N. 3 ORDINANZA 14 - 18 gennaio 2008

  Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

  Processo penale - Appello - Modifiche normative - Possibilita', per
  la  parte  civile,  di  proporre  appello  contro  le  sentenze  di
  proscioglimento - Preclusione - Denunciata violazione del principio
  di  uguaglianza, del principio di parita' delle parti del processo,
  del  diritto  di  difesa  -  Omessa verifica di una interpretazione
  conforme   a   Costituzione   -  Manifesta  inammissibilita'  delle
  questioni.
  -  Cod.  proc.  pen.,  art.  576, come modificato dall'art. 6 della
  legge 20 febbraio 2006, n. 46.
  - Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.4 del 23-1-2008 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco BILE Giudici: Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO,  Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano
SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo
Maria NAPOLITANO; ha pronunciato la seguente
                              Ordinanza
nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 576 del codice
di  procedura  penale,  come  modificato  dall'art.  6 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia  di  inappellabilita'  delle  sentenze  di  proscioglimento),
promossi  con  ordinanze  del  7 aprile 2006 dalla Corte d'appello di
Bologna  e  del  10  luglio 2006 dalla Corte d'appello di Firenze nei
procedimenti  penali  a  carico di S.S. e di L.M., iscritte al n. 417
del registro ordinanze 2006 ed al n. 72 del registro ordinanze 2007 e
pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, 1ª serie
speciale, dell'anno 2006 e n. 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2007.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  21 novembre 2007 il Giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto  che,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe, la Corte di
appello  di  Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111,
secondo   comma,   della   Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  576  del  codice di procedura penale, come
modificato dall'art. 6 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche
al  codice  di procedura penale, in materia di inappellabilita' delle
sentenze di proscioglimento), nella parte in cui - avendo espunto dal
testo  della  previsione  codicistica l'inciso «con il mezzo previsto
per   il  pubblico  ministero» -  avrebbe  svincolato  il  potere  di
impugnazione  della  parte  civile  da quello del pubblico ministero,
privando  la parte stessa, in forza del principio di tassativita' dei
mezzi  di  impugnazione,  della  facolta'  di  appello  sia contro le
sentenze  di  condanna,  sia contro le sentenze di assoluzione, anche
nei  casi in cui tale facolta' sarebbe concessa al pubblico ministero
dal  nuovo  testo  dell'art.  593  dello  stesso  codice:  e  cio' in
considerazione  del  fatto  che  tale ultima norma, nello stabilire i
casi   in   cui  e'  possibile  proporre  appello,  continua  a  fare
riferimento,  come  in  passato, soltanto all'imputato ed al pubblico
ministero;
     che  a  parere  della Corte rimettente - chiamata a giudicare in
sede  di  rinvio  sull'appello proposto dalla parte civile avverso la
sentenza  di proscioglimento pronunciata dal Tribunale di Firenze, in
un  procedimento per lesioni aggravate âˆ' risulterebbero violati gli
artt.  3  e  111,  secondo  comma,  Cost., in quanto le condizioni di
parita',  in  cui  ogni processo deve svolgersi, si riferiscono anche
alle   impugnazioni   esperibili:   sicche',  la  contestata  novella
legislativa,  nel  rimodulare  i  poteri  di  impugnativa  nei  sensi
indicati,  avrebbe generato una «disparita' tra le parti del giudizio
civile riparatorio inserito nel processo penale, in quanto alla parte
civile  non sono consentiti gli stessi tre gradi di giudizio che sono
consentiti all'imputato - obbligato civilmente»;
     che   tale   disparita'   -   prosegue  la  Corte  rimettente  -
risulterebbe ancor piu' eclatante in quanto, operando il nuovo regime
anche per le situazioni processuali antecedenti all'entrata in vigore
della legge n. 46 del 2006, alla parte civile verrebbe sottratto, con
effetto  retroattivo,  «ogni  diritto  di  impugnazione,  compreso il
ricorso  per  cassazione  che  e'  mezzo di impugnazione generalmente
ammesso nel nostro ordinamento contro le sentenze di merito»;
     che  nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile;
     che,  a  tal  proposito,  la  difesa  erariale  sottolinea  come
identica  questione sia stata gia' dichiarata inammissibile da questa
Corte  con  ordinanza  n. 32 del 2007, nella quale si e' sottolineato
come  risulti  sul  punto  non ancora formatosi un «diritto vivente»,
tanto  che  la  questione  e'  stata rimessa alle Sezioni unite della
Corte di Cassazione;
     che,  pertanto, il giudice a quo si sarebbe sottratto al compito
di verificare la praticabilita' di diverse soluzioni interpretative -
pure  gia' emerse in sede di legittimita' - atte a superare il dubbio
di  costituzionalita';  con  la  conseguenza  di rendere la questione
inammissibile,  alla  luce  della  costante  giurisprudenza di questa
Corte;
     che  analoga  questione  e' stata sollevata, in riferimento agli
artt.  3,  24  e  111  della  Costituzione, dalla Corte di appello di
Bologna,  la quale ugualmente rileva che il novellato testo dell'art.
576 del codice di rito - facendo venire meno il richiamo al potere di
impugnazione  del  pubblico  ministero  -  ha di fatto annullato ogni
potere  di  appello  della  parte civile, considerato che l'art. 568,
comma  1, cod. proc. pen. stabilisce il principio di tassativita' dei
mezzi  di impugnazione e che nessuna altra norma prevede per la parte
civile  il  diritto di proporre appello; residuando, dunque, per tale
parte,  la  sola possibilita' di impugnare la sentenza di primo grado
con  ricorso per cassazione, secondo la generale previsione dell'art.
568, comma 2, cod. proc. pen.;
     che,  a  parere  della  Corte  rimettente,  a  differenza  delle
peculiarita'  che  contraddistinguono  la  posizione  ed i poteri del
pubblico  ministero  - idonee a giustificare, ad avviso del giudice a
quo,  il regime limitativo delle impugnazioni, previsto dalla novella
-   per   la  parte  civile  la  posizione  e'  simmetrica  a  quella
dell'imputato,  posto  che  ad  entrambi debbono essere assicurate le
stesse garanzie che sono loro riconosciute nel processo civile;
     che,  oltre  al principio di uguaglianza, sarebbe dunque violato
anche  l'art. 111 Cost., giacche', «fino a quando restera' concesso a
chi  e'  stato  danneggiato da un reato di esercitare l'azione civile
nel processo penale, costui non potra' essere discriminato in maniera
irragionevole rispetto al danneggiante: se a quest'ultimo si fornisce
uno  strumento  di doglianza nel merito nei confronti della decisione
del  primo giudice, lo stesso strumento, nel caso di soccombenza, non
puo'  essere  sottratto  alla parte civile, pena la lesione della par
condicio
processuale»;
     che  inoltre,  a  parere  della  Corte  rimettente, risulterebbe
compromesso  anche  l'art.  24  della Carta fondamentale, «atteso che
l'inviolabilita'  del  diritto  di azione e difesa» risulterebbe lesa
dalla  previsione  di un secondo grado di giudizio «in cui l'imputato
potra'  svolgere  le proprie doglianze, mentre alla parte civile cio'
e' precluso».
Considerato  che  le  ordinanze  di  rimessione  sollevano  questioni
identiche  e,  pertanto,  i relativi giudizi vanno riuniti per essere
definiti con un'unica decisione;
     che i giudici a quibus
dubitano  della  legittimita' costituzionale dell'art. 576 del codice
di  procedura  penale,  come  modificato  dall'art.  6 della legge 20
febbraio  2006,  n. 46  (Modifiche  al codice di procedura penale, in
materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento), nella
parte  in  cui - in asserito contrasto con i principi di eguaglianza,
di  parita'  delle parti nel processo e di inviolabilita' del diritto
di  azione  e  di  difesa  (artt.  3,  24 e 111 della Costituzione) -
esclude,  in  capo  alla  parte civile, il potere di proporre appello
avverso la sentenza di proscioglimento dell'imputato;
     che  presupposto  comune del dubbio di costituzionalita' e', per
entrambe  le  ordinanze  di  rimessione,  la  premessa interpretativa
secondo cui la riforma delle impugnazioni del 2006 avrebbe soppresso,
per  la  parte civile, il potere di appello; deduzione, questa, cui i
rimettenti  -  alla  luce  del generale principio di tassativita' dei
mezzi  di  impugnazione  espresso  nell'art. 568, comma 1, cod. proc.
pen.  -  pervengono  in  forza  di una duplice considerazione: sia la
constatazione  che  la  parte  civile  non  e' inclusa tra i soggetti
legittimati  a proporre appello dall'art. 593 cod. proc. pen.; sia il
rilievo che il testo novellato dell'art. 576 del codice di rito - nel
corpo  del  quale  e'  stata  soppressa l'originaria statuizione, che
consentiva  alla  parte civile di proporre impugnazione con lo stesso
mezzo  previsto  per  il  pubblico ministero - non specifica di quali
mezzi di impugnazione detta parte sia ammessa a fruire;
     che,  peraltro,  questa  Corte  âˆ'  dichiarando  manifestamente
inammissibile una questione di legittimita' costituzionale fondata su
un identico presupposto ermeneutico (cfr
.  ord.  n. 32  del del 2007) âˆ' ha evidenziato che «deve registrasi
l'assenza  allo stato, di un «diritto vivente» conforme alla premessa
interpretativa    posta    a   base   dei   dubbi   di   legittimita'
costituzionale»:   potendosi   ravvisare,   gia'  all'epoca  di  tale
decisione,  una  diversa soluzione ermeneutica idonea a soddisfare il
petitum degli odierni rimettenti;
     che,  in  particolare, nella citata pronuncia, veniva richiamata
l'opposta  tesi  affermata dalla Corte di cassazione, in virtu' della
quale  la  novella  del 2006 non avrebbe affatto determinato il venir
meno,  in  capo  alla  parte  civile, del potere di appello contro le
sentenze  di  proscioglimento,  ai soli effetti della responsabilita'
civile;
     che  tale  tesi - nel frattempo divenuta maggioritaria presso la
giurisprudenza  di legittimita' - ha trovato ulteriore conferma nella
pronuncia  delle  Sezioni  unite  della  Corte di cassazione (si veda
Cassazione,  sezioni  unite, 29 marzo 2007, n. 27614) che ha ribadito
come  la  parte  civile,  anche  dopo l'intervento sull'art. 576 cod.
proc.  pen.  ad  opera  dell'art. 6 della legge n. 46 del 2006, possa
proporre  appello,  agli effetti della responsabilita' civile, contro
la  sentenza  di  proscioglimento  pronunciata  nel giudizio di primo
grado;
     che,  nell'affermare  tale opzione ermeneutica, il giudice della
legittimita'  ha,  in  particolare,  fatto  leva sull'interpretazione
logico-sistematica  dell'art.  576  cod.  proc. pen. - attribuendo «a
mero  difetto di tecnica legislativa la formulazione letterale» della
norma  in  questione  -  e,  soprattutto, sulla volonta' legislativa,
quale desumibile dai lavori parlamentari;
     che, in proposito, la Corte di cassazione ha evidenziato come le
modifiche  apportate al testo normativo originariamente approvato dal
Parlamento,  dopo il rinvio alle Camere da parte del Presidente della
Repubblica  ai  sensi  dell'art.  74  Cost.  -  ed  in particolare la
soppressione,  nell'art.  576  cod.  proc.  pen., dell'inciso «con il
mezzo  previsto  dal  pubblico  ministero»  - risultassero in realta'
finalizzate  a  «rimodulare,  accrescendoli, i poteri di impugnazione
della  parte civile, sganciandone la posizione da quella del pubblico
ministero»  ed  a  ripristinare,  dunque,  il potere di appello della
parte privata: con il chiaro intento di recepire il rilievo formulato
nel  messaggio  presidenziale,  circa  l'eccessiva compressione della
tutela  delle  vittime  del  reato quale si delineava nelle soluzioni
legislative inizialmente adottate;
     che,   pertanto,   avendo   omesso   i   giudici  rimettenti  di
sperimentare  adeguate  soluzioni  ermeneutiche  -  diverse da quelle
praticate  -  idonee  a  rendere la disposizione impugnata esente dai
prospettati  dubbi  di  legittimita',  le  questioni  proposte devono
essere  dichiarate  manifestamente  inammissibili,  alla  luce  della
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis
, ordinanze n. 35 del 2006, n. 381 del 2005 e n. 279 del 2003).
Visti  gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e  9,  comma  2,  delle  norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
              per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti  i  giudizi,  Dichiara  la  manifesta  inammissibilita' delle
questioni  di legittimita' costituzionale dell'art. 576 del codice di
procedura penale, come modificato dall'art. 6 della legge 20 febbraio
2006,  n. 46  (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di
inappellabilita'  delle  sentenze  di proscioglimento), sollevate, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla Corte di
appello  di  Bologna  e  dalla  Corte  di  appello  di Firenze con le
ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
                         Il Presidente: Bile
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 gennaio 2008
              Il direttore della cancelliera: Di Paola