anche la giurisprudenza, anch'essa in linea con l'evoluzione sociale e normativa , si e' mossa spesso con l'intento di dare rilievo sociale e giuridico (ovviamente sia in malam partem che in bonam partem) alla famiglia di fatto e, di conseguenza al rapporto more uxorio quando, come nel caso di specie, sotto il profilo fattuale non possa essere messo in discussione. E' recentissima la sent. della Cassazione, sez VI n. 109/2006 in tema di ammissione al patrocinio della stato di una coppia convivente che ha operato una piena equiparazione tra la famiglia di fatto e quella di diritto ribadendo che: «la famiglia di fatto e' una realta' sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale, esprime caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia di diritto ...». Ed ancora, sempre in coerenza ed in progressiva adesione alle esigenze sopra descritte, inizia ad imporsi una significativa giurisprudenza di merito che si e' spesso pronunciata a tutela della famiglia di fatto ricomprendendo in tale nozione anche le relazioni omosessuali ed ha esteso le forme di tutela della famiglia di fatto eterosessuale alle unioni omosessuali argomentando in ordine alla assoluta identita' delle situazioni di fatto ed alla eadem ratio della tutela (vedi Trib. Roma 20 novembre 1982 n. 13445 in tema di sub locazione di un immobile; Trib. Firenze 11 agosto 1986 in tema di riconoscimento della qualifica di obbligazione naturale alle donazioni tra conviventi; Corte assise Torino 19 novembre 1993 sul diritto di astenersi dal testimoniare contro il pater; Corte d'appello Roma 13 luglio 2006 che ha ribadito che: «... la Costituzione non costituisce di per se' ostacolo alla ricezione in ambito giuridico di nuove figure alle quali sia la societa' ad attribuire il senso ed il valore dell'esperienza "famiglia" e, dunque, non impedirebbe di rimuovere anche in Italia il divieto per gli omosessuali di sposarsi... Compete al legislatore dare attuazione alle forme che risulteranno conformi alla volonta' parlamentare, alle raccomandazioni che sul tema il Parlamento europeo ha rivolto agli stati membri sin dalla risoluzione dell'8 febbraio 1994...»). Se accolta la questione di incostituzionalita' non farebbe che rispecchiare le nuove esigenze sociali che, visto il mutamento del costume, hanno stimolato l'iter parlamentare di leggi che introducano una disciplina organica della convivenza extra matrimoniale tra persone maggiorenni e capaci anche se dello stesso sesso che hanno scelto un regime di stabile convivenza e che sono unite da vincoli affettivi.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 384 c.p. per violazione degli artt. 2, 3, 29 della Costituzione nella parte in cui non contempla tra i soggetti che possono beneficiare della scriminante anche il convivente more uxorio. Dispone la sospensione del procedimento e la immediata trasmissione degli atti del presente procedimento alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata all'imputato, al difensore e al pubblico ministero, ed al Presidente del Consiglio dei ministri e che venga altresi' comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Como, addi' 26 settembre 2007 Il giudice: Lo Gatto